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Un giorno da puttana


di StefanieSalope
28.04.2023    |    9.935    |    6 9.7
"Un po' traballante, con le gambe stanche, il culetto dolorante, e anche la mandibola indolenzita, passeggiavo spedita verso l’hotel, sculettando senza..."
Io sono Vittorio!
Io sono Stefanie la Salope!
Io ero, anzi sarò sempre, la schiava dell’uomo che mi ha permesso di essere felice nella completa consapevolezza ed accettazione di tutte le facce della mia anima. Ancora oggi non esiste ordine del mio padrone che non eseguirei senza esitazione alcuna.

Ero Stefanie già da tempo quando, un lunedì, il Dottor Rodolfo mi comunicò che il sabato seguente saremmo andati a Roma per una presentazione a dei clienti del sud Italia. Mi disse di prenotare una suite matrimoniale presso l’hotel dove si sarebbe tenuto l’incontro, e si raccomandò di portare tutto il necessario per essere … Stefanie.
Io ero al settimo cielo perché mi aveva fatto prenotare una sola suite, quindi avrei dormito nella sua stessa camera, magari stando a fondo letto, potendo annusare i suoi piedi forti che tanto mi eccitavano. Sicuramente avrebbe usato il mio corpo per godere, rendendomi felice nella mia totale sottomissione.
Mentre viaggiavo in treno da sola, perché il Padrone sarebbe arrivato in aereo, pensavo alla mia vita, a come era cambiata nel giro di pochissimo e a quanto fossi felice in quel momento. Poi mi persi a ricordare i due giorni passati la settimana prima con Eleonora, a come stando con lei la mia parte maschile non sembrasse una maschera, ma solo una delle facce del mio IO.
A riportarmi alla realtà fu un messaggio del Padrone che mi ordinò di cambiarmi e di continuare il viaggio in treno come Stefanie. Ero eccitatissima e preoccupata perché non mi era mai successo di dover passare così tanto tempo come Stefanie in mezzo alla gente.
Con non poco sforzo riuscii a cambiarmi in quei bagni angusti ed a truccarmi abbastanza bene. Avevo un una gonna a portafoglio lunga fino a sopra il ginocchio color lavanda con giacca abbinata, un paio di decolletèe in tinta con l’abito, calze ed intimo bianco e una camicia in seta leggerissima bianca.
Quando tornai al mio posto, il signore seduto un paio di posti più in la mi disse: “Signorina guardi che quel posto è occupato”.
Imitando come sempre tono e modo di parlare della Signora Stefania gli risposi che il signore mi aveva ceduto il posto e gli mostrai il biglietto per poi sedermi con tutta la sensualità di cui ero capace.
Me ne stavo li, con le gambe accavallate immaginandomi come la mia Signora si sarebbe comportata in quel contesto, quando un uomo di poco più di trent’anni sedette di fronte a me. Non seppi resistere e, tenendo gli occhiali da sole e fingendo di guardare fuori dal finestrino, cambiai posizione alle gambe facendo in modo che quello sconosciuto potesse vedere le mie mutandine. Colsi nel segno perché cominciò a muoversi e a toccarsi tra le gambe. Ero eccitatissima ed avrei voluto poter far sesso con quello sconosciuto ma sapevo di non averne il permesso. Anzi, il padrone si era raccomandato di non dare nell’occhio perciò avevo sbagliato a provocare quel ragazzo e per questo sarei stata giustamente punita. Mi arrivò in quel momento un messaggio del Padrone che mi chiedeva se qualcuno si era già avvicinato, attratto da me. Ovviamente gli risposi di si oltre che a confessargli ciò che avevo fatto e lui mi rispose immediatamente impartendomi la punizione: "porta quel ragazzo in bagno, fatti sborrare in faccia e poi torna a sederti senza ripulirti, in modo che tutti possano vedere quanto sei puttana".
Abbassai leggermente gli occhiali guardando il ragazzo negli occhi mentre inumidivo le labbra con la lingua, in modo lascivo ed inequivocabile, prima di alzarmi e, per raccogliere la borsetta, mi chinai sbattendogli in faccia il mio culetto sodo. Mentre mi dirigevo in bagno notai con la coda dell’occhio che mi stava seguendo e, mentre ancora aprivo la porta della toilette, sentii la sua mano strizzarmi la natica e spingermi con forza all’interno per poi costringermi ad abbassarmi. In un attimo avevo già il suo uccello in mano, lo coprii con il gommino e cominciai a succhiarlo con passione, eccitata e vogliosa tanto che, in meno di cinque minuti, era già pronto a capitolare. Feci appena in tempo a togliere il preservativo quando, come ordinatomi dal Padrone, lo feci eiaculare sulla faccia, rimanendo a bocca aperta ma, fortunatamente, non schizzò granché e mi ritrovai con uno schizzetto sulla guancia destra, ed un altro po’ di sperma che colava dall’angolo della bocca.
“Sei proprio una brava succhia cazzi, spero di incontrarti ancora”. E se ne andò senza che io l’abbia mai più rivisto. Tornai al mio posto con il viso imbrattato ma il rossetto sistemato e scattai una foto che mandai al Padrone come prova della mia obbedienza.
Quando di li a poco un signore di circa 50 anni si sedette dove poco prima c’era seduto il ragazzo, cominciai ad agitarmi. Avrebbe notato lo sperma ormai secco sul mio viso? O magari era stato quel ragazzo di cui non conoscevo neppure il nome a farlo sedere li? Mi sentivo osservata e cercavo di evitare in ogni modo qualunque contatto sia visivo che fisico con quell’uomo che, anche se aveva parecchi capelli bianchi, era ancora prestante ed affascinante nel suo vestito blu molto elegante. Ero eccitata, volevo assolutamente assaggiare il suo uccello, sentirmi dire che ero una puttana e decisi di mandare un messaggio al Padrone dicendo che avevo sbagliato di nuovo. Mi rispose di portare anche lui in bagno, di farmi sodomizzare e poi di farlo eiaculare sulla giacca per tornare al mio posto senza pulirla, in modo che chiunque potesse vedere quanto ero sgualdrina. In più volle che, mentre mi facevo sborrare addosso, mi facessi un video.
Neppure quell’uomo si fece pregare e in men che non si dica ero ancora in quel bagno, con un altro uccello in bocca. Mentre lo succhiavo mi tolsi il plug che avevo fin dalla mattina, infilai il preservativo con la bocca, e lasciai che mi sodomizzasse. Non ebbe nessuna delicatezza e mentre mi inculava grugniva come un maiale fino a quando, come gli avevo chiesto, mi avvisò quando stava per venire e feci appena in tempo a togliergli il preservativo che venne con tre potenti schizzi. Il primo mi centrò la bocca, mentre gli altri due si riversarono sulla mia bellissima giacca. Mentre mi riprendevo con il telefono, lui strusciò il suo uccello sulla mia spalla e si rivestì. Prima di uscire dal bagno, mentre mi guardavo allo specchio, mi buttò 50 euro sul lavandino e mi disse che me li ero meritati, per poi andarsene senza dire altro.
Quindi era così che si sentivano le prostitute? Non credo perché io ero eccitata, quasi esaltata e l’idea di rimanere tra la gente con lo sperma ben visibile sul mio abito aumentava il mio piacere. Mi sentivo una sgualdrina, una vera battona e volevo avere dei nuovi clienti. Mandai il video e le foto al Padrone, spiegando che ero anche stata pagata e lui mi rispose che da quel momento, fino all’arrivo a Roma, ero libera di prostituirmi.

Ero libera di farmi scopare da chiunque e succhiare tutti gli uccelli possibile e così decisi di attraversare tutto il treno per andare al vagone ristorante, dopo aver tolto la giacca e rifatto il trucco. Attraversai tutto il treno, sculettando come una vera puttana, ammiccando agli uomini e godendomi la loro eccitazione. Ogni volta che arrivavo alla toilette mi fermavo, aspettando che qualche maiale si facesse avanti. Pensavo che sarebbero arrivati solo vecchi panzoni ed invece i primi due erano due ragazzi poco più che ventenni. Mi chiesero quanto volevo per un pompino e dissi loro che volevo 100 euro a testa altrimenti potevano andarsene. Dissero subito di si e mi ritrovai in bagno con quei due giovani piselloni che in meno di cinque minuti inondarono la mia bocca di sperma cremoso, sapido e gustoso, dissetandomi e facendomi sentire troia. Misero i 200 euro sul lavandino e corsero via come due ladruncoli, facendomi sorridere.

Incontrai altri due uomini sulla quarantina che mi pagarono 150 euro per un pompino con ingoio mentre gli infilavo due dita nel sedere. Ormai ero appagata, avevo bevuto un bel po’ di sperma, guadagnato oltre 500 euro e per arrivare a Roma servivano ancora due ore. Quando arrivai al bar del vagone ristorante trovai solo il barista che era un signore di almeno 60 anni, con un viso magro e lungo e con occhiali abbastanza spessi. La sua bruttezza sparì appena cominciò a parlarmi con quell’accento tipicamente romano e la gioiosità di un bambino. Mi riempì di complimenti, mi disse che raramente aveva visto ragazze così affascinanti durante i suoi turni. Volevo ricambiare la sua gentilezza e, dopo aver preso da mangiare e da bere, dissi che non avevo soldi per pagare ma, ammiccando come una battona, gli offrii il mio corpo per saldare il debito. Sapevo che avrebbe accettato ma non mi aspettavo mi facesse entrare nella zona cucina che era un ambiente abbastanza angusto ma molto illuminato.
“Idris, vieni qua che abbiamo una puttana che vuol pagare in natura”.
Arrivò un uomo alto, con la pelle d’ebano, due spalle così larghe da passare a fatica in quella cucina e nel suo italiano stentato rispose: “Era tanto tempo che non succedeva. Facciamo come sempre, io scopo e tu pompino”.
Ero terrorizzata, non tanto perché sarei stata sodomizzata da quell’omone, ma perché non aveva capito che non ero una donna vera. Quando abbassò i pantaloni e tirò fuori quella mazza restai sorpresa, senza parole: non ne avevo mai vista una così grande.
“Hai visto che proboscide il nostro Idris? Lo dico sempre che dovrebbe fare i film porno, ma dice che sua moglie non vuole”.
Mentre parlava il barista mi infilò la mano tra le cosce e, oltre al plug, scoprì il mio … segreto.
“Idris, niente figa, qui abbiamo un bel travestito. Ti tocca rompergli il culo”.
“Per me non è un problema. Culo è sempre culo”.
Mi inginocchiai per prendere i loro membri in bocca e rimasi stupita delle dimensioni del vecchio barista, oltre che del suo vigore. Li sentivo crescere nella mia bocca, tra le mie mani e pensavo a cosa avrebbe fatto al mio culetto quell’arnese gigantesco che a stento riuscivo a infilarmi in bocca. Ero in balia di quei due che mi presero come un bambolotto ritrovandomi in bocca l’uccello del barista mentre sentivo Idris usare non so cosa per lubrificare la mia rosellina prima di sentire il suo cazzo enorme cercare di entrare. Il dolore iniziale fu terribile, facendomi sentire ancora più piena di quando Paul ed il suo amico mi penetrarono in due. Era enorme, duro come il ferro e, dopo un inizio abbastanza delicato, cominciò a spingere con forza, sempre crescente, sempre più in profondità. Lo sentivo nelle viscere e credevo mi avrebbe spaccata del tutto, ma dopo i primi momenti cominciai a godere di quell’enorme cazzo dentro di me; avevo il culetto pieno e la bocca scopata dal vecchio e mi sentivo esattamente come volevo e cioè una sgualdrina che vende il suo corpo; avrei tanto voluto lasciarmi andare ed eiaculare anch’io ma sapevo di aver già sbagliato e non volevo disubbidire ancora al mio Padrone.
Lo sperma del barista mi arrivò direttamente in gola mentre Idris non riuscì a fermarsi in tempo e tutto il suo nettare finì nel preservativo. Ne produsse una quantità assurda e, quando avidamente lo riversai nella mia bocca, si riempì.
“Questo sarà uomo, ma è una grande puttana” e tirarono fuori 50 euro a testa. Rifiutai, perché mi ero concessa proprio per pagare il pranzo, ma loro vollero comunque pagarmi e dicendomi che “vali molto di più di quel pranzo”.

Come mi aveva ordinato il Padrone lo avvisai quando mancava circa mezz’ora alla stazione Termini e la risposta arrivò immediata: "Rimani Stefanie e vai in albergo".
Ero sconvolta! Come avrei potuto accedere alla camera così? I miei documenti mi mostravano come Vittorio e poi, con i vestiti macchiati, come potevo girare per Roma? Ma il padrone aveva ordinato e io dovevo eseguire per cui cercai di dare una leggera pulita alla giacca, con un po' d’acqua, e mi rifeci completamente il trucco.

Quando scesi dal treno mi sentivo gli occhi di tutto il mondo addosso e mi stavo eccitando a dismisura. Pensavo a quanti avessero capito che ero una travestita, a quanti si immaginavano di fare sesso con me, a quanti pensavano che ero una gran bella sgualdrina. Me ne andai eccitata, sculettando, verso i taxi da cui mi feci portare all’albergo.

Il concierge, un bell’uomo di circa 30 anni, o forse 35, guardando il mio documento fece un mezzo ghigno e mi disse: “Benvenuta, spero che passerà un buon soggiorno presso di noi e … se avesse bisogno di me … non esiti a chiavarmi … ehm mi scusi, volevo dire chiamarmi”.
Risposi con un semplice sorriso e mi allontanai sculettando per raggiungere la suite mentre pensavo a Luigi, questo il nome sulla targhetta del concierge che, pur sapendo perfettamente che ero un uomo, si era rivolto a me come una donna a cui rivolgere battute volgari ed esplicite, come ad una puttana. Avrei tanto voluto premiarlo, ma non avevo il permesso.

La suite era veramente grande, composta da una camera matrimoniale con un letto enorme ed una zona giorno con un divano letto, un tavolo con delle sedie, due belle poltrone in pelle ed un mobiletto bar rifornito di tutto.
I bagni erano due ed io usai quello della zona giorno, lasciando il più grande e bello al Padrone, per farmi subito una doccia e un bel lavaggio anale, così da essere perfettamente pulita e profumata al suo arrivo. L’unica indecisione era se farmi trovare già come Stefanie o come Vittorio. Decisi che la cosa migliore era mi trovasse come Stefanie e, se la scelta fosse stata sbagliata, avrei subito la giusta punizione.

Ero seduta su una sedia, con un tailleur grigio, camicia bianca e calze nere, oltre alle immancabili decollete nere tacco 12, ed aspettavo il mio Padrone. Pensavo al viaggio in treno, alla sensazione di essere pagata per fare sesso, a come mi piacesse che qualcuno fosse disposto a pagare per potermi usare, pensavo a quel gioco di parole di Luigi che dimostrava che, evidentemente, ero bella e provocante, come voleva il mio Padrone.
Quando entrò in camera, erano circa le 17:00, mi guardò per un attimo, sorrise, e mi chiese senza tanti convenevoli se mi era piaciuto fare la puttana. Risposi di si mentre mi inginocchiavo davanti a lui, nella speranza mi facesse baciare il suo bellissimo membro ma così non fu.
Mi ordinò di sistemare le sue cose nella camera mentre lui si faceva la doccia e, quando uscì, mi ordinò di vestirlo mentre lui era al telefono. Era la prima volta che lo facevo, ed ero estasiata. Gli mettevo i calzini, gli infilavo le mutande e con delicatezza gli toccai il membro per adagiarlo correttamente, trattenendo l’istinto di prenderlo subito in bocca. Gli infilai la camicia e, mentre la abbottonavo, ero ammaliata della sua voce, dalla sua bocca, dai suoi occhi, e dalle sue mani che sapevano essere forti e delicate allo stesso tempo.

Una volto pronto uscì immediatamente ma prima mi disse che la riunione si sarebbe tenuta nella suite e quindi avrei avuto tempo fino alle 18:30 per mangiare perché, alle 19:00, doveva essere tutto pronto, compresa la presentazione e i documenti da far firmare ai clienti, ma soprattutto sarei dovuta rimanere … Stefanie.
L’agitazione saliva velocemente perché non mi aveva mai fatto assistere ad una riunione o ad una presentazione come Stefanie e temevo di metterlo in imbarazzo, o di sbagliare qualcosa deludendolo. Indossai immediatamente la mia gabbietta, così da non rischiare eccitazioni visibili, ed il plug che mi faceva restare rilassata; decisi anche di non cenare, così da avere tutto il tempo per preparare tutto come ordinatomi.

Il Padrone arrivò alle 21:30 con tre signori sulla sessantina. Uno, il sig. Cosimo, era alto, con due spalle larghissime e un po' di pancetta, e uno sguardo magnetico ed anche inquietante. Il Sig. Calogero invece era un ometto poco sopra il metro e sessanta, decisamente in forma, con un sorriso sornione e lo sguardo malizioso. Il Sig. Antonio, invece, era un uomo alto circa un metro e ottanta, con una pancia prominente, senza capelli e con uno sguardo vitreo, torvo, malvagio, che mi metteva a disagio.

Dopo i soliti convenevoli il Padrone invitò gli ospiti ad accomodarsi, offrì loro da bere e disse:
“Bene signori, sono qui non solo a proporvi i nostri prodotti ma, come promesso, vi ho portato il cadeaux richiesto”.

Quindi io ero li come regalo per quegli uomini? Avrei fatto la puttana per il mio Padrone, avrei fatto qualcosa di importante per lui perché, se fossi stata brava, probabilmente quegli uomini avrebbero firmato i contratti dando la possibilità all’azienda del mio Padrone di espandersi.

Il sig. Antonio mi fissava con i suoi occhi vitrei e chiese se era proprio come richiesto e, quando su ordine del Padrone alzai la gonna mostrando il mio uccellino chiuso in gabbia, vidi un lampo di compiacimento attraversare i suoi occhi. Quegli uomini avevano espressamente richiesto una come me e, anche se non mi spiegavo il perché, sentii brividi di eccitazione invadere il mio corpo.

Mi fu ordinato di spogliarmi tenendo solo calze e scarpe e di andarmi ad inginocchiare sul letto finché, dopo pochi minuti, arrivò il Sig. Cosimo che mi ordinò di tirarglielo fuori dai pantaloni e di leccarlo; non era particolarmente grande ma, vista l’età, era decisamente tonico e reattivo. Subito dopo arrivò il sig. Calogero che in un attimo era nudo sul letto mentre toglieva il plug e infilava il suo pene. Non l’avevo visto ma lo sentivo perfettamente penetrarmi con forza ed era decisamente grosso anche se, dopo aver preso l’uccello di Idris, nulla mi provocava dolore, ma solo piacere. Mi stavano scopando la bocca ed il culetto e li sentivo grugnire, li sentivo dire che ero proprio una brava puttana, una brava succhia cazzi con il culo sfondato. Calogero e Cosimo giocarono con me per almeno una mezz’ora prima di tentare di penetrare contemporaneamente la mia rosellina e quando ci riuscirono cominciai a godere anch’io, sentivo le prime goccioline uscire dal mio uccellino, li incitavo a spingere, mi leccavo le labbra e guardavo il Padrone e il sig. Antonio ancora seduto al tavolo. Come avrei voluto che il Padrone mi riempisse la bocca e mi sfamasse con il suo sperma, ma ciò non avvenne, in compenso, prima il Sig. Calogero e poi il Sig. Cosimo, eiacularono copiosamente nella mia bocca facendomi assaporare il loro odore di maschio ed il gusto del mio culetto.
Appena ingoiai il loro sperma il sig. Antonio si alzò in piedi, con una bottiglia di champagne e disse: “I contratti sono firmati, adesso si festeggia!”; la stappò, ne versò ai suoi soci ed al Padrone e poi disse: “Adesso tocca a me divertirmi con la puttana”. Si avvicinò con la bottiglia in mano, mi ordinò di aprire la bocca e vi versò un po' di champagne che colò dalla bocca sul mio petto e poi sul mio uccellino ancora in gabbia; mi ordinò di toglierla e di mettermi a pecorina. Pensavo volesse penetrarmi con il suo uccello, che in verità era piccolissimo, ed invece infilò il collo della bottiglia nella mia rosellina e cominciò a spingere, facendomi sentire lo champagne che inondava il mio ventre e le bollicine mi davano una strana sensazione, incredibilmente eccitante, perversa; godevo immaginando il mio aspetto con quella bottiglia di costosissimo champagne nel mio culetto e a quanto buono doveva essere una volta espulso; come se mi avesse letto nel pensiero il sig. Antonio tolse la bottiglia e raccolse parte dello champagne che uscì a spruzzi dal mio buchetto in un bicchiere. “Bevi puttana”, mi ordinò, ed io ubbidii prontamente assaporando quel miscuglio di champagne e umori anali.
I suoi occhi continuavano a mettermi a disagio e non capivo il perché fino a quando mi colpì con un ceffone fortissimo. Il bicchiere cadde sul letto e subito dopo mi colpì di nuovo. “A questa puttanella piace sentire dolore, lo vedo dagli occhi, e poi non vorrai deludere il tuo padrone vero?”; mentre lo diceva mi stava tirando i capelli all’indietro, quasi strappandoli per poi sputarmi in bocca. Subito dopo, mettendomi con il culetto in alto e la testa appoggiata al letto, schiacciata sotto il suo piede puzzolente, cominciò ad infilare le sue dita nel mio culetto, aggiungendone una alla volta fino a quando, provocandomi non poco dolore, penetrò la mia rosellina con tutta la mano, fino al polso; credevo mi stesse strappando le carni ma tutto quel male si tramutò in piacere quando sentii la sua mano stringersi in un pugno che si muoveva dentro di me. Credevo di impazzire perché non sapevo più controllare il piacere che quell’incredibile dolore mi provocava. Sono certa che avesse precipito il mio piacere perché tolse il piede dal mio viso e mi infilò il suo alluce in bocca. Avrei dovuto provare ribrezzo per quel dito tozzo e poco pulito, ma in realtà godevo della mia totale sottomissione, sentivo lo sguardo compiaciuto del mio Padrone e lo succhiavo come se fosse l’adorato membro dell’uomo a cui ero devota.
Con sadico calcolo, quando aveva capito che il mio piacere era assoluto, sfilò il braccio dal mio culetto per sputarci dentro, facendomi percepire la sua saliva calda entrare in profondità, da tanto fosse ormai dilatato, poi mi prese di nuovo per i capelli trascinandomi giù dal letto infilandomi in bocca il suo cazzettino piccolo e tozzo che, in meno di cinque minuti, riversò il suo seme acido, viscoso e disgustoso sulla mia lingua.
Sapevo di non dover deludere il Padrone e lo ingoiai trattenendo a stendo un conato di vomito mentre venivo obbligata nuovamente a leccare quei piedi puzzolenti e mi chiedevo perché il mio Padrone mi lasciasse in balia di quel porco, ma subito mi pentii. In quel momento io ero solo una puttana, come mi permettevo di pretendere qualcosa? Lui mi aveva già dato tutto ed io dovevo solo ubbidire; così mi impegnai al massimo nel leccare quei piedi, senza pensare se erano belli o brutti, ma solo che mi stavo rendendo utile per il mio Padrone. Anche le cinghiate sul sedere non mi crearono problemi, anzi mi eccitarono fino a quando mi trascinò nuovamente per i capelli sul letto. Mi fece coricare e montò in piedi sopra di me, facendosi leccare il suo sedere peloso mentre mi strizzava le palline e menava il mio uccello. Quando si alzò pensavo fosse finita ed invece arrivò il momento più difficile: “Fammi sentire come scopi troia” … e prese in mano il mio uccello penetrandosi da solo. Fortunatamente, anche grazie ad Eleonora, avevo imparato a controllare sia l’eiaculazione che l’erezione per cui non fu difficile per il signor Antonio sodomizzarsi con il mio uccellino.
“Dai troia, fammi sentire che mi sborri in culo, muoviti!”. Anche se non mi era stato dato il permesso esplicitamente dal Padrone, decisi di eseguire e, come sempre, schizzai abbondantemente, pensando a … Eleonora.
Quando il sig. Antonio sentì che avevo finito di schizzare, rimontò in piedi sul letto, si mise sopra la mia faccia e mi ordinò di aprire la bocca, per appoggiarvi sopra il suo sedere e … spruzzarvi aria e sperma. Mi sentivo una latrina, sporca ma allo stesso tempo appagata perché il Padrone, con gli altri due soci del Sig. Antonio, mi guardava compiaciuto. Tutti e tre urinarono sopra di me mentre si complimentavano con il Padrone per avergli trovato quella lurida puttana.

Mentre i clienti del Padrone se ne andavano, io ero rimasta in ginocchio, ai piedi del letto, con ancora lo sperma e l’urina sul mio corpo e tra i capelli. Anche questa volta mi era piaciuto sentire quei getti caldi colpirmi, lordare il mio corpo, finire nella bocca; mi sentivo esattamente come volevo: un semplice oggetto nelle mani del mio Padrone.
Quando tornò mi fissò per qualche secondo prima di parlare: “oggi ti sei prostituita. Questa mattina per il tuo interesse e piacere, questa sera per il mio tornaconto, quindi immagino di doverti pagare”.
Alzai lo sguardo, consapevole di avere il trucco sfatto e di essere sporca e puzzolente, ma i suoi occhi non mi guardavano con disprezzo ma, forse, con piacere ed orgoglio. Gli risposi che io ero la sua schiava e nulla mi era dovuto.
“Stai imparando, brava. Ora lavati, indossa ciò che troverai sul tavolo e raggiungimi nella camera a fianco con le mie valigie”, e se ne andò senza aggiungere altro.

Il più velocemente possibile mi lavai a fondo, completamente, anche dentro la mia rosellina perché avevo ancora speranza che il mio Padrone mi avrebbe usata, che avrei goduto del suo cazzo. Nella scatola trovai una minigonna cortissima nera, un reggiseno imbottito bianco ed un top bianco, oltre ad un paio di stivali che mi arrivavano al ginocchio, in vernice nera, con un tacco a spillo in metallo da 15 cm; sembrava l’abbigliamento di una battona e decisi di truccarmi di conseguenza tanto che, guardandomi allo specchio, eccitavo me stessa da quanto ero volgare, esplicita.

Quando entrai nella camera con le valigie il Padrone mi porse uno spolverino bianco che mi copriva fin sopra le ginocchia e mi disse semplicemente: “Seguimi puttana”.
Lungo il tragitto con il taxi, senza dire una sola parola, mi prese la testa e tirò fuori il suo bellissimo membro e, senza un attimo di esitazione, lo ingoiai completamente, perché bramavo quel momento da giorni e, mentre lo leccavo adorante, sentii il tassista chiedere al Padrone dove avesse trovato una battona bella e brava come me. Il Padrone rispose che se l’era portata da casa e che, se avesse voluto, mi avrebbe potuto provare nel cinema dove ci stava portando, in cambio della corsa.
Il tassista, un siciliano sulla sessantina, rispose che si sarebbe accontentato di un pompino in macchina mentre guidava ed il Padrone acconsentì; passai sul sedile anteriore e cominciai a succhiargli l’asta che aveva in mezzo alle gambe, dopo avergli infilato il preservativo. L’odore di maschio era veramente pungente ma mi piaceva perché sapevo che il Padrone mi stava guardando e quando sentii la mano spingere la mia testa, aumentai la velocità della mia bocca, sentendo il pene del tassista gonfiarsi, pulsare, fino a quando raggiunse l’orgasmo.
“Caro mio, questa mangia cazzi ci sa proprio fare. Peccato che non possa fermarmi al cinema!”
“Lei sarà la fino all’una, nel caso dovesse farcela, le farà certamente uno sconto”.
Ero sconcertata da me stessa perché quella situazione, quel sentirmi venduta per pochi euro dal mio Padrone, mi eccitava da impazzire, facendomi sentire una vera sgualdrina, docile e sottomessa. Il cinema aveva in cartellone un vecchio film di Moana Pozzi, Bella di giorno, e quando entrammo riuscii a vedere solo quattro persone sparpagliate nei quattro angoli, mentre noi ci sedemmo nella fila centrale dove, tra i nostri sedili e quelli davanti, passavano almeno tre metri. Appena le luci si spensero il Padrone mi rimise il suo cazzo in bocca, ma era tanta la voglia che avevo di lui che subito mi accovacciai a terra, davanti a lui, per poter fare il miglior pompino possibile. Lo leccavo, per poi passarmelo sulle labbra socchiuse e la punta della lingua che dava dei colpetti fino alla cappella per poi ingoiarlo tutto, con la lingua fuori così da solleticare i testicoli del Padrone. Dopo poco meno di 10 minuti un uomo si sedette al suo fianco bisbigliandogli qualcosa all’orecchio. La conversazione durò per un po’ fino a quando lo sconosciuto estrasse dei soldi dal portafogli e se ne andò.
“Ti ho venduta per 500 euro a tre uomini. Potranno fare di te ciò che vogliono per i prossimi trenta minuti, ma tutto con il preservativo. Potranno sborrarti in faccia, ma non in bocca, e niente piscio, per ora. E’ tutto chiaro?”
“Si Padrone, grazie Padrone”. Stavo per alzarmi quando mi fermò e mi disse: “non hai il collare, puoi scegliere se farlo o no”. Gli risposi che non mi serviva il collare per essere la sua schiava, perché io ero felice di esserlo e di ubbidire”. La sua espressione compiaciuta mi rese felice e mi eccitò a tal punto che il mio uccellino dava decisi segni di erezione.

Quando entrai in bagno vidi tre uomini nordafricani già con i membri in mano, non ancora completamente in tiro. Io non dissi nulla, mi misi in ginocchio tra di loro e comincia semplicemente a prenderli in mano e, quando pronti, infilai ad ognuno di loro i preservativi. Cominciai a succhiarli, a lasciarmi scopare la bocca mentre con le mani mi lavoravo gli altri. “Ma nessuno vuole il mio culetto?” dissi guardandoli maliziosa. Il più grosso dei tre mi alzò la mini, spostò il filo delle mie mutandine e cominciò a spingere. Anche se non avevo messo il plug, la mia rosellina era ancora bella aperta da tutte le penetrazioni di quella stupenda giornata, e fu subito piacere. Avevo il mio sederino pieno e due uccelli da succhiare che si alternavano. Era un piacere senza sosta fino a quando sentii qualcuno bussare e dire “ancora cinque minuti”. Tutti e tre mi presero con foga sia nel culetto che in bocca e, man mano che raggiungevano l’orgasmo, riversavano sul mio corpo il loro sperma. Lo avevo in faccia, tra i capelli, sulla gonna e sul top. Quando uscirono entrarono altri due uomini, molto più anziani, forse di oltre settant’anni, malvestiti e puzzolenti che mi dissero che avevano pagato per una inculata e per un pompino. Io mi sistemai a novanta e presi subito in bocca il pene del più basso tra i due. Il suo uccello, anche se aveva una strana forma schiacciata in punta, era sufficientemente grande, ma non come quello del più alto che, quando mi entrò nel culetto, si fece sentire in tuta la sua durezza e prestanza; solo quando elogiò la qualità della “pastiglietta” azzurra che aveva preso poco prima capii il perché i cazzi di quei due anzianotti fossero così attivi. Dopo oltre dieci minuti sentii il vecchio che mi sodomizzava godere mentre era ancora dentro di me, mentre l’altro fu tempestivo a schizzarmi in faccia. Prima di uscire mi dissero: “il tuo protettore ha detto di tornare da lui”.

Mi sistemai gli abiti succinti e lasciai gli schizzi di sperma sulla mia pelle prima di tornare in sala al mio posto. Il Padrone mi aspettava ed io mi inginocchiai davanti a lui per riprendere a succhiare il suo pene ma lui si alzò e mi disse di seguirlo verso l’uscita, dove incontrammo il tassista con in mano dei soldi. Erano almeno 1000 euro e mi chiedevo cosa avrei dovuto fare per meritarmi così tanti denari. Fuori dal cinema girammo in un vicolo in fondo al quale una insegna al neon recitava “Locanda La Lupa”. Entrammo e nella saletta che fungeva da reception c’erano almeno otto ragazzi di colore che parlavano in modo a me incomprensibile. Capii dal tassista che era un hotel a ore dove le prostitute andavano con i clienti e che c’erano parecchi negroni che faticavano a trovare una puttana alla loro portata per cui io avrei dovuto soddisfarli. Mi ritrovai in una stanza in penombra, dentro la quale trovai due uomini corpulenti, già con i membri in mano eccitati. Il primo volle subito il mio culetto e, devo ammettere, la sensazione di farsi scopare da degli sconosciuti senza neppure parlare era strana ma allo stesso tempo intrigante. Venivo presa e sodomizzata con forza, a volte quasi con violenza, ma ormai la mia rosellina era così aperta che, forse, solo il pene di Idris avrebbe potuto farmi ancora male. Sentire tutti quei membri diversi abusare del mio culetto mi eccitava e il mio uccello era sempre in tiro, volevo prenderlo in mano, masturbarmi, godere, ma non avevo il permesso, anche se era così pieno di piacere da farmi male.
Non so quanti ne presi perché quando ero arrivata a contarne venti persi il conto, anche se molte altre persone usarono il mio culetto per divertirsi, ed altrettante vollero godere della mia bocca. Quando il tassista entrò di nuovo disse semplicemente “Adesso tocca a me” e con forza mi sbatté su tavolo , a pancia in su e cominciò a scoparmi, anche lui con forza mentre con la mano mi masturbava. Io cercavo di fermarlo fino a quando mi disse: “il tuo pappone ha detto che adesso puoi sborrare anche tu” e così mi lasciai andare fino a godere con tutta me stessa, con la consapevolezza di essere una sgualdrina, una puttana da bassifondi perché così aveva voluto il mio Padrone e, se mi aveva concesso di godere, significava che era soddisfatto di me. Il tassista stava per eiaculare e io, pensando nuovamente ad Eleonora, ebbi un nuovo orgasmo i cui schizzi raggiunsero il mio collo e mi imbrattarono quei pochi vestiti che avevo. Lo stesso tassista schizzo con impressionante vigore su di me.
“Sei proprio la più troia che abbia mai visto”. Si alzò i pantaloni e mi lasciò li, con il mio buchetto che bruciava intensamente, ma non tanto come la mia anima felice e soddisfatta.

Quando tornai all’ingresso il guardiano notturno mi lasciò un biglietto del Padrone: “E’ da stamattina che fai la troia e, come le brave puttane, te ne ritorni da sola”. Sapevo di essere vicina all’hotel ma temevo sia per la mia incolumità, sia per cosa avrebbe detto il concierge quando mi avrebbe vista entrare in quelle condizioni, con gli abiti imbrattati di sperma come il mio corpo ed i capelli, senza contare che non avevo con me lo spolverino. Cercai di sistemarmi il più possibile i capelli e il trucco, per darmi una parvenza di umanità e mi incamminai.

Un po' traballante, con le gambe stanche, il culetto dolorante, e anche la mandibola indolenzita, passeggiavo spedita verso l’hotel, sculettando senza alcun pudore tanto che, ogni venti passi, dovevo abbassare la minigonna. Mi sentivo stanca come non mai perché, dopo tutto, dalla mattina in treno ad adesso il mio culetto e la mia bocca avevano soddisfatto almeno cinquanta cazzi, uno diverso dall’altro e, anche se non sapevo se erano tanti o no per una battona, mi sentivo proprio come tale. Ero appagata ed ancora eccitata, sculettavo sempre di più su quei tacchi fino a quando mi si piazzarono davanti due energumeni che pensavo fossero barboni da tanto puzzavano.
“Ehi bella troietta, cosa ne dici di prendere gli ultimi soldini?”
“Scusatemi ma sono veramente stanchissima” … fui colpita da uno schiaffo fortissimo e poi sentii della mani afferrarmi per le gambe e per le braccia e trascinarmi poco lontano dalla strada.
“Se gridi ti mettiamo nel camion dell’immondizia e ti schiacciamo lurida puttana. Cos’è ti fanno schifo quelli che raccolgono la merda?”
Piagnucolando dissi che non volevo offenderli, che ero solo veramente stanca e che ero pronta a soddisfarli il più possibile e dopo avrebbero deciso loro se pagarmi o no.
“Hai visto Karim, te lo avevo detto che questa è una battona”.
Tirarono fuori i loro cazzi che, per fortuna, non erano troppo grossi e comunque molto più puliti di quanto mi aspettassi e mi fecero inginocchiare per spompinarli; ci stavo mettendo tutta la passione che potevo, assecondandoli anche quando mi chiesero di leccare i loro culi pelosi mentre continuavo a masturbarli con le mani. Mentre erano piegati in avanti, tenendo i loro membri stretti tra le mie mani, mi sentivo potente, quasi dominante e fu in quel momento che, scioccamente, dissi: “E se fossi io ad inculare voi?”. Quello che avevo capito chiamarsi Karim si girò e mi colpì con un calcio tra le gambe provocandomi un dolore fortissimo che partiva dal mio pene e saliva fin dentro le mie viscere. Mi piegai a terra, appoggiando la mia faccia nella fanghiglia fino a quando mi prese per i capelli, mi sputò in faccia e mi disse: “Se volevo un frocio che mi inculava non chiedevo a te lurida puttana, e adesso ti fai spaccare il culo prima che ti ammazzo”. Ero terrorizzata, ma anche eccitata in maniera malsana e non riuscii a trattenermi nel suggerire che mi sodomizzassero contemporaneamente, così da farmi perdonare. Karim si stese a terra, io presi in mano il suo pene e lo infilai nel mio buchetto per poi abbassarmi ed invitare l’altro a scoparmi; immediatamente si abbassò e in un attimo riuscì ad entrare, senza trovare molta resistenza da tanto la mia rosellina era stata sfondata quella sera. Li sentivo muovere dentro di me, sapevo che in fondo mi stavano stuprando, ma la verità è che io volevo essere trattata così, sentivo di dover essere punita perché, se il Padrone mi aveva lasciato da sola, era perché avevo sbagliato qualcosa, e quella consapevolezza, quella punizione, mi stava facendo godere. Karim mi sputava in bocca e in faccia, mi strizzava i capezzoli e mi dava dei piccoli morsi sul collo e sulle spalle, mentre l’altro mi dava delle sberle sulle natiche decisamente forti e … eccitanti. Dopo non meno di dieci minuti, in cui mi sodomizzarono prima contemporaneamente e poi uno alla volta, raggiunsero l’orgasmo nei loro preservativi. Quando finirono mi riversarono il loro sperma sul viso e sulla schiena per poi urinare su di me, bagnandomi completamente la minigonna e il top che avevo ancora addosso. Appena se ne andarono camminai il più velocemente possibile verso l’hotel pensando in modo inquietante a quanto mi eccitasse sentire il piscio caldo bagnare il mio corpo dopo essere stata usata.

Erano le tre di notte quando, arrivata quasi davanti alla porta dell’hotel, mi squillò il telefono: “Entra dalla porta degli inservienti, sul retro dell’hotel, e vai nella suite”.
Non ebbi la forza di rispondere e mi diressi sul retro dove c’era una piccola porta aperta, ed un paio di ragazzi vestiti da operai che fumavano.
“Ehi tutto ok signorina?” mi chiese con l’area preoccupata uno dei due. Risposi che era tutto a posto e che mi era stato detto di entrare da li; subito mi lasciarono passare ma, mentre percorrevo un piccolo corridoio, sentii l’altro dire: “Ecco un’altra di quelle riccone che vanno in giro a fare le troie con i poveracci perché i loro mariti non sanno scoparle”. Quelle parole mi esaltarono perché, anche in quelle condizioni pietose, mi avevano scambiato per una donna, anzi per una riccona, dimostrandomi che oltre ad essere bella e femminile, avevo anche una certa eleganza, una sorta di fascino perenne come le donne di classe, e quella consapevolezza mi regalò nuova forza e nuova eccitazione. Lungo il percorso fino alla suite non incontrai anima viva fino a quando entrai scoprendo il Padrone seduto su una delle poltrone, in penombra, con un bicchiere di whisky in mano, come se mi stesse aspettando.
“Eccomi Padrone, perdonatemi se ci ho messo tanto ma lungo il tragitto … ho avuto dei problemi”
“Avevano il preservativo almeno mentre ti rompevano il culo?”
“Si Padrone, nessun contatto diretto né in bocca né nel culetto”
“Lavati e preparati per la notte”
Andai in bagno e finalmente riuscii vedere come quella serata mi aveva ridotta: i capelli erano impiastricciati e lo sperma era chiaramente visibile, come le chiazze giallastre su gonna e top. Il viso ed il corpo sembravano puliti, ma l’odore di urina mi ricordava quanto mi avessero lordato quella sera. La doccia mi rigenerò e lavò via tutto ciò che non volevo, lasciando l’umiliazione, la sottomissione e quella percezione di femmina che tanto mi eccitava e mi dava soddisfazione. Decisi di non asciugarmi i capelli ma di truccarmi in modo leggero ad esclusione delle labbra sulle quali stesi il rossetto che mi aveva regalato la Signora Stefania e che sapevo quanto piacesse al mio Padrone. Quando uscii, con i capelli bagnati, le mutandine, il mio seno di silicone sotto la vestaglietta in tulle nera, rimasi a bocca aperta perché c’era Eleonora che stava cavalcando il mio Padrone, gemendo, inarcando la sua sensualissima schiena, stringendo la sua testa tra le sue bellissime tette.
“Ecco la puttana. Lo sai che oggi ha guadagnato oltre 1500 euro a forza di far marchette? Visto che vuoi che te la presti di nuovo è bene che tu lo sappia perché è l’ultima volta che mi accontento di ricevere in cambio una scopata”.
Eleonora, mentre il Padrone parlava, stava godendo e i suoi umori cominciarono a colare bagnando il divano e le gambe del padrone.
Chiesi il permesso di leccarli e subito cominciai a passare la mia lingua tra le gambe del Padrone e sul culetto di Eleonora, provocandole un evidente piacere. Lei era li che si concedeva, che faceva la puttana per potermi avere, per pagare il mio noleggio; ero pazza di gioia e sentivo un sentimento per quella donna che non capivo, ma mi piaceva.
“E adesso inculala!” l’ordine del Padrone fu talmente perentorio che quasi mi spaventò e lo eseguii all’istante. Era la prima volta che penetravo Eleonora analmente e, la sensazione di piacere, mentre lentamente sentivo il mio uccello entrate in quello stretto pertugio, fu meravigliosamente appagante. Eleonora cominciò a muoversi nuovamente con impeto, alla ricerca di un nuovo orgasmo che puntualmente arrivò. Il mio Padrone si alzò, fece inginocchiare Eleonora, con il suo sedere rotondo e liscio come la seta svettante e la faccia a terra. “Fammi vedere come la inculi di nuovo schiava!”. Avevo davanti a me il suo culetto che stava allargando con le mani e appoggiai il mio uccello alla sua rosellina, esntrando senza difficoltà nuovamente dentro Eleonora che, anche se aveva appena goduto, sembrava fosse pronta ad un nuovo orgasmo. Sentivo il piacere impadronirsi di me, togliendomi la forza di controllarmi quando sentii il Padrone appoggiare il suo cazzo duro come il marmo al mio culetto, penetrandolo con un sol colpo fino alle palle, fino a farmelo sentire in gola.
“Ecco, due puttane inculate in un solo colpo. Dai, voglio sentirvi godere sgualdrine che non siete altro!”.
Finalmente avevo il permesso di godere e, mentre sentivo che l’orgasmo stava arrivando, riuscii ad infilare la mia mano sotto Eleonora per masturbarla ed accrescere il suo piacere mentre le spinte del mio Padrone si facevano così furiose da guidare il mio uccello dentro Eleonora, dandomi la sensazione di essere trapassata e che realmente fosse il suo incredibile membro a sodomizzare Eleonora, e non il mio. Io ed Eleonora raggiungemmo l’orgasmo all’unisono e, mentre sentivo il mio sperma caldo inondare il suo retto e una possente quantità di liquidi vaginali bagnare tutto il pavimento, stavo aspettando di sentire il mio padrone godere ma, inaspettatamente, lo sentii togliersi e alzarsi in piedi … “Mangia la tua sborra direttamente dal suo culo!”
Obbedii all’istante, grata per la possibilità di assaporare il mio nettare mescolato agli umori figli del piacere di Eleonora che, incredibilmente, sembrava pronta per un nuovo orgasmo.
“Ti aspetto martedì mattina in ufficio!” e si rivestì per poi uscire, senza dire altro, senza degnarci di un solo sguardo.
Quelle poche parole, nel suo classico tono lapidario che non ammetteva repliche, mi regalarono serenità e gioia perché, io lo sapevo, il Padrone mi aveva appena premiato permettendomi di stare con Eleonora per tutta la domenica e tutto il lunedì, dimostrandomi così che era soddisfatto di me; certo, poteva essere un accordo preso con lei prima, ma penso che in realtà sia stato solo il riconoscimento per la mia sottomissione. Credo che il mio Padrone avesse capito ciò che io stessa ancora ignoravo: mi stavo innamorando di Eleonora e lui, con quella giornata da prostituta, aveva voluto verificare la mia sottomissione e la mia devozione nei suoi confronti.

Ero esausta ma incredibilmente felice perché stavo ingoiando il mio nettare mescolato agli umori di quella donna che, non so perché, era entrata nella mia testa e nel mio cuore e riusciva ad eccitarmi in un modo che non credevo possibile. Mi prese per i capelli e con delicatezza mi fece inginocchiare davanti a lei messa nella stessa posizione e mi baciò con passione, come un’amante, come non ero mai stata baciata prima. Ricambiai con trasporto e mi ritrovai coricato sul tappeto abbracciato ad Eleonora e sentivo il sonno rapirmi.

Mi svegliai all’improvviso mentre sognavo il primo ragazzo che prese in bocca il mio uccelletto e mi ritrovai con Eleonora che lo succhiava con trasporto e passione...
“Ele ma …”
“Finalmente la nostra bella si è svegliata. Con quelle due tette mi hai eccitata e adesso devi farmi godere”. Prese un vibratore molto particolare, che avevo visto usare tempo prima dalla Signora Stefania, se lo infilò nella sua bellissima vagina e poi venne sopra di me prendendosi in mano il mio uccelletto ed appoggiandolo alla sua rosellina, che evidentemente aveva già lubrificato, per penetrarsi e donarmi un piacere estremo. Si muoveva su e giù, mentre stringeva con le mani le mie tette in silicone per poi prendere le mie mani e appoggiarle sui suoi seni che cominciai a stringere, a strizzare, sentendo i suoi capezzoli indurirsi tra le mia dita. Ero in un sogno, non poteva essere realtà perché mi sentivo su una nuvola, felice, spensierata, e perversamente appagata. Eleonora si fece possedere per almeno un’ora, in ogni suo buco, in ogni posizione e lo stesso fece lei con uno strapon che usò per sodomizzarmi mentre mi masturbava. In quel momento volevo solo godere ma lei mi disse di aspettare per mettersi sopra di me e cominciare un 69 decisamente perverso: mentre io leccavo le sue grandi labbra, succhiavo il suo clitoride, infilavo la mia lingua dentro la sua vagina e le penetravo il culetto con un dildo non particolarmente grosso ma decisamente lungo, lei aveva il mio uccello in bocca e con lo strapon, decisamente grosso in realtà, sfondava la mia rosellina.
Stava per godere, gridava che voleva godere con me e i nostri orgasmi arrivarono a distanza di pochi secondi l’uno dall’altro; quando sentii la mia bocca inondata dai suoi umori, ero totalmente scollegata dalle realtà da tanto elevato era il piacere fisico e mentale così, quando Eleonora si girò verso di me con il mio sperma in bocca, credevo volesse scambiarlo come altre volte con un bacio, ed invece aprì la bocca, mi mostrò il mio seme e poi lo ingoiò tutto, leccandosi le labbra.
“Adesso sei anche un po' mio” mi disse, prima di baciarmi.

Ero sotto la doccia quando sentii entrare Eleonora che era completamente nuda, con il suo fantastico caschetto che contornava un viso che in quel momento sembrava molto più giovane, quasi fanciullesco. Entrò e mentre l’acqua calda ci bagnava mi baciò con trasporto, con passione, ma senza perversione, senza dominanza. Mi stava semplicemente baciando come l’altra volta dopo la festa.
“Sai Vittorio, quando sto con te sento di avere tutto: un’amica, una amante, un uomo tenero e premuroso ed una puttanella che sa come far godere chiunque”
“Grazie, perché con te ho imparato che Vittorio e Stefanie non sono maschere, ma sono sempre io”
Rimanemmo sotto la doccia ancora un po’ e poi ci preparammo per uscire. Alla reception incontrai nuovamente Luigi che, vedendomi come Vittorio, mi fissò e mi disse sfacciatamente: “peccato ve ne stiate già andando, ti avrei dato una bella scopata e … anche a lei signora”
Eleonora stava per inveire contro di lui ma mettendole una mano sul braccio, come spesso faceva mio padre con mia mamma, la fermai. “Sei molto diretto e questo mi piace, ma avresti dovuto chiedere quando era ora, adesso è decisamente tardi”. Ero certa di averlo colpito ed affondato ma nella realtà era esattamente quello che sperava.
“Nella realtà posso solo ora perché sto per finire il turno ma, se volete … divertirvi come si deve, conosco un club aperto la mattina e il tema della giornata è padroni e schiavi”.
Mi girai verso Eleonora che non riusciva a mascherare la sua eccitazione … “dammi l’indirizzo e poi decideremo il da farsi. E comunque io non sono gratuita, e neppure economica”.
“Non lo dubitavo!”
Mentre Luigi scriveva l’indirizzo Eleonora mi guardava tra lo stupito e l’ammirato … “Ma chi sei tu? Non è che ti sta venendo voglia di cambiare mestiere?” … e mi guardò maliziosa ed eccitata.
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