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Scambio di Coppia

Paris, Je t'aime


di Membro VIP di Annunci69.it coppiagoodvibration
29.01.2022    |    8.312    |    10 9.0
"Decisero di andare a cena assieme..."
Premessa:
Scrivere un racconto è difficile e richiede competenze e doti che non ho.
Ho cercato di unire assieme singole fotografie, singoli scatti, impressi nella mia memoria in ricordo di una serata.

Paris Je t’aime

Rue de Lombard, quartiere des Halles, Paris.
Nascosta dalla moltitudine di persone che ogni sera affollano i locali della zona, quasi invisibile, ecco la piccola porta di ingresso del palazzo. Civico 8.

Il lungo e buio corridoio di ingresso dello stabile conduceva ad una ripida scala a chiocciola.
All’ultimo dei 5 piani un piccolo pianerottolo e la porta dell’appartamento.

Luca e Simona, conoscevano bene Parigi e l’amavano proprio perché sapeva offrire sempre nuovi stimoli, nuove proposte, differenti punti di vista dai quali osservarla e viverla.
Ma questa volta era diverso, questa volta avevano deciso di trascorrere quei giorni di vacanza lentamente, senza obiettivi, senza attese, senza programmi, pigri, assonnati, lontani dai musei, dalle mostre, dai negozi, dai monumenti, dai mercati rionali.

Aprirono la porta dell’appartamento e subito si innamorarono della piccola soffitta che avevano affittato.
Un piccolo loft su 2 livelli, angolo cucina, un grande letto e un minuscolo terrazzo da dove si poteva ammirare la splendida vista sui tetti di Parigi.

Dopo aver sistemato i bagagli scesero in strada, alla ricerca delle sole due cose che a questo punto potevano mancare ad una location del genere: una bottiglia di Pauillac Rouge ed una buona patisserie dove acquistare croissant e pan au chocolat per la colazione.

Nel quartiere, gli uffici si stavano svuotando e come vasi comunicanti bar e bistrot si stavano riempendo.
Il pomeriggio stava lasciando il passo alla sera che poi a sua volta avrebbe ceduto alla notte.
Questa parte della giornata è terra di transizione; obiettivi, speranze, desideri, mutano diventano meno concreti più leggeri, liberi, veri. Movimenti e gesti diventano più disponibili, più coinvolgenti; i tailleurs ed completi di giovani segretarie ed eleganti manager diventano meno austeri e più intriganti.

Tale stato d’animo pervase anche Luca e Simona i quali seduti al tavolo di un elegante bar vicino le Centre Pompidou, gustando un ottimo Kir, guardavano con malizioso interesse una bella coppia seduta accanto a loro.
Lui sui 50 anni, abbronzato, non tipicamente bello, ma dotato del fascino che solo gli uomini francesi non belli sanno avere; Lei molto più giovane, bella, pelle scura, splendide gambe.
Luca e Simona in certe occasioni non avevano bisogno di parlare, si intendevano a pelle.
Gli sguardi di Simona inizialmente sfuggenti si fecero via via più decisi, coraggiosi.
La bella francese ricambiava l’attenzione altrettanto inequivocabilmente accarezzandosi con noncuranza le gambe e giocherellando con l’ultimo bottone della camicetta, quello di confine, quello del non ritorno.
Dopo circa 15 minuti, Luca ruppe gli indugi, invitando, con il suo buon francese, la bella coppia ad unirsi al loro tavolo.
La conversazione sin da subito fu spigliata e gradevole. Smarcati rapidamente i classici argomenti di routine (Paris, la France, l’Italie) le due coppie iniziarono a raccontarsi.
Jac e Camille erano sposati da tre anni e non avevano figli. Abitavano a Giverny, in campagna, a circa quarantacinque minuti dal centro di Parigi. Jac avvocato, Camille architetto, gli Impegni di lavoro li costringevano a trascorrere molto tempo in città, motivo per il quale Jac aveva acquistato un appartamento in Rue Sain Severin, in pieno quartiere latino. La Famiglia di Camille, di origine algerina, si era trasferita a Parigi nel 1991 quando il padre venne trasferito qui per lavoro; Camille aveva dieci anni.

Il clima era diventato amichevole, il piede di Simona aveva già per un paio di volte sfiorato la gamba di Jac. Il bottone della camicetta di Camille era definitivamente slacciato lasciando ampiamente vedere il pizzo di un reggiseno bianco, troppo piccolo per contenere due seni pieni e morbidi.
Stavano bene assieme, la situazione era divertente ed intrigante al tempo stesso.
Decisero di andare a cena assieme.
Jac e Camille dissero che conoscevano un locale dove mangiare ottimi piatti ed ascoltare buona musica.
Si diedero appuntamento alle 20,30 in Place Saint-Germain-des-Prés 4, davanti al ristorante “Societè”.

Percorrendo la strada di ritorno alla bella soffitta, Simona e Luca non fecero alcun commento sull’incontro. L’esperienza li portava a prevedere uno dei possibili sviluppi che avrebbe potuto prendere la serata, ma sapevano che sarebbe stato troppo banale, scontato.
L’esperienza è una comoda compagna di vita, ma a volte, come una madre troppo protettiva, ha la pretesa di prevedere le cose che accadranno, limitando fantasia e libertà.
Non era quello il tavolo su cui volevano puntare quella sera. Si sarebbero lasciati trasportare dagli eventi senza programmi, previsioni, attese.

Rientrati nell’appartamento, dopo una bella doccia, iniziarono a prepararsi per uscire.

Luca, disteso sul letto smanettava sul suo Iphone.
Leggendo le recensioni del ristorante “Societè” aveva scoperto che in quel locale una volta stava il “Bilboquet”, uno storico jazzclub dove erano passati i migliori artisti degli ultimi tempi. La cosa lo entusiasmò molto anche perché era stato in quel posto tanto tempo fa, all’inizi della sua carriera, quando aveva trascorso per lavoro un mese a Parigi.

Simona, dopo essersi passata la crema profumata su tutto il corpo, come sempre propose a Luca l’abito che aveva scelto per la serata.
A Lei piaceva farsi vedere quando, completamente nuda, iniziava a scegliere la lingerie e ad indossare abiti sexy; sentiva l’attenzione di Luca a poca distanza e ciò l’aiutava ad immaginare il desiderio che avrebbe suscitato sugli altri uomini che l’avrebbero guardata.
A lui piaceva pensare che dietro alla scusa di un innocuo consiglio, di un semplice parere, si celava la ricerca meticolosa ed accurata del piacere di mostrarsi e dell’essere guardata.
Era un gioco semplice, dai tratti sottili e puliti ma sapeva restituire ad entrambi forti sensazioni.

L’autista di Uber si fermò puntuale in Place Saint-Germain-des-Prés 4.
Appena varcata la soglia del ristorante una bella ragazza, tubino nero e camicetta bianca attillata, gli diede il benvenuto e dopo aver chiesto il loro nome, lì accompagnò, attraversando il salone, al tavolo dove Jac e Camille lì stavano aspettando.

Il locale era stato completamente rinnovato da come se lo ricordava Luca; coni di luce precisa e discreta illuminavano i singoli tavoli, lasciando i commensali in penombra, in una sorta di zona d’ombra che proteggeva la privacy di gesti e sguardi.
Il palco dove si esibivano gli artisti, sotto la balaustra che circondava la sala, era stato ovviamente rifatto, avvolgente, protagonista, manteneva lo stesso fascino di un tempo.
I bisbiglii delle persone, ovattati e misurati, facevano comunque intendere che il ristorante era pieno.

Luca e Simona al tavolo da pranzo si trovavano sempre a proprio agio, sapevano leggere le situazioni, intuivano lo stato d’animo dei commensali e con spontaneità e spigliatezza gestivano al meglio anche i momenti di imbarazzo iniziale.
Jac e Camille da parte loro si comportarono subito come ottimi padroni di casa contribuendo così a ricreare in pochi minuti l’atmosfera ed il feeling lasciato al bar nel pomeriggio.

Il cameriere con l’abilità di uno slalomista arrivò al tavolo con lo champagne, posò il cestello sul tavolo, stappò con garbo la bottiglia e riempì les flùtes.
La tradizione francese vuole che al momento del brindisi ci si guardi negli occhi; questo trasforma un rito a volte sciatto e grossolano in un intimo momento di intesa; più che un gesto di augurio, l’intrigante preludio alla serata.
Gli occhi si poggiarono gli uni sugli altri, ambrati, caldi, eterei come un bicchiere di rum Caroni gustato d’inverno difronte al camino dopo una passeggiata sulla neve.

Il bianco della tovaglia, come una tela di un pittore astrattista, venne disegnato dai colori delle pietanze che lo chef aveva abilmente cucinato e composto. I riflessi che i brillanti calici diffondevano passarono dal giallo paglierino al dorato fino al rosso granato.

Più volte nella foga del discorso, come a sottolineare i tratti salienti, come a calcare le parole, Camille, appoggiava la mano sul braccio di Simona; solo pochi istanti, poi nel risollevarla, l’ultimo dito della mano, il mignolo, indugiava e come una piuma lambiva la pelle di Simona, come ad accarezzarla.
Quel contatto, piaceva a Simona, il brivido partiva dal centro delle scapole, poi giù fino infondo, astraendola dalla conversazione, proiettando la sua mente su altri pensieri, su altre fantasie.

Il buio invase la sala, tutte le lampade si spensero. Un fascio di luce diretto sul palco accompagnò l’ingresso della band. Quattro musicisti, piano, batteria, sassofono, tromba, con cura meticolosa si posizionarono agli strumenti.
Il silenzio divenne assoluto, religioso, musicale quasi facesse già parte del brano; poi d’improvviso l’esplosione, violenta, prepotente. Jeep’s Blues, Duke Ellington.
L’atmosfera divenne evanescente, “In a Sentimental Mood”, “My Little Brown Book”, “Sugar Rum Cherry” ed altri brani, proiettarono tutti altrove nello spazio e nel tempo.

Con la scusa di vedere meglio la band suonare Luca si spostò verso il centro del tavolo, andando quasi a sfiorare le gambe di Camille; Jac poco dopo fece lo stesso mettendosi a fianco di Simona.
Le splendide gambe di Camille erano oramai a pochi centimetri, bastò un semplice movimento e la mano di Luca si posò sulla pelle scura e morbida della bella ragazza algerina. Le gambe erano chiuse e parallele tra loro, la mano di Luca, ferma e calda, in attesa. Come la prima goccia di un temporale estivo la quiete fu rotta dal movimento lento e misurato delle gambe di Camille che allargandosi diedero il via alla mano di Luca.

L’eccitazione di Camille si rivelava non solo al tato della mano di Luca, ma anche a quei pochi sguardi che nonostante la penombra potevano ammirare l’espressione di leggerezza sul viso, sulla bocca e negli occhi della giovane francese.
Luca vide lentamente e dolcemente disegnarsi la stessa espressione nel volto, nelle labbra e nello sguardo di Simona.

I sensi presero il sopravvento alla musica.
Jac propose di andare in un club che loro a volte frequentavano quando erano in città.
Si trattava de “Le Mask”, un club libertino riservato alle sole coppie giudicato dagli esperti del settore come uno dei migliori ed eleganti di Parigi.

L’autista di Uber si fermo esattamente davanti al numero 18 di rue Feydeau.
La strada era buia e solo la debole luce che illuminava la targa in ottone “Club Le Mask” indicava la porta di ingresso del locale.
Dopo aver suonato il campanello, il pesante portone in legno nero si aprì e una bella donna lì invitò ad entrare.
Un lungo bancone bar illuminato da raffinate luci accoglieva con discrezione le coppie. Dietro al bancone un ragazzo e una ragazza stavano preparando whisky&cognac. La cura dei gesti e la fluidità dei movimenti dimostrava che non erano lì solo per la loro indiscussa bellezza.
Seduta sopra al bancone, completamente nuda, una ragazza. Le gambe appoggiate elegantemente all’interno del bancone, formosa, carnagione chiara, capelli castani con riflessi rossi. Come una statua di marmo, il corpo della bella donna arricchiva la scena e raccontava immediatamente la cifra stilistica del locale.
In fondo alla sala, superato il bancone si entrava attraverso una tenda di strass e perline in una zona più appartata, dove eleganti alcove si susseguivano separate ma nel contempo collegate le une con le altre. Ciascuna alcova aveva davanti un tavolino e due poltroncine.
Jac fece strada andando a scegliere la postazione sull’angolo; Camille e Simona si misero sul divanetto dell’alcova, Luca e Jac sulle poltrone davanti al tavolino.

Dopo pochi minuti di bollicine, ombre e sguardi la mano di Camille entrò nel vestito di Simona a cercare, ad accarezzare i suoi seni. Simona visibilmente eccitata prese il viso di Camille tra le sue mani, a cercare la sua bocca.
Nell’alcova vicina una coppia attratta dalla scena iniziò a sfiorarsi ed a guardare Simona e Camille che oramai svestite fondevano i loro corpi in un unico febbrile movimento.
La donna, capelli neri corti ed evidenti tratti orientali, si avvicinò all’apertura che separava le due alcove e timidamente iniziò ad accarezzare il piede di Camille che presa dalla frenesia del gioco era finita sul bordo esterno del divanetto. Simona vista la situazione, con un gesto complice e compiacente invitò la ragazza ad unirsi a loro tendendo dolcemente la mano verso di lei.
Luca e Jac guardavano.
Fu nel momento in cui Simona era al centro delle attenzioni delle altre due ragazze che Luca si avvicinò a lei, le tenne da dietro il viso tra le mani e cominciò a baciarla. L’ingresso di Luca non incrinò il momento, tutto rimase in perfetto equilibrio, fu anzi il pretesto per coinvolgere nel gioco anche Jac e l’uomo dell’altra coppia.

Respiri, sussurri, pulsioni, saliva, sudore, gemiti, fremiti, sei corpi, sei fantasie fluide, sinuose, liquide, si univano, si combinavano, si scambiavano.

Giocando passarono quello che restava della notte.

Usciti dal locale il cielo ancora scuro era pronto per accogliere una nuova giornata.
I quattro amici si salutarono con affetto, ripromettendosi di incontrarsi di nuovo, magari in Italia o al mare nel sud della Francia.
Le strada era deserta, le luci che ornano la Tour Eiffel scintillavano ancora, Luca mise il braccio sulle spalle di Simona e stringendola a se si avviarono a piedi, con calma, verso casa.
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