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Lui & Lei

La mora al tempo del virus


di Pablopd
27.03.2020    |    2.153    |    5 6.9
"Erano due coppie, piuttosto giovani che stavano sciogliendo il groviglio, ma altre due si erano aggiunte al lettone della sala che, a differenza di quella..."
LA MORA AL TEMPO DEL VIRUS

Arrigo pensò che non si sarebbe spaventato per così poco: “In fondo trasgredire significa anche non farsi spaventare dalle regole e dalle imposizioni, e poi so ben regolarmi da solo”, pensò. Aveva studiato tutto con estrema cura, una cena di lavoro a Bergamo, molto importante, di quelle che non sai quando finiscono: “Ma non preoccuparti – aveva detto a Irene, la moglie -, alla peggio se faccio troppo tardi mi fermo fuori ma ti avviso con un sms”. Lei annuì appena. Era abituata a questo andare e venire del marito e la sua serie tv preferita aveva già mandato la sigla. “Va bene, ti raccomando ora zitto che se no mi perdo il riassunto delle altre puntate”. Si mandarono un bacio. Arrigo uscì.

Bergamo era a un'ora di autostrada, anche un quarto d'ora in più prevedendo traffico, ma non avrebbe corso rischi di incontrare persone note o colleghi di lavoro. Molti di questi, poi, sapeva che si erano rintanati in casa per paura del virus. Che sciocchi! “Meglio così”, si disse. Aveva scelto abiti casual eleganti, buoni per una cena di lavoro ma anche per un privé: giacca, cravatta, pantaloni scuri e mocassini. I mocassini si potevano togliere e mettere in fretta in caso di necessità. La cravatta finì subito sul sedile del passeggero, ancora annodata per poterla eventualmente rimettere prima di tornare a casa. Sfilò la fede d'oro dall'anulare e la chiuse in una scatolina che teneva nel vano del cruscotto.

La strada era sgombra, solo qualche tir e qualche idiota che lampeggiava da chilometri per farti spostare di corsia, neanche avesse una Ferrari. Ah no, era una Ferrari... Vabbé. Sempre idiota rimaneva.

La sua “fuga “ aveva un obiettivo preciso: una mora intrigante che aveva conosciuto il mese prima. Era in coppia con un tipo simpatico. Molto spigliati entrambi. Si erano trovati al bancone del bar del privé e avevano cominciato a parlare di vini, fra una parola e l'altra anche di sesso, della gente in sala, di loro. Era la seconda volta che provavano quel club. Venivano da Firenze per lavoro: “Così ne approfittiamo per fare una scappata qui, che mi pare un bel posticino”, aveva detto lei ammiccante. Aveva finto in un primo tempo di non guardare le forme rotonde del suo seno che si appoggiavano senza pudore a quel poco di vestito che rivelava una scollatura generosa. “Bel vestito” disse Arrigo con un sorriso. “Ne farei volentieri a meno, anche se meno di così...” rise la bella mora. E accavallò le gambe tirando un po' più su il bordo dell'abito che a malapena superava l'inguine. “Oggi avrei voluto divertirmi, ma non è giornata”, confidò.

Era la settimana sbagliata del mese. Ma il mese successivo sarebbero tornati a Bergamo e “quel” problema, fatti due conti, non ci sarebbe stato: “E allora aléééé”, rise lei, seguita dal compagno. Arrigo fece tintinnare il bicchiere. Disse che sicuramente ci sarebbe stato, che si chiamava Roger e che sarebbe stato felice di rivederli. Laura e Diego, così si erano presentati - ma i nomi veri vai a saperli - , risposero che sarebbe stato un piacere “così quando torniamo almeno conosciamo già qualcuno, che qui mi sembra che tutti già si conoscano fra loro e diano poca confidenza ai nuovi”.

Arrigo “Roger” sperò che l'impedimento di Laura sfociasse comunque in qualcosa di divertente, anche se limitato, ma i due si fecero accompagnare per un giro esplorativo del privé, curiosando nelle varie stanze, e poi dissero che dovevano andarsene. “Domattina si riparte presto, ma ci rifaremo la prossima volta”, spiegò Laura sorridendo. Arrigo incise la data dell'appuntamento nella sua memoria. E poi l'appuntò sull'agenda del cellulare alla voce “cena di lavoro a Bergamo. Trattoria da Diego e Laura”.

Ci volle meno dell'ora e un quarto che aveva preventivato. Era tornato a fare un giro nel club la settimana prima, sai mai che avessero anticipato il programma, ma era stato un giro quasi a vuoto. Il “quasi” era una coppia di mezza età che dopo la sauna aveva iniziato a giocare sul lettone della sala relax e visto che lui era “casualmente” lì vicino, si era fatto coinvolgere. Lei gli aveva agguantato l'uccello e lo aveva fatto sparire in bocca mentre l'altro la prendeva avidamente da dietro. Avevano continuato così, in tre, per un pezzo, spostandosi in varie posizioni e scambiandosi di posto finché lei non aveva voluto “bere” tutto il frutto di quel gioco. “Complimenti”, disse lei tenendo in mano il suo “giocattolo”. Era allegra, sorridente, appena un paio di chili in sovrappeso, lui un po' pelato ma in forma. Venivano dalla provincia milanese, appena a sud della grande città.

Ma questa volta Arrigo aveva ben altre aspettative. La mora gli entrata entrata nel sangue. Aveva provato a immaginare più volte, prima di addormentarsi, come sarebbe stato l'eventuale incontro, cosa avrebbero fatto, come si sarebbe dovuto comportare. Aveva immaginato diverse situazioni, posizioni, e poi ancora e ancora, sempre diverse. “Ma non farti troppe aspettative”, si era detto, barando con se stesso.

Entrò nel locale. Diede la tessera, pagò in contanti, prese i due preservativi che la cassiera gli porgeva con la drink card: “A mezzanotte apriamo il wellness naturista” informò la ragazza. Arrigo prese nota ed entrò nel locale appena illuminato dalle luci colorate della pista da ballo.

Lei non c'era.

“Loro non ci sono”, si ripetè mentalmente. Mai pensare solo a lei ma alla coppia come una unica entità. “Speriamo che arrivi. Che arrivino”, perseguì nel pensiero politically correct come per ribadire il concetto al suo istinto. Si avvicinò al bar poi pensò di fare un giro del locale. In fondo era ancora presto. Era partito da casa alle 20 e non erano ancora le 22. Ma la parte wellness era aperta dalle 15 così si diresse da quella parte. C'era un lungo corridoio. In fondo si accedeva alle vasche e saune passando per il bancone dove si ritirava la chiave dell'armadietto dello spogliatoio. A metà corridoio una porta con una luce rossa accesa apriva la zona privé. Le stanze erano vuote, a parte una coppia seduta su un divanetto, che conversava nella penombra ignorandolo. Una parete a grata divideva il privé del club da quello del wellness con le due sale coppie praticamente contigue dove i diversi soci potevano guardarsi e interagire attraverso i larghi spazi della cancellata. Lo stesso era per alcune stanze libere ai lati della principale. Arrigo mise il naso nella sala coppie e vide che dalla parte wellness alcuni corpi nudi erano aggrovigliati fra loro in un gioco multiplo.

Lei non c'era.

Il giro del privé era stato infruttuoso. Nel salone non si notava alcuna nuova presenza. Arrigo decise di perdere un po' di tempo nella zona wellness. Chiese la chiave, prese gli asciugamani, trovò un armadietto vuoto in posizione comoda e si spogliò totalmente. Ripose la chiave nella scatoletta di plastica da appendere al collo che gli avevano dato assieme a un paio di preservativi ed entrò in una delle vasche di acqua calda. “Devo convincere Laura e il suo uomo a venire qui”, si ripromise scendendo sott'acqua fino al mento. Bollicine d'aria cominciarono a massaggiarlo. La coppia accanto a lui stava passando a vie di fatto. Erano sulla cinquantina, ed erano perfettamente a loro agio. Sorrise a lei, che stava combinando qualcosa sott'acqua. Lei gli sorrise e riprese con impegno il suo “lavoro” acquatico, per nulla infastidita dalla presenza estranea così vicina. La scena lo eccitò. Si toccò l'uccello che aveva iniziato a dare segni di apprezzamento. L'uomo emise come un grugnito e d'un balzo saltò fuori dall'acqua, sedendosi sul bordo a gambe larghe. Lei affondò la bocca sul suo membro eccitato e cominciò a lavorarselo con labbra esperte. Arrigo sentì una mano che cercava nell'acqua fino ad arrivare al suo cazzo stringendolo. Era stato ammesso a gioco. Allungò la sua mano destra fino a un seno di lei che iniziò ad agitare la mano stringendo, mentre la bocca si occupava del compagno. Arrigo cercò con l'altra mano la linea fra le natiche e scese col dito. Si soffermò sulla corona dell'ano e poi scese più giù, a scostare le grandi labbra.
“VIETATO FARE SESSO NELLA VASCA” ammoniva un cartello sul muro. “Come no” pensò. E si spostò dietro di lei manipolandole sapientemente il clitoride da dietro e facendole ogni tanto scivolare dentro due dita. Lei sembrò gradire. L'altro esplose nella sua bocca. Lei bevve tutto. Si sorrisero. Lei si girò verso Arrigo: “Ciao, noi dobbiamo andare” gli comunicò, con ancora una goccia biancastra a un lato della bocca: “Grazie”, aggiunse. Uscirono dall'acqua lasciando Arrigo solo. Uscì anche lui.

Li guardò andare via, sperando di vedere la coppia tanto attesa apparire dal corridoio. Non ce n'era traccia. Si fece una doccia ed evitò la sauna vuota entrando a curiosare nell'area delle stanze, senza preoccuparsi di coprirsi, ma solo buttando l'asciugamano su una spalla. Gli piaceva quest'aria di libertà assoluta. Nella sala grande c'era ancora movimento di corpi. Erano due coppie, piuttosto giovani che stavano sciogliendo il groviglio, ma altre due si erano aggiunte al lettone della sala che, a differenza di quella al di là della grata, non era interdetta a nessuno. Si sedette sul letto, poi si sdraiò quasi accanto a una coppia che si stava scopando con entusiasmo. Lei era sdraiata bocconi, quasi inginocchiata. Lui era in piedi fuori dal letto e la stava prendendo vigorosamente da dietro.
Le carezzò con nonchalance una mano. Lei lasciò fare. Allora gliela strinse delicatamente. Lei strinse. L'altro non fece una piega. Arrigo si posizionò meglio. Lei percepì la presenza del pene turgido a portata di mano, lo prese, si allungò, lo inghiottì vogliosa e si fece rapire dalla doppia presenza agli antipodi nel suo corpo. L'altro giunse al culmine, poi si ritrasse e venne a sedersi vicino alla testa di lei, che mollò la prima presa e si dedicò al nuovo arrivo. Arrigo lentamente si spostò dove il posto si era liberato per lui. Prese un condom che teneva infilato nel cinturino dell'orologio e lo infilò. Lei ebbe un sussulto quando si sentì nuovamente penetrata. “Voglio berlo” gli disse girandosi appena. Lui al momento giusto la accontentò. Ma si riservò una posizione per usare la lingua sul suo clitoride cercando di restituire il piacere che stava ricevendo. Si salutarono in tre sorridendo, e lasciando insieme la stanza. “Ah, io mi chiamo Roger”, mentì Arrigo presentandosi. Si strinsero la mano. Loro diedero due nomi, quelli che usavano nel gioco.

Lei non c'era.

La mora non era arrivata si accertò Arrigo facendo il giro del wellness e poi, con solo un asciugamano addosso, del resto del privé. Il locale quella sera era semivuoto. Qualcuno conversava o beveva stancamente. Tanto valeva tornare a casa. Peccato. Rientrò che era ormai notte fonda. Irene dormiva profondamente. Di solito crollava a metà del secondo tempo di qualunque film. Si sdraiò accanto a lei e riuscì a immaginare la serata con la mora, se fosse mai venuta, prima di addormentarsi. Dopo due o tre giorni smise di pensarci nel dormiveglia e dopo una settimana era già passato ad altre fantasie che lo rilassavano prima del sonno.

Il campanello squillò alle sette del mattino. Chi diavolo poteva essere? “Il signor De Paoli? Siamo del Comune. Potrebbe aprire per favore”, disse la voce al citofono. “Chi è Arrigo?” chiese assonnata Irene. Si presentarono in tre, un poliziotto e altre due persone. “Ci scusi ma stiamo cercando di rintracciare le persone che erano presenti giovedì della scorsa settimana in un locale scambista di Bergamo. “Arrigo, ma quale locale”, chiese perplessa Irene. Arrigo protestò: “Ma io non conosco nessun locale del genere. Di cosa state parlando?”.

Il poliziotto lo guardò fisso. “Senta signor DePaoli, il locale è stato chiuso a causa di un'infezione da coronavirus di alcuni clienti che erano presenti giovedì e dai registri risulta che lei era presente e che è anche iscritto da qualche mese. L'epidemia è una cosa seria e...”.

“Ma io... – protestò ancora – sarà qualche idiota che ha usato il mio nome. Io non frequento questi posti”.

“Arrigo, ma cosa stanno dicendo?”, spalancò gli occhi Irene.

“Signora, era anche lei a Bergamo giovedì scorso?”, chiese il poliziotto.

“Io, ma no, no, certo che no. Io ero a casa, a Bergamo ci è andato solo lui. Ma non era una cena di lavoro Arrigo, ma che hai fatto?”

“Ma ti ho detto che è un errore, ero a cena mica dove... non so di cosa parlano”.

Il poliziotto replicò calmo: “Guardi che abbiamo dovuto fare un sacco di verifiche e risulta che lei era lì, abbiamo i mezzi elettronici per certificarlo...”

“Cosa avete fatto? Avete seguito il gps del cellulare? Ma è illegale, e comunque non è possibile, perché non ho attivato il rilevatore di posizione e soprattutto l'ho spento prima di cena, quindi il segnale che avete rilevato non è sicuramente il mio. Vi state sbagliando”.

“In realtà no. Non seguiamo nessuno illegalmente e non abbiamo tracciato il suo cellulare. Lei ha un'auto con il tracciamento automatico di emergenza. Si ricorda quei due pulsanti che ha sul cruscotto? Abbiamo chiesto alla casa madre e ci ha ricostruito i movimenti confermando che quel giorno risultava ferma nel parcheggio interno del locale. Ora per favore, vuole fare il tampone con questi due infermieri?”.

Irene sgranò gli occhi che sembravano fulminarlo. Cominciò a insultarlo e a tirare giù oggetti dalle librerie furiosa minacciandolo di ogni morte possibile. Arrigo si arrese e si preparò alla tempesta. I giornali ne parlavano di questo virus del cavolo che cominciava a circolare, ma non gli aveva dato peso. Cosa vuoi che succeda. E poi proprio a me?

Prelevarono il tampone. Arrigo tentò timidamente di protestare per la violazione della privacy e degli obblighi di riservatezza. “Il poliziotto lo gelò: “Guardi che in questa situazione non abbiamo tempo da perdere con nessuno”.

Irene tornò furiosa dalla sua stanza: “E ora cosa dovremmo fare?”.

Il poliziotto mantenne un atteggiamento formale. “Vi sapremo dire. Intanto avete l'obbligo di restare a casa”. Ripose al telefono. Annuì. Si rivolse a Irene: “Ma lei si chiama Irene Gualdi?”

Irene lo guardò perplessa. “E' il mio nome da ragazza, sì. Perché me lo chiede?”

Il poliziotto aggrottò un sopracciglio: “Hanno ricoverato un uomo e ricostruito i suoi spostamenti recenti. Dice di non aver frequentato quasi nessuno da una settimana, ma di essere stato a letto con una sua collega di lavoro, Irene Gualdi, giovedì della scorsa settimana, come dice facesse ogni volta che suo marito era via”. Sospettiamo che il focolaio infettivo sia partito da qui.
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