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Prime Esperienze

Annalisa (1a parte)


di masaraj
31.05.2021    |    15.656    |    2 9.6
"La situazione è buffa loro parlano in dialetto ed io intervengo in italiano, a volte qualcuno prova a relazionarsi nella nostra lingua nazionale e alle mie..."
Premessa:
Denise, non finirò mai di ringraziarti, tu sai perché.

Lo spunto per questo racconto è arrivato quando, cercando una cosa che mi serviva, mi è capitato tra le mani un mazzetto di vecchie foto. Le sfoglio e una selva di ricordi cominciano a zampillare nella mia testa, poi, una stampa in particolare cattura la mia attenzione, niente di che, un gruppo di ragazzetti in maglietta e calzoncini corti, sorridenti e spensierati. Io, la mia sorellina, alcuni cuginetti e cuginette qualche loro amico e amica, insomma, una decina di ragazzini e una zia. Ricordi ed emozioni. Ricordi di una estate spensierata, quella dei miei 15 anni. E le emozioni provate in quel caldo Agosto di molti anni fa, tra balle di paglia, corse nei campi, passeggiate in bicicletta e giochi proibiti nel fienile della cascina di mio zio. L’estate che per me ha segnato il passaggio tra immaginario e realtà.
La stagione in cui una bocca acerba accolse dentro di se il mio ancora acerbo pungolo e anche quella dove le mie labbra fecero la conoscenza di altre labbra, quelle di una bocca avida di baci e quelle di una passerotta umida e altrettanto esigente.
La Opel Kadett, carica, corre moderatamente, mio padre la conduce con prudenza mentre parla di qualcosa con mia madre. Stiamo rientrando dalle vacanze passate a sguazzare nelle acque marchigiane del mare adriatico. Tornando verso Milano, la città in cui viviamo, faremo una deviazione per raggiungere la cascina di mio zio, dove ci soffermeremo per qualche giorno. Sono seduto dietro, nell’angolo, con mia sorella sdraiata ad occupare il restante spazio del sedile posteriore, la sua testa è appoggiata sulla mia coscia, stringe al petto la sua bambola, entrambe dormono.
Sono alcuni anni che non vedo questi congiunti, loro vivono in un’altra regione e occupandosi di agricoltura, l’estate per loro è un periodo di lavoro intenso, mentre per noi significa vacanza e quando arriva l’inverno la situazione è ribaltata, loro in vacanza, noi a scuola e in fabbrica.
Questo mio zio è il fratello più vecchio di mio padre tra loro c’è una considerevole differenza d’età, ben 19 anni, tant’è che il figlio primogenito di mio zio, mio cugino, è più giovane di mio padre di soli tre anni. Questo mio cugino ha quattro figli, 2 maschi di 11 e 19 anni, 2 femmine, una di 8 anni e l’altra mia coetanea anzi, per l’esattezza, lei è più grande di 5 mesi, si chiama Annalisa. Lisa, per tutti noi.
Arriviamo che è metà pomeriggio, la quota maschile della famiglia è al lavoro nei campi quindi ad accoglierci ci sono solo le donne, chi è in casa esce. Baci, abbracci, buffetti sulle guance;
-“Come sei diventato grande”- esclama mia zia, esternando il suo stupore nella forma dialettale autoctona dell’area geografica in cui siamo collocati.
Dialetto che, per mia fortuna, comprendo perfettamente dato che i miei genitori lo utilizzano per comunicare tra loro e sovente anche con la loro progenie. Poi è la volta della moglie di mio cugino, della cuginetta più piccola, quindi di Lisa. Quando le tocco il braccio per posarle un bacio su entrambe le guance lei fa altrettanto e in quel tocco simultaneo avverto un brivido percorrere il mio corpo dalla cima dei capelli alla punta dei piedi. Quella davanti a me non è più la bambina di qualche anno addietro, ora è una ragazza con tutti i presupposti per diventare una splendida donna.
Nei miei ricordi Lisa era una ragazzina a cui piaceva fare tutte quelle cose che fanno i maschi, giocava a pallone con noi, non si tirava indietro quando andavamo ad acchiappare le rane o ci arrampicavamo sugli alberi oppure tiravamo sassi con la fionda per colpire i barattoli allineati sul muretto. Ora il vestito di cotone leggero ricopre un corpo armonioso, un viso di ragazza illuminato da un sorriso, un seno pronunciato, fianchi rotondi e gambe toniche.
I convenevoli si ripetono quando i lavoratori rientrano dai campi, con familiare confidenza ma meno sdolcinati, abbracci virili, strette di mano e pacche sulle spalle. Il tempo che una doccia lavi via la terra e un po' di stanchezza dai loro corpi abbronzati e poi si cena.
Dopo aver mangiato gli uomini adulti si sistemano in giardino a parlare giocando a carte, le donne rassettano e sistemano la cucina mentre noi ragazzi ci sistemiamo sotto il portico a chiacchierare, i più piccoli giocano a rincorrersi.
Finito di aiutare a rassettare Lisa ci raggiunge, stavo raccontando a suo fratello che al mare ho conosciuto una ragazza di Piacenza:
-“E cosa ci hai fatto con questa?”- mi chiede curioso, in lingua indigena
-“Niente.”- rispondo –“Nuotavamo, prendevamo il sole, un gelato dopocena, tutto qui.”- aggiungo.
-“E non hai provato a baciarla?”- mi chiede Lisa utilizzando lo stesso idioma del fratello.
-“Avrei voluto, ma non mi è sembrato che io le piacessi sino a quel punto.”- replico timidamente.
Così andiamo avanti a parlottare delle mie vacanze al mare delle loro vite in campagna, la scuola, Milano così lontana da lì, piena di cose affascinanti nell’immaginario di chi vive in un contesto rurale fatto di campi coltivati e animali da accudire.
Arriva quindi l’ora di coricarsi, in campagna si va a letto presto e ci si alza presto, regola che vale per chi domani andrà nei campi a faticare e per i più piccoli, ma non per noi ragazzi che ci tratteniamo ancora un po' sotto il portico. Poi ci ritiriamo anche noi. I miei genitori dormono nella camera che un tempo fu dei miei nonni, a me e a mia sorella è stata assegnata una stanzetta col letto a castello, a me tocca dormire in quello sotto, perché “le principesse dormono nella torre” ha sentenziato la mia sorellina perentoriamente e senza possibilità di replica.
Alcuni rumori sommessi e alcuni bisbigli mi fanno aprire gli occhi, mi sembra d’essermi coricato da pochi minuti, invece dalle fessure delle persiane filtra una luce tenue, intuisco che è l’alba, mio zio, i miei cugini e con loro mio padre si sono alzati per andare nei campi a lavorare. Sento il borbottio del trattore allontanarsi, mi giro sull’altro fianco e chiudo gli occhi.
Qualcuno mi scuote, mia madre ci comunica che è ora di alzarsi, sono le otto. Di sotto, nell’enorme cucina mia zia ha preparato la colazione per tutti noi ragazzi, sul tavolo sono allineate le tazzone semisferiche che contengono il caffelatte fumante e al centro del tavolo è posizionata la biscottiera. Ad uno ad uno arriviamo con gli occhi cisposi, sembriamo i nani della favola.
A metà mattina mia zia ci consegna una borsa, ordinando a noi ragazzi di andare a portarla a mio zio e al resto della squadra. Dentro ci sono una bottiglia di vino una di acqua un salame e un filone di pane, inforchiamo le biciclette e partiamo. Dopo la pausa ristoratrice ci uniamo al gruppo e aiutiamo a caricare le barbabietole sul carro agganciato al trattore. Dopo pranzo fa troppo caldo per tornare nei campi così gli uomini vanno a stendersi per un pisolino, le donne si raggruppano in giardino a chiacchierare, mia sorella coi cuginetti più piccoli gioca con pentolini e piattini io e Lisa ce ne stiamo sotto il portico a parlottare.
Io sbracato sulla panca di legno, lei è seduta su di un gradino di fronte, parlottiamo di chissà cosa. Lei ha le gambe piegate trattenute dalle mani intrecciate attorno le ginocchia, i piedi divaricati e tra la sommità delle due cosce abbronzate spicca l’azzurro delle sue mutandine, il tessuto teso a trattenere il rigonfiamento del suo sesso, rimango ipnotizzato:
-“Cosa stai guardando?”- mi chiede, intuendo immediatamente su cosa è focalizzato il mio sguardo.
-“Mi guardi le mutande?”- incalza chiudendo il sipario e allungando le gambe davanti a se. Io rispondo qualcosa arrossendo.
-“Sei sfortunato, oggi le ho messe, altrimenti…..”- mi apostrofa con palese malizia.
-“Ma tu l’hai mai vista una passera, dal vivo?”- aggiunge con tono indagatore.
Rispondo di “si”, perché in verità qualche mese addietro avevo avuto il piacere di fare questa scoperta. A mostrarmi il suo “tesoro” era stata una mia amica che abitava nel mio stesso condominio alla quale mi ero dichiarato ricevendo un bel due di picche. Poi, passate alcune settimane, fu lei che un giorno mentre giocavamo in cortile mi chiese sussurrandomi nell’orecchio:
-“Mi fai vedere il tuo coso?”- guardandomi di sottecchi.
-“Ok!”- risposi –“Se però tu mi mostri la tua cosa”- aggiunsi, strappandole un accordo a cui lei volle porre la clausola in cui specificava che toccare era vietato. Un futuro da negoziatore.
L’esposizione avvenne la sera stessa. Prima di rientrare a casa andammo nel mio box e sotto la luce al neon, uno di fronte all’altra contando insieme, al tre ci calammo i jeans e le mutande esponendo così agli occhi dell’altro l’agognato mistero. Nonostante questo, lei non divenne la mia ragazza.
Lisa non parve sorpresa del racconto, anzi sorrise. Non ero consapevole di quanto fossero sessualmente più disinibiti e precoci da quelle parti. Lo avrei scoperto in seguito.
-“E a me lo mostreresti il tuo pistolino?”- mi propone incuriosita.
Proprio nel momento in cui stavo per risponderle comparve mio zio con mio padre che andavano a prendere un attrezzo da attaccare al trattore, pronti per tornare nei campi.
Così la mia risposta rimase inespressa e Lisa se ne andò con un sorrisetto stampato sul suo bel viso.
Verso metà pomeriggio tre amiche di mia cugina vengono a chiamarla per andare a fare una passeggiata, invitano anche me, così prendiamo le biciclette e partiamo per le stradine di campagna. Arrivati all’altezza di un’altra cascina incontriamo due ragazzi anche loro in bicicletta e anche loro amici di mia cugina, propongono di andare al vecchio mulino. Una costruzione abbandonata in riva ad un canale. Arriviamo e ci sediamo a parlare. La situazione è buffa loro parlano in dialetto ed io intervengo in italiano, a volte qualcuno prova a relazionarsi nella nostra lingua nazionale e alle mie orecchie è ancora più divertente sentire la melodia delle patrie parole pronunciate con un forte accento.
Per mitigare un po' la noia che sta aleggiando, uno dei ragazzi propone di giocare al “chitocatoca”. Dopo una breve opera di convincimento per vincere le deboli resistenze delle ragazze e la mia, dato che non so di cosa si tratti ci si accorda per una versione “ridotta” del gioco, poiché una delle ragazze ha il ciclo. In pratica la cosa è molto semplice, siamo in sette, si prendono sette legnetti, sei di lunghezza uguale, uno più corto. Due sassi di diverso colore. Si pescano i bastoncini il più corto va in penitenza. Le penitenze sono solo due; baciare e spogliare. A determinare la scelta sono i sassi; quello chiaro abbinato al bacio, quello scuro al togliere un indumento ci si ferma quando restano solo le mutande ecco spiegato il perché della versione “ridotta”. Per definire chi baciare o chi ti deve spogliare si ricorre ancora ai bastoncini.
Al primo giro la penitenza tocca ad uno dei maschietti. le mani di una delle ragazze nascondono i due sassi, lui sceglie la destra, sasso chiaro, deve baciare. Per definire chi tra le quattro femminucce sarà la fortunata (o sfortunata) si utilizzano ancora i bastoncini ma, dato che il penitente è uno dei maschietti, ad estrarre sono solo le donne, la sorte tocca all’amica con poche tette, i due si avvicinano e scatta il bacio, alla francese che, orologio alla mano, non deve durare meno di 30 secondi. Dopo alcune mani il bastoncino corto lo stringono le mie dita, il sasso è scuro, a sfilarmi la maglietta ci pensa un’altra delle amiche, quella con la coda di cavallo. Il gioco riprende e la dea bendata pone gli occhi sul ragazzo riccioluto che, per sua fortuna e mia invidia, ha l’opportunità di limonare mia cugina. Le loro bocche si uniscono così come le loro lingue, Lisa tiene gli occhi aperti puntati su di me, il suo sguardo sembra dirmi “vedi come si fa!”. Dopo alcune mani una delle ragazze, quella più cicciottella è rimasta in mutandine e reggiseno, in mutande è anche il ragazzo coi capelli corti io ho perso la maglietta, come l’amica con le tettine, mentre Lisa e la ragazza con la coda hanno ancora indosso tutti gli indumenti e così anche il ricciolino. A questo giro il bastoncino mozzo ricapita a me, il sasso chiaro definisce che devo limonare e il fato mi abbina all’amica paffuta, il suo nome è Lorella. Mentre mi avvicino per compiere il mio dovere prendo consapevolezza che l’inquilino dei miei slip ha preso consistenza, spero nessuno se ne accorga. Ci troviamo uno di fronte all’altra lei accenna un sorriso che contraccambio, le nostre bocche si schiudono, le labbra si incollano e le lingue si cercano. Questa ragazza sa il fatto suo, i trenta secondi volano, quando mi stacco per raggiungere il mio posto lancio un’occhiata a Lisa con l’intenzione di inviarle telepaticamente il messaggio: “so bene come si fa!”.
Inesorabile arriva l’ora di rientrare, riprendiamo i nostri indumenti, montiamo sulle biciclette e torniamo. Dopo aver salutato gli amici pedalo affiancato a mia cugina e le faccio i miei complimenti per il gioco. È così che scopro che quella a cui abbiamo giocato è una versione ridotta del gioco, in quella estesa si arriva sino in fondo, cioè sino a quando non si ha più nulla addosso.
-“E tu e le tue amiche ci avete mai giocato?”- le chiedo con un sentimento misto di curiosità e invidia.
-“Si, qualche volta.”- risponde senza scomporsi.
-“Ma solo se ci sono dei ragazzi che ci piacciono.”- aggiunge per chiarire.
-“Altrimenti ci si ferma alle mutande come abbiamo fatto oggi, inventando una scusa per non andare sino in fondo.”- conclude.
Rimango muto e penso a quanto siano avanti da queste parti. Altro che i miei giochi in cortile.
Dopo cena ci ritroviamo, come consuetudine, sotto il portico siamo io e Lisa, mia sorella e gli altri cugini giocano a nascondino, suo fratello più grande ha preso la moto ed è andato in paese:
-“Ti è piaciuto limonare con Lorella?”- spara a bruciapelo.
-“Si, abbastanza.”- ribatto di getto. Lei si alza e mi prende per mano:
-“Vieni!”- mi ordina. La seguo dietro il granaio dove c’è una piccola vigna, i filari ci nascondono al mondo. Il buio non è ancora calato.
-“Fammi vedere come l’hai baciata.”- mi ordina perentoria. Così dicendo mi cinge il collo con le braccia, mi sembra di percepire una scintilla nei suoi occhi, mi attira a se e le nostre bocche si uniscono. Mi riprendo dalla sorpresa e le cingo i fianchi, dischiudo le labbra e la punta della mia lingua accarezza le sue, sono morbide e dolci, lei asseconda l’avance aprendo a sua volta il passaggio e permettendo così l’incontro delle nostre papille gustative. Dapprima ci assaggiamo timidamente, poi con più vigore, rincorrendo e avvitandoci l’uno alla lingua dell’altra.
Le mie mani scivolano sulla stoffa leggera del suo vestito e si fermano sui rotondi glutei, sodi, come possono essere quelli di una adolescente. L’attiro a me con l’intenzione di farle sentire la consistenza del piacere che sto provando, lei mi asseconda.
Ad interrompere quei magici momenti è sua madre che, dando sfoggio di quanti Watt dispone la sua voce, la chiama costringendoci così ad interrompere le nostre pratiche limonatorie.
Quella notte mi sono coricato col pensiero fisso a quei minuti passati nella vigna, consapevole che la taglia dei miei slip è troppo piccola per contenere il giubilante piacere che quei pensieri evocano. Con difficoltà mi addormento felice, a destarmi sono i rumori sommessi della squadra che si appresta ad andare nei campi. E’ l’alba, il borbottio del trattore si fa più fievole man mano che si allontana. Poi nel silenzio avverto una presenza di fianco al mio letto. Nella penombra alimentata dalle prime luci dell’alba riconosco la sagoma femminile di mia cugina Lisa. Sta controllando se mia sorella dorme, poi si abbassa, solleva il lenzuolo e si infila nel mio letto. Immediatamente le nostre bocche si cercano e riprendono da dove erano rimaste la sera prima. Nell’intimità di quell’abbraccio, sdraiati sul fianco, la coscia di Lisa è appoggiata sul mio bacino, la accarezzo sentendo la sua pelle liscia sotto i polpastrelli, la sua si intrufola sotto l’elastico delle mie mutande e prende possesso della mia chiappa. A mia volta faccio scivolare le dita sotto la sua maglietta, verso la sua natica, e con mia enorme sorpresa arrivo alla meta senza incontrare il tessuto delle sue mutandine.
-“Sei senza mutande”- le sussurro all’orecchio
-“Già!”- risponde –“Perché non le togli anche tu?”- mi chiede sottovoce.
In un attimo i miei slip scompaiono così come la sua maglietta, sento la sua mano prendere possesso della mia rigida mascolinità adolescenziale, a mia volta faccio scivolare le mie dita sino a trovare la morbida peluria che incornicia la sua umida femminilità. Poi la sua presa abbandona il mio scettro e le sue dita guidano le mie insegnandomi come e dove toccare il suo frutto non più proibito. Prendo confidenza con le labbra della sua passera, l’ingresso bagnato della sua vagina, la consistenza del suo clitoride, e ascolto eccitato la cadenza del suo respiro e il ritmo del suo ansimare, per lunghi minuti sino a quando, di colpo un silenzio totale riempie la stanza e ci avvolge. Lisa non respira più testa reclinata all’indietro la bocca spalancata il corpo irrigidito, lunghi secondi di terrore in cui avverto il battito del mio cuore accelerare, poi d’improvviso i suoi polmoni si riempiono d’aria e mia cugina riprende a respirare. La stringo a me e la bacio teneramente.
-“Grazie, grazie, grazie!”- mi bisbiglia all’orecchio.
-“Oddio.”- “Mi hai spaventato a morte”- le notifico.
-“Scemo.”- mi apostrofa –“Mi hai fatto venire”- annuncia baciandomi.
-“Adesso è meglio che torni nel mio letto”- sussurra accarezzandomi
–“Prima che mia madre e mia nonna si alzino”- aggiunge mentre si rimette la maglietta
Poi piegandosi su di me appoggia le sue labbra sulle mie e la sua mano accarezza le mie palle gonfie e l’erezione persistente, quasi dolorosa, quindi in silenzio scompare.
A colazione i nostri sguardi si incrociano continuamente, entrambi inconsapevoli del piacevole segreto che ci legherà per sempre.

continua.......
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