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Perversioni naturali (le amiche della mia amica) - Prima parte


di Honeymark
23.06.2012    |    39.755    |    5 9.7
"Lei si stiracchiò, mostrando le sue nudità dall’inguine in giù..."
Prima parte

1.

Quello era un brutto periodo per me. La morosa mi aveva lasciato quattro mesi prima e io l’avevo presa molto male, al punto che non mi ero ancora messo a cercarne un’altra. Stavo per compiere i trentun anni e avevo l’impressione che la parte migliore della mia vita fosse già alle spalle. Stupidamente, mi domandavo se avrei avuto ancora rapporti con altre donne…
Beh, almeno il lavoro andava bene, ho una farmacia che mi hanno lasciato i genitori, scomparsi da un anno in un tragico incidente, un viaggio all’estero. Oltre alla farmacia avevo ereditato un sacco di immobili sparsi un po’ dappertutto intorno a Verona, dal Lago di Garda a Mantova, da Soave ai Colli Berici, dal mare di Jesolo alla montagna di Bosco Chiesanuova. Sono laureato in farmacia, ma in seguito alla disgrazia ultimamente avevo dovuto trascurare un po’ l’attività per sistemare con una certa logica gli immobili. Avevo tenuto la villetta sul lago, ma il resto l’avevo venduto. Con metà del ricavato ho comperato tutto il condominio dove abito, garage e cantine compresi, al cui piano terra stanno otto negozi, tra i quali anche la mia farmacia e la mia beauty farm con solarium. Al primo piano avevo creato il poliambulatorio «Salus» che ospitava una decina di medici per alcuni giorni alla settimana. Il secondo piano era stato affittato a un ente pubblico. Dal terzo in su avevo altri cinque piani da sei appartamenti e li avevo affittati ad altrettante famiglie. L’attico l’avevo riservato per me, anche se me ne sarebbe bastato meno di un quarto. Adesso avevo cominciato ad arredare la mia abitazione e ripreso il controllo dell’istituto di bellezza e della farmacia, che sono la fonte principale dei redditi. Cioè, lo erano prima che sistemassi gli immobili perché adesso avevo triplicato le entrate. E avanzato un sacco di soldi.
Il tutto a discapito del tempo libero. E infatti, erano le undici di sera dell’ultimo giorno dell’anno ed ero andato da solo a una festa pubblica al Grand Hotel. Bella prospettiva. Un sacco di gente che si divertiva, mentre io stavo lì a guardarli grattandomi le palle. E a pensare al lavoro che avevo fatto.
Presi un altro gintonic al banco e iniziai a girare per il salone delle feste fermandomi di tanto in tanto ad osservare qualcuno e a dare un sorso al bicchiere dopo aver sbattuto il ghiaccio.
Guardai automaticamente l’ora, come faccio ogni volta che mi sto rompendo.
- Non dirmi che ci siete anche voi!
Mi girai per vedere chi poteva conoscermi, senza sapere che io e la mia morosa non eravamo più insieme da mesi.
- Connie! – dissi con gioia particolare. – Dio mio che bello trovarti qui!
Ci abbracciammo perché era da un pezzo che non ci vedevamo.
- Come sta Liberty Kid? – le domandai. Era il soprannome che avevamo appioppato al suo moroso per via di certe libertà che si prendeva. Beveva, fumava, scopava, mangiava, e tutto questo non necessariamente in questo ordine, con gli amici né con la sua morosa.
- Come sta Grazia? – chiese lei.
- Ah! – risposi amareggiato. – Non siamo più insieme.
- Occazzo! – esclamò. – Anche voi?
- Anche voi cosa?
- Io e Kid non siamo più insieme.
- Oddio! – osservai. – E sei infelice?
- Ero infelice. – precisò maliziosa. – Ora sono particolarmente felice.
- Già… – La osservai. – Chissà perché, ma anch’io mi sento improvvisamente cambiato di umore.
Ci guardammo in faccia studiandoci per un lunghissimo secondo. Una cosa era chiara, da qual momento la nostra vita sarebbe cambiata.
- Cosa stai bevendo?
- Un gintonic. Te ne offro uno?
- Grazie!
Poco dopo, con un gintonic a testa avevamo ripreso a fare due passi per il grande salone. Ora il chiasso che sentivo non era più così fastidioso. Anzi.
- Cin cin!
- Salute.
- Alberto, com’è che è finita la tua storia?
- Senti, non potremmo parlare di cose più divertenti?
- Giusto. Com’è che pensi di cominciare la nuova?
Ci guardammo di nuovo per un lunghissimo secondo.
- Non lo so di preciso. – le dissi indicandola col bicchiere. – Ma mi sta venendo qualche idea…
Distolse lo sguardo.
- Facciamo due passi?
Andammo in giro col bicchiere in mano e ci fermammo altre due volte a prendere da bere. Restava solo da decidere chi avrebbe fatto il primo passo.
- Hai programmi per il futuro? – chiesi poi, pronto a fare la domanda successiva.
- Per quest’anno, no. – rispose sorridendo. Guardò l’orologio. – Ormai manca meno di un’ora alla fine dell’anno.
- E per l’anno prossimo?
- Ho le idee molto chiare. – mi disse avvicinandosi. Appoggiò il bicchiere e mi si avvicinò alle labbra. – Penso che lo comincerò scopando.
- Era quello che volevo pensare anch’io. Hai idea di come possa essere scatenato un maschio di trent’anni che non scopa da mesi?
- Beh, mon potrei dirtelo il prossimo anno?
- D’accordo, ma quanto tempo dopo l’inizio dell’anno nuovo? Un mese, una settimana, un’ora?
- Il tempo necessario e sufficiente.
Il tempo necessario corrispose più o meno ai 25 minuti che abbiamo impiegato a brindare all’anno nuovo, fare gli auguri ad alcune persone, prendere la nostra roba e correre a casa mia. Quello sufficiente… Beh, è meglio andare per gradi.

Nel mio attico avevo arredato bene il mio home office, dove passavo la notte quando lavoravo fino a tardi, mentre per il resto c’era solo la cucina perfettamente attrezzata ma mai utilizzata e, naturalmente, la camera matrimoniale dove avevo sempre dormito da solo. Però avevo anche una bellissima biblioteca costruita attorno al biliardo d’epoca. Non che fosse indispensabile, ma mi piaceva sia leggere che giocare a biliardo, due cose che si possono fare benissimo anche da soli. Avevo anche altre stanze, grandi o piccole, tutte in attesa di una mano di vita. Vuote, insomma.
Quando chiusi la porta di casa, lei era già in bagno. Giusto, anche un bagno era perfettamente attrezzato, gli altri li avrei sistemati presto. Accesi a basso volume la TV per sentire di sfondo il chiasso dei festeggiamenti di capodanno provenienti da tutto il mondo. Quando uscì, indossava il mio accappatoio.
- Non ho ancora il salotto… – mi scusai. – Possiamo sederci solo in cucina o in camera da letto. O sul biliardo…
- Hai un biliardo?
- Di là.
Andò a vederlo, lo studiò, poi si girò verso di me. Lo aprì e lo lasciò cadere sul panno verde. Si sedette sopra, invitandomi a prendere l’iniziativa. In un baleno mi spogliai, mi portai a lei e la baciai. Mi mise le gambe dietro la schiena e si ritrasse sdraiandosi di sul biliardo. Cominciai a baciarla dappertutto. Quando arrivai alla vulva, era bagnata come un pulcino.
- Non hai idea… – sussurrò ansimando – come possa essere una ragazza di ventisei anni che non scopa da mesi…
Feci fatica ad infilarglielo perché le piaceva allontanarsi, tanto che dovetti salire sul biliardo anch’io. Ma in breve la brancai e lei si spinse contro. Urlammo come facoceri, mentre venivamo insieme, uniti, separatamente.
Saltai giù dal biliardo, la presi in braccio e la portai in camera da letto. Era evidente che avevamo bisogno di sesso, di quello vero, duro, scatenato, forsennato, quello del gallo ruspante della Val Badia, che mangia quello che gli va e si scopa la gallina che gli passa a tiro. Lei me lo prese in bocca per rimetterlo in funzione e lui ripose in breve al richiamo della foresta. Ripresi a sbatterla in qua e in là, di sopra e di sotto, davanti e dietro… Insomma era come se volessimo fare tutto in un colpo solo.
Poi, d’un tratto mi accorsi che lei, mentre la penetravo, si masturbava. Lì per lì la presi male, pensando di non essere abbastanza all’altezza, ma poi compresi che evidentemente ne aveva bisogno e la lasciai fare, dandoci dentro ancora di più. Venne più volte, chiaramente grazie alla sua azione col dito. Alla fine, stremato dalla performance che si stava protraendo da più di un’ora, decisi di venirle da dietro, scaricando mesi e mesi di arretrati.
Come svuotati, ci buttammo sdraiati sul letto a riprendere fiato. Prendemmo sonno. Mi svegliai un’ora dopo e andai a spegnere la TV, poi mi riaddormentai e dormimmo fino alle dieci della mattina dopo. Presto per essere il primo dell’anno, ma alla fin dei conti ci eravamo addormentati alle 3. Cercammo il contatto con le gambe, e così dopo pochi minuti eravamo di nuovo avvinghiati l’uno nell’altro. Presa di culo aveva dei glutei vibranti che mi facevano impazzire, perché si muovevano in perfetta sintonia con i miei lombi. Anche stavolta lei si masturbò strofinando il clitoride col dorso dell’indice della mano destra. Provai a prenderla bloccandola da dietro con le mie caviglie attorno alle sue e con le mie braccia che passavano sotto le sue ascelle per poi congiungersi con le mani sulla sua nuca. La sbattei per un po’ così, poi si divincolò e si mise sopra di me. Saltando sulla mia pancia, riprese a masturbarsi come prima. Stavolta la lasciai nuovamente fare ed anzi fui contento di vederla venire un paio di volte senza che io dovessi impegnarmi troppo. Insomma riuscii a venire come mi piaceva di più
Mi alzai, infilai i pantaloni del pigiama e diedi a lei la giacchetta.
- Dobbiamo mangiare qualcosa, ma la mia magnifica cucina è assolutamente vuota.
- Andremo direttamente a pranzo… – Rispose assonnata.
Tirai le tende pesanti e lasciai che il timido sole invernale illuminasse la neve sul davanzale della nostra stanza. Lei si stiracchiò, mostrando le sue nudità dall’inguine in giù. Era bellissima, molto più bella della sera prima, tanto che provai immediatamente voglia di saltarle addosso. La sbattei di nuovo tenendole una gamba tesa in alto. Lei stavolta non si masturbò. Alla fine la lasciai e l’abbracciai.
- Whow! – esclamò stirandosi di nuovo. – Cosa è successo stanotte? E’ come se una stampede di bisonti mi avesse travolta.
- Una cosa?
- Una stampede. E’ la corsa forsennata che fanno le mandrie di bovini quando vengono terrorizzati da qualcosa.
- Buon da sapersi. Si impara sempre qualcosa di nuovo. – La baciai. – E’ stato bello. Mi spiace solo di non essere stato all’altezza…
Balzò a sedersi.
- Perché dici così? Mi hai fatto letteralmente impazzire.
- Guarda che non mi offendi se dici la verità. – risposi serenamente. – Se ti masturbavi è perché ti mancava qualcosa…
- Ma no… No..! – Mi si fece attorno come una gatta, poi si fece abbracciare. – Io sono fatta così. Io… Io…
- Dimmi tutto, credo di essere abbastanza maturo da…
Si alzò e andò a prendersi una sigaretta.
- Posso? – mi chiese indicandomela.
- Fuma pure, a me non dà fastidio.
- Il mio moroso mi ha piantato per questo.
- Perché fumavi?
- No, perché mi masturbo sempre quando scopo. Sono fatta così…



2.


Non disse altro e non chiesi di più. Tutto sommato era una cosa che non mi dava fastidio. Le avevo solo chiesto se non preferiva che la masturbassi io, ma mi aveva risposto che le andava proprio così. Masturbarsi mentre scopava.
- Cosa facciamo? – le chiesi ad un certo punto. – E’ il primo dell’anno. Hai impegni?
- Assolutamente no. Mi basta telefonare a casa per tranquillizzarli e posso star via per sette giorni. Faccio l’insegnante, non ricordi?
- Sì, mi pareva. Che cosa insegni?
- Musica.
- Ah sì, adesso ricordo. Suoni il pianoforte da dio.
- E non solo. Ti piace il mio mandolino?
- Quello lo so suonare bene… he he
Sorrise anche lei. – No, suono anche strumenti meno nobili del sesso. L’oboe e il violino, per esempio. E poi dirigo un coro femminile classico, il Santa Cecilia.
Me ne intendo un po’ di musica anche io, da ascoltatore ovviamente, e so che la maggior parte dei cori classici femminili si chiamano così.
- Non è un nome molto creativo, – disse come leggendomi il pensiero – Ma è il più richiesto dalle orchestre della città.
- Il nome? Vogliono che il coro si chiami così?
- No, il coro femminile che dirigo è molto richiesto. Per la precisione, sarebbe molto richiesto…
- In che senso?
- Nel senso che non abbiamo soldi, niente divise, niente trucco, niente viaggi…
- E’ un coro giovane?
- Recente più che giovane, ci sono coriste di tutte le età, di tutte le forme, di tutte le estrazioni. Per fortuna anche di tutte le voci. Tutte brave ragazze che sono riuscita a intruppare. Avevano tutte dei problemi che nel coro sono riuscite a superare. Ma parliamo d’altro.
- Davvero ti ha piantato perché ti masturbavi?
Si alzò nuda e andò verso la finestra accendendosi un’altra sigaretta.
- Davvero a te non dà fastidio se mi masturbo?
- Mah, lì per lì pensavo di non essere all’altezza…
- Meglio così. Lui dava la colpa a me… Diceva che sono una troia insaziabile.
- Ma se lo chiamavamo Liberty Kid perché era un insaziabile tombeur de femme…! Anzi, trombeur, non tombeur… Ha ha!
- Balle. Erano solo parole. Non scopava molto, non scopava bene, era bacchettone e bigotto. Considerava erotismo il suo e pornografia quello degli altri. E non dico che avesse l’eiaculazione precoce, ma poteva magari coccolarmi un po’ prima di andar via, dopo, no?
- Hai un fisico davvero superbo. – le dissi. – Ma lo sai che sei una delle più belle donne che conosca e me ne sono accorto solo oggi?
- Beh, – rispose girandosi per mostrarsi anche di fronte in tutta la sua femminilità. – Almeno te ne sei accorto…
Stava in piedi con le gambe leggermente divaricate e le mani ai fianchi con una certa grinta. Diede un’aspirata alla sigaretta.
- Non hai nulla da invidiare a Sharon Stone. – le dissi convinto.
- Checcazzo, avrà il doppio della mia età!
- Butta la sigaretta che ti monto! – sorrisi.
- Il dito posso tenerlo?
- Certo!
Spense la sigaretta e mi accarezzò la guancia. Avremmo fatto molta strada insieme.
Alla fine pensai rapidamente sul da farsi.
- Telefona a casa tua. Di’ che stai via fino a domenica.
Prese il telefono.
- Pronto sono io… Sì sì… Auguri, auguroni… No no, non torno a casa… Cioè torno, ma per prendere qualcosa che poi sto via per qualche giorno. Sì, no. Non ho solo ventisei anni… Ho già ventisei anni. D’accordo, telefonerò tutte le sere… Sì, passo a prendere qualcosa.

Quando uscì da casa sua con una borsa da viaggio, i suoi mi mandarono un saluto. Partimmo e andammo nella casetta sul Garda. Un salto in casa e poi via da Nane, il ristorante sul lago.
- Siamo affamati come lucci! – gridai a Nane. – Cos’hai preparato per il primo dell’anno?
- Ehi! E gli auguri non si fanno più?
- Sì, scusa Nane, ma abbiamo una fame da….
- … da lucci. Vi vanno bene i lucci con la polenta?
- Ma non sono fuori stagione?
- Ti piacciono o no?
- Da matti!
- Allora siediti e non fare domande.
- Sai che sono proprio felice ad essere qui con te? – dissi a Conie srotolando il tovagliolo.
- Lo sono anche io. – Mi prese la mano. – Tu perché hai lasciato la tua morosa?
- E’ stata lei a lasciarmi.
- Ah! Siamo stati entrambi sedotti e abbandonati?
- Più che sedotti, direi abbandonati, sì…
- Diceva che la trascuravo, e aveva ragione perché quest’anno ho seguito solo i miei affari…
- Non la scopavi mai?
- No, anzi, diceva che mi interessava solo quello…
- Come il mio. Non capiscono un cazzo…
- Avevamo ritmi diversi… E poi era gelosa. Stupidamente gelosa. Non la tradivo, sai? Ma per esempio non potevo raccontarle i miei sogni erotici perché s’incazzava da morire. Diceva che non la rispettavo.
Si accese. – Ma lo sai che a me invece le fantasie erotiche del mio ragazzo mi avrebbero fatto impazzire? Ma non voleva parlarmene. Diceva che non ne aveva, e forse era vero.
- Allora io ti farò impazzire, perché ne ho a migliaia… ha ha!
- Raccontamele tutte.
Venne Nane con due piatti di luccio in umido con la polenta e per qualche minuto parlammo del piacere della gola. Il vino era un valdadige bianco, non troppo pretenzioso, ma indubbiamente adatto per farsi bere in quantità. Soprattutto con luccio e polenta.
- Allora? – disse, mangiando gioiosamente. – Me la racconti una delle tue fantasie?
Pensai un po’ a cosa raccontarle. Il rapporto era cominciato bene e non volevo rovinarlo con le mie sciocche perversioni.
- Non devi vergognarti. – mi rassicurò. – Le perversioni sono sempre naturali. Basta che stiano bene ad entrambi e possono diventare sublimi realtà.
La guardai. Non facevo sesso da mesi. La morosa mi considerava un maiale perché mi piaceva fare di tutto…
- Mi piace fare di tutto. – risposi.
- E’ come dire che non ti piace niente.
- No, cazzo. Se dico tutto è tutto.
- Ti piace anche accoppiarti con gli animali? Con i morti? Con gli escrementi?
Mi sentii arrossire. – Ostia, scusa. Hai ragione. Vedi…
- Vai con calma. Abbiamo una vita davanti. O almeno qualche giorno…
- Beh, mi piace… Mi piace metterlo dappertutto.
- Questo l’ho visto… he he. Poi?
Mi misi a pensare sul come dirlo.
- Mi piace proprio tutto. Il feticismo, il sadomaso…
- Come master o come slave?
- Cosa?
- Nel sadomaso, ti piace fare il padrone o lo schiavo?
- Ma il padrone! E’ ovvio no?
- Non c’è nulla di ovvio nel sesso. E ti piacciono anche i maschi?
- No, checcazzo! Io sono etero!
- Che c’entra? La dominazione è trasversale…
- Mi piacciono i clisteri. Scusa, mi piace fare i clisteri, per la precisione, non subirli…
- Oh, meno male che cominci a parlare… he he. E poi?
- Mi piacerebbe disporre di tutte donne che voglio. Mi piace essere desiderato. Venerato.
Sospirò. – Non sei l’unico… Perché non scendi in particolari? Ti vergogni, o devo scavare io nel tuo subconscio?
- Senti, ci conosciamo sono da ieri sera…
- Infatti. Scusa, io ho l’impressione che tra me e te possa nascere qualcosa di importante.
- Lo sento anch’io…
- Allora è meglio che verifichiamo subito se siamo «compatibili», no? Cioè se abbiamo gli stessi ritmi, come dici tu.
Si intromise Nane.
- Le porto il solito per finire, dottor Federici?
- Tu prendi un dolce, qualcosa? – chiesi a Connie.
- Torta al cioccolato e panna. E un cappuccino.
- Più un caffé e una grappa per me, Nane, grazie.
Connie aveva avuto il tempo di raccogliere le idee.
- Ti piace guardare il culo di una donna, vero?
- Moltissimo. Sia vestito che nudo che in mutandine.
- Ti piace legare una donna? – domandò.
- Sì…
- Ti piace sodomizzarla di più con il pene o con un oggetto?
- Con un oggetto.
Forse avevo risposto troppo in fretta.
- Ti piace vedere il buco del culo che si allarga, vero?
Non dissi nulla e Guardai Connie con un certo senso di imbarazzo.
- Ti si sta rizzando, eh?
La guardai ancora. – Come fai a saperlo?
- Ti amo.
- Connie!
Arrivarono il dolce e i caffé, così riprendemmo fiato.
- E tu? – le dissi d’improvviso. Volevo vedere se anche lei rappresentava il mio sesso ideale. – Qual è il tuo sogno ricorrente?
- Le mie perversioni, vuoi dire?
- Esatto. Quelle naturali però, – aggiunsi. – Niente necrofilia, zoofilia, cuprofilia…
- Mi piace masturbarmi…
- Ho visto… He he
- …Mentre il mio uomo scopa.
Sorrisi. – Ho visto anche questo.
- E… mentre il mio uomo scopa… un’altra donna.
Non dissi nulla. Ma avevo capito bene.
- Dottor Federici! – mi disse dopo aver piegato leggermente la testa di lato con sguardo sornione. – Non mi dirà che le sì è rizzato ancora?
In effetti ero come ipnotizzato.
- Non mi si è più ammosciato…
Chiamai il conto.
Arrivammo nella villetta, misi della legna nel caminetto e accesi il gas.
- Va a legna, ma si accende con il gas, – precisai. – Sarà un po’ kitch, ma semplifica molto le cose.
- Non male…
- Mettiti comoda, che prendo da bere. Grappa o Porto?
- Porto, grazie, sennò non arriviamo a stasera.
Tornai davanti al caminetto e mi sedetti vicino a lei.
- Mi vuoi spiegare meglio? – le dissi infine.
Guardò il fuoco del caminetto e si fece pensierosa.
- Sappi che non ne ho mai parlato a nessuno, men che meno a Liberty Kid… Se l’avesse saputo, mi avrebbe sputtanato a morte…
- E te la senti di parlarne con me? –
- Sì. – disse dopo averci pensato pochissimo. – Qualcosa mi dice che posso farlo.
Non commentai, la lasciai parlare.
- È da quando ho avuto il primo ragazzo che lo sogno.
- Cosa esattamente?
- Prometti di non criticarmi? Qualunque cosa pensi, sappi che ti sto dicendo la verità. Se vuoi, mandami a quel paese, ma rispetta il mio essere. Sono fatta così.
- Connie, per carità! Dai, dimmi che cosa sogni.
- Di guardare di nascosto il mio ragazzo che scopa un’altra…
Mi alzai e bevvi un sorso. Avevo capito bene.
- Mi stai dicendo la verità? – Non rispose, me lo aveva già detto. – E come te lo spieghi?
- Non me lo spiego. Io sono così.
- Vuoi dire che se… Se io e te ci innamorassimo… Ti piacerebbe vedermi scopare con un'altra?
Stavolta si alzò lei in piedi.
- Sì…
- Ma perché di nascosto?
- Ehilà! – mi disse – Calma… Ha ha! Questo è solo un sogno!
- Sì, certo… Ha ha! – Risi anch’io, bevendo un sorso di porto.
- Però, la cosa ti eccita… – Incalzò, sentendomelo duro. Aveva quella bella abitudine di toccarmi con abilità.
- Per forza! L’idea di avere una morosa che si eccita che io scopi un’altra…
- Andiamoci piano. Primo, non siamo ancora morosi.
- Possiamo diventarlo adesso…
- Secondo, è più complesso di così come lo dico. Non è un giochetto. La maggior parte delle amiche che conosco andrebbero subito a letto con il mio moroso, ma per me andrebbe bene sì e no solo una su cento. – Si era fatta seria, abbassando la testa. Ma poi mi guardò in faccia. – Devi sapere che una su tre proverebbe a portarmi via il moroso, una su due parlerebbe troppo, la maggior parte chiaverebbe ma mi darebbe della troia… Posso portarti a letto solo le mie amiche più intime… E quelle che domino totalmente. E quelle che hanno la mia piena fiducia.
Mi guardò nuovamente con espressione seria.
- Ma se mi ami, mi stai vicino e non mi tradisci, lascia fare a me che ti faccio toccare il cielo con un dito. E non solo…



3.


Il primo giorno di lavoro, dalla farmacia telefonai al mio amico medico che ha l’ambulatorio in affitto al primo piano da me.
- Ciao Alberto. – Mi salutò. – In cosa posso aiutarti?
- Ho bisogno di un medico. Sai suggerirmene uno tu?
- Cazzo, e io chi sono?
- Mi serve un sessuologo.
- Senti, sarebbe come se chiedessi a te se conosci un buon farmacista.
- In questo momento ti suggerirei il mio aiutante…
- Beh, nel mio caso io sono io. Come posso esserti utile?
- Puoi ricevermi?
- Quando?
- Adesso.
- Adesso? Cazzo, ti sei beccato qualcosa?
- Sì, mi sono innamorato. O almeno credo.
- Ahia, non so se posso aiutarti…
- Beh, provaci no? Posso venire adesso?
- Sali.

Ero passato davanti a una fila di clienti in attesa, ma nessuno aveva protestato. Mi ero sprofondato nella poltrona del suo gabinetto come se fosse il solito divanetto dello psicologo e gli avevo raccontato più o meno tutto. Cioè solo il fatto di una lei si eccita a vedere il proprio uomo scopare un’altra donna.
- E’ un classico.
- Checcazzo dici? Classico tuo nonno!
- È una perversione naturale che viene chiamata cuckolding, da Cuckoo, il cuculo. In veneto il «cucco» è l’uccello che preferisce prendere il nido già fatto da un altro volatile.
- Ma il cucù non si prende anche la femmina e i piccolini.
- Tu che ne sai? Ad ogni modo è un termine convenzionale.
- Va’ avanti.
- È un po’ l’esasperazione della gelosia al massimo livello. Si supera l’ultima soglia e si passa dall’altra parte.
- Non scherzare.
- E’ come se il cuckold volesse esorcizzare la gelosia decidendo lui di voler vedere il proprio partner a letto con un altro.
- Mai sentita una cosa del genere…
- Non mi meraviglia, dato che non lo sei. Ma sappi che se cerchi su Google la voce cuckold, troverai qualcosa come… – digitò al computer. – Come tre milioni di voci.
- Ostia, sei matto?
- E’ la verità, guarda, se vuoi.
- No, mi riferisco alla perversione. E com’è? Come funziona? È pericolosa? Cosa mi consigli?
- Bono, andiamo per gradi. Anzitutto è molto più diffusa tra gli uomini che tra le donne. Di solito è l’uomo che confessa alla donne di desiderare di vederla montata da un altro.
- Da non credere. E la versione al femminile com’è?
- È la stessa cosa, solo che raramente le donne lo confessano al marito. Una donna riesce a reprimere meglio i propri desideri…
- Ripeto, cosa mi consigli?
- E cosa vuoi che ti consigli? Posso solo dire «beato te»!
Non pensai a nulla, anche se cominciavo a rendermi conto un po’ alla volta.
- Ecco, un consiglio te lo posso dare. Fai quello che ti dice, mai agire di testa tua.
- Spiegati.
- Non andare mai con un’altra donna senza dirlo a lei. Ti ucciderebbe.
- E perché mai? – chiesi attonito.
- Per gelosia. Perché questo sarebbe il classico “tradimento”.
Era chiarissimo il concetto. Mi alzai.
- Grazie Alberto. Sei stato prezioso. Quanto ti devo?
- Beh, tu mi faresti pagare una medicina se ne avessi bisogno?
- Lo credo bene.
- E allora vai, io non sono come te. Tra amici non si fa pagare.
- Dai, non dire stronzate…
Stavo per uscire, quando mi chiamò
- Un ultimo consiglio, Alberto.
- Dimmi.
- Per quanto ti possa sembrare singolare, si tratta di persone dotate di sensibilità molto pronunciata. Voglio dire, lascia che sia sempre lei a prendere queste iniziative. Ammesso che le prenda. Il più delle volte si accontentano di ascoltare il partner che racconta cosa vorrebbe fare…
- Ti ringrazio ancora. Sei hai bisogno di qualcosa, in farmacia, basta che chiedi.
- Mavalà che scherzavo! Mi mandano quasi tutto gratis… Ha ha!

Dopo una settimana, io e Connie sentivamo che eravamo fatti l’uno per l’altra, anche se non avevamo più parlato delle nostre perversioni naturali.
- Stavo pensando una cosa… – dissi mentre l’accompagnavo a casa.
- Mi lasci?
- Mi stavo domandano se non fosse il caso… Senti, – le dissi poi, facendomi coraggio. – Che ne diresti di trasferirti a casa mia?
- Che cosa??? Ya–hooo!!!
Mi abbracciò d’un impeto tale che per poco non uscimmo di strada.

Ci volle una settimana di trasloco. La cosa più difficile fu convincere i suoi, ma alla fine ci fecero gli auguri di tutto cuore. Lei sistemò le cose e iniziò a far funzionare la cucina. Io acquistai la sala da pranzo, attaccai una decina di quadri che avevo messo nello sgabuzzino, poi comperai una dozzina di tappeti di varia misura, scelti da lei. A fine febbraio sembravamo una famiglia felice e contenta di stare insieme.
- C’è sempre stata una sceneggiata particolare nei miei sogni… – Le dissi una sera, tornando da teatro.
- Wow… Siamo in vena di sesso estremo?
Quando volevamo fare più sesso del solito, ci raccontavamo i nostri desideri nascosti.
- Io sogno sempre di vedermi mentre inserisco il pene in una donna…
- Ah, vuoi che ci facciamo riprendere nel corso di un amplesso?
- Zitta… Io voglio vedere il pene che allarga il sesso. O il culo.
- Ho capito. Vuoi una telecamera?
- Neanche… Non so come spiegarmi. A me piace proprio poter disporre degli accessi di una femmina e…
- Come li ha chiamati?
- Accessi. Vorrei tenere in mano il mio pene e infilarlo lentamente… – Mi girai a guardarla sorridendo. – Forse sono un auto-guardone?
- Beh, avevi detto che ti piace sodomizzare più con un oggetto che con il pene, no?
- Sì, ma non è così semplice. Il mio erotismo vorrebbe che la mia schiava indossasse sempre dentro di sé qualcosa che palesi la mia presenza anche quando non la monto.
- Va avanti.
Mentre parlavo, si accarezzava.
- Vorrei poter giocare con il mio affare e poterlo manipolare con le mani, per poi lasciarlo lì. Mi eccita l’idea che una donna si offra a me dandomi il piacere di violarla così. Una schiava che implora per essere impalata dal suo padrone. Un oggetto inanimato che si anima solo quando pensa a me…
- Mamma mia… Stai diventando un poeta?
- Dici? Quando arriviamo a casa vorrei metterti qualcosa nel culo. Ti sembro un poeta?
- No, uno sporcaccione… ha ha!
- Ecco… Stronza!
- Dai… – disse facendosi attorno al mio braccio. – Dopo ti do il culo. Cosa vuoi mettermi dentro?
- Il cazzo.
- Niente oggetti?
- Ahhh, le mie sono parole. Mi eccita raccontarti queste cose, così dopo scopo meglio.
- Eppure, un giorno ti farò questo regalo.
- Posso davvero pensare un giorno di inserirti un cazzo finto nel culo?
- Waho! – esclamò dopo aver messo la mano sull’uccello. – Questa sì è eccitazione!
- Dimmi, posso pensarci?
- Farò di più: ti porterò una schiava che ti implorerà di farlo!
Connie sapeva davvero come eccitarmi.
Il mio amico medico aveva ragione. Il cuckold che era in lei prima o poi sarebbe venuto fuori realmente. Ma dovevo stare attento, perché non volevo assolutamente perderla.

Giunti a letto, brandeggiavo il pene come un’arma basculante.
Lei finse ti avere paura dell’uccello e provò a sottrarsi, ma alla fine la inforcai. La rivoltai come un calzino tutta la notte, e lei si masturbò anche dopo che mi placai.



4.


Connie passava tre serate in settimana col suo coro, dalle 9 alle 11. La cosa non mi disturbava affatto, perché così io potevo fare le mie cose di sempre. Una sera a cena, però, mi disse che aveva un problema.
- Temo che dovremo sciogliere il coro. – Mi disse, con il nodo alla gola.
- Connie! Che cazzo dici! Cosa è successo?
- Ci hanno sfrattato. Anzi, neanche, perché ci lasciavano provare gratis in una grande sala del Teatro san Pietro. Adesso hanno bisogno di spazio e ci hanno detto che gli serve.
- Ma dai, vedrai che qualcosa troviamo.
- Qualsiasi cosa, costa. E noi praticamente non abbiamo un soldo.
- Senti, perché non provi a dirmi tutti i problemi del coro in una volta, così provo a risolverli?
- Davvero avresti voglia di aiutarmi?
- Cristo, io amo te, la cultura e l’arte. Non basta?
- Ci servono una sala, trenta divise, e qualcuno che ci tenga le pubbliche relazioni.
Pensai un attimo. Io avevo uno stanzone che faceva per loro. Una volta serviva da magazzino alla nostra farmacia, ma poi i consorzi di medicinali lo avevano reso inutile. Volevo venderlo, ma ce l’avevo ancora.
- Posso darti io la sala prove.
- Cosa?
Saltò in piedi e mi abbracciò come se le avessi regalato un gioiello.
- Sì, forse bisognerà metterci mano, fare una gradinata, isolare l’acustica, ma…
- Ma, dici sul serio?
- Certo che sono serio. E’ qui vicino, in Via Marcelli. Credo che con duemila euro possiamo sistemarlo.
- Non abbiamo duemila euro… – Disse delusa.
- Li ho io.
- Lo so, ma non devi metterli.
- E perché mai, non ti ho fatto neanche un regalo finora. Anzi…
Mi abbracciò proprio come se le avessi fatto il regalo che le avevo appena fatto.

La mattina dopo Telefonai a Renzo Scarlatti, un amico che ha una ditta di vendita per corrispondenza di abbigliamento.
- Ciao Renzo.
- Ehilà, Alberto! Cosa vuol dire che mi chiami? Di solito sono io che ho bisogno di te!
Non ci avevo pensato, ma era vero.
- Beh, stavolta sono io che ho bisogno di te.
- Dimmi, vedrò cosa posso fare.
- Devo dare la divisa ad una trentina di ragazze di un coro. Hanno bisogno di un vestito da sera e…
- Non sarebbe meglio una gonna di seta nera e una camicetta di seta bianca?
- Eh? Non lo so… – rispondo – Cosa te lo fa pensare?
- Il fatto che se ti stanno bene gonna e camicetta, te le posso regalare io.
- Stai scherzando?
- Affatto. E’ un avanzo di magazzino, perché poche ragazze ormai si vestono da sera.
- E cosa ci guadagni a regalarmele?
- Che libero il magazzino e che faccio sapere che il coro l’ho vestito io. A proposito, come si chiama il coro?
- Santa Cecilia, ma vorrei cambiare il nome. E’ troppo comune.
- Chiamalo «Santa Cecilia Inn».
- E perché?
- Perché «INN» è il marchio di alto livello che ho. Se accettate, vi faccio avere anche la biancheria, le calze, le scarpe da sera, i mantelli, sciarpe… Insomma tutto quello che serve.
- Non so… Devo chiedere a Connie.
- Chi è?
- La direttrice del coro. L’ha fondato lei.
- E fra te e lei c’è qualcosa di tenero?
- Anche di duro… ha ha!
- Ha ha! Sei il solito.
- No, dissi. Forse stavolta c’è di più…
- Non mi dire! Beh, falle i miei complimenti e chiedile se le sta bene la mia offerta. Fallo in questo ordine, mi raccomando.

Renzo Scarlatti sapeva fare il suo lavoro. Connie accettò stravolentieri. Un mese dopo le ragazze avevano una sede, una divisa, e un manager, il sottoscritto. Non era un gran lavoro da svolgere, salvo quello di tenere i contatti con i teatri. La mia passione.
Un giorno Connie mi telefonò da scuola.
- Ehi, campione! – Gridò. – Ci è arrivata un’offerta di andare a cantare a Veneziaaa!
- Piano, piano. – La fermai. – Cosa vi danno?
- Solo il rimborso spese, ma se funziona…
Non ero molto d’accordo, ma un lungo cammino comincia con un primo passo.
- Tu che ne dici, – chiedo. – Saresti contenta?
- Contenta? Felicissima! Stasera lo dico alle ragazze. Dopo cena ci raggiungi anche tu?
- Ma sì, verrò a salutarvi, così me le presenti. Sono belle?
- Beh, le vedrai da te…

Verso le 10 entrai in sala prove e mi sedetti su una poltroncina senza disturbare. Ma vidi che le ragazze indossavano la “mia” divisa. Tutte con la gonna nera lunga e la camicia bianca sciallata e legata con eleganza attorno alla vita sul davanti. Una prova generale, pensai. Mi faceva piacere vederle finalmente con gli abiti che ero riuscito a procurare loro. Una signora stava al pianoforte a mezza coda che avevo fatto portare da casa mia. Le ragazze stavano su tre ordini di pedane, cioè in tre file a scalare. Erano bravissime. Connie le fermò alcune volte per dare disposizione, poi fece il pezzo per intero dall’inizio alla fine.
Battei le mani.
- Così va meglio, ragazze. – Disse a quel punto. – Ma c’è ancora molto da lavorare. Per diventare professioniste dobbiamo essere in grado di rispondere alla volontà del direttore di scena.
Poi si rivolse a me.
- Che te ne pare?
- Sono bravissime!
- Non parlavo della cantata. Come ti sembra che stiano in divisa? Le ho fatte vestire apposta per te.
- Beh, forse dovrei essere l’ultimo a dirlo, ma stanno benissimo. Sembrate un coro di fila dell’Arena…
- Ci andremo, ci andremo… He he – Ammise con malcelata soddisfazione. – Ma adesso ti faccio passare in rassegna le ragazze.
Si portò in mezzo alla sala e si rivolse alle ragazze mettendosi lei stessa sull’attenti.
- Signorine… At-tenti!
Il pianoforte fece le quattro note dell’attenti. Ta-Ta-Ta-Ti…
Le ragazze si misero sull’attenti. Con sorpresa mi sentii in dovere di alzarmi e mettermi in mezzo alla sala. Alla fine mi stava presentando la forza.
- Allinearsi a sinistra!
Lo fecero.
- Fissi!
Riportarono il viso in avanti. Lasciai Connie a dare una serie di ordini, col pianoforte che la seguiva negli assetti.
- Signorine… Ri…-poso!
- Signorine… At…-tenti!
- Signorine… Dietr…o-Front!
Si girarono di schiena all’unisono.
- Signorine… Presentat…-Arm!
Con una mossa perfetta, al «presentat» le ragazze avevano portato la mano alla vita e avevano slacciato la lunga sottana di seta. All’«Arm!» l’avevano fatta cadere a terra, con uno stupendo fruscio di seta. Davanti a me c’erano ora trenta culi ricoperti da mutandine di varia natura, tutte bianche ma coprenti in maniera diversa, e con calze autoreggenti color carne. Tre di loro avevano calze con la riga. Una di loro aveva anche il reggicalze. Connie si girò verso di me e mi fece il saluto militare.
- Signor Presidente… Le presento il coro Santa Cecilia Inn!
Inn-su..., pensai, restituendo automaticamente il saluto militare. Ma la vista era bellissima. Proprio deliziosa.
- Il signor presidente vuole passare in rassegna la truppa?
- Eh? Sì sì, ben volentieri.
Prese la bacchettina da direttrice e mi portò a guardare una per una le ragazze. Si soffermò a parlare del culo di quattro di loro, per farmi godere delle loro curve che erano davvero superbe. Le toccava di tanto in tanto con la bacchettina, sfiorando la base delle natiche. Sapeva che cosa mi piaceva, la mia Connie…
Si soffermò dietro una che aveva un tanga sottilissimo e mi disse che era il miglior mezzo soprano della città. Poi indugiò al culo di una che avrà avuto sui quarant’anni o un po’ più, ma dotata di un culo di alto livello. Era davvero bellissima, con quel reggicalze originale dell’epoca in cui si usavano comunemente. Era la seconda voce soprano. La prima soprano aveva delle mutandine più coprenti e con pizzetto, ma sempre di un effetto fantastico.
Insomma, dopo una decina di minuti io e Connie scendemmo dalle pedane, e lei mi mise furtivamente una mano al mio uccello per verificare che ce l’avessi su. E così era infatti. Soddisfatta, allora si rivolse nuovamente alle ragazze.
- Signorine… Dietro-front!
Con mossa perfetta, si girarono di nuovo.
- Rompete le righe… Masch!
Le ragazze si mossero felici e batterono le mani portandosi a me. Connie si fece da parte per lasciarle avvicinare al sottoscritto. Felici mi abbracciarono, mi baciarono e applaudirono, urlando come un plotone di cadetti appena passati di grado.
- Per il nostro presidente… – Scandì la bella quarantenne in reggicalze – Hip… Hip…
- Hurrà!... Hurrà!... Hurrà!
Il coro mi stava travolgendo e io mi lasciavo travolgere. Quindi la signora al pianoforte tornò con un secchiello contenente dello spumante. Lo stappò e ne versò in vari bicchieri di carta. Brindammo in tutta felicità per un’oretta, finché non venne ora di andare a casa. Si cambiarono, depositarono le divise negli armadietti che avevo fatto sistemare apposta nella stanzetta vicina, poi salutammo le ragazze per uscire.
- Tu sei l’unico che può sempre entrare nel loro spogliatoio. – Si rivolse a loro. – Vero ragazze?
- Semper fidelis! – urlarono in coro.
Amen.

Fine Prima parte
(Continua)
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