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Lui & Lei

Suite per violoncello n.1 in sol maggiore


di Esseci2000
21.08.2023    |    3.597    |    6 8.5
"Ora devo proprio scappare!” “Non ti fermi a cena?” mi chiese Irene..."
Mentre cavalcava sopra di me le succhiavo i capezzoli, e le mie dita accarezzavano le zone più proibite del suo corpo. Lei gemeva, e quando sentì che stavo per venire, mi fece uscire e continuò a massaggiarmi con la mano e con la bocca. Finii pochissimo dopo con davanti agli occhi lo spettacolo delle sue labbra sporche di madreperla ed il suo sorriso impertinente.
Si distese su un fianco e mi guardò, pulendosi il viso con un fazzoletto di carta.
Accidenti quanto era porca! Sapeva benissimo, sempre, come stuzzicarmi, come eccitarmi fino quasi all’esasperazione. Quel giorno, ad esempio, a lezione era seduta accanto a me; furtivamente era riuscita, senza farsi notare dagli altri, a togliersi le mutandine da sotto la gonna e a lasciarmele sulle ginocchia. Mancavano ancora due ore prima della fine delle lezioni che, così, passarono con la mia mente completamente invasa dalle fantasie più spinte. Speravo che lei avesse preso appunti, perché io non riuscivo a seguire nemmeno una parola. Irene era così: istintiva, sfacciata, provocante. Con lei avevo fatto esperienze che credevo esistessero solo nei film porno. Tutte queste cose erano amplificate per contrasto dal suo viso da bambola, pieno di lentiggini, affondato in una chioma di ricci biondo scuro, quasi rossi. “Vieni a pranzo da me?” mi aveva chiesto mentre stavamo uscendo. Il pranzo non c’era stato: ci eravamo subito fiondati nella sua camera da letto, approfittando del fatto che le sue coinquiline, quel giorno, sarebbero rientrate solo nel tardo pomeriggio.
Io e Irene non stavamo assieme. Avevamo fatto amicizia durante lo scorso anno accademico. Di fatto ci incontravamo a quasi tutte le lezioni e fu abbastanza naturale trovarci a bere un caffè. Diventammo amici e cominciammo ad uscire insieme. Una sera in cui avevamo alzato un po’ il gomito tutti e due è capitato che finissimo a letto, e da allora in poi non avevamo più smesso. Approfittavamo del suo appartamento o del mio, a seconda di quale trovassimo libero. Non c’era altro fra di noi: amicizia e sesso. E questo ci permetteva di sperimentare le cose più bizzarre e più spinte, in piena libertà.

“Vado a farmi una doccia veloce!” disse, senza perdere il sorriso, e mi lasciò disteso sul letto, ancora sudato e nell’estasi del post coito. Mi giunse lo scroscio della doccia, chiusi per un attimo gli occhi e quasi mi addormentai.
Non mi resi conto di quando cominciò a risuonare nella stanza una melodia solenne, ma ad un certo punto la sentii; mi ripresi completamente e ne rimasi rapito. Riconobbi il suono di un violoncello che proveniva certamente dall’appartamento accanto a quello di Irene e suonava la suite per violoncello n.1 in sol maggiore di Bach. Nella penombra del giorno autunnale che stava morendo, una musica splendida, e la consapevolezza di essere in compagnia di una ragazza bellissima, che proprio in quel momento stava uscendo dal bagno, con i capelli umidi e arruffati, mi catapultarono in uno stato di beatitudine che non ricordavo di aver provato altre volte. Fui preso da una gioia di vivere immediata che trasmisi subito a Irene, ancora avvolta nel suo asciugamano; mi alzai dal letto e incominciai a baciarla appassionatamente. Lei rispose subito al mio bacio, lasciò cadere l’asciugamano e ci adagiammo di nuovo sul letto. Continuai a baciarla con la sua testa appoggiata sopra la mia mano sinistra. La mia bocca si staccò dalla sua e cominciò a correre lungo il collo, mentre con una mano le accarezzavo i fianchi. La voce del violoncello sembrava guidarmi nei movimenti, quasi stessi danzando. Tolsi lentamente la mano da sotto la nuca di Irene che se ne stava in silenzio ad occhi chiusi godendo dei miei baci e delle mie carezze ed iniziai a sfiorarle il collo, la pancia e i fianchi. Il suo respiro divenne più veloce nel momento in cui iniziai a succhiarle con le labbra i capezzoli turgidi.
La mia bocca scivolò lungo il ventre, fermandosi sull’ombelico per poi finire a baciare il pube completamente glabro; lo stacco fra i primi due movimenti fu come un segnale per me, e le mie labbra incontrarono quelle della sua vagina. Mi sembrò naturale baciarla lì, come fosse un’altra sua bocca, con la dolcezza che la musica leggermente malinconica mi instillava. Non avevo nessuna fretta, nessuna eccitazione animale, nonostante il mio membro fosse eretto e pronto. Mi muovevo come se fossi il suonatore ed Irene fosse al tempo stesso il mio strumento ed il mio pubblico. Lei era immobile, all’ascolto delle vibrazioni che io dalla musica trasferivo sul suo corpo. Ogni mio movimento era concepito come se avessi avuto fra le mani uno strumento prezioso e delicato.
E così mi trovai a pizzicare con la lingua le corde della sua clitoride. Irene non muoveva un muscolo e si offriva a me, in totale abbandono. Dei piccoli gemiti cominciarono ad accompagnare il brano di Bach; all’improvviso fui preso dalla voglia di vedere il suo bellissimo viso e lo andai a cercare: mi allungai lentamente, compiendo un sorvolo del suo corpo nudo e ansimante sotto di me. Mi distesi accanto a lei e la baciai di nuovo, con ancora sulla lingua il sapore dei suoi umori. Fu un bacio lungo e lento, dolcissimo, come imponeva la solennità della suite che continuava a riempire la stanza di Irene.
Non ci fu bisogno di comunicare nulla: quando la musica mi invitò a farlo, entrai dentro di lei. Senza foga, con una dolcezza quasi malinconica entravo ed uscivo dai suoi fianchi fissando il suo bel viso. Lei mi guardava eccitata, sorpresa e rapita. Il suo sguardo comunicava quasi un’assenza. Non c’era traccia del sorriso quasi di sfida che esibiva ogni volta che ci trovavamo a scopare e, anzi, sembrava non ci fosse stato mai, che non le appartenesse.
Ci trovammo a danzare in due. In una perfetta armonia ci muovevamo come fossimo uno l’onda e l’altro la schiuma. Non avevamo ancora detto una parola da quando Irene era uscita dal bagno, la sua voce però ora cominciava a sentirsi, fra ansimi e mormorii di piacere.
Mentre continuavamo a danzare le presi il viso fra le mani ancora una volta. Immerso nei suoi occhi verdi accelerai il ritmo delle mie spinte e lei prontamente mi assecondò. Non ci fu bisogno di avvertirla: quando stetti per venire mi cinse con le gambe e cercò di accogliermi il più possibile dentro di sé. Ebbi il tempo di sfiorarle le labbra con le mie e proruppi dentro di lei. Quattro, cinque fiotti, prima di riprende a baciarla e di abbandonarci l’uno accanto all’altra.
Il suonatore era arrivato all’ultimo movimento, che noi ci godemmo guardandoci in viso, senza alcun imbarazzo e accarezzandoci con una tenerezza mai provata prima. Che differenza fra il sesso animale di solo mezz’ora prima! Cos’era successo? Cos’era cambiato rispetto alle nostre scopate, sempre così leggere e giocose? E’ stata solo la musica a cambiare le cose? Non avevamo il coraggio di parlare. Sembrava che ogni parola, ogni volontà di comunicare avrebbe spezzato quel momento di comunione, così intenso. Anche quando il violoncellista finì di suonare, riprendendo solo qualche battuta qua e là della Suite (probabilmente i passaggi in cui si sentiva più incerto) rimanemmo così, nella penombra.
Ci pensò il cellulare di Irene, con una semplice notifica, a dissolvere quell’attimo senza tempo. Si girò dandomi le spalle, guardò il telefono e si alzò a sedere.
“Le mie coinquiline sono a fare la spesa. Mi chiedono se serve qualcosa… Fra poco tornano” disse lei sbuffando, digitando qualcosa sul cellulare e schioccandomi subito dopo un bacio sulle labbra. Poi scese dal letto e iniziò a vestirsi.
“Cosa fai lì impalato? Dai! Sbrigati!” Sorrisi a quell’ordine perentorio e mi rivestii. “Lo beviamo un caffè?” le chiesi. “Sì! Metto su la moka”. Ero contento di allungare ancora il tempo dedicato a noi due. Di là la musica aveva lasciato il posto ad un leggero tramestio. “Che bravo il tuo vicino! Che dici? Lo prenotiamo per la prossima volta?” “Come il mio vicino? Non lo sai che qui accanto abita Sabrina? E’ lei che prova e riprova... ” disse, alzando gli occhi al cielo, fingendo che le scocciasse.
“Sabrina chi?” “Quella che segue con noi Storia medievale. Quella mora, seria…” “Lei? Ma dai!” dissi ridendo. Avevo capito di chi parlava. “Forse avrò sentito la sua voce un paio di volte, salutandola all’entrata o all’uscita da lezione, ma non mi viene in mente di averla mai vista ridere o sorridere. Che brava però!”
“Si. Frequenta il Conservatorio. Si fa un gran culo, fra università e violoncello!”
Mi vergognai delle volte in cui avevo pensato a Sabrina come una secchiona senza vedere oltre. Quanto ero stato superficiale!
Arrivò il caffè. Lo bevemmo e rimanemmo per un po’ in silenzio, nonostante la marea di cose che ci saremmo potuti dire. Ci rendevamo conto entrambi che qualcosa fra di noi era cambiato irrimediabilmente e temevamo le conseguenze che avrebbe avuto l’ammetterlo l’uno all’altra. Ma avrei voluto chiederle un po’ di cose: rimaniamo amici e basta? Cosa siamo l’uno per l’altra? Quella suite probabilmente ci aveva fatto vedere oltre il rapporto che credevamo di avere. O era solo una mia suggestione?
Il rumore delle chiavi nella toppa interruppe la mia ricerca del coraggio necessario per poter affrontare i discorsi con Irene. Le compagne d’appartamento entrarono assieme con due buste della spesa. “Ciaoo!” dissero quasi all’unisono. “Ti abbiamo preso lo yogurt! Oh ciao! Ci sei anche tu?” “Sì, ero venuto a bere il caffè. Ora devo proprio scappare!” “Non ti fermi a cena?” mi chiese Irene. Quel semplice invito mi inondò di gioia e tenerezza e avrei voluto dire di sì, ma stupidamente, forse per essere coerente a quello che avevo detto prima, ma più probabilmente per la paura di parlarci, risposi di no, che dovevo studiare. E così tornai nel mio appartamento un po’ triste, un po’ eccitato, un po’ spaventato e un po’ sorpreso. Decisamente disorientato.

Il giorno dopo arrivai in ritardo a lezione e non riuscii a sedermi vicino a Irene. Lei dal canto suo, lei se ne andò un quarto d’ora prima della fine della lezione, come ogni mercoledì, per riuscire a seguire l’inizio della lezione di un altro corso in un diverso dipartimento. Mi salutò sorridendo. Ero emozionato e la salutai a mia volta. E per la prima volta fui colto da paranoie mai provate: l’avevo salutata con un tono di voce adeguato? O ero sembrato secco e distaccato? Accidenti! Perché questi dubbi? Io e Irene mica stavamo assieme!
Alla fine della lezione cercai Sabrina, che era già pronta a scappare dall’aula. “Ciao! Scusa! Ieri ero da Irene e ti ho sentita suonare. Sei...sei bravissima!” Lei sorrise (finalmente! Che bel sorriso!) “Grazie!” rispose; “Anche io vi ho sentiti. Bravissimi!” Non sapevo se era più l’imbarazzo della consapevolezza che ieri lei ci avesse sentito o la sorpresa nel vederla così diretta, quasi insolente. Io che me la immaginavo così timida… “Ah, beh, sì, cioè, scusa, non..:”. Ai miei farfugliamenti lei rispose con una risata cristallina (che bella risata!) “Non ti imbarazzare. Scusa. Sono stata sfacciata!” e fece una strana smorfia, arricciando il naso. Non mi ero mai accorto di quanto fosse carina: in tutti questi mesi di lei avevo visto solo la chioma corvina, spesso raccolta in una coda di cavallo, e i suoi vestiti che gridavano a tutti “lasciatemi perdere”. La stavo vedendo veramente per la prima volta. Snella, elegante e con uno sguardo vispo ed intelligente. “No niente… beh… insomma… Bach eh?” Non riuscivo a trovare un modo per parlare con lei, ma ne avevo un gran voglia: la sua bellezza, la sua eleganza e la sua maestria a nel suonare uno strumento difficile come il violoncello mi avevano affascinato. “Già. Allora te ne intendi, eh?” “Dio, non proprio. Diciamo che un po’ ci capisco… Suono il piano ed ero quasi per tentare l’esame per il Conservatorio anch’io, ma poi non me la sono sentita.” “A-ha. Chopin?” “Sì, ma mi piaceva di più Rachmaninov…”. Era una risposta paracula: Rachmaninov non ero mai riuscito a suonarlo in modo decente, ma era stata la chiave per riuscire a parlare con lei. Ci fermammo un minuto fuori dall’aula e poi decidemmo di andare a bere qualcosa al bar dell’università.
Facemmo tardi, parlando di Mozart, di Stravinskij (e chi riesce ad ascoltarlo?), di università (ma quanto era stronzo il prof di Storia moderna?), di vacanze e di Irene. “Da quanto state assieme?” Avrei voluto rispondere “Da ieri”, ma non era vero: non avevo avuto il tempo e nemmeno il coraggio di parlarne. Invece risposi “Veramente non stiamo insieme…” “Ah, siete tromb-amici!” disse lei sorridendo e rifacendo quella strana smorfia con il naso. “Se vuoi metterla così…” risposi. “Senti, ho anche un piano nel mio appartamento. Rachmaninov assieme?” “Adesso?” “Sì. Ho gli spartiti!” Non esitai ad accettare e ci avviammo verso il suo appartamento.

Ammetto che fu strano percorrere il corridoio del condominio dove abitava Irene con un’altra ragazza, ma mi bastò un’occhiata a Sabrina per abbandonare i miei pensieri e i vaghi sensi di colpa. Sensi di colpa per cosa, poi? Non mi aspettavo nulla di più che vederla suonare! E poi io e Irene mica stavamo assieme!
Il suo appartamento era più piccolo di quello di Irene, ma ci viveva da sola. Era un bilocale: condizione fondamentale per Sabrina e per i suoi strumenti. Il pianoforte a colonna stava appoggiato lungo la finestra; non era nella migliore delle posizioni, ma a Sabrina serviva solo alcune volte per i lavori di composizione. Un letto ad una piazza e mezza stava giusto di fronte; l’altra metà della stanza era occupata da una libreria, leggio, sgabello, violoncello e niente più. Mi ero seduto al piano e avevo iniziato a fare qualche accordo, mentre Sabrina aveva messo su l’acqua per un tè. Mi raggiunse subito e iniziò ad armeggiare con la custodia del violoncello. Prese il suo strumento e cominciò a far scorrere l’archetto sulle corde e ad armeggiare con le mani sulla voluta. “Rachmaninov?” mi chiese “O vuoi che ti suoni Bach?” scelsi di evitare figuracce e le chiesi di suonare Bach. Appoggiò il violoncello contro la parete, versò l’acqua bollente nelle tazze con le bustine. Poi aprì un guardaroba e ne tirò fuori un materasso di gommapiuma pieghevole. “E’ il mio divano…” disse sorridendo, mentre adagiava a terra il materassino ad un paio di metri da lei. Mi invitò a sedermici, riprese in mano il violoncello e attaccò a suonare. Stavolta mi fece ascoltare la suite per violoncello n.4 in Mi bemolle maggiore, un po’ meno orecchiabile della n.1 ma ugualmente coinvolgente. La guardavo ammirato e lei di tanto in tanto rispondeva ai miei sorrisi. Alla fine del Preludio si liberò i capelli che teneva raccolti con una molletta sopra la testa; questi scesero, lunghi e lisci, fino a metà schiena e iniziò a suonare il secondo movimento. L’immagine era di una bellezza sublime: la sua chioma corvina ondeggiava al ritmo dell’archetto e sembrava mossa dalla musica stessa. Rimasi incantato a guardare e ad ascoltare senza poter fare nient’altro: la mia mente era completamente assorbita da quella visione e da quell’ascolto. Dovette accorgersi della mia estasi, perché alla fine del secondo movimento non ebbe nessun pudore nel togliersi la felpa, rimanendo in reggiseno. Io ero completamente rapito: suonando da seduta non riuscivo a vederle bene il seno, ma vedevo le braccia nude che si muovevano con la leggiadria che stavo imparando a conoscere ed i capelli lunghi che continuavano a muoversi.
Il gioco continuò: nello stacco fra il terzo e il quarto movimento si liberò delle scarpe, dei calzini e dei jeans, senza degnarmi di uno sguardo questa volta. Le mutandine ed il reggiseno caddero accanto a lei nel momento in cui finì il Minuetto. Suonò l’ultima parte completamente nuda. Dal mio posto non riuscivo a vedere che un po’ di seno che era per la maggior parte del tempo nascosto dal violoncello e dai capelli di Sabrina, che si muoveva agile e leggera. Non riuscivo a vederle invece per nulla il sesso, celato, al sicuro dietro la cassa dello strumento, ma il continuum di pelle rosata che dai suoi piedi saliva fino al collo mi comunicava inequivocabilmente la nudità di quella fata mora. Le dita dei piedi si muovevano al ritmo della musica rendendo Sabrina ancora più erotica e seducente. Che visione celestiale: il piacere ed il desiderio si nutrivano uno dell’altro, mentre i pensieri erano completamente incapaci di fare capolino nella mia mente, quasi che le note e le movenze di quello splendido corpo nudo li avessero completamente cancellati o immobilizzati in un angolo invisibile della mia mente. E lì rimase anche il pensiero di Irene, del pomeriggio del giorno prima, e di tutte le cose che avrei voluto dirle.
Sabrina concluse il brano, si alzò e appoggiò il violoncello delicatamente a terra. Si avvicinò a me carponi. Mi sfilò scarpe, pantaloni e mutande con una rapidità in totale contrasto con la solennità con cui aveva suonato fino a poco prima. Mi liberai del maglione e della maglietta di cotone che portavo sotto, giusto in tempo per sentire le sue labbra che sfioravano il mio glande. Non mi ero nemmeno accorto di essere in erezione, talmente ero assorto e perso in chissà quale dimensione. Ora però che lei armeggiava con le sue labbra e le sue mani sul mio sesso non potevo più né estraniarmi né in qualche modo sottrarmi da quel rapporto.
Non riuscii a trattenere gemiti e sospiri e temetti di venire, quando all’improvviso Sabrina staccò la sua bocca e si sedette sulle mei gambe. La sua vulva, (che mi accorsi solo in quell’istante essere decorata da una sottile striscia di peli corti) iniziò a scorrere avanti e indietro sulla mia gamba, mentre Sabrina si era chinata su di me e mi baciava. Poi si distese accanto a me, con le gambe spalancate senza ritegno, invitandomi a prenderla. La penetrai mentre lei gemette. Iniziai a muovermi dentro di lei, non lasciandomi sfuggire l’incanto di quel viso, che avevo imparato a riconoscere e ad apprezzare. Le sue espressioni, con la bocca semiaperta, erano qualcosa di sublime. Acceleravamo e rallentavamo, facendo attenzione a non lasciar finire troppo presto quell’incanto.
Si staccò da me e si mise carponi. Mi inginocchiai e mi infilai di nuovo dentro di lei. La visione dei suoi glutei e della sua schiena mi eccitavano terribilmente ed uscii giusto in tempo, ma non potei evitare di innaffiare di sperma i suoi glutei e i suoi lombi. “Mi dispiace…” accennai. Lei sorrise di nuovo e di nuovo arricciò il naso con quella smorfia che iniziava a diventarmi famigliare. “Non ti preoccupare. Sono già venuta dieci minuti fa!” disse ridendo ed asciugandosi la mia polluzione con un fazzoletto di carta. Corse in bagno e sentii correre l’acqua della doccia. Dopo cinque minuti era già uscita e ricominciò a vestirsi. “Ora però devo chiederti di lasciarmi sola. Devo studiare che fra due settimane ho un esame al conservatorio.” Abbandonammo i tè ormai freddi e mi accompagnò alla porta. Appena fuori mi rivolsi di nuovo a lei “Grazie del concerto!” le dissi. “Grazie a te! Non mi capitano molte distrazioni!”, rispose, quasi per giustificarsi di quanto era successo fra di noi. “Ci vediamo a lezione!” replicai, non sapendo cosa aggiungere. “Certo!” disse lei sorridendo. “E suoneremo ancora assieme?” Rise (di nuovo la smorfia)”Vedremo!” rispose.
Proprio in quell’istante si spalancò la porta dell’appartamento di Irene, che uscì sul pianerottolo. Irene irruppe nella mia mente come una folata di vento. Accidenti! Che imbarazzo e che vergogna! Non poteva non averci sentito… “Mi sembrava di aver sentito la tua voce…” disse seria. Iniziai a balbettare. Non sapevo cosa dire...”Ciao! Scusa. È che…” “Non mi devi spiegare niente. Non stiamo mica insieme!” disse. “Ora devo…” Feci in tempo a vedere la sua espressione cambiare verso il pianto senza che lei riuscisse a controllarla, e mi accorsi che due lucciconi le erano apparsi negli occhi. Si chiuse in casa con la chiave. Bussai, ma non mi rispose nessuno.
Mi girai istintivamente verso Sabrina, che mi guardava seria. “Che coglione!” fu il suo saluto, prima di vederla ritirarsi nel suo appartamento, chiudendo la porta a chiave a sua volta.

La sensazione, nelle ore che seguirono, fu terribile. Un groviglio di sensi di colpa, di sterili ragionamenti su cosa avrei dovuto fare, cosa non, cosa avrei dovuto dire, cosa avrei dovuto tacere. Rimasi a crogiolarmi nel mio incasinamento. Solo su una cosa non avevo dubbi: non volevo perdere Irene. Con Sabrina era stato stupendo, ma con Irene ieri era stato proprio magico.
Non mi alzai per cenare. Rimasi nel letto. Mi cambiai solo per andare a dormire, ma non riuscii a chiudere occhio. Durante la notte i pensieri si erano gonfiati come una ferita infetta e stavo male, come avessi la febbre. Mi alzai più volte per andare in bagno o per bere un bicchiere d’acqua. Guardavo il cellulare nella speranza vigliacca che Irene mi avesse scritto qualcosa. Alle sei del mattino mi alzai, e, dopo il caffè, mi decisi a fare quello che avrei dovuto fare due giorni fa. Mi fiondai a casa di Irene; ci arrivai alle sette e mezza e iniziai a bussare alla sua porta. Era già sveglia, mi aprì e mi fece entrare. Mi guardava meno sorpresa di quello che mi aspettassi, in attesa che dicessi qualcosa. “Scusami!” le dissi. “Di cosa? Non stiamo mica assieme! Se fosse stato così non ti avrei nemmeno fatto entrare!” “Ok. Scusami allora per non aver avuto il coraggio di parlarti martedì scorso. Quel pomeriggio è stato bellissimo. Dovevo dirtelo. Ammettere che c’è qualcosa fra di noi che è più di amicizia e sesso… “ . I lucciconi apparvero di nuovo sui suoi occhi, “...e quindi dopo averlo scoperto, scopare con la mia vicina è la reazione più naturale…” Il suo sarcasmo non mi ferì, anzi, mi confermò che ci teneva a me. Potevo tentare di aggiustare le cose. Decisi di essere sincero fino in fondo e le raccontai di Sabrina, del violoncello, del “non stare assieme” che, più che una scusa, era stata la condizione che mi aveva impedito di pensare a lei, ieri, mentre stavo da Sabrina. “Vedi” le dissi, con aria seria “con Sabrina ci ho scopato. Con te ci ho fatto l’amore. E non credo di averlo mai fatto prima!”
Ci furono lacrime, risate, musi lunghi e sorrisi. Rimanemmo assieme tutta la mattina, saltando le lezioni. Parlammo, ma non ci avvicinammo nemmeno alla camera da letto. Il verdetto fu sofferto ma unanime: potevamo dire di stare assieme. E cominciò così uno dei periodi più belli di cui abbia memoria. Stavamo assieme sempre, anche per studiare (in fondo studiavamo le stesse materie). Facevamo ancora l’amore, e spesso, ma, paradossalmente, meno di prima. Tornammo anche ad uscire assieme, ad andare al cinema, a vedere gli amici, a fare tutto quello che fa una coppia.
Rivedemmo spesso Sabrina, a lezione o nel corridoio (chissà quante volte l’avevo incontrata nei mesi scorsi senza farci caso!) e riallacciammo un minimo di rapporto anche con lei. Passarono, senza accorgercene, le settimane.
Durante le vacanze di Natale decidemmo di salutare in anticipo le nostre famiglie di origine e di tornare nei nostri appartamenti subito dopo il 26 dicembre, per godere dei giorni senza coinquilini. Furono giorni bellissimi, senza doversi coordinare con loro, senza l’obbligo delle lezioni: io, lei e tutto il tempo che ci serviva. Arrivò il 31 dicembre e nessuna festa o evento sembrava invogliarci ad uscire di casa. Decidemmo di rimanere nell’appartamento di Irene, vuoto. Passammo il pomeriggio a fare l’amore e verso ora di cena mettemmo su l’acqua per fare una pasta con tonno: la nostra cena del veglione.
Fu proprio mentre trafficavamo in cucina che ci arrivò di nuovo il suono del violoncello di Sabrina che probabilmente stava sacrificando le vacanze per studiare; andare a farle gli auguri ci sembrò naturale.
Ci fece entrare felicemente sorpresa, chiacchierammo un po’ e poi la invitammo a cena da noi, visto che nemmeno lei aveva programmi per la serata. Portò da noi una bottiglia di bianco iniziata che teneva in frigo. La serata fu divertentissima e decidemmo di aspettare la mezzanotte nell’appartamento di Sabrina, suonando e cantando.
Facemmo un po’ gli scemi, io al piano e Sabrina al violoncello, mentre Irene rideva felice.
Fui io che, con la leggerezza data dai bicchieri di vino che avevamo bevuto, iniziai a spogliarmi mentre suonavo il piano, così per fare lo scemo. Mi tolsi la felpa. Le ragazze, sedute sul bordo del letto di Sabrina, iniziarono a fare le sciocche a loro volta, fra finte urla di sorpresa e inviti a continuare. Accennando qualche accordo di “You can leave your hat on” rimasi in boxer fra le risate di tutti e tre.
Invitai le ragazze a seguirmi e si inventarono di spogliarsi a vicenda mentre io suonavo qualche ragtime che ricordavo a memoria. Nonostante non avessero biancheria particolarmente sexy e lo spettacolo fosse nato come una farsa, la situazione era davvero sublime; erano così diverse ed erano anche sexy in modo diverso: Irene giunonica, chiara, con il viso innocente pieno di lentiggini e Sabrina mora, snella, con il viso elegante ed aristocratico. “Bacio, bacio…” iniziai a gridare, mentre erano rimaste solo con le mutandine, e ridendo si baciarono sulle labbra, appoggiate alle ginocchia sopra il letto.. Non resistetti e mi avvicinai a loro. Sfiorai le labbra di Sabrina e baciai Irene. Ci fu un attimo di disorientamento generale; ci guardammo negli occhi tutti e tre, come a cercare ombre, divieti, limiti e concessioni tacite ed evidentemente tutti e tre concludemmo che non c’era nulla che ci impedisse di continuare in quella che stava veramente diventando un’avventura piccante.
Delicatamente spinsi le nuche delle due ragazze, invitandole a riprendere i baci, e mentre le loro bocche facevano conoscenza iniziai a sfilare le mutandine di Irene, lentamente. Baciavo di volta in volta la pelle che l’elastico delle mutandine liberava per scendere più in basso. Contemporaneamente Irene le toglieva a Sabrina, che si distese quindi sulla schiena per liberarsene completamente. Irene si abbassò su di lei, e dopo un breve bacio a fior di labbra, iniziò a scendere con la bocca lungo il collo, soffermandosi sui seni, per poi riprendere la discesa: i fianchi, l’ombelico, il pube e la vagina. Sabrina respirava veloce e non si preoccupava di trattenere sospiri e ansimi.
Sfilai le mutande dalle caviglie di Irene e mi liberai dei miei boxer senza alcuna delicatezza e con qualche difficoltà, vista la mia erezione spontanea. Iniziai ad assaporare l’essenza di Irene, mentre lei leccava quella di Sabrina, i cui mugolii si stavano trasformando in gridolini, che mi eccitavano da morire. Mi staccai e con gli umori che ormai il sesso di Irene produceva abbondantemente mi bagnai un dito e iniziai a stimolarle l’ano. Irene sollevò la testa dal pube di Sabrina e fece un grido strozzato. Continuai e la vidi offrirmisi apertamente. Quando sentii il suo sfintere rilassarsi, iniziai ad infilarci il mio membro. Irene gridò ed iniziò ad ansimare violentemente. Cominciammo a muoverci, dapprima delicatamente, poi con sempre maggior foga.
Sabrina nel frattempo si era avvicinata a me e guardava in ginocchio la scena in primo piano. Mi venne istintivo baciarla, senza sottrarmi dal mio compito, e con le dita andai in cerca della sua vagina.
Sabrina si prestò alle mie esplorazioni digitali, ma era evidente che era un palliativo.
Io raggiunsi l’apice del piacere e inondai Irene, che sembrò gradire, a giudicare dai vocalizzi.
La mia venuta segnò il momento di una pausa. Dopo qualche istante dedicato a recuperare un po’ di fiato, andai a mettere su l’acqua per un tè. Quando tornai a chiedere quali bustine le due ragazze volessero, le trovai avvinghiate in un bacio appassionato. Non le disturbai, né riuscii a staccare gli occhi da quella scena: le loro mani percorrevano i loro corpi con leggiadria e decisione allo stesso tempo. Le dita scorrevano sui loro sessi come l’archetto di Sabrina sulle corde del violoncello. Ansimi e gridolini facevano da colonna sonora a quello spettacolo. Ci volle poco perché mi trovassi di nuovo con il membro eretto. Mi avvicinai a Sabrina questa volta e le baciai la nuca, mentre con le mani le coprivo il seno. Ora lei era al centro delle attenzioni: aveva quattro mani e due bocche tutte su di lei. Irene si fece un po’ da parte e Sabrina si mise carponi: offriva a me e alla mia ragazza la visione della sua vulva e del suo ano in primissimo piano. Ci pensò Irene ad assaggiare di nuovo i suoi umori, spingendomi da parte, ma pochi istanti dopo mi richiamò. Penetrai Sabrina con delicatezza, anche se oramai era più che ben preparata ad accogliermi. Quando cominciai a muovermi Sabrina mi fermò. “Lo voglio nel culo anch’io!” disse, con la voce spezzata dal respiro veloce. “Non l’ho mai fatto però” aggiunse con un sorriso che era a metà d’imbarazzo e di malizia.
Irene sorrise e a passettini veloci raggiunse veloce la cucina e tornò con la bottiglia dell’olio d’oliva in mano. Si versò un po’ d’olio sulle dita, senza curarsi di fare attenzione a non versarlo sul pavimento ed iniziò a spalmarlo delicatamente sul buco di Sabrina; dopo pochi istanti iniziò ad infilarci le dita, dapprima delicatamente e poi sempre più in profondità, tirandole fuori e spingendole dentro sempre più velocemente. Sabrina gridava. “Ti fa male?” le chiese con un filo di preoccupazione Irene. “Non fermarti, ti prego!” fu la risposta, più che esaustiva.
Quando ritenne che fosse il momento giusto, Irene unse il mio membro con dell’altro olio ed io, delicatamente, iniziai a farmi strada fra i glutei di Sabrina. Irene le teneva le mani e la baciava, le sorrideva e le parlava, mentre io le massaggiavo la pancia. Non mi mossi, ma lasciai che fosse Sabrina a dettare il ritmo. Si muoveva a scatti e senza la grazia solita, ma era comunque eccitante al di là di quanto le parole riescono a descrivere. Invidiai lo spettacolo cui dovette assistere Irene, di fronte a lei, vedendo il bellissimo suo viso in quelle espressioni intense di fatica, dolore e godimento.
Iniziai a muovermi anch’io. Sabrina iniziò ad urlare ed affondò il viso nel cuscino per non farsi sentire troppo. Accelerai e venni dopo pochissimo.
Ci distendemmo tutti sul letto, sporchi di sudore, sperma, umori, olio, ma pervasi da un senso di beatitudine e gioia. “Buon anno!” disse Irene e attaccò a ridere come una matta. In effetti erano già mezzanotte e tre quarti, e solo in quel momento facemmo caso ai botti che risuonavano da fuori.
Restammo da Sabrina ancora un’oretta (dovemmo rimettere a bollire l’acqua per il tè) ridendo e scherzando, ma scambiandoci anche qualche tenerezza. Ci rivestimmo al rallentatore, fermandoci fra un calzino e una maglia a bere ancora un bicchiere o a ridere di una battuta. Poi salutammo Sabrina e andammo a dormire.
A letto accarezzai il viso di Irene. “Non ti sei ingelosita?” “No, nemmeno un po’: me l’hai insegnata tu la differenza fra scopare e fare l’amore! E anche solo scopare non è niente male.” rispose sibillina. Mi schioccò un bacio e spense la luce.
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