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RACCONTO LIBERO - L'OSCURO IVÁN - Parte 2 La soffitta


di Syren
08.03.2022    |    3.490    |    16 9.0
"Le sue rimangono ancorate al mio posteriore, vibrando e facendo scattare le giunture per testimoniare la loro presenza ed il loro desiderio..."
Le nuvole si stanno diradando in cielo, rivelando una brillante luna piena e le strade cittadine riposano silenziose, interrotte solamente dal riecheggiare dei nostri passi.
Il mio accompagnatore Iván, senza mai staccarsi, mi spiega che vive poco distante, in una modesta soffitta e si augura che non mi offenda per non potermi offrire un’adeguata reggia. Ridendo, gli spiego che non ho alcuna pretesa principesca e di non porsi nemmeno il problema.
Mentre camminiamo fianco a fianco, mi racconta la sua storia, condendola di eventi curiosi, ma tralasciando i dettagli. Lo traduco come un atteggiamento conviviale ma riservato. Non m’infastidisco, nonostante io sia all’opposto molto più informale.
Descrive la sua terra d’origine, di cui purtroppo conosco poco o niente. Ha trentanove anni e si è trasferito in Italia appena maggiorenne, in cerca di un futuro più stabile, poiché era rimasto solo.
Da subito il popolo italico l’ha affascinato, spiegando che siamo più dediti alle passioni, più sanguigni, più bravi a fare l’amore. E mi occhieggia complice (brividi…).
Lavora durante il turno di notte di una fabbrica fuori città e negli anni si è creato pochi amici ma buoni.
Più mi parla, più ne rimango incantato. I suoi modi e le sue parole eleganti sono quasi regali. Emana un’aura rassicurante di calma placida, come fosse un uomo arrivato, senza incombenze che possano stressarlo o creargli ansie, senza pressioni che possano farlo sentire a disagio o inopportuno.
Ma dietro il ghiaccio freddo e saldo dei suoi occhi, si nasconde a stento una cocente, quanto irrequieta, eroticità; la presenza fisica parla di confidenza di sé, la stretta di mano suggerisce una forza tenuta a freno ed i denti bianchi, che raramente fanno capolino dalle labbra rosse, presagiscono appetito sessuale.
Il desiderio di scoparmelo si cristallizza nella mia mente.
Mentre gli spiego come sono arrivato anch’io da un’altra terra, la Sardegna, fino a Milano e del mio lavoro, giungiamo al palazzo dove vive. Si presenta con un’architettura storica, tardo ‘800 torinese forse, ma semplice, dai pochi piani, tipici della zona del centro.
M’indica un abbaino sporgente dalla linea del tetto in tegole e poi, girando la chiave, m’invita ad entrare nel portone in legno massiccio.

- Ultimo piano, prego – gesticolando galante verso le scale.

Lo precedo sui gradini in pietra ed il corrimano in metallo. Lungo il percorso sento da dietro il suo sguardo indagatore su di me, come se mi stesse palpando, e so che conosce già perfettamente le mie forme nonostante siano ora coperte dai vestiti. Mi godo la sensazione e mi affretto, fino a raggiungere una rampa più ripida e poi un sottotetto alto, con travi di legno a vista ed un’unica porta.
Lo lascio posizionarsi al mio fianco, stretti fra i muri, ad un fiato di separazione, per permettergli di aprire l’ingresso. Ci guardiamo intensamente un’ultima volta prima di entrare.
Entra con una giravolta e mi dà il benvenuto in casa: è piccola, costruita come una stanza open-space con due finestre alte dalle veneziane chiuse, fra le due un grande letto basso privo di spalliera, un angolo cottura anonimo di soli due moduli stretti, un tavolino con due sedie ed un piccolo corridoietto sulla destra, lungo meno di un metro che conduce al bagno e ad una porta chiusa.
La luce gialla che si accende rivela il medesimo fascino del suo proprietario. Il borsone mi cade a terra.
Sembra la cabina alternativa di una vecchia nave transoceanica. Una perlinatura parziale in legno verniciato di un grigio freddo contrasta con il resto del muro intonacato alla buona e ridipinto in color sangue di bue. Le pareti ospitano una vastissima e quasi soffocante collezione di quadretti, cornici ovali riccamente decorate, antiche fotografie in seppia raffiguranti personaggi in costumi tipici e diversi ex voto Sacro Cuore in metallo battuto.
I pochi mobili presenti sembrano recuperati, ma rinnovati con cura ed una nuova anima. Espongono moltissimi libri, tanti vecchi ed ingialliti, altri più recenti ma usati, svariate scatoline o statuette in terracotta li tengono fermi. Uno scrittoio ospita un candelabro, un mazzo di tarocchi spiegazzati, un’abatjour oscurato da un drappo porpora ed altri libri ancora.

- Iván… è stupenda! – balbetto io – Sembra uscita da un racconto… è molto meglio di una dimora principesca. -
- Sei tu ad essere stupendo come un principe, Tommaso. – mi sorprende lui alle spalle con voce mormorante sfilandomi il cappotto.

Sussulto per l’inattesa apparizione e le sue mani raffreddate dalla passeggiata notturna, ma lo lascio fare. Dopo averlo posato su una seggiola, mi cinge delicatamente i fianchi, appoggia il naso sul retro del collo, la sua fronte tocca la mia nuca, ed inspira profondamente facendomi rabbrividire da capo a piedi.

- Odori di buono…sei tutto da mordere. – cantilena, mentre un suo indice mi corre sulla schiena e si poggia sui miei glutei in attesa di un permesso.

Il suo accento straniero m’infregola e mi conduce in terre lontane. Mi volto verso di lui, sempre con le sue mani attaccate che accompagnano il mio movimento. Sono quasi alla sua altezza, mi guarda languido, ma indugia nel fare il primo passo.
Con un solo gesto mi levo la maglia larga e rimango a torso nudo. Lo bacio dolcemente sfiorandogli il mento ruvido con una mano e poi mi scosto nuovamente.

- Allora mordimi… - lo invito mostrandogli il collo.

Senza ulteriori indugi mi afferra la vita con un braccio, con l’altro mi sostiene la schiena alta e mi trattiene la testa reclinata. Non posso adoperare altro verbo se non “azzannare”, perché è quello che fa.
Morde proprio sopra il collare e sotto l’orecchio facendomi inspirare rumorosamente fra i denti stretti, ma subito lenisce con abbondante lingua e giochi di labbra umide. Mi abbandono a lui gemente, cingendogli le spalle e affondando le mani nella sua morbida chioma scura.
Risale velocemente leccandomi il viso e poi baciandomi con trasporto. Rispondo con il medesimo impeto e mi arrampico su di lui come un amante di lunga data che lo rivede dopo un distacco.
In automatico le sue grandi mani vanno a sorreggermi fra l’inizio dei glutei e la fine delle cosce, distendendosi in tutta la loro ampiezza e agguantando la mia carne. È forte e non risente minimamente del mio peso o del contraccolpo. Sto limonando con una fredda statua di un paese lontano che mi surriscalda più di un incendio.
Divampa la frenesia finora garbatamente trattenuta. Ansimiamo indecenti, mangiandoci le labbra, tirandoci i capelli sibilando piacere, le mie dita distinguono fra le sue ciocche di capelli delle piccole treccine decorate da piccoli gioielli circolari in metallo o legno. Le sue rimangono ancorate al mio posteriore, vibrando e facendo scattare le giunture per testimoniare la loro presenza ed il loro desiderio.
Lo sento muoversi, ma non smetto di baciarlo e dopo pochi istanti mi sento accompagnare all’indietro con tutto il peso dei nostri corpi su una superficie morbida.
Ci siamo spostati su quello che, ora capisco, pare essere un divano-letto semplice dell’Ikea aperto in due, colmo di confortevoli cuscini di diverse dimensioni, ma ben abbinati cromaticamente ed una morbida trapunta.
Rimaniamo avvolti come un unico essere dalle molteplici braccia e da più bocche affamate, un mostro che ama se stesso e si procura piacere scatenandosi in movimenti voluttuosi e carnali.
Da accucciato sopra di me che era, si eleva sulle ginocchia, guardandomi dall’alto con occhi bramosi e allunga una mano verso il mio collare.

- Questo te lo rimetto più tardi… - e me lo sfila veloce.

Sospiro fremente, galvanizzato da quella promessa.
Si avventa nuovamente su di me mordendomi e baciandomi a labbra schiuse il collo libero. Mormora parole che non comprendo, forse nella sua lingua natia, forse nella mia, ma disturbate dalla pressione della sua bocca famelica sulla mia carne smaniosa.
Si scosta da me per fissare i suoi occhi magnetici nei miei, sempre più adoranti, mi accarezza la testa con fare protettivo e sussurrandomi parole dolci e complimenti. Rimango come ipnotizzato da quella connessione di sguardi e spiriti, prima che tuffi ancora le sue labbra fra le mie.
Mentre continua a slinguarmi con ferocia gentile, le sue mani armeggiano la chiusura dei miei pantaloni, lo aiuto e poi me li sfila alzandomi le gambe. Rimango nel perizoma strategicamente non levato prima al locale, il quale non cela più la mia erezione.
Si spoglia anche lui della maglietta, rilevando un fisico atletico e possente, ma non definito. Non ha un grammo di grasso corporeo e trasmette agilità. Il petto, il busto ed il ventre segnato dalle creste iliache che conducono il mio sguardo al pube nascosto dai pantaloni, sono ricoperti da una peluria scura, ma la pelle sottostante è pallida.
Fosse glabro, apparirebbe realmente come una statua di alabastro.
Poggia con grazia una mano sul mio viso, di sfuggita noto un anello all’apparenza molto usurato che porta un simbolo sulla cresta larga, forse un blasone. Il bulgaro è un amante delle antichità.
Introduce gentilmente un dito nella mia bocca aperta in estasi, glielo lo lecco lentamente e gonfiando poi le labbra lo avviluppo ciucciandolo. Sa di thè Bancha e miele di castagno.
Avvinghia le cosce graffiandomi, le tiene sollevate mentre s’infila in mezzo e torna a baciarmi e leccarmi il collo e le orecchie. Delicato e poi frenetico, con dolcezza e poi famelico. Il suo odore ormai liberato dalle catene di cotone si sprigiona in vapori attorno a me che inspiro avido, ricorda muschio fresco e spezie orientali. Mi ritrovo ancora una volta a viaggiare con la testa verso mete distanti e forse inesistenti.
Quando si rialza ancora per mettersi più comodo, ne approfitto per studiare e accarezzare il suo corpo. Strizzo le gambe toniche e risalendo con le dita le anche inizio ad esplorare il suo busto, sento i muscoli duri sotto l’epidermide e la peluria morbida che mi sfiora, agguanto il suo petto e mi lancio verso di lui.
Mettendomi a gattoni e abbracciando la sua vita inizio a leccargli la zona addominale, l’ombelico, salgo fino ai capezzoli che mordicchio sadicamente per poi scusarmi con la lingua aperta ed umida. Fa le fusa come un gatto per poi chiudersi sopra di me stringendomi fra le braccia e baciandomi la testa. L’ascella vicino al mio muso sprigiona profumi tentatori.
Affondo il naso nel ciuffo scuro e sniffo come un drogato quell’odore inebriante: parla di mascolinità terrigna, ingentilita di nuovo da spezie e aromi esotici.
Mi artiglio al suo braccio, inspiro ed espiro rumorosamente, ormai dipendente. Ciuccio i peli, lecco l’incavo ascellare, segno con la lingua le congiunzioni muscolari che conducono a quella zona nascosta e pregna di tesori olfattivi. Ringhio come un leone vorace e gemo come una gatta in calore.
Risponde con mugolii divertiti, alzando complice il braccio ed esponendo più materia prima per facilitare il mio compito, con la mano libera mi accarezza i capelli grato.
Dopo un intenso lavoro orale mi sposto sul suo petto leccando e mordendo in preda ad un raptus famelico, scendo di nuovo verso il basso succhiando e lasciando tracce di bava, disegno con la lingua le linee pubiche, il mento tocca già la cintura dei suoi pantaloni, armeggio la fibbia, percepisco già altri tesori olfattivi più intimi… quando lui mi blocca e mi tira all’altezza del suo viso.

- Devo dirti una cosa… - parla con voce ferma ma tentennante.

Credo di intuire già le opzioni possibili di scuse per interrompere l’inizio di un pompino: un fidanzato/fidanzata o una carica virale positiva, così tento di rassicurarlo e lo spingo ad esprimersi senza timore.

- Soffro di disfunzione erettile… - confessa flebilmente – E spesso può capitare che non possa provare piacere lì davanti o donarlo al mio partner, per quanto possa eccitarmi… - guardandomi in modo eloquente.

Ok, ero in attesa di tutt’altre risposte alternative, tranne questa. Costringo tutti i miei muscoli facciali ad immobilizzarsi e celare l’eventuale delusione visibile. Inspiro e gli sorrido.
Poi lo bacio delicatamente, allungo le braccia alle sue spalle, appoggio la fronte ed il naso ai suoi e sussurro:

- Va tutto bene, non preoccuparti di nulla. Possiamo trovare altre maniere per stare bene insieme…basta che me lo mostri. Tu mi ecciti molto a priori. - È la pura verità.
- Se me lo permetti, conosco altri modi per farti godere… - propone lui speranzoso.

In risposta mi corico di schiena sul divano e allungo le braccia verso di lui come segno di benvenuto. Si flette lentamente su di me frenando con gli avambracci e poi appoggiandosi al mio corpo, mi bacia con dolcezza e ricambio a modo.

- Ti voglio… - mormora con voce bassa piena di promesse.
- Sono tutto tuo Iván. –

I suoi baci sanno di dolcezza ed affetto, le sue mani di fame e desiderio.
Mi strizzano i fianchi nudi, segnano le mie cosce, si stringono al mio collo ed alle mie spalle. Io lo trattengo a me, lo avvolgo in un abbraccio che riguarda tutti i miei arti, non voglio che si stacchi. Fremo al tocco dei suoi denti e della sua lingua.
Riesce a liberarsi dal mio nodo di carne ed ossa e striscia verso il basso senza mai discostare i suoi occhi dai miei. Il suo viso è incorniciato dalle mie gambe, il naso affonda nel tessuto del mio perizoma ed annusa miei odori intimi.
Trattengo il fiato mentre con dita abili scosta gli elastici liberando la mia erezione ed inizia a leccarmi lo scroto facendo raggrinzare la pelle. Con la lingua disegna una linea retta per tutta l’asta fino alla mia cappella che ingoia con sapienza, sento che gioca a bocca chiusa ed abbondono il capo all’indietro esalando un sospiro di piacere.
Mi succhia per diversi minuti alternando la sola bocca, all’uso di una mano che adopera per segarmi lentamente, ma con presa salda. In breve si allinea al mio gusto in fatto di tatto, è veramente bravo.
Con la mano libera accarezza con altrettanta decisione il mio interno coscia inferiore, seguendo con il pollice le curve che convergono al centro, verso il basso; supera il filo di stoffa ed indaga all’ingresso del mio ano con movimenti circolari.
I miei gemiti aumentano, godendomi il momento. Ma lui lo infrange all’improvviso.
Con presa forte mi ribalta completamente sul ventre, agguanta i miei glutei e affonda il viso. Il pizzetto corto ispido punzecchia la mia pelle morbida, ma le labbra baciano il mio buchetto e la lingua lo penetra ad uncino, stimolando la parte iniziale interna.
I pollici continuano a massaggiare la zona, premendo forte fino alle ossa del bacino, stimolando i punti più nevralgici e creando scosse di energie che percorrono tutto il mio interno fino alla base del cranio.
Mi faccio trasportare dai venti del piacere, godendo liberamente a voce alta ed inarcando la schiena per offrirgli ancora di più le mie chiappe. Voglio che se ne cibi, che affondi tutta la faccia, che entri tutto in me.
La sua bocca si fa più vorace, la lingua aperta mi slappa, le sue mascelle schioccano per accogliere ancora più carne ed i suoi denti iniziano a mordermi dove sono più tenero; grugnisce di eccitazione e mi artiglia per tenermi fermo.
Per un attimo lo sento interrompersi e mi volto per capirne il motivo: si è rialzato e sta succhiando avidamente due dita, ghigna accorgendosi che lo sto guardando e subito si china nuovamente sul suo pasto. Fa colare uno sputo sul mio buco scostando leggermente il perizoma e poi spinge i polpastrelli contro.
Eccitato per il lavoro di lingua e per la pressione umida, il mio sfintere si allarga per accogliere le sue falangi fino in fondo, mentre libero un gemito. Con altrettanta maestria mi lavora lentamente per farmi rilassare, scivola dentro e fuori a ritmo costante, calibrandosi sulle mie espressioni ed i miei miagolii.
Il corpo delle dita crea il piacere con il suo movimento continuo, mentre i polpastrelli stimolano le pareti rettali, avventurandosi sempre più a fondo man mano che la dilatazione aumenta. Le mie viscere si aprono al suo sempre più intenso massaggio fino ad offrirgli il tesoro della mia prostata che freme felice al suo tocco.
Nel giro di qualche minuto sono così bagnato che gli viene facilissimo sgrillettarmi con più decisione, le sue dita scorrono liberamente senza alcun restringimento muscolare che possa ostacolarle.
Ho alzato il busto sorreggendolo con le braccia, le gambe piegate a rana ed il culo che accompagna i suoi movimenti, lo incito a continuare; il mio bulgaro sporge il mento infuori ringhiando piacere nel vedermi così lussurioso, mi schiaffeggia una chiappa e si complimenta per le mie curve.
Mi fa girare su un fianco e si appoggia una mia gamba sulla spalla, sfila la mano umida e si ciuccia le dita con espressione goduta ad occhi chiusi.

- Sei zuccherino… - mormora compiaciuto come un sommelier che scopre un vino pregiato – Il tuo incredibile culo sa di miele! –

Aggiunge un terzo dito e m’infilza senza remore, mi scava, affonda e sfrega. Conosce perfettamente quest’arte e sta mettendo in pratica tutti i suoi trucchi.
Mi contorco, enfatizzo la penetrazione impalandomi, mi abbandono totalmente ai suoi gesti e lascio liberi i gemiti più acuti ed effeminati, senza vergogna.
Sento un divampare interno, sotto l’ombelico, all’interno del mio ventre. Come un incendio a rallentatore sento il piacere propagarsi per tutto il corpo, verso il basso fino alle punte dei piedi, verso l’alto, alla mia testa e dentro il cervello, dove brilla ed esplode.
La nuvola di confusione che scende a cerchio sul mio capo mi comunica che ho appena avuto un orgasmo anale, guardo verso il basso e ne ho la conferma vedendomi il pene completamente a riposo ma umido di pre-sperma.
Iván sguscia lentissimo le sue armi di godimento dalle mie viscere fradice ed osserva compiaciuto i filamenti umorali che ricoprono le sue dita.
Mi sorride sornione e si stende al mio fianco, allunga la mano verso la mia bocca aspettando che la apra, per poi infilarsi e farmi assaggiare il risultato del suo abile lavoro.
Assaporo il medesimo gusto zuccherino che aveva descritto prima lui e poi accolgo il suo bacio appassionato. Condividiamo i miei umori avvolgendo le nostre lingue.

Nella nebbia orgasmica che offusca i miei pensieri mi lascio trasportare dal bel maschio accanto a me. La sua voglia, giustamente, continua a rimanere inespressa e non accenna alcun interesse a permettermi una pausa.
Le sue braccia serrano il mio corpo in un abbraccio costrittore, le mani segnano tutte le mie linee, la lingua bagna ogni centimetro della mia epidermide. Sospiro alle sue leccate rumorose e soffio ai suoi succhiotti e morsi che si fanno sempre più confidenziali.
Con i polsi stretti nella sua presa mi sento una marionetta, schiava del suo volere. Non oppongo alcuna resistenza e lascio che mi conduca lungo il palco di coperte e cuscini in cui ci stiamo esibendo. Rotoliamo, scivoliamo l’uno sul corpo dell’altro riscaldandoci, incrociamo gli arti, mescoliamo le nostre salive e nessuno di noi due trattiene i rumori della passione e le lusinghe del corteggiamento.
Mi complimento per il suo ardore e la sua abilità manuale, il suo fascino che appare costruito da un abile scrittore irlandese, i suoi occhi ipnotizzanti e la sua pelle di marmo.
Lui loda il mio corpo con le sue curve e le sue morbidezze, il mio aspetto virile in contrasto con l’atteggiamento felino nell’intimità, ricorda la mia danza sinuosa prima nel locale ed il suo desiderio di possedermi.
Sempre più lussuriosi ed in sintonia ci perdiamo nel nostro amoreggiare.
Il mio membro si risveglia sotto l’incedere di quegli stimoli, prontamente lui si abbassa per accoglierlo nella sua bocca e riprende il ciucciare che aveva interrotto, quelle che ora mi appaiono come diverse ore precedenti.
Succhia rumorosamente e spasmodico, la lingua gioca ininterrottamente accompagnandosi ad un costante movimento della testa su e giù, con un mano mi masturba deciso e con l’altra preme nuovamente contro il mio sfintere.
Ancora bagnato dal frutto della stimolazione precedente, non si crea problemi ad aprirsi per una seconda volta alle sue dita.
La mia mente sta ballando una danza confusa e priva di controllo, non riesco più a formulare pensieri lucidi e lascio che il mio subconscio prevalga sulla parte vigile.
Ho il cazzo durissimo che freme mascolino per tutte quelle attenzioni, il culo rilassato che continua a rilasciare liquidi femminei.
Il corpo inizia a tremare ed a stento riesco ad avvertirlo dell’imminente orgasmo.
Un millesimo di secondo prima che esploda, sento i suoi denti affondare nella mia carne e mordermi con ferocia inappropriata. Scatto in avanti per il dolore acuto, ma allo stesso tempo vengo invaso da un’esplosione di puro piacere e schizzo fiotti copiosi di sperma caldo nella sua gola.
Mentre urlo in preda a sensazioni contrastanti, lui succhia avido tutto ciò che gli offro, come stesse aspirando con la cannuccia il fondo della sua bevanda preferita dal bicchiere.
Senza distrarsi un secondo, continua a sgrillettarmi oscenamente il culo colante.
Vengo scosso da tremiti in tutto il corpo. Gli stringo la testa di riflesso e affondo le dita fra le sue ciocche vaporose. Inarco la testa all’indietro, soffocando ulteriori grida perché non ho più fiato nei polmoni.
Dopo l’estasi, mi abbandono completamente sul divano, a riprendere respiro, tramortito dalla potenza dell’orgasmo più strano della mia vita, mentre lui continua a ciucciarmi e aspirare fino all’ultima goccia del mio latte.
Sgombro da ogni forza nel corpo e la mente colma di nuvole edoniste, apro le gambe e rimango inerme alle sue intenzioni, ma rimanendo avvinghiato alla sua testa.
Il famelico bulgaro non accenna a lasciare le mie parti basse, ripulisce e lecca l’asta, aspira la cappella e ciuccia le sue forme sempre meno rigide, si distrae solamente per sfilare le dita dal mio sfintere fradicio e ciucciare avido pure quelle.

Dopo non so quanti minuti di fiacchezza, mi desto dal mio torpore, assetato. Chiedo ad Iván se posso avere dell’acqua; scusandosi per non averci pensato prima, si alza per recuperare un bicchiere nel cucinotto e riempirlo dal rubinetto.
Non ho nemmeno la forza di guardare in basso e vedere come sono ridotto, tocco solamente in mezzo alle gambe percependo che il filo del perizoma è intriso di umidità. Allungo la mano verso la sua offerta preziosa e tracanno come se non bevessi da ore. In effetti, forse è proprio così.
Ero in camerino quando ho trangugiato un cocktail… o forse erano due? Ho bevuto altro? Non riesco a concentrarmi, ho la testa imprigionata in una bolla ovattata e se mi muovo inizio a vedere offuscato.
Difatti non mi sono accorto quando il mio ospite si sia tolto i pantaloni, perché ora lo vedo avvicinarsi completamente nudo e con un’attrezzatura innegabilmente sotto stimolo.

- Iván! Ma avevi detto… - lo accolgo sorpreso afferrandogli il pene barzotto – Come posso aiutarti? –
- Tu non devi preoccuparti di nulla…faccio tutto io – risponde lui gongolante mentre mi copre il viso con la mano aperta, accarezzandomelo – Ho delle buone previsioni a riguardo… -

Sotto il palmo annuso il suo profumo speziato che inspiro inebriato, perdendomi ancora di più nei vapori di lussuria e desiderio che quest’uomo fuori dal normale emana.
Mi bacia affannato, il muso sprigionante miei odori intimi ed il colorito più roseo di prima. Sembra accaldato e palesemente arrapato.
Rimango sempre più stupito da quanto sia incontenibile e focoso. Come una bestia mai sazia.
Senza pormi domande lo lascio ribaltarmi nuovamente a pancia in giù, mi sfila velocemente l’intimo fradicio, le sue mani arpionano con veemenza i miei glutei divaricandoli ed ancora una volta ci ficca la faccia in mezzo.
I brividi lungo la schiena sembrano essere i miei migliori amici questa notte.
Miagolo di piacere ed indecenza al sentire che sta lappando il mio buchetto ormai rilassato ed intriso di umidori, senza alcun tabù o vergogna moralista affonda la sua lingua nel mio retto dissetandosi. Sembra non ci siano più barriere fra noi e questa valutazione mi procura forti scariche di eccitazione mentale.
Non ho la forza o la volontà di reagire quando mi morde le chiappe ed i fianchi, la carne più tenera dell’interno coscia, la pelle della schiena, il tricipite del braccio e poi ancora l’incavo fra collo e spalla. Mi raspa come la lingua di un leone con la sua preda insanguinata, ma mi scopro a godere di quelle brevi scintille di sadismo. Mi lamento tra piacere e fastidio, gioisco tra dolore ed adorazione. Sono irrimediabilmente suo.
Sento una leggere pressione al collo ed orientandomi nella mia nebulosa mentale capisco che ha mantenuto la sua promessa e mi ha rimesso il collare.
Lo adopera per strattonare e tirarmi a sé per un bacio languido e focoso. Il peso del suo corpo sul mio, poi una pressione consistente sulle porte dell’ano, ho solo l’energia per pregarlo di indossare un profilattico prima che m’infilzi con un colpo di reni.
Sono talmente bagnato e dilatato che il suo pene affonda come un coltello caldo nel burro, ma la forma carnosa mi mozza comunque il respiro in gola, poi stramazzo sul materasso, sottomesso ai suoi colpi.
Nel corso di questa notte i suoi giochi mi hanno consumato qualsiasi tipo di rifornimento, mentre lui appare rinvigorito.
Mi afferra stretto dai fianchi e scatena tutta la sua furia animalesca, ruggendo, muggendo gemiti taurini, sfogando il proprio godimento nella sua lingua d’origine e galvanizzato da una sorprendente erezione, non si trattiene.
Sconquassato dal suo ritmo che si riverbera dall’interno del mio culo per tutto il resto del corpo, grido il mio piacere masochista, per quanto possano permetterlo i miei polmoni a corto di ossigeno.
Continuando a rimanere un burattino sotto il suo volere, mi lascio trasportare in un turbinio di posizioni con il collare sempre come appiglio: stretto al suo addome mentre mi cinge con un braccio, sdraiato sul fianco mentre una sua mano mi preme contro una coscia e me la scosta per entrare meglio dentro di me, a gambe sollevate e tutto il peso su di me, baciandomi e mordendomi con passione.
Sento un liquido colarmi lungo le cosce, il piacere è totalmente concentrato all’interno del mio sfintere sotto un costante attrito di carni, il peso del suo corpo e la forza delle sue mani ovunque, mi eccitano. Il suo odore impregna le mie narici annullando tutti quelli esterni e la mia volontà, i suoi occhi baluginano nella luce soffusa incantandomi e le sue parole straniere fomentano la mia lussuria.
Non ragiono più, i pensieri sono troppo stancanti per venire formulati, i muscoli non rispondono più ai miei comandi involontari e si abbandonano alla sua furia. Non so per quanto mi lascio penetrare, ma ad un certo punto percepisco lo scivolare del suo membro turgido dalle mie profondità morbide. Non mi sono nemmeno reso conto se sia venuto.
Lo vedo sorridermi ed accarezzarmi, mi sussurra parole di conforto e complimenti da amante. È statuario, la pelle bianca brilla di sudore ed emana potenza.
Sono oltre la stanchezza, sento le palpebre pesantissime ed il mio corpo pare intenzionato ad annegare fra i cuscini.
Con voce flebile lo imploro di lasciarmi dormire a casa sua perché non ho la forza di andarmene. Mi bacia teneramente le labbra e mi sussurra:

- Non preoccuparti Tommaso, riposati pure. Io dormirò nella mia camera, così non ti disturberò nel sonno. Grazie per ciò che mi ha donato stanotte. -

Senza ascoltare appieno le sue parole, crollo immediatamente in un sonno profondo.

Deboli raggi di luce solare fanno capolino dalle imposte alle finestre e scaldano leggermente le mie palpebre, illuminandone l’interno con bagliori arancioni e rossi.
Ho le labbra secche e la gola arsa, il primo pensiero è la consapevolezza di aver dormito poco e male; credo di avere avuto incubi confusi e sconclusionati. Tento un breve riepilogo mentale: immagini sfocate di battaglie combattute con spade ed alabarde, muri in fredda pietra e caminetti scolpiti con fiamme calde, visi di fanciulli in preda al piacere e alla sofferenza, occhi di ghiaccio…
La memoria onirica presto s’indebolisce e fa spazio a quella vigile. Comprendo dove mi trovo ed il motivo, con uno sforzo immenso mi alzo e cerco a tentoni il bagno.
È piccolo e minimale, non ha nemmeno uno specchio. Meglio così, devo essere uno straccio, mi sento stravolto e debilitato, forse anche un po’ dolorante. Con tutta quella furia….
Bevo a sorsate direttamente dal rubinetto per rifocillarmi e sciacquo il viso.
Vedo la porta chiusa della camera di Iván, busso per accertarmi se sia sveglio; vorrei parlargli e scusarmi per essermi addormentato di botto, magari mi unisco a lui nel letto.
Non ricevo risposta e con lenta attenzione abbasso la maniglia ed apro.
L’oscurità è totale, riesco a scorgere pochi centimetri davanti a me solamente grazie alla luce diffusa del resto della casa.
Il tempo che i miei occhi si abituino alle tenebre ed inizio a riconoscere delle forme che affiorano, c’è una finestra sprangata da assi di legno, un armadio antico ed un piccolo letto al centro, una cassettiera ospitante silhouette di vari oggetti, fra cui un’agghiacciante diorama di un teschio, forse un volatile.
Qualcosa non va.

- Iván… d-dove sei? – balbetto con una paura sempre più incalzante.

Con la coda dell’occhio vedo, fra le lenzuola scure, una mano bianca che si ritrae.
Un brivido gelido mi corre dall’osso sacro fino all’ultima vertebra in alto, drizzandomi tutti i capelli sulla nuca. Mi fiondo fuori da quella camera buia e sbatto la porta alle mie spalle.
Con una velocità mai avuta in tutta la mia vita mi rivesto alla buona, infilo gli anfibi senza allacciarli, afferro il borsone con le mie cose ed in un lampo sto saltando giù dalle ripide scale del sottotetto.
Mi butto in strada e corro come avessi un cane rabbioso alle calcagna. Senza guardarmi indietro mi perdo fra le viuzze del centro fino a raggiungere il primo corso ampio che conosco. Mi oriento e, senza pause, continuo a rotta di collo fino alla stazione.
Arrivo ai binari con un fiatone da record, controllo velocemente gli orari dal tabellone e mi butto sul primo treno disponibile per Milano, senza preoccuparmi di fare il biglietto.
Mi levo il cappotto rimanendo in t-shirt, ansante come un animale vecchio, occhi dardeggianti, fradicio di sudori freddi e scosso da brividi, tento di riprendere fiato sul sedile, mentre i rumori ed il leggero movimento della carrozza mi indicano che stiamo partendo. Sono salvo.
Qualche vicino di posto mi osserva con aria sospettosa ed infastidita, devo avere un aspetto sconvolto.
Provo a chiamare Marco dal cellullare, ma non risponde e mi rendo conto che non saprei nemmeno cosa raccontargli, a parte piangere ed urlare. Ma cosa è successo?
Non riesco a raccapezzarmi, flash della nottata appena trascorsa vorticano nella mia mente e dettagli inquietanti più recenti si mescolano in un turbinio di ansie. Ho la nausea.
Mi alzo per non dare di matto in pubblico ed entro nel bagno più vicino, chiudo la porta ed inspiro profondamente a palpebre chiuse.
Quando le riapro mi si para davanti sullo specchio una visione che avrei evitato volentieri.
Sono pallidissimo, ombre scure segnano i miei occhi ed ho un’aria deperita, quasi malaticcia, segni di succhiotti e lividi mi costellano le braccia; con mani tremanti sollevo la maglietta e vedo che tutto il mio corpo è martoriato da macchie scure e segni di morsi, attorno ad un capezzolo si può notare proprio la corolla di una dentatura.
Il terrore m’invade completamente quando scorgo al collo un ematoma violaceo con due fori incrostati da sangue raggrumato.
La mia mente urla in preda al panico mentre unisce tutti i puntini di ciò che ho vissuto dalla sera precedente fino a stamattina: al locale la sensazione di essere braccato, i suoi occhi di ghiaccio colmi di magnetismo animale, il riflesso mancante nel corridoio, la casa colma di anticaglie, le sue mani bianche ed il suo odore ipnotizzanti, i suoi denti nascosti, il suo succhiare…
Dalle profondità oscure del mio cervello una parola inizia a prendere forma… “vampiro”.
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