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Prime Esperienze

Fallo, doppio fallo, game set match.


di Chupachup
17.04.2024    |    12    |    0 6.0
"I mugolii di Gigliola accompagnavano le giocate, io purtroppo dagli spalti dovetti mordermi le labbra mentre mettevo a segno il mio colpo, una gran schizzata..."
Nell'ultimo anno ho visto in TV diversi incontri di tennis con protagonista Jannick Sinner, e chi non l'ha fatto direte voi! Durante uno di questi però m'ha colpito la sua gentilezza, direi quasi d'altri tempi, verso una delle ragazze raccattapalle. Per ripararsi da un improvvisa pioggia che scendeva sul campo, lei arrivava con un ombrello e lui prontamente glielo sfilava dalle mani e lo reggeva per entrambi, quindi sedutisi accanto leggermente imbarazzati, visibilmente più lui di lei alquanto sorpresa ma sorridente, parlottavano qualche minuto prima che riprendesse la gara.
M'è saltato in mente che Plauto col suo "nomen atque omen" non sempre ci ha visto giusto, “sinner” in inglese significa peccatore e poco ci azzecca con le qualità morali del campione Jannick. A sua volta peccato dal latino “peccus” è un derivato da pes pedis, ci riporta a locuzioni quali: mettere un piede in fallo, inciampare, cadere lungo il cammino insomma sbagliare e pure qua il nome del nostro atleta poco rispecchia quel significato.
A parte tutta questa sega mentale che mi son fatto la scenetta sul campo mi ha richiamato però alla mente altri fatti avvenuti molti, troppi, anni fa durante la mia adolescenza.

Avevo 12 anni e mezzo quando mio padre decise per combattere la mia timidezza di iscrivermi ad una associazione sportiva, purtroppo non di calcio che amavo ma qualcosa di più adatto alla mia gracilità, bagnato forse pesavo 40 kg, la scelta dopo alcune discussioni cadde sul tennis che spesso guardavo in TV e ritenuto dalla mia famiglia meno pericoloso e violento. Il mio idolo ai tempi era quel cavallo pazzo di John McEnroe, di cui ammiravo non solo i colpi geniali ma pure le sfuriate in campo dovute al suo carattere ribelle e sfrontato, insomma proprio l'opposto al mio.
Ricordo bene il mio arrivo in segreteria, l'iscrizione e la retta mensile che costavano un botto, all'epoca il tennis era uno sport elitario, e la mia famiglia non faceva certo parte della borghesia più ricca. Le prime lezioni in campo, sulla terra rossa, per vedere come me la cavavo furono abbastanza uno shock, sia psicologico visto che quasi tutti gli altri allievi avevano la puzza sotto il naso, sia dal punto di vista puramente atletico visto che gli altri miei coetanei del corso non erano certo alle prime armi come me, tiravano certe bordate che vedevo partire ma nemmeno il tempo di reazione che le palle mi erano già alle spalle, le poche che raggiungevo poi mi piegavano il polso ed era arduo riuscissi a ribattere i colpi nel campo avversario.

Il team di allenatori, nei giorni in cui frequentavo io, era composto da Damiano, un ragazzone alto magro e comunque atletico, coi capelli corti ma già radi da sembrare più adulto dei suoi probabili trent'anni, dal carattere taciturno e all'apparenza burbero e da Cosimo, un quarantenne giovanile biondiccio dal taglio alla Bjorn Borg, molto prestante, affabile e sempre pronto alla battuta sia dentro sia fuori dal campo. Una mattina decisero che forse era il caso di agevolare la mia carriera, mi appiopparono così alla collega più giovane che insegnava ai bambini sino ai 10 anni.
Ripenso a quel primo incontro ed ho ancora i brividi, Gigliola, forse allora nemmeno ventiduenne, era una moretta piccola e spigliata che di viso somigliava vagamente a Gabriela Sabatini.
Mi salutò “ciao Paolo!Piacere di conoscerti” dandomi un buffetto con la mano tra i capelli, io sguardo basso mi persi nel lungo-linea delle sue gambe toniche e abbronzate, messe ancora più in risalto dal gonnellino bianco plissettato della sua mise sportiva marchiata Ellesse. Impietrito bofonchiai quasi tra me uno sconnesso “Ciao maestra” con le gambe rigide, le braccia appese lungo i fianchi, colpito inerme dal suo primo ace vincente.
Le cose finalmente andarono meglio dal punto di vista sportivo, Gigliola era con tutti noi dolce, paziente e un'ottima trainer. Indossava ogni giorno un gran sorriso sulle sue labbra, lucide di un gloss trasparente, che facevano pendant ad un nastro rosa che usava per tenere fermo nel capo una lunga treccia castana arrotolata in uno chignon, la sua allure metteva di buon umore noi ragazzi ma pure i suoi colleghi maschi ça va sans dire stravedevano per lei.

Non vi dico quanto amai la volta che mi aiutò a correggere la postura del corpo e delle gambe per migliorare il rovescio, mio Dio quanto ero legnoso! Vi spiego, il colpo va eseguito portando il busto all’indietro e, successivamente, ruotandolo in avanti, con la linea delle spalle perpendicolare alla rete, colpendo la palla in modo secco e deciso. Per imprimere maggior forza al colpo, al momento dell’esecuzione il peso del corpo va spostato dalla gamba sinistra più arretrata alla gamba destra che è circa un passo avanti.
Lei si poggiò col corpo da dietro al mio, mi teneva saldamente il polso e ne assecondava la rotazione e con l'altra mano mi cingeva al fianco, le sue gambe aderenti alle mie mi accompagnavano lungo tutto quell'ampio movimento, ripetutamente, come una specie di nuovo ballo latino americano sensuale ma effettuato al rallentatore. Io strizzavo più forte possibile quella cazzo di racchetta e lei mi consigliò “Bravo Paolo ma sii più rilassato, guarda fai così” tenendomi la mano delicatamente con la sua dalle unghie curate “cerca di avere una presa si decisa sul tuo manico, ma senza stringerlo troppo, devi cercare d'esser più dolce.”
Quella notte sognai Gigliola in cinemascope: una inquadratura larga su noi due che ballavamo stretti in un campo da tennis tutto fiorito; una zoomata del suo abitino lungo color pervinca in tulle trasparente, solo le scarpe da tennis Tacchini e sotto completamente nuda, le piccole tettine erette che mi trafiggevano direttamente sul cuore; fading sul giudice di sedia che metteva musica come un deejay dall'alto del suo scanno, la canzone True Blue di Madonna in sottofondo . Mi svegliai di soprassalto, il mio “coso” stava all'impiedi saltato chissà come fuori dalle mutande, ed ero umido come se mi fossi pisciato addosso, non era la prima volta che mi succedeva in quei mesi. Alcuni giorni successivi interrogai mio zio materno Alessio, la giovane pecora nera della famiglia, facendogli domande con delle circonvoluzioni accrocchiate sull'accaduto, lui capì al volo, mi rassicurò e mi diede una dritta su come evitare altre possibili future brutte figure.

Dopo qualche mese rivedendomi giocare Cosimo s'accorse che ero ormai all'altezza dei miei pari età e nuovamente di punto in bianco tornò ad esser il mio allenatore. Fu assai doloroso allontanarmi dalla frequentazione trisettimanale con la mia adorata maestra, così per porvi rimedio almeno in minima parte, il venerdì quando finivo la mia lezione, iniziai ad osservarla di nascosto nei suoi allenamenti personali con Cosimo, dietro la rete di recinzione posteriore del campo quattro, tra alte siepi mediterranee, che andavano dalla ginestra al mirto, dal rosmarino al corbezzolo, dall’oleandro al lentisco. La primavera era ormai sbocciata e tutti quei profumi mi inebriavano, un giorno accovacciato nella penombra ricordai le parole di zio e tirai fuori dalla tuta il mio cazzo, come avevo imparato a chiamarlo da studenti più grandi. Gigliola era alla battuta, si sistemava una ciocca di capelli dietro il lobo dell'orecchio, si chinava leggermente in avanti, intravedevo parte delle sue mutandine candide sotto il gonnellino, faceva rimbalzare la pallina due o tre volte sul campo poi la lanciava in aria sopra la sua testa, contemporaneamente si piegava leggermente sulle ginocchia, s'inarcava sulla schiena, con un saltello in avanti la colpiva con forza a tutta velocità, ruotando armoniosamente tutta la spalla che la canotta lasciava voluttuosamente scoperta. Quando lei colpiva la palla decisi che dovevo affondare con movimenti più ampi e forti sul mio cazzo, effettuavo rotazioni sul polso come m'aveva insegnato lei candidamente, le sue corse lungo il campo mi offrivano la vista del suo magnifico culetto sodo, tornito dall'esercizio fisico, e le sue tettine libere ballonzolanti, non trattenute da alcun reggiseno. Giocai il nostro primo incontro a testa alta ma lei mi dominava e persi in 6 brevissimi set, schizzai sul terreno tutta la mia gioia.

Le giornate si allungavano, iniziammo ad allenarci la sera per evitare il calore del pomeriggio. A casa m'era capitato tra le mani un libro di mia sorella più grande, una raccolta di poesie erotiche di Neruda e mi venne la malsana idea di copiarne a mano una su un foglietto per poi nasconderlo nel borsone di Gigliola, firmandomi non chiedetemi perché e non ridete di me, A.A.V. Ovvero ammiratore anonimo veneziano.
“Lasciami libere le mani e il cuore, lasciami libero! Io solamente ti desidero, io solamente ti desidero!
Non è amore, è desiderio che inaridisce e si estingue, è precipitare di furie, avvicinarsi dell'impossibile, ma ci sei tu, ci sei tu per darmi tutto, e per darmi ciò che possiedi sei venuta sulla terra come io son venuto per contenerti e desiderarti, e riceverti!” Le notti seguenti fui meno romantico e mi ammazzai di seghe compulsive, pensando quasi ininterrottamente a lei."

Il 17 giugno la nazionale di calcio, a città del Messico, uscì dai mondiali sconfitta dalla Francia di Platinì, non ci fu praticamente partita, eravamo scoppiati dal caldo e senza un minimo di fantasia nel gioco. La mattina successiva in città sembrava fosse scoppiata la guerra, traffico inesistente, persone tristi e scure in volto, ero annoiato, le scuole erano finite, decisi di andare ai campi anche se non avevo lezione per vedere se riuscivo a spiare Gigliola in allenamento per, diciamo, tirarmi su di morale. Pure lì un deserto, c'era solo il portinaio, ne allievi , ne maestri, ricordai che c'era una riunione direttiva in sede centrale in vista dell'incontro di coppa Davis e tutte le lezioni del giorno erano state cancellate. Feci dietrofront per andare via quando sentii delle risate provenire dagli spogliatoi maschili che erano divisi in tre zone: un piccolo ingresso con gli armadietti, lo spogliatoio vero e proprio confinante con le docce, e ultima una sala per i massaggi dirimpetto ai bagni, riconobbi la voce squillante di Gigliola e quelle di Cosimo e Damiano echeggiare da quella direzione, mi parve assai strano che lei fosse li con loro. Sgattaiolai nel bagno adiacente, salii con i piedi sopra lo sciacquone dietro il gabinetto cercando di non far rumore, sporgendomi il minimo dal muro aperto nella parte superiore, senza farmi beccare.
Gigliola sedeva vestita sul lettino, Cosimo le massaggiava le gambe, una ad una, partendo dalla caviglia e arrivando su sino alla coscia mentre Damiano le scioglieva i muscoli delle spalle. Ero ancora abbastanza ingenuo, poteva sembrare che si fossero appena allenati, stavo quindi per scender da quel trespolo quando con un gesto improvviso Gigliola abbassò i calzoncini a Damiano, gli prese il cazzo in mano già bello in tiro e iniziò a succhiarglielo, Cosimo non perse tempo e spostatele di lato le mutandine inizio a giocare con la sua patatina prima con le mani e poi con la lingua. La pressione del sangue mi salì velocemente alla testa e alle parti basse e la mia mano scivolò sotto la tuta. Ai miei occhi si presentò poi una scena incredibile che nemmeno il giornalino porno, regalatomi da zio sottobanco, aveva previsto nelle sue sceneggiature. In prima battuta tutti i loro vestiti caddero velocemente a terra. Damiano prese in braccio Gigliola che infilò subito il primo fallo dell'incontro, immediatamente dopo seguì Cosimo con un colpo da dietro, per un magnifico doppio fallo. Seguii con trepidante passione i loro colpi ritmati, ora veloci ora lenti, gli affondi, gli effetti top e back spin dei loro corpi. I mugolii di Gigliola accompagnavano le giocate, io purtroppo dagli spalti dovetti mordermi le labbra mentre mettevo a segno il mio colpo, una gran schizzata di voleè! Continuai a guardare il secondo set quando una smorzata potente di Gigliola sul cazzo di Damiano lo fece capitolare, pochi istanti dopo uno smash di Cosimo nel culo di Gigliola pose fine a quei giochi entusiasmanti. Applausi!

A fine giugno il corso della scuola tennis aveva chiuso ufficialmente i battenti e fu organizzato un piccolo torneo di fine anno, in cartellone alcune sfide di doppio misto, non agonistico, tra squadre formate da un allievo ed un maestro. La fortuna mi arrise e capitai in team con Gigliola, che notato il mio entusiasmo mi abbracciò felice. A metà partita la nostra superiorità sembrava più che evidente, al cambio campo seduti di fianco, Gigliola maliziosa stringendomi il polso disse sorniona: “Ammiratore anonimo, ho notato con piacere che il tuo polso è molto migliorato nel rovescio dall'ultima volta che abbiamo fatto l'ultima lezione assieme, mi hai dato retta, bravo! Immagino non dipenda solo dagli allenamenti a tennis, cosa credi che non ti abbia sentito spiarci dal bagno, o che non ti abbia intravisto dietro le siepi con quel manico da racchetta che ti ritrovi in mezzo alle gambe, stai tranquillo non mi arrabbierò con te, in fondo ci siamo proprio divertiti ed è stato un piacere anche per me.” Rimasi basito a quelle sue parole, era una fuoriclasse nata, per me all'epoca era impossibile batterla e per la differenza d'età purtroppo anche tentare di sbatterla, vedete un po' voi.
Game, set, match!
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