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Prime Esperienze

Posso toccarti le tette?


di Membro VIP di Annunci69.it seldom
22.11.2022    |    26.313    |    47 9.9
"Eravamo Achille e Patroclo oppure Apollo e Giacinto oppure Diana e Callisto..."
“Cristina hai cinque minuti per sparire”.
Era la mamma di Dario che non avevamo sentito entrare. Ci passò davanti senza guardarci e sparì in soggiorno. Mi rivestii e andai via piena di vergogna.
“Ciao Dario ci vediamo domani, chiamami stasera”.
Ho conosciuto Dario in prima liceo. L'anno nel quale oltre alla novità del greco dovetti imparare a convivere con le mie tette che da due piccole ventose attaccate ad un muro erano diventate vere tette, tonde e sode.
Attiravano gli sguardi e i commenti e mi piaceva.
Al mattino sotto la doccia, insaponate, le strusciavo contro le piccole piastrelle del muro per sentire il ruvido tra una piastrella e l'altra fino a sentire le gambe molli in quello che, forse, doveva essere un orgasmo.
Le sentivo per tutto il giorno sotto ai primi reggiseni di cotone. Diventare amica di Dario fu naturale.
Era un ragazzo timido, introverso e molto carino. Non era primitivo come i suoi compagni che pensavano solo a correre picchiarsi, sudare e fare stupide battute.
Aveva modi gentili e abitavamo vicino così cominciammo ad andare e tornare da suola insieme.
Sembravamo fratello e sorella, alti uguali ed entrambi biondi con i riccioli e mi piaceva la sua compagnia, era facile parlare e confidarsi.
Cominciammo a studiare insieme al pomeriggio. Andavo da lui, le nostre famiglie si conoscevano e mia madre non mi faceva il terzo grado per darmi il permesso. Eravamo amici e mai avevo pensato a lui nei miei desideri.
Andavo da lui perché il pomeriggio era solo e perché dalla scrivania di camera sua si vedeva la gente sulla Mole.
Fu un pomeriggio di studio, studiavamo veramente, quando Dario mi guardò e disse: "posso toccarti le tette?”.
“Perché?” risposi sorridendo.
“Così, sembrano belle da toccare”.
Dopo un po' di silenzio sporsi il petto in avanti e lui allungò la mano attraverso la scrivania e le toccò, timido.
“Allora? Che dici?” gli chiesi.
“Piacerebbe averle anche a me”.
“Così potresti toccarle ogni volta che vuoi”.
“Non so, forse sono gay”.
Io non sapevo bene cosa fosse un gay, anche la parola non mi era famigliare, si usava poco era più frequente frocio o checca e non era mai un complimento.
“Beh ma i gay mica hanno le tette e si ti è piaciuto toccarle non sei gay”.
Alla sera nel letto ci pensai fino ad addormentarmi.
Dario, gay, tette e pisello. Non avevo mai visto un pisello ma mi sarebbe piaciuto toccarlo.
Sui libri sembravano tutti piccoli e innocui mentre una sera ad una festa ballando con un ragazzo più grande avevo sentito che forse non era così.
Passai un po' di pomeriggi a studiare e a farmi toccare le tette da Dario. Era bello, andavamo davanti allo specchio dell'ingresso, in piedi e lui da dietro mi toccava.
Passava le braccia sotto le mie ascelle e le toccava. Facevamo finta che fossero sue anche se io sentivo benissimo che erano mie e mi facevano impazzire di un desiderio che non sapevo cosa fosse ma che mi spinse a togliere maglia e reggiseno e rimanere a petto nudo davanti allo specchio a guardare le sue mani toccarmi.
Infilai la mano dietro, tra noi e lo toccai attraverso i pantaloni.
“Mi fai toccare il tuo pisello?”.
“Se vuoi, sì”.
Gli aprii la lampo litigai con i suoi slip tanto che gli feci male e alla fine lo presi in mano.
Eravamo eccitati così mi girai, gli abbassai i pantaloni e lo strinsi tra le mani. Gli annusavo il collo, mi girava la testa.
Non andammo oltre, tornai a casa entrai nella doccia e mi masturbai con le tette contro le piastrelle del bagno e le mani che scivolavano in mezzo alle cosce insaponate.
Cominciammo a usare il tragitto scuola casa per studiare. Il pomeriggio passava troppo in fretta da quando avevo scoperto il suo pisello che ora chiamavamo semplicemente cazzo.
Giocavamo da bambini quali eravamo e nella nostra assoluta ignoranza sul sesso tutto ci veniva naturale.
Ci scambiavamo i vestiti. Lui in reggiseno e gonna ed io in jeans e maglietta con i suoi anfibi di quattro numeri più grandi. Dario era glabro a parte un po' di peli sul pube, la mia gonna e il reggiseno gli stavano benissimo.
Rubavamo le scarpe di sua madre e cominciammo a fare del sesso.
La prima volta che assaggiai il suo cazzo che usciva dalla gonna e mi piacque davvero tanto. Per un po' deglutii la saliva poi la lasciai gocciolare fuori dalla bocca come il mio cane davanti alle crocchette.
Lui mi insegnava dove gli piaceva, il ritmo, quanto stretto ed io facevo la stessa cosa quando era il suo turno.
A scuola andavamo bene ma che Dario fosse gay era diventato un pettegolezzo comune.
Non avevamo altri amici oltre a noi. Le femmine della classe mi parlavano solo per chiedermi se fosse veramente frocio, i maschi uguale.
Io andavo a scuola solo più in jeans e maglioni, la gonna la mettevo in borsa solo per prestargliela in camera sua.
Oramai eravamo entrambi sicuri che fosse gay, parlare con lui era bello ci capivamo, era un'amica con il pisello più che un amico. Non era il mio ragazzo era l'amicizia e la curiosità di un mondo sconosciuto, nascosto e peccaminoso a unirci. Erano i discorsi sul perché fosse tanto riprovevole essere gay. I commenti sui maschi e i pettegolezzi sulle femmine.
Studiavamo e ci piaceva leggere i racconti della mitologia greca. Edone, Saffo, Eros, Afrodite.
Zeus no, non ci piaceva, così prepotente e falso.
Eravamo Achille e Patroclo oppure Apollo e Giacinto oppure Diana e Callisto. Il letto lo usavamo per leggere, mai per il sesso, per quello usavamo la scrivania, la poltrona o di fronte allo specchio. Sul letto andavamo per raccontarci, per dire del sesso appena fatto o per raccontarci quello che volevamo nella vita.
A volte facevamo discorsi profondi e altre stupidi ma uguali nella serietà che li partoriva.
Avevo una vita sessuale nascosta che non potevo raccontare a nessuno, neanche alle compagne in bagno e mentre ascoltavo le loro stupide avventure avrei voluto raccontare loro dei miei pomeriggi ma Dario era gay e stavo zitta.
In fondo il nostro mondo era piccolo, stessi compagni, stessa scuola, stesse strade che diventavano grandi solo nei nostri giochi.
Alle feste io mi divertivo a ballare con qualche compagno ad eccitarlo solo per raccontare a Dario i particolari.
Scoprii che il cazzo di Dario non era piccolo, o almeno l'altro che aveva toccato era molto più piccolo. Avevo imparato a capire quando stava per venire e avevo anche imparato che il gusto dello sperma è piacevole.
Nei nostri giochi pomeridiani andavamo sempre oltre. Lui mi leccava fino a farmi scuotere tutta in orgasmi che non riuscivo né a prevedere né a controllare, poi, in ginocchio davanti a me, faceva finta di fare un pompino ad una banana che mi incastravo in mezzo alle gambe strette e che mi eccitava nuovamente. Lo guardavo negli occhi e sapevo cosa provava perché io, poi, lo avrei fatto a lui.
Lo leccavo sotto i testicoli, quella riga che chiamavamo l'asse di simmetria che scende fino all'ano, lo succhiavo fino a farglielo diventare durissimo e pieno di vene e poi con un piccolo massaggio un po' prepotente sul buco glielo facevo ritornare morbido e mi piaceva alla fine farlo venire.
Quel pomeriggio lui era così, inginocchiato davanti a me a succhiare la banana in mezzo alle mie cosce.
Eravamo nell'ingresso dove c'era un enorme specchio che teneva tutta la parete che aveva visto molte volte quei giochi, la porta si aprì e ci trovammo di fronte sua madre.
“Cristina hai cinque minuti per sparire”.
Scappai via. Alla sera non mi telefonò e il giorno dopo non era a scuola. Andai sotto casa sua ma non lo vidi. Per quattro giorni non ebbi notizie.
Fui rinchiusa in casa per il resto dell'anno. Mio padre mi portava a scuola e mia madre veniva a prendermi. Proibite le feste, le uscite serali. Proibito tutto. Potevo solo andare a nuoto, a portare il cane al parco e dalla psicologa.
A Dario andò ancora peggio, fu mandato in un collegio lontano perché la colpa di tutto fu data a me.
Avevo sedici anni e lui diciassette, vergini, e la psicologa mi raccontava che la sessualità ha una normalità ed una perversione ed io ero nella perversione. La curiosità per il sesso alla mia età era normale, diceva, ma scambiare i vestiti non lo era. Dopo la seconda volta non le parlai più.
Ero felice di essere una donna, una piccola donna che aveva scoperto le sue tette da un anno, avevo fatto sesso con un amico perché di lui non avevo timore, perché lo rispettavo e mi rispettava, perché sognavamo insieme e ci capivamo. Quello era un gioco che con lui potevo fare solo così e a quei tempi chi mi proponeva altri modi non mi interessava.
Ci insegnavano a pensare “con la nostra testa” ma non potevo essere libera di fare sesso con un ragazzo che indossava la mia gonna. Perché alla fine quello era il dramma.
La vita va avanti ed è facile quando si è giovani e così andò avanti la nostra.
Dario si innamorò di un suo compagno di università e da poco ha celebrato venti anni di coppia e cinque di matrimonio con una grande festa con il tema “la Grecia classica”.
Io mi porto ancora in giro le mie tette e ogni tanto le struscio ancora contro le piastrelle della doccia per sentire il ruvido tra una piastrella e l'altra ma, da allora, nessun maschio ha più meritato la mia gonna.

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