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Una Moglie In Autogrill


di ReGiallo
05.04.2020    |    31.886    |    19 9.3
"Non avrei detto una parola per tutto il tempo, mi dissi..."
(Tradimenti, gang-bang, public, gola profonda, facial)

Sto approfittando della quarantena per esaudire il desiderio di mio marito e, per la prima volta, mi sono messa per davvero a scrivere un libro sulla mia vita, dall’infanzia ad oggi. L’episodio che segue tratta di una vicenda accaduta qualche anno prima rispetto ai fatti presenti. Prima di pubblicarlo, ovviamente, ho già avuto modo di raccontare la storia al mio primo fan e lettore. Nemmeno mio marito era al corrente degli accadimenti di quella notte. In realtà quel giorno non accadde niente di particolare rispetto ad altre volte, ma è valso come espediente per metterlo al corrente di un lato della mia personalità che forse ancora non conosceva. Almeno non del tutto. Il mio amore ha apprezzato molto il racconto!
C.

CAPITOLO x

Ero sola in casa e avevo appena finito di allenarmi. Ero in cucina appoggiata al tavolo mentre ingurgitavo dell’acqua fresca bevendo direttamente dalla bottiglia; avevo ancora il fiatone e sentivo la fronte imperlata da goccioline di sudore. Anche le ascelle e il pube erano bagnatissimi. Quel giorno non me l’ero sentita di raggiungere la palestra, e nemmeno di correre fuori; per questo avevo deciso di fare qualche circuito direttamente in salotto e dalla sete che avevo, pareva che comunque l’allenamento fosse stato sufficiente. Mi appuntai mentalmente che allenarsi nuda in casa fosse una bella alternativa alle solite sedute del venerdì sera.
Salì in camera da letto con le gambe un poco indolenzite dagli squat. Cercai con lo sguardo un orologio. Erano le 19. Quella sera mio marito non sarebbe tornato molto presto; dopo lavoro aveva quella cena con gli amici. Mio figlio N., invece, era alla partita. La madre di qualche compagno lo avrebbe senz’altro riaccompagnato a casa ma, essendo appunto venerdì, non era improbabile che si sarebbero fermati prima a mangiare una pizza con la squadra. Tutta la casa era mia, mi dissi. Temporeggiai davanti allo specchio di camera. Che bocconcino che ero! I quaranta appena passati ma mi trovavo davvero in splendida forma. Era una dote di tutta la mia famiglia. Mio marito era altrettanto infisicato, e non parliamo di N.! Amavo guardarmi allo specchio dopo essermi allenata. Trovavo eccitante le forme sudate del mio corpo e finivo sempre per scattarmi qualche foto che poi, inesorabilmente, finiva spedita su telefono di mio marito o su qualche chat su whatsapp. I nostri amici erano sempre contenti di riceverle e i loro complimenti erano una lusinga di cui non potevo fare a meno, vanitosa come ero. Quel giorno non avevo a portata niente con cui scattare ma mi concessi comunque di giocare ancora un po’ con il mio riflesso. Facevo le pose, le smorfie e soprattutto mi guardavo il culo. In quella sfilata da adolescente mi ritrovai a passarmi una mano sull’inguine e mi accorsi di quanto fossi bagnata. Dalla viscosità non era solo sudore. Indugiai qualche minuto massaggiandomi il clitoride e sentì una gocciolina di umore vaginale cascare addirittura sul pavimento. “Oh cielo”. Parlai ad alta voce per nessuno.
Di sicuro, arrivata a quell’età, una donna poteva dire di conoscere il proprio corpo. Di certo era così per me. Il tipo di voglia che mi si era smossa era del tutto ingiustificata. Avevo scopato mio marito appena sveglia e dopo pranzo avevo giocato anche da sola in bagno. E ora, nonostante la stanchezza dell’allenamento, stavo letteralmente sbrodolando sul pavimento. Tornai a toccarmi la passerina e constatai come non accennasse a smettere di lacrimare il suo liquido speciale. Era inequivocabilmente un giorno da “allarme rosso”.
Abbandonai lo specchio e camminai a passo spedito verso il cassetto del comodino; lo estrassi e ne svuotai il contenuto sul letto. Se dovevo masturbarmi ancora tanto valeva farlo come si doveva! I miei sex toys erano ora apparecchiati sul lenzuolo, insieme ad altri oggetti per cui non avevo nessun interesse in quel momento. Guardai i miei giochini uno ad uno; presi in mano il dildo viola, lo soppesai e lo riporsi. Fu la volta del filo di perle anali, ma riposi anche quello. Afferrai il vibratore più largo che avevo ma anche quello non mi suggeriva gran che. Ero lì a cercare l’ispirazione su cosa poter usare ma niente; nessuno di quei giocattoli sembrava fare al caso mio in quel momento. Il mio inguine continuava invece a sgocciolare, richiamando la mia attenzione.
Fin da ragazzina chiamavo i giorni come quello “allarme rosso”. Erano giorni in cui il mio corpo si comportava come se fosse in preda ad una crisi di astinenza. Spesso accadeva prima del ciclo, ed era il caso di quel giorno. In quelle occasioni non importava quanti orgasmi potessi provocarmi o quanti rapporti sessuali consecutivi potessi avere. Era come se la mia passerina avesse prurito e per grattarsi, fosse necessario solo prenderne il più possibile. Anche mio marito conosceva i giorni da “allarme rosso” e li amava particolarmente! Solitamente era lui quello che riusciva a farmi passare quella voglia così fuori controllo. Altre volte, se i sintomi si presentavano con il giusto anticipo, riuscivamo ad organizzare qualche festino serale in qualche locale, o in qualche parcheggio. Altre volte ne parlavamo con i nostri amici e andavamo a casa loro, se qui da noi non si poteva. Insomma, con lui sapevo come risolverla ma quella sera era tardi ed io ero completamente sola.
Per quanto potessi tirarla per le lingue e starmene lì impalata, in fondo al mio cuore avevo già deciso da molto come mi sarei comportata. Anche perché le alternative non erano così tante. Non potevo di certo andare in un night club, dato che a quell’ora erano chiusi; non potevo nemmeno chiamare i nostri amici dato che R. aveva piacere che li frequentassimo sempre e solo insieme. Ero solo un po’ preoccupata per l’orario. Avrei fatto in tempo a tornare a casa prima di tutti gli altri? Decisi che non era più una cosa che potevo controllare e mi attivai. Come prima cosa andai in bagno a farmi una doccia. Dopo aver finito di asciugarmi il corpo, mi piastrai i capelli e recuperai dal mobile sopra il lavandino il mio beauty contenente i trucchi. Mi misi il rossetto scuro, l’ombretto, la matita per gli occhi e un velo di fondo tinta. Era il minimo indispensabile per non passare per una suora! Avevo fretta ma non esisteva al mondo la prospettiva di andare dove stavo andando senza trucco. Diedi un ultimo sguardo allo specchio e tornai verso la camera. Mi resi conto che stavo praticamente correndo. La mia testa continuava a divagare tra la realtà e immagini di fantasia sessuale; avevo perso la bussola. Nonostante mi fossi appena lavata e asciugata in mezzo alle gambe ero nuovamente un disastro.
Entrai nella stanza e sistemai il cassetto che era ancora abbandonato sul letto, insieme al suo contenuto. Evitai di riporre solo il piccolo plug anale indiamantato; lo tocciai sopra alla patata, apri le natiche guardandomi allo specchio e me lo infilai dentro il culetto. Fu il momento di vestirsi; aprì l’armadio e presi un paio di shorts gialli flu che usavo per allenarmi in palestra e una canottierina bianca senza pretese. Indossai il tutto senza biancheria. Infilai un paio di calzini, le scarpe da tennis e mi guardai allo specchio per l’ennesimo ultimo controllo. Carina da morireeee! Erano le 21.30.
Scesi le scale a due a due, in quel frangente non le sentivo più dolere. Afferrai una borsetta e mi fermai sul ciglio della porta facendo un piccolo controllo mentale. Le chiavi le avevo con me, il telefono anche, il rossetto e il portafoglio; c’era tutto. Mi venne in mente che avrei potuto prendere un pacchetto di preservativi ma no… direi che non sarebbero serviti dato che ero vicino al ciclo. Era così? Non lo sapevo e non mi importava. Chiusi la porta e salì in macchina elettrizzata.

Ero in autostrada. Ero su di giri e provavo quelle che chiamano farfalle nello stomaco. Peccato che erano solo farfalle, pesai! Ogni tanto ancheggiavo sul sedile per giocherellare con il plug che avevo su per il culetto. Quella frizione contro la parete interna dell’intestino mi provocava una piacevolissima sensazione, e rendeva l’attesa un po’ più dolce. L’aria condizionata era accesa ma la musica spenta; dovevo provare almeno a concentrarmi un po’ sulla guida, perché per il resto continuavo ad essere nella mia bolla e non c’era spazio per altro. Avete presente quanto state guidando per raggiungere un posto che per qualche motivo avete frettissima di raggiungere? Stavo così, anche se in realtà non avevo nemmeno una reale destinazione. Era già successo altre volte in passato di mettersi in macchina durante un attacco da “allarme rosso”. Alcune volte, almeno all’inizio, mi ero ritrovata a girovagare a vuoto e una volta ero addirittura tornata a casa sconsolata. Vivevo ancora con i miei, all’epoca. Nel tempo però avevo sviluppato il “fiuto”. Alla fine era una cosa estremamente semplice: se hai bisogno di procurarti delle dosi massicce di sesso, dove puoi andare se non in un luogo appartato e frequentato da uomini soli? Ero stata proprio un’ingenua ad averlo capito così tardi negli anni. Se lo avessi saputo da adolescente sarebbe stato davvero una figata! “E anche per chiunque avesse avuto la fortuna di incontrarmi all’epoca!”. Dissi ad alta voce nell’abitacolo e ridacchiai. Sentirmi ridere mi risveglio dandomi un minimo di lucidità. Appena in tempo per vedere l’insegna che indicava l’area di sosta prossima; mancava solo un chilometro. In quel momento suonò il telefono. Presi quattro lunghi respiri con il diaframma, provai a stabilizzarmi il battito cardiaco e risposi in vivavoce.
“Ciao amore mio”. Dissi. La voce suonava normale, ma si capiva fossi in macchina.
“Ciao a te! Noi siamo appena arrivati davanti al ristorante, stiamo per entrare. Ti chiamavo solo per farti un saluto tra l’ufficio e la cena. Che fai?”. Rispose mio marito.
“Bravo amore, divertitevi. Io avevo bisogno di venire a comprare gli assorbenti ma sono arrivata qui davanti, e il centro commerciale è già chiuso. Sono una scema io, dovevo aspettarmelo, sono le quasi le dieci”.
“Si amore torna a casa, ormai è tardi e ci puoi andare domani”.
Non ero solita a mentire a mio marito, non ce n’era bisogno. Avevamo una coppia completamente aperta e la gelosia non era mai stato un tema reale tra noi. Anzi, ci siamo sempre divertiti a raccontarci vicendevolmente le nostre avventure. Però effettivamente c’erano state delle volte in cui così non era stato: ogni tanto, a rendere ancor più eccitante un tradimento, era proprio il fatto di farlo di nascosto. Quella sera a maggior ragione le cose erano differenti! Non solo perché era proprio una vera emergenza sessuale; non solo perché in ogni caso lui era lontano e non poteva farci niente ma perchè avevo la certezza che se avesse saputo cosa stavo andando a procurarmi si sarebbe preoccupato per la mia incolumità. Dopotutto poteva essere anche un po’ pericoloso uscire di casa di notte, vestita così provocante e per di più girovagando in un luogo così appartato come la zona sud di un’area di sosta autostradale. Non era da escludere che, se fosse andato tutto bene, prima o poi glielo avrei raccontato e a quel punto ne avremmo riso insieme, ma per il momento “La Moglie In Autogrill” era un film di cui non avrebbe visto nemmeno il trailer.
“Buon appetito amore, svegliami stanotte quando torni, non credo ti aspetterò alzata. Anche N. tornerà tardi”.
“Buon appetito anche a te se devi ancora mangiare”. Oh sì, devo ancora iniziare a mangiare, pensai ma lo tenni per me.
“A più tardi”. Lo congedai proprio nell’istante in cui fu l’ora di inserire la freccia e uscire dalla corsia. Non imboccai lo stradello per raggiungere la pompa di benzina principale, e nemmeno lo store. Anche se era piuttosto tardi, nei bagni principali dell’area di sosta avrei incontrato per lo più delle famiglie, e non era quello che cercavo.
Come una cacciatrice esperta, sapevo benissimo che il mio tipo di preda si aggirava sempre nella parte posteriore: quella riservata per la maggior parte ai camionisti. Lì, di solito, ci sono i parcheggi più bui e le costruzioni adibite a doccia e cessi per i grandi viaggiatori delle autostrade italiane. Quello era il posto perfetto per curare il mio disturbo intimo anche se, onestamente, la metafora della cacciatrice non era proprio calzante. Da molti punti di vista il mio ruolo sarebbe stato molto più simile a quello della preda, altroché! Con il cuore che ora batteva ancor più forte, condussi la macchina dietro allo stabilimento più illuminato e parcheggiai alle spalle della struttura principale. Mi guardai intorno. Il parcheggio era più trafficato di quello che immaginavo: una decina di grossi rimorchi sonnecchiavano sotto alla fioca luce del lampione; vi erano un paio di macchine e tre camper. Mi guardai nello specchietto retrovisore e ammiccai al mio riflesso per augurarmi buona fortuna. Scesi dalla macchina sistemandomi gli shorts. Non mi andava di portarmi appresso la borsetta quindi la nascosi sotto al sedile posteriore; chiusi le portiere ma senza la chiave elettronica, poi, mi incamminai verso i bagni. Era facile riconoscerli dato che erano esattamente uguali in ogni autostrada. L’ingresso solitamente era comune ma poi si divideva in due zone, quella delle signore, e quella dei maschi dall’altra.
Avvicinandomi all’edificio distinguevo diverse figure ferme davanti alla porta d’ingresso. Salì i pochi gradini e mi ritrovai illuminata dalla lampada al neon incastonata nella parete. Due di quelle figure erano uomini sovrappeso che fumavano appoggiati alla parete. Erano intenti a chiacchierare ma quando gli passai di fianco si zittirono. Potevo sentire il loro sguardo pesante scansionarmi. “Buona sera!” Dissi loro accentuando di molto il tono allegro. Non risposero ma sgranarono gli occhi, uno dei due si portò d’istinto la mano libera dalla sigaretta sul pacco. Fu come se avesse percepito i miei ormoni smossi. Era stata una magia, forse! Li lasciai alle spalle entrando nell’edificio; mi ritrovai nel piccolo atrio adibito all’attesa e allo smistamento. Davanti alla porta dei servizi femminili c’era una signora che teneva per mano quella che immaginai essere la figlia. La bambina sbadigliava e nascondeva la faccia nell’abito della madre. Questa, invece, mi lanciò un'occhiata in cui riconobbi un altezzoso giudizio di disapprovazione. Io contraccambia lo sguardo e mi limitai a sorriderle; non ero di certo una persona preoccupata del giudizio altrui. Avevo sicuramente quella che per molti poteva essere una moralità discutibile, ma ero felice proprio perché vivevo in accordo con questa consapevolezza. E comunque, quella sera, non poteva proprio fregarmi un cazzo di cosa pensasse quella donna di me. Ero in missione di auto salvataggio. Passai oltre ed entrai nella zona riservata ai maschietti.

Mi accolse il riconoscibilissimo odore dei bagni pubblici. Il pavimento, almeno quello al centro della stanza, sembrava essere stato pulito da poco. Contro una parete era disposta una fila di pisciatoi mentre, dall’altra, spuntavano una decina di porte blu dietro cui si celavano altrettanti tazze, utili per chi preferiva la sua privacy durante la minzione. Tre di quelle porte erano chiuse e occupate; lo si capiva dai piedi che spuntavano da sotto la porta rialzata. Due uomini stavano usando, invece, il pisciatoio comune.
“M-mm”. MI schiarì la voce per farmi sentire. Uno dei due due tizi smise di pisciare per un momento e si girò verso la porta da cui ero entrata. “Scusate, vi dispiace se uso questo bagno? Quello delle donne deve avere un problema di illuminazione, mentre qui le lampadine funzionano perfettamente. Ho un po’ paura sapete”.
Il tizio indossava un cappellino blu e una camicia a quadri, aveva i jeans raccolti sopra al ginocchio e teneva il suo membro moscio in mano. “Ma certo, usi pure uno di questi”. Disse indicando i gabinetti chiusi e squadrando il mio outfit.
“Grazie, terrò la porta aperta per lo stesso motivo; non sono per niente a mio agio a farla al buio”. Parlavo ma non lo guardavo; ero entrata in uno dei bagni a caso, ed ero già intenta ad abbassarmi gli shorts fluo. Mi flessi sulle gambe raggiungendo la posizione giusta, per non toccare la tavoletta. Non dovevo realmente orinare, mi serviva solo un piccolo espediente per giustificare la mia presenza lì. Feci comunque un goccio e alzai lo sguardo. Anche il secondo tizio a quel punto si era girato; indossava una tuta di nylon e non sembrava essere italiano. Mi stavano fissando entrambi e nessuno dei due aveva riposto il loro arnese dentro alle mutande, nonostante avessero palesemente finito di pisciare. Gli sorrisi cercando con la mano la carta igienica. Per la seconda volta quella sera, fu come se ci fosse una magia in atto: anche questi due uomini avevano percepito le mie intenzioni! Quello con la tuta fu il primo: fece un passo in avanti e mi toccò una tetta da sopra la canottiera, proprio mentre finivo di asciugarmi. Quello con il cappellino, forse prendendo coraggio dall’intraprendenza dell’altro, fece lo stesso ed entrò con noi nel piccolo bagno. Con una mano afferrò la tetta libera, e con l’altra iniziò a masturbarsi.
Mi ritrovai così, in equilibrio precario sulle gambe leggermente flesse e con le tette in mano di quei due sconosciuti che mi palpavano, in modo sempre più intenso: le stringevano, ora molto forte, e uno mi strizzò il capezzolo facendomi definitivamente sbilanciare. Mi sedetti sulla tavoletta e rimasi alla loro mercé. Quello con la tuta si prese in mano il cazzo, ora tutt’altro che floscio, e me lo avvicinò al naso. Riuscivo ad avvertire un pungente odore tipico di ci non si faceva un bidet da un giorno intero ma non provai il minimo risentimento. Lo guardavo negli occhi aspettando che facesse la prima mossa e non si fece attendere. Iniziò a sbattermelo violentemente contro al viso. Continuai a guardarlo senza indietreggiare minimamente, anzi! Me ne stavo ferma immobile a farmi schiaffeggiare mentre sorridevo divertita. Non avrei detto una parola per tutto il tempo, mi dissi. Ero stata così brava ad arrivare in quel posto che ora non avevo più voglia di compiere il minimo sforzo non indispensabile. Ero lì e potevano farmi tutto quello che volevano. Il tizio con la tuta pareva già averlo capito perché continuava a prendersi per primo tutte quelle libertà. Mi allungo, infatti, il braccio dietro al collo e mi strattonò in avanti forzandomi in un pompino. Docile come una cerbiatta io aprì la bocca, e accolsi i suoi genitali dentro alla gola.
Anche il tizio con il cappellino aumentò la confidenza e mi tirò su; chiuse la tavoletta della tazza e mi fece riposizionare sopra ma in ginocchio. Sfilò gli shorts dalle caviglie e fissò dalla prospettiva che più gli aggradava le mie intimità. Effettuai tutti quegli spostamenti avendo cura di non farmi scappare dalla bocca il mio primo ospite. “Mamma mia e qui cosa c’è?”. Senti chiedere alle mie spalle; probabilmente si riferiva al gioiello anale che ora faceva capolino. Non mi sbagliavo e, un secondo dopo, sentì che aveva preso a giocherellarci con le dita, facendomelo roteare nell’interno. Lo sentì sputare, forse sulla sua mano e poi mi penetrò.
Fu come il primo sorso d’acqua quando sì sta morendo di sete, o come il tiro di una sigaretta dopo averla desiderata a lungo. Sentire la mia passera riempirsi mi diede esattamente quella sensazione. Per un piccolo istante, riuscì addirittura a tornare la solita me. “Ah, mmm”. Il tizio con il cappello accelerò la frequenza della bordate e ad ogni colpo finivo per sbattere la faccia contro la pancia del tizio in tuta che si ritrovava con la cappella contro alle mie tonsille.
Sentì una delle porte dei bagni aprirsi, seguita dal suono dello sciacquone. Una nuova figura, forse attratta dai suoni che stavamo producendo, si avvicinò al nostro triangolino. Cercai di guardarlo e distinguerlo, per quanto fosse difficile data la mia posizione. Era un uomo sulla sessantina, non tanto alto e nemmeno troppo curato; dalla cintura sporgeva un po’ di pancetta a malapena coperta da una camicia rincalzata nei pantaloni. Aveva pochi capelli ma si vedeva appena, dato che la barba compensava ampiamente quella mancanza. Non ero attratta da lui fisicamente, sia chiaro. In un giorno qualsiasi forse nemmeno lo avrei notato ma lì, quella notte, i miei occhi iniziarono a roteare alla ricerca di tutti quei particolari, anche piccoli, su cui poter dirigere la mia eccitazione. Non fu difficile. La scenetta di cui era stato incredibilmente testimone aveva sortito un grande e vistoso effetto al suo corpo! Riuscivo a vedere attraverso i pantaloni il gonfiore della sua eccitazione. Allungai l’unica mano che potevo permettermi di alzare, senza cadere dalla tavoletta verso il suo pacco. Lui si adattò molto velocemente, si sbottonò per rendermi il lavoro facile, e si srotolò fuori dai boxer la sua gigantesca protuberanza. Era grossissimo; davanti a quell’immagine sentì accendersi il pilota automatico del mio corpo. Allontanai per un momento il cazzo del tipo in tuta e mi sottrassi anche alla penetrazione dell’altro; mi alzai in piedi e feci segno all’ultimo arrivato di sedersi sul water. Io mi misi a cavallo delle sue gambe, rivolta verso l’uscita. Sentì il suo pisellone infilarsi fino al fondo dell’utero. Premeva proprio contro la parete più profonda e la cosa mi faceva godere come una cagna. Altroché sex toys, pensai, era questo che ci voleva. I primi due avventori, che loro malgrado si erano trovati sputati fuori dal mio corpo, erano ancora in piedi lì davanti. Non avevano smesso di masturbarsi e non distoglievano lo sguardo.
“Papà? Quanto ti manca là dentro? Io e la mamma torniamo verso il camper”. Una voce di bambina ci raggiunse. Il tizio con il cappello trasalì.
“Non entrare, arrivo subito!”. Rispose quasi urlando. Si tornò a girare verso di me e valutò che fosse ora di accelerare il movimento della sua mano. Se lo menò per qualche secondo, la sua bocca si spalancò in una smorfia. “Ok papà però datti una mossa perché io ho sonno e anche la mamma vuole andare a dormire”. Mentre sua figlia parlava il padre sborrò tutto quello che aveva nei testicoli contro di me. Credo avesse mirato alla faccia ma, da quella posizione, il suo seme raggiunse solo la mia canottiera che sentì subito più umida oltre che più pesante. Ripose in cazzo ancora gocciolante dentro i pantaloni e se ne andò senza nemmeno più alzare lo sguardo.
Rimanemmo noi tre. Io e il barbuto che scopavamo seduti sul cesso e lo straniero con la tuta. La canottiera bianca ora mostrava una certa trasparenza, le tette sballottolavano e si potevano intravedere i capezzoli attraverso il tessuto imbevuto di sperma. Forse fu quell’immagine così perversa a scatenare gli ormoni del nostro spettatore ma vidi la sua espressione trasformarsi. Mi diede uno schiaffo sulla faccia. Mi ritrovai girata tutta d’un lato con la guancia che pulsava. Mi portai istintivamente la mano alla faccia colpita. Lo fissai negli occhi con aria di sfida mentre l’amplesso al piano di sotto non dava l’aria di fermarsi. Mi colpì una seconda volta, e poi una terza. Non contento mi affermò i capelli, che qualche ora prima avevo piastrato, e me li tirò verso il basso costringendo il mio collo a protendersi verso il soffitto. Mi sputò in mezzo alla faccia e mi diede un ultimo schiaffo. Io continuavo a guardarlo negli occhi con l’espressione eccitata. Iniziai a sgrillettarmi e raggiunsi il primo orgasmo. La testa si spense e persi il contatto con la realtà.
Urlai. Sia per l’orgasmo vaginale che avevo appena provato, sia perchè volevo che tutti se ne accorgessero, soprattutto il tizio in tuta. Tutto quello fu troppo anche per lui, dalla punta della cappella gli partirono dei violenti schizzi di seme e, almeno lui, dimostrò di avere più mira del precedente. Sentì il viso riempirsi di liquido tiepido. Lo sperma si mischiò al suo sputo e sentivo ancora la pelle pulsare per le sberle ricevute. Ero rientrata nella mia bolla ovattata, la lucidità post orgasmo era durata un battito di ciglia, evidentemente. Ricordo solo di aver visto la mia immagine allo specchio mentre mi spalmavo quel cocktail sulle guance. Sembrava stessi mettendo la crema sulla pelle arrossata. Guardavo negli occhi quel manesco di merda. Venni per la seconda volta.
Riaprendo gli occhi mi accorsi che da qualche istante non eravamo più solo noi tre in quel bagno. Due ragazzi si erano accostati alla porta e stavano osservando il quadretto sporgendosi in avanti con il collo. Possibile che non me ne fossi accorta? In ogni caso le cose erano in continua evoluzione, sembrava una partita di calcio con le sostituzioni! Il tizio con la tuta, infatti, così come aveva fatto prima di lui il buon padre di famiglia dal cappellino blu, aveva rinfoderato l’artiglieria e se ne stava uscendo senza dire una parola, ma con i coglioni vuoti.
“Ciao”. Dissi ai due ragazzi infrangendo il mio gioco del silenzio. I due erano giovani; non come mio figlio ma avranno avuto appena trent’anni o poco meno. Si guardarono per un istante per poi dimenticarsi l’uno dell’altro. Ora era me che ammiravano. Nel frattempo il rapporto sessuale sul cesso continuava e anzi, io continuavo a dimenarmi su e giù di quello sconosciuto molto dotato, sgrillettandomi con una mano. Il più alto dei due ragazzi mi afferrò una tetta da sotto la canottiera bianca non curandosi di quanto il capo fosse sporco. L’accarezzò, la soppesò e poi la strinse forte procurandomi un leggero dolore. Fu la volta dell’amico che dimostrò di essere il meno timido tra i due. Il giovane, infatti, si abbasso la zip estraendo il suo cazzo di media dimensioni e, senza dire una parola, me lo avvicinò alla bocca. Tirai fuori la lingua tenendola a cucchiaio e cominciai a leccargli i testicoli. Erano morbidi fuori ma gonfissimi all’interno e, tra l’altro, non avevano nemmeno troppi peli, quindi giocarci era un piacere. Li fagocitai interamente in bocca. “Ggggg”. Dissi e ciò che uscì era assolutamente incomprensibile. Non sembrava importargli e volle comunque aggiungere qualcosa.
“Oddio che meraviglia, stingile un po’ di più”. Lo accontentai avvicinando un pelo le mascelle. “Ahhhh. Segami, troia”. Iniziai a masturbarlo. Aveva capito che anche lui poteva condurre quel gioco e si stava iniziando a divertire, forse era incredulo di quello che stava succedendo. “Più forte, più forte”. Ed io accelerai quel movimento di mano sul suo membro, mentre le palle erano ancora protette ed insalivate nella mia bocca. Venne poi il momento di sputargliele fuori e dedicarmi alla punta del suo cazzo. Iniziai a spompinarlo come sapevo fare, in quel modo tutto mio di praticare sesso orale, che è più uno scopare con la gola.
“Ggggg”. Emisi nuovamente i miei versi gutturali. “Aaaah”. Respiravo liberandolo. E poi di nuovo dentro fino al collo. Continuai ancora un po’ finché l’amichetto non ci interruppe.
“Non sborrarle in bocca per favore che vorrei un pompino anche io”. Disse lo strizza-tette.
“Allora sarà meglio che ti sbrighi”. Disse quello sotto pompino.
“Ma chi è questa”. Chiese lo strizza-tette al tizio sul cesso.
“Non lo so, l’ho appena incontrata qui, come voi”.
Io li ascoltavo. Era eccitantissimo sentirli parlare di me come un oggetto. Mi limitavo a scopare il barbuto e a farmi penetrare la bocca dall’altro. In quel momento anche il primo ragazzo cominciò a trafugarsi nei pantaloni per poi riemergere con il membro fuori. Allontanò l’amico e si impossessò della mia mascella. Per me un cazzo era un cazzo, non feci differenza e continuai a dispensare la mia attenzione di donna.
“Ci diamo il cambio?”. Chiese il ragazzo meno timido al tizio con la barba. Lui annuì e mi fece alzare per un attimo, dando modo al giovane di sedersi sul gabinetto. MI affermò i fianchi e mi trascinò giù. Gli rovinai addosso velocemente ma il cazzo del giovane straniero trovò spontaneamente la sua via dentro di me. Come poteva essere diverso dopo il precedente ospite? Iniziai a muovermi su e giù con un ritmo regolare cercando di far raggiungere al suo pene esattamente quel punto che mi piaceva sentire stimolato. Una volta raggiunto, iniziai a compiere movimenti circolari. “Gh, gh, gh, gggh”. Mugugnavo. “Ggggg”. Tutto il mio corpo stava sperimentando la scossa del piacere; venni per la terza volta.
Stavo meglio, mi resi conto. Avevo preso la macchina ed ero giunta fino a lì in preda agli ormoni ma, effettivamente, ora stavo molto meglio. Stavo assumendo la giusta di dose di sesso e almeno stava tornando un po’ di limpidezza. Quando ero nei giorni di “allarme rosso” era difficile anche solo poter ragionare a mente fredda. Non era possibile occuparsi di nulla, fare niente o prendere qualsiasi decisione. Ogni cosa che avevo in testa era l’avido richiamo alla riproduzione! Ci voleva sempre un po’ per riuscire a rivedere la luce e ora, piano piano, stava tornando.
“Aaaaaaah”. Un lungo gemito mi riportò alla realtà. Lo strizza-tette stava venendo. E lo stava facendo senza ritegno, nella mia bocca. Non lo avevo mollato nemmeno un istante e aveva gradito tutte quelle scosse!
“Oooooh”. Fece l’amico e anche lui mi riversò copiosamente il suo seme dentro l’utero.
Mi liberai la gola e tossì tre o quattro volte per ricominciare a respirare. Poi mi portai le mani vicino alla faccia, tenendo i palmi verso l’alto; mi strinsi nelle spalle assumendo un’espressione da ingenuotta. “Beh? Si fa così?”. Infransi ancora il mio silenzio rivolgendo la domanda ad entrambi i ragazzi. Avevo dello sperma spalmato sul viso, sul collo, sulla canottiera e ora dentro alla pancia.
“Sono giovani signora, non hanno la resistenza di noi uomini maturi!”. Disse il tizio con la barba. Effettivamente dentro quella latrina c’erano almeno tre generazioni differenti. Sorrisi con aria di chi non poteva essere più d’accordo e mi alzai dalle gambe del ragazzo. Ora che ero più lucida mi accorsi che i muscoli delle gambe avevano ricominciato a farsi sentire, non so se ancora per l’allenamento pomeridiano o per la performance appena conclusa.
“Ma hai visto cosa c’ha su per il culo sta puttana?”. Disse uno dei due ragazzi all’amico. “Posso toglierlo mi chiese?”. Io per tutta risposta gli diedi le spalle chinandomi in avanti. Il giovane afferrò la testa con il diamante verniciato e me lo estrasse, inducendomi la sensazione dell’evacuazione. Mi voltai a guardarlo e scoprì divertita che se l’era messo tra le labbra come un ciuccio. “Questo lo tengo come souvenir”.
“Signora io però ho un’altra età e non ho ancora finito”. Si intromise il signore finendo il suo ragionamento. Aveva ragione. Nemmeno io avevo del tutto “finito”.
Raggiunsi gli shorts abbandonati e mi inginocchiai usandoli per cercare una posizione più comoda. Mi avvicinai ai suoi genitali cominciando a pulirglieli dai miei fluidi di cui era abbondantemente sporco. I due ragazzi, per quanto precoci potevano essere stati, avevano nuovamente riacquisito un’erezione quasi perfetta e si strinsero in cerchio tutto attorno a me. Sembravamo in uno di quei fulmini che piacevano tanto a mio marito, dove la troia di turno era circondata da numerosi altri attori che si menavano il cazzo litigandosi le sue attenzioni. Mi sentivo schiaffeggiare con le cappelle, mi sentivo palpare, mi sentivo scopare la bocca. La faccia era un vero casino, arrossata per gli schiaffi che aveva preso e con il trucco completamente sbavato. Non riuscivo nemmeno più a muovere i muscoli del viso liberamente, per quanto li sentivo incollati e appiccicaticci. I tre avventori vennero uno dietro l’altro: uno dei due ragazzi mi schizzò sui capelli, l’altro sulla lingua e io prontamente deglutì. Fu poi la volta del tizio con la barba, un vero campione di resistenza oltre che di misure! Sborrò copiosamente sulla mia faccia e, dopo averlo fatto, si chinò per baciarmi incurante del mio stato. Contraccambiai limonandolo per un minuto almeno.
Terminato quel concedo quasi romantico, mi alzai. I due ragazzi se n’erano andati, ovviamente essendo venuti per la seconda volta, avevano perso tutto l’interesse in me. Anche il tizio con la barba si rivestì e uscì bisbigliando un saluto. Mi alzai per recuperare gli shorts. Erano davvero mal messi; innanzi tutto il pavimento attorno alla tazza non era certo pulito e, inoltre, parte delle eiaculazioni erano colate fino a lì. Li indossai davanti allo specchio. Mi sentivo tutta umidiccia, dalla canotta ai pantaloncini. Mi annusai. Puzzavo di sesso e bagno pubblico ed ero sudata, sia sotto le ascelle, sia in mezzo al pube, esattamente come quando qualche ora prima era cominciata la crisi davanti allo specchio di casa. Ma almeno ora stavo bene, pensai. A parte il sudore e le sostanze non mie sentivo la vulva molto più secca di prima, anzi lo era quasi troppo, per quanto era stata usata! Confidente che almeno quella notte sarei riuscita a dormire uscì dal bagno, ora deserto, per ritornare alla mia automobile. Non sapevo se avrei fatto davvero in tempo a rincasare prima dei miei uomini ma, onestamente, non mi importava. In una qualche maniera li avrei affrontati: ne avevo appena gestiti cinque in una volta, figurati!
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