Prime Esperienze

Call Lady


di LordBrummell
06.06.2018    |    3.916    |    5 5.7
"Mentre due serpenti azzurri, abitanti di un pianeta della cintura esterna, li osservano perplessi..."
C’era da fare il primo passo verso un mondo che poteva aprire infinite possibilità.
Stavo come il pittore davanti ad una tela bianca, cercando in ogni modo di immaginare l’opera finita. In realtà ogni azione, ogni segno o pennellata cambia il destino finale della rappresentazione. Pertanto ogni segno, ogni tratto di pennello è rilevante, seppure non decisivo. Alla fine poteva anche essere una cocente delusione e tutte le elaborate fantasie che mi attraversavano la mente rivelarsi semplici divagazioni oniriche. Ogni nuova esperienza è un passo verso la consapevolezza e quindi verso la conoscenza, anche i rapporti sessuali.
Del resto il mondo così come noi lo conosciamo è suddiviso in due sub-universi, quello maschile e quello femminile. L’unione passionale rappresenta l’unico momento in questi due sub-universi si allineano quasi del tutto. Consumare la vita nel cercare l’allineamento perfetto è una scelta tutt’altro che disprezzabile anche da un punto di vista puramente intellettuale.
E se l’unione avviene non spontaneamente ma dietro compenso, è possibile l’allineamento ?
Un pomeriggio di un mercoledì particolarmente noioso finalmente prendo la categorica e imperativa decisione: questo sarà il giorno in cui si apriranno le porte di nuovi sconosciuti mondi.
Ma quale ingresso nel multiverso scegliere ? L’offerta è così vasta che si rischia di consumare la propria intera vita in una infinita opera di sterile selezione. La scelta cade su una bruna dai lunghi capelli. Nelle foto ha una semplice camicia bianca su una gonna di lana grigia antracite al ginocchio e siede in modo composto ma sensuale su una poltrona di pelle rossa. In una delle foto la camicia è slacciata fino all’inguine e si vede una pelle quasi diafana. In un’altra la gonna è accorciata in mille pieghe fino all’inguine e le gambe sono in primissimo piano.
Il testo dice. “Ex modella 36enne raffinata ed elegante, figura slanciata, ambiente riservato. Solo persone educate. Chiamami con numero visibile, Ti aspetto”.
Tutto mi appare coerente. E quindi prendo il telefono. E lo guardo. E penso che è il telefono aziendale. E penso che sarebbe una sciocchezza. E penso che non vedo quale problema potrebbe sorgere. E penso che se dovessi avere una causa di lavoro potrebbero accusarmi di avere usato il telefono per motivi personali. Molto personali. E penso che tanto lo faccio sempre comunque. E penso che sto componendo il numero. E penso che ho fatto bene, era un sacco di tempo che non ero così eccitato. Mentre sento trillare la suoneria i battiti accelerano e l’adrenalina scorre impetuosa come le acque dell’Adda lungo le rive scoscese di Imbersago.
Una volta tanto la vita vera, non quella pensata, bussa alla mia porta ed è una bella sensazione.
Uno, due, tre, quattro, cinque squilli e poi niente. Niente risposta. Magari è tutto finto. Magari tutti i siti con gli occhi azzurri ed i seni ambrati sono un’impostura. Magari solo per attirare pageviews. Magari è un complotto delle compagnie telefoniche. Magari non esiste nessuna bella fanciulla disposta a cedere il meglio di se’ per vile denaro. Ma lo fa solo con chi e quando desidera farlo. Magari tutto ciò che credete di sapere è falso. Lo sbarco sulla luna, l’attentato alle torri gemelle, i campi di concentramento, la mamma, il campionato e la torta di mele.
Magari no.
Magari era in bagno o sul metrò e non era il caso di parlare di queste cose coram populo Magari in mezzo ad una scolaresca o davanti ad una casalinga con la permanente azzurra.
Magari richiamo.
Poi ovviamente mi chiamano per l’ennesima riunione-lampo, alfine di dirimere qualche fondamentale questione.
Ma anche tutte le riunioni, come tutte le guerre, prima o poi finiscono e così anche questa.
Magari me ne vado a casa e chiamo da lì.
Quando il sole tramonta e l’onda della luce naturale non fluisce più dentro le mura bianche l’atmosfera si intristisce e la casa torna ad essere una casa come tutte le altre. L’illuminazione artificiale è indiretta, di riverbero, per sfruttare il riflesso del bianco di zinco delle pareti. La base è costituita da una serie di luci al neon azzurre e rosa incassate nei bordi degli abbassamenti di cartongesso. I neon azzurri e rosa sono ciò che più assomiglia al tono della luce naturale, ma sono un pur sempre misero simulacro di essa.
Tutti coloro che hanno potuto vedere le stanze illuminate alla sera hanno in qualche modo espresso un qualche tipo di approvazione che pareva sincera ma niente è paragonabile alla luce del sole che batte su un muro dipinto di bianco.
8 o’ clock in the evening.
Riproviamo.
Uno, due, tre, squilli.. “Pronto ?”
E adesso ? E adesso cosa dico ? Cosa chiedo ? Le tariffe ? Come si chiama veramente ? Se è vero che faceva la modella ? Quanto è costata la gonna di lana antracite ?
Improvvisamente mi ricordo di essere una persona educata.
“Ciao, Buonasera”
“Ciao”
“Senti, volevo sapere……..se……tu…in che zona sei ?”
“Via…numero…..proprio dietro l’Arco della Pace”
La voce è un po’ strana, sottile e un po’ roca, da fumatore che non si è mai afflitto per il proprio vizio. Personalità forte. Pensa di me quello che vuoi a me piace fumare e non me ne frega niente se è considerato socialmente riprovevole e censurato, anzi magari fumo pure dove è proibito, anzi magari pure davanti ad un asmatico che si inala il Ventolin.
Non è una foto che fluttua nella realtà virtuale, un insieme di pixel elaborati da un microprocessore, è una persona vera.
Le erre strusciano lievemente, come di una persona che ha vissuto a lungo in Francia.
L’adrenalina ricomincia a scorrere e l’imbarazzo si dissolve come la nebbia mattutina sui campi della pianura padana una volta passato l’equinozio.
“Senti, ma c’è la portineria nel tuo palazzo ?”
“Ma no. E’ molto riservato. Quando vuoi venire mi devi chiamare almeno trenta minuti prima, mi raccomando”
“OK, senti, quanto devo portare ?”
“ Dipende da cosa vuoi ma per una cosa normale 150”
Chissà che cosa vuol dire una cosa normale…. io sopra e lei sotto supina ? O da dietro così non mi guarda neanche in faccia ?
Magari c’è un tariffario per ogni posizione, appeso alla porta del frigor, col bollo dei monopoli di stato.
“OK, penso che verrò domani verso l’una, è troppo presto ?”
“Noo, va bene sicuro ma quando sei in zona chiamami prima per confermare”.
“Ti devo citofonare?”
“No quando sei lì mi richiami e ti apro io”
“Ok, ciao”
“Ciao, ti aspetto”
Prima di andare a dormire riguardo le foto sul sito compiacendomi della mia scelta. La guardo come si guarderebbero un paio di scarpe, o forse meglio come si guarderebbe una bella stampa in una bella cornice tentando di valutare l’impatto che farebbe sulla bella parete dell’ingresso (dietro la porta). Del resto è l’unico modo di valutare quello che lei è, per adesso. Quattro immagini elettroniche. Neanche di grande qualità.
Al mattino mi sveglio d’improvviso e non ho neanche bisogno di un caffè doppio. Uno degli infiniti ingressi al multiverso si sta per aprire.
Chissà perché ho aspettato tanto.
Forse l’educazione cattolica.
Forse stupida vanità di maschio che pretende che stuoli di fanciulle si arrendano naturalmente alla sua virilità senza sborsare un centesimo.
Comunque io sto per correggere il mio errore.
Alle 12.10 sono già fuori dallo stabile, per fare un accurato sopralluogo. Prima di mettere a repentaglio la mia traballante reputazione, magari incrociando qualcuno che conosco su per le scale…..
“Ueilà cosa ci fai qui ?”
“ Vado a trovare un amico”
“Ah sì, certo, la zoccola che sta al terzo piano, ha ha ha !”
Ho una nomea di deviante di cui vado fiero ma a tutto c’è un limite.
L’edificio è elegante, dei primi del novecento, un classico palazzo signorile delle zone meno malfamate della metropoli. Il portone esterno è chiuso ma in genere dentro c’è un cortile-giardino e due scale subito dopo l’ingresso, una a sinistra e una a destra. Quando sono dentro che faccio ? Prendo l’ascensore (sempre che ci sia) o vado su per le scale ? Cosa farei se fossi lì per incontrare un amico o un collega ? Perché mi faccio tutte queste assurde domande ? Perché la sessuofobia di cui l’antica religione ebraica era permeata si è trasferita pari passu in occidente attraverso il cristianesimo ?
Il portone all’improvviso si apre, magari è lei.
Esce una signora con il cagnolino al guinzaglio.
E mi guarda fisso.
Forse ho la faccia colpevole prima ancora di aver peccato.
L’interno comunque è esattamente come pensavo.
Imparerò presto a mie spese che ovunque le fanciulle dai seni ambrati e gli occhi oscurati da strisce nere stiano, per qualche insondabile motivo, fuori dai loro portoni c’è sempre un continuo viavai di condomini, mamme con bambini, vecchietti che stanno lì fermi a guardare il traffico istupiditi per ore intere.
Nei portoni a fianco niente.
Nessuno.
Forse è un messaggio dell’Onnipotente. E gli antichi giudei che lapidavano chi commetteva atti impuri erano veramente ispirati dal divino.
In ogni caso l’ora segnata dal destino sta per battere nel cielo della mia metropoli. Alle 12.40, mentre cammino in una strada secondaria, la richiamo.
“Ciao”
“….Ciao”
“Ho chiamato ieri, mi hai detto che sei in via…numero….giusto ?”
“Sì”
“Se fra un quarto d’ora sono da te ti va bene ?”
“Sì, richiamami quando sei lì”
“Mi puoi dire a che piano sei ?”
“Te lo dico quando sei lì”
“Ok”.
Clic
Torno indietro e mi metto dall’altro lato della strada, aspetto che il via vai del portone si cheti e poi chiamo.
“Sono io, sono arrivato”
“Citofona al numero 12 e ti apro, scala a destra, secondo piano prima porta a destra”.
“Va bene”.
Attraverso la strada e premo il tasto. I secondi passano e non accade nulla. Che diamine aspetta ? E se adesso rientra la signora col cagnolino ? E se arriva un condomino con la spesa ? Che penserà di me fermo come un palo fuori dal suo portone ?
Clic
Entro.
Non c’è nessuno e la tensione scema.
L’interno è come quello di tanti edifici storici del periodo con un piccolo giardino interno, le ampie scale, e i ballatoi ad ogni piano. Le porte dei singoli appartamenti si aprono sulla corte interna.
Le colonne che sorreggono il ballatoio sono spesse e con i capitelli dorici. Ho un improvviso flashback, come i reduci del Viet-nam. Mi sembra di avere già visto questo luogo. In realtà assomiglia solo terribilmente al cortile del mio liceo.
E’ strano che non ci sia un custode, la guardiola è chiusa con un lucchetto che inizia ad arrugginire. In questi palazzi c’è sempre un custode, per omaggiare le signore dell’alta borghesia che vanno a spasso col cagnolino e lodare di quando in quando la sfavillante bellezza dei pargoli immancabilmente biondi.
Forse il custode non c’è perché questo non è che un enorme postribolo. Forse oltre la soglia mi aspetta una vecchia maitresse con un lungo bocchino di ceramica nera fra i denti.
E le ragazze sono adagiate, in sottoveste e reggicalze, discinte e annoiate, su divani lisi di velluto. Chissà se una di loro poserebbe per me, con un bicchiere pieno di assenzio verdastro in mano, mentre un cliente in doppiopetto blu e cravatta gialla di Hermés allunga una mano sotto la gonna.
Magari mentre un’altra, seduta a fianco sullo stesso divano, scrive sulla tastiera di un PC portatile con lo chassis d’alluminio ed il viso è illuminato dai riflessi multicolori del display acceso.
Salgo le scale di destra e all’angolo fra il primo ed il secondo piano c’è una statua di Mercurio con il braccio sinistro che punta verso l’alto.
Ma non c’è tempo di guardare i dettagli, potrei essere colto sul fatto da qualche inquilino irritato dall’inspiegabile andirivieni di maschi trafelati che corrono su per le scale. Proprio come sto facendo io adesso.
La prima porta a destra del secondo piano è socchiusa. Deo Gratias. Appena appoggio la mano la porta si apre del tutto e finalmente, almeno per ora, mi sento salvo.
Mi giro e finalmente poso o miei occhi sulla signorina su cui ho tanto vagheggiato. Ha una gonna a tubo nera al ginocchio ed una camicia bianca aderente. Una massa di capelli ondulati neri che le coprono in gran parte il viso. Non è quella delle foto, credo, ma ha una figura elegante e poi ormai non avrei il coraggio per protestare o andarmene. Il coraggio l’ho usato tutto per salire lo scalone con la statua di Mercurio all’angolo. Il dio dei ladri e dei commerci. Anche di corpi umani evidentemente.
Lei si gira e incomincia a camminare nel corridoio. Ha delle belle forme fasciate dalla gonna a tubo. La casa è stupefacente. E’ enorme, almeno per gli standard della metropoli, con un numero di camere imprecisato che si apre su un corridoio che fa una curva a quarantacinque gradi a sinistra. Una cosa quasi impossibile dato che il palazzo è un rettangolo. Alcune delle porte sono aperte e si vedono gli interni. Sono arredati in modo bizzarro, con tavoli da gioco francesi affiancati ad armadi dozzinali e cumuli di oggetti indecifrabili sui tavoli. Sto camminando in un sogno, mentre sento il ticchettio dei tacchi a spillo che battono sul pavimento di legno. All’improvviso passiamo accanto a una porta aperta. E’ un bagno con le piastrelle rosa salmone.
Mi ricordo che nel tumulto dei sensi stamattina non mi sono neanche lavato.
“Posso andare in bagno ?”
La massa di capelli si volta.
“Certo, ti aspetto in camera, è quella là” e mi indica una porta poco avanti.
Senza dire nulla entro.
All’interno, sopra il lavabo, c’è uno specchio composto da nove quadrati incollati alla parete: 19.99 ai grandi magazzini. Le piastrelle invece hanno l’età dei pavimenti e (forse) dei tavoli da gioco francesi, quelli che si aprono girando su un perno i due piani richiusi e che sulla faccia inferiore dei piani hanno il panno verde.
Quelli che usavano Marie Antoinette e le sue dame per giocare a Whist.
Sopra il bordo interno di una vasca striata dal calcare c’è una collezione di piccoli flaconi di shampoo. Saranno duecento. Ne prendo uno e sopra c’è il logo di un albergo in Thailandia. Sono tutti stati presi come souvenir in stanze di alberghi di tutto il mondo.
Tanzania, Perù, Egitto, India, Francia, Botswana, Messico.
E’ incredibile come non ce ne siano due con la stessa forma. E’ incredibile cosa può partorire la calda fantasia dei direttori marketing. Non ce n’è mai uno che fa una cosa uguale a un altro. Neanche se gli date le specifiche UNI con una tolleranza di un micron.
Starei ore a guardarle, sono bellissime, sono il segno di quanto lo spirito umano sia multiforme.
Magari un’altra volta.
Mi spoglio, mi lavo e poi vengo assalito da un altro dubbio. Devo andare di là così, con la camicia, i pantaloni e le scarpe in mano ? O magari riassumo un minimo di dignità.
E’ inutile, non riesco a pensare a quella donna con la massa di capelli scura come a una prostituta chetantocosavuoicheglieneimportissearriviconlescarpeinmanobastachelapaghi
Ci farò l’abitudine. Almeno mi rilasso un po’. Che ci vado a fare con una pay se mi comporto come se potesse cacciarmi di casa se non le vado del tutto a genio ?
Alea iacta est. Decido di lasciare gli indumenti in bagno. Il pavimento di legno a piedi nudi è confortevole e silenzioso.
Lei è di spalle e sta accendendo un piccolo impianto stereo posto su un comodino di fianco al letto.
Sull’orrendo comò chippendale c’è una cosa che mai avrei potuto immaginare esistesse. Un’altra piccola collezione.
Di bambole.
Le bambole di James Bond e della sua partner di ogni film dai tempi di Sean Connery.
007 e Ursula Andress
007 e Barbara Bach
007 e Carole Bouquet
007 e Britt Ekland
Ogni coppia nella confezione originale.
Ci sono tutte.
Almeno credo.
Ma che luogo è questo ?
Possibile che non possa trovare una puttana come tutti gli altri ?
Che riceve in qualche squallido monolocale con una confezione aperta di kleenex sul comodino.
E si accende una sigaretta mentre accavalla le gambe con le calze nere smagliate.
E ti guarda con una faccia che dice “Avanti bello che il tempo è denaro”.
E’ il karma.
Una volta un decrepito sacerdote di Shiva del tempio di Tanjore, con tre strisce bianche dipinte sulla fronte, me lo ha detto ridendo.
Voi occidentali credete di poter controllare l’Universo, ma solo Shiva controlla il fluire del cosmo. E, mentre l’universo fluisce, lei si gira e dalle casse si diffonde una musica. Una specie di sottofondo con le onde che si infrangono sulle rocce.
Non riesco a vederle il viso, è sfuggente come la realtà in cui fluttuo.
Forse ha qualche sfregio o angioma sul lato sinistro del viso perché tiene sempre la testa inclinata dal lato opposto.
Si toglie la camicia e la gonna.
Sarà alta (con i tacchi) più o meno come me. Ha un intimo bianco bordato con un pizzo leggero. Le calze nere autoreggenti. Si toglie le scarpe e si sdraia sul letto, appoggiata sul gomito destro.
“Cosa vuoi fare ?”
“Dimmi prima se abiti in questa assurda casa (le vorrei chiedere)”, in realtà non lo so cosa voglio fare. E non voglio neanche saperlo. Non prima. Altrimenti mi sembra di allestire l’ennesimo inutile modello di previsione (che tanto la realtà ex-post è sempre diversa da quello che pensi).
“Vediamo…” è l’unica cosa che riesco a dire.
Ci siamo avvicinati e abbiamo cominciato.
Intanto Ursula Andress ci osservava da una scatola impolverata.
E Sean Connery, a fianco a lei, teneva il braccio destro alzato impugnando la sua Walther.
All’improvviso mi sono trovato una massa di capelli scuri sopra e ho allungato le mani dietro la schiena per slacciare i ganci del reggiseno bianco.
Sotto i globi dei seni ha due sottili serpenti azzurri tatuati.
Se Sean Connery fosse uscito dalla sua scatola e mi avesse dato un pugno nello stomaco sarei stato meno sorpreso.
Libera Nos Domine, mi sto per accoppiare con Medea, o con sua sorella Circe.
Ho quasi l’impulso di scostarla, pagarla e andarmene, ma il profumo che viene dalla sua pelle non mi consente di fuggire. Noi uomini siamo tutti irrimediabilmente schiavi.
Ha ragione il sacerdote di Shiva, non possiamo sfuggire alla ruota del Saṃsāra. Non prima di esserci incarnati almeno mille volte. La mia anima è troppo giovane per ergersi al di sopra degli istinti. Dovrò prima accoppiarmi almeno un altro milione di volte nelle mille vite che mi attendono.
Va bene Circe, soddisfa i tuoi istinti e trasformami in un porco, ormai non posso più fuggire da te.
Il resto dei miei ricordi non è così nitido. Ricordo un vago piacere e una pelle tiepida. E un odore di lenzuola lavate da poco in mezzo al profumo di cera dei pavimenti di legno.
Alla fine i serpenti non si sono animati per strangolarmi e Circe non mi ha trasformato in qualcosa di peggio di quello che già sono.
Mi ha riaccompagnato lungo i corridoi della casa, precedendomi con il suo lieve ticchettio, i polsini della camicia slacciati e una ciocca di capelli che sporge dalla tempia. Il segno che tutto questo non è stato un sogno ma che qualcosa è avvenuto realmente.
Apre la porta.
“Ciao, torna a trovarmi”.
“Certo”.
In realtà non ho alcuna intenzione di tornare. Potrei perdermi ad osservare le boccette di shampoo colorate nel bagno rosa o scoprire che in un’altra stanza c’è uno scaffale colmo di action figures di Guerre Stellari in atteggiamenti discinti. La principessa Leyla avvinghiata a Darth Maul. Mentre due serpenti azzurri, abitanti di un pianeta della cintura esterna, li osservano perplessi.
Uscendo dal portone guardo il cielo sempre latteo della metropoli e poi mi dirigo verso uno dei tanti locali con tavolini all’aperto della zona. Ho bisogno di un caffè doppio.
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