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Vicky, Cristina e il truffacuori


di JuzaDeLeNuvole
26.05.2022    |    5.986    |    1 9.8
"Convinto di fare bene, le dita in culo divennero due e smise di spompinarmi urlando “Sono un idrante, cazzo, cazzo” e fui sommerso da un liquido caldo e..."
Vicky aveva la pelle color olivastro e due occhioni neri fuliggine. Mezza italiana e mezza indiana, teneva la sacralità in ogni sua movenza, i suoi pensieri erano sempre articolati, nulla lasciato al caso. Pur essendo devota alla carnalità, quella più sanguigna, rimanevo sempre affascinato da come riusciva a combinare la sua spiritualità con la sua indole libertina. Vestiva con gonne lunghe, dai colori variopinti. Al collo portava chincaglierie esotiche, ogni singolo monile aveva un suo preciso significato, che si intersecava con esperienze di vita vissute.

Cristina si intendeva d’arte. Faceva la spola tra i più bei musei del mondo, esponendo i suoi quadri introspettivi, molti dei quali osservandoli ancora oggi passo le ore a cercare quale sia il loro significato. Sempre che ne abbiano solo uno o forse molteplici, magari cangianti in base a quando e dove li guardi. Veste pericolosamente scollata, impossibile non rivolgere uno sguardo, seppur furtivo, sui suoi seni gonfi. Quando ti parla non ti stacca mai gli occhi di dosso, fino a quando capitoli e sorniona sorride e ti da le spalle, come per dire che c’è altro da guardare. I pantaloni trasparenti, quei tanga inesistenti, mostrano un culo da urlo, tenuto sodo da sudore, disciplina e costanza. Mai un pasto sbagliato, mai un corso saltato.

Io sono Juan, un affascinante truffatore seriale di cuori. Individuo le donne che cercano l’amore, quelle benestanti. Le seduco fino a farmi prestare soldi per la mia inesistente attività, che ha bisogno di fondi per partire, perché sono un’artista incompreso e solo la fiducia, la generosità e l’amore nei miei confronti potrà ripagare un giorno quel debito. Lo schema non faceva una grinza e negli anni avevo accumulato denaro sufficiente per potermi prendere un anno sabbatico, lontano da inganni e da fughe di creditrici incazzate. Prima di farlo dovevo concludere l’ultimo affare, per il quale avevo lavorato duramente negli ultimi anni.

Conobbi Cristina durante una mostra, dove avevo il mio angolo di opere spacciate per mie. Ero accompagnato da Maria Elena, divorziata da anni e piena di soldi da fare schifo. Ogni volta che mi raccontava la storia di come aveva tradito suo marito e fosse riuscita lo stesso ad ottenere condizioni favorevoli, mi ribolliva sempre il sangue e moltiplicavo i miei intenti di truffa con fattori a due cifre. Le opere esposte le avevo comprate a poco prezzo, presso un antiquariato in Cambogia, dipinte da un talentuoso artista morto durante una guerra di bande fra villaggi nemici. Risalire a quelle firme, a quella persona era pressoché impossibile e negli anni mai nessuno si era avvicinato minimamente a sospettare la mia ordita trama.

Nessuno tranne quella procace bionda, che a parte essere uno schianto di donna, scoprii essere davvero competente, non solo parlando d’arte…

“Finalmente esposte le opere di Neston Leroy, non credo ancora ai miei occhi”, esordì Cristina. Allo scandire del nome dell’artista cambogiano, automaticamente partirono dei colpi di tosse per cercare di non farlo sentire a nessuno.
“Mi sono ispirato a lui, abbiamo collaborato molto assieme, prima della sua prematura scomparsa”, risposi, ritrovando subito la stoffa del truffatore scolpita in me.
“Usava firmare anche le tue opere?”
“Si in segno di rispetto, per tutto quello che mi ha insegnato”, il truffatore in me non voleva abbandonare il mio corpo, ma sentii che se fosse andata avanti non avrei retto ancora molto.

Cristina mollò la presa e cominciò a fare un giro di chiamate, io ero nervoso, mi sudavano le mani. Maria Elena cominciò a farmi domande e apparire sospettosa, soprattutto vedendomi cambiato in volto. Liquidai Maria Elena, dicendole che finalmente era arrivato il giorno del mio riconoscimento, che le opere accostate a quelle del mio maestro oggi sicuramente sarebbero valse cento volte di più e lei stupidamente, perché molto innamorata di me, tornò a casa col sorriso.

“Questa sera ti puoi prendere il culo e fottermi come una cagna per festeggiare”
“Si amore sarà fatto, brinderemo come vuoi tu”, la liquidai così, mentre si allontanava con quella portaerei che avrei dovuto chiavare quella sera.

Rimasto solo con Cristina, ci guardavamo come per prendere le misure. Io non volevo più tornare sui quadri esposti, perché sapevo in cuor mio che tanto, qualsiasi cosa avessi detto, lei sapeva già la verità. Tutta la verità, a partire dalle truffe sentimentali che non ero un vero artista e che vivevo la mia vita alla giornata, scopando dei cessi subumani non per scopi ludici, ma monetari.

“Un uomo così bello non può stare con una donna del genere, la paternità dei quadri per me rappresenta un problema secondario”, quelle parole mi alleggerirono l’animo.
“Che cosa vuoi esattamente? Che prezzo ha il tuo silenzio?”, fu l’unica domanda che mi venne perché abituato a trattare con tutti.

“Voglio che tu mi fotta, non per fottermi”, avvicinando le sue labbra rosse al mio orecchio, sfiorandolo. Una turbina cominciò a lavorare nelle parti basse. Avevo ormai smesso gli abiti truffaldini, mi sentivo già nudo con lei a dare sfogo ai piaceri della carne, della mente, per troppi anni tenuti in ostaggio in cambio di vile denaro e di una pensione anticipata.

Il giro di chiamate intrapreso da Cristina fu per la ricerca di un taxi, che arrivò nel giro di pochi minuti. Salimmo sopra con destinazione verso il suo albergo, io con i pantaloni gonfi, lei che con lo specchietto si rifaceva il trucco. Io le guardavo le cosce bianche affusolate, il suo tacco da quindici minimo, mentre cercava di rimettere il suo seno dentro al misero vestitino.
Buttai i documenti sul marmo del banco della reception e afferrammo le chiavi, dentro l’ascensore, destinazione piano 43, mi sfilò la cerniera e si inginocchiò strusciando il viso sul cazzo, che era durissimo e sbatteva nei pantaloni facendomi molto male. Con la cerniera aperta e l’amico dolente si spalancarono le porte del piano e iniziò la nostra fuga verso la stanza 238.

Tolsi dai pantaloni la camicia e cominciai a baciarla, ero tutto sporco di rossetto. Lei aveva ancora un minimo di contegno, ma la porta e la tessera magnetica non ne volevano sapere di funzionare. Con lo sguardo ammiccante mi disse: “Ti faccio vedere un gioco” e si passò la carta sotto al vestitino, tirandola fuori leggermente bagnata sui bordi e magicamente la porta si aprì.

Sbattuta la porta alle nostre spalle, vidi un gran casino nella stanza, c’era troppo intimo per una sola persona, ma non ci badai moltissimo. Sul letto mi fu tolta totalmente la camicia e lentamente i pantaloni vennero giù con le scarpe a finire. Avevo un signor cazzo durissimo, molto grosso e il suo stupore me lo confermò. Sorridendo mi avvicinò il suo braccino a confronto e sorridendo comincio a leccarmi la cappella, mentre mi mostra il suo culo marmoreo. Scese giù fino a far scomparire i coglioni in bocca, completamente depilati, lisci e morbidi. Vedevo tirare la pelle e ciucciarla, era proprio una devota di quelle zone.

Dal bagno provenivano rumori, sentii un gioco di porte e dei passi. L’ingresso di Vicky fu un’inaspettata sorpresa. Lei appena docciata e fresca di rasoio nelle parti intime, non aveva quasi un pelo in quella zona. Lasciò cadere per terra l’accappatoio e il suo corpo olivastro, con le tette leggermente più chiare e il segno del costume fecero ingrossare ancora di più il mio fidato amichetto, conteso dalle fauci di Cristina.

“Lei è Vicky, non stiamo assieme, scopiamo e basta”, la sua presentazione fu tra le più eccitanti mai fatte.

Si addentrò nella nostra alcova e cominciò a giocare col mio glande gonfio, passando giù a giocare con la punta della lingua sul frenulo, mentre sotto i coglioni ormai erano gonfissimi e fradici, già pronti ad esplodere se avessero continuato ancora un po’. Le loro lingue, con sincronismo perfetto, facevano andare su e giù la pelle del bigolo, provocandomi piacere e portandomi verso una sborrata garantita. Cosa che non volevo fare subito, ma erano così brave che se solo mi fossi lasciato andare totalmente un attimo, sono sicuro che le avrei inondante, deludendole.

Cristina aveva la gola senza fine, la mia grossa asta la ingoiava senza nessun accenno a soffocare. Vicky mi sollevò le gambe e cominciò a lavorare sul culo, infilando la lingua davvero in profondità. Poi con le dita cominciò un abile massaggio prostatico, che avevo avuto modo di sperimentare con delle vecchie signore porche a maiale, ma da una così giovane non l’avevo mai ricevuto in modo così generoso. Stavo impazzendo di piacere con un dito in culo che mi raggiungeva parti così inesplorate e la bocca della biondina che faceva su e giù per tutto il perimetro della mia bandiera.

Vicky, nel momento che sentiva stessi per venire, più di una volta premette con le dita su un punto, riuscendo a prolungare il piacere e ritardare l'eiaculazione. Erano due maestre del godimento e non avrei resistito molto. Soprattutto perché me le volevo scopare per bene, ma so che sarei riuscito a farlo degnamente solo con i coglioni più vuoti.

La tettona dai capelli di paglia, mi sbatteva la sua figa e culo in faccia, che io lustravo non sapendo più come fare per darle un piacere ancora più intenso, perché ormai colava tutto ed io non sentivo più la lingua da quanto stava lavorando. La stavo penetrando con la lingua, ma lei avendo la bocca impegnata non riuscivo a capire quanto stesse godendo. Le infilai un dito in culo e cominciai a giocarci raggiungendo subito il fondo, mentre con la lingua spazzolavo tutta la zona pubica, quando cominciai a sentire un cambio di rotta ed un godimento ancora più profondo. Convinto di fare bene, le dita in culo divennero due e smise di spompinarmi urlando “Sono un idrante, cazzo, cazzo” e fui sommerso da un liquido caldo e vischioso.

L’indiana cominciò a segarmi con una mano, mentre con le dita continuava la sua opera prostatica. Ormai le sue dita scivolavano via e il mio piacere imminente andava a braccetto con la pelle della cappella che faceva su e giù. I primi tremori da parte mia e Cristina si avvicinò al glande pronta a ricevere il suo premio. Quell’orgasmo mi partì dal più profondo dei coglioni e mi svuotai tutto sulla sua faccia, con schizzi mai sperimentati fino ad ora. Quel massaggio mi fece accumulare liquido aggiuntivo e me lo fece espellere con delle punte di godimento e sensazioni di mancamento di qualche microsecondo.

Le due scopa-amiche limonavano tra di loro, scambiandosi il mio sperma, mentre la bandiera lentamente si ammainava. Nel silenzio della stanza, il bagliore di un messaggio, era Maria Elena.

“Sono ore che ti aspetto con il culo aperto, dove sei ?” , la bloccai e spensi il telefono. Volevo essere fottuto ancora.
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