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Il Matrimonio


di LoScrittore91
27.06.2021    |    25.198    |    2 9.4
"Io appoggio di nuovo la gamba, lui si pulisce la cima del pisello con un ritaglio di carta igenica..."
Avrei tanto voluto rifiutare. Dire scusa, Elena, ma quel giorno proprio non riuscirò ad esserci. E invece avevo accettato, purtroppo. E ora mi aspettava il pranzo al ristorante, dopo aver assistito ad una cerimonia interminabile.

E Francesco nemmeno c’è. Il turno di merda, gli è capitato. Conosco la sua vita, il suo lavoro, i lati negativi di essere fidanzata con un poliziotto.

Entro nel ristorante, una cascina in aperta campagna. Eleganti tovaglie bianche vestono una ventina di tavoli circolari, sparsi nell’ampia sala. Gli invitati sostano davanti ai propri posti, in piedi, scambiandosi caldi abbracci e risate. Si respira aria di festa.

Dato che non conosco praticamente nessuno, oltre gli sposi, vado subito al mio posto riservato. Ogni tavolo ha il nome di una regione e io sono stata assegnata alla Toscana.

Gli invitati iniziano a sedersi. Un ragazzo in camicia bianca e cravatta nera prende il posto accanto al mio. Lo riconosco all'istante. Rispetto all’ultima volta che ci siamo visti ha la barba più piena, i capelli più lunghi. Mi guarda per qualche secondo, cercando di recuperare frammenti di memoria, e alla fine le sue labbra si allargano in uno splendido sorriso. Una voragine si apre nel mio stomaco.

Sono passati tre anni. È successo un mese prima che incontrassi Francesco. Era stata proprio Elena, a presentarci. Un’uscita mista, coppie e single. A fine serata, dopo aver chiacchierato tutta la sera, Mattia si era offerto di accompagnarmi a casa. Un bacio era diventato qualcosa di più. E alla fine eravamo finiti in un parcheggio, a scopare.

In ventinove anni, è stata la volta più bella in assoluto. Più di ogni ragazzo con cui sono stata, più di Francesco.

Abbiamo continuato a sentirci su Facebook, senza più incontrarci. Poi, appena ho iniziato la relazione con Francesco, l’ho cancellato dai contatti.

- Ciao, Sara.

Il suo profumo mi rievoca i ricordi di quella sera, il modo in cui si muoveva sopra di me. La morbida luce del giorno assalta le grandi vetrate della sala. Gli rivolgo un sorriso.

- Mattia, quanto tempo. Come stai?

- Bene, grazie. Tu?

- Non mi lamento.

Prende la bottiglia di vino bianco dal tavolo.

- Vuoi? - chiede.

- Si, grazie.

Mi riempie il calice, poi passa al suo. Quindi ne beviamo un sorso.

- Non ti ho vista in chiesa.

È diventato ancora più affascinante. Emana sicurezza, padronanza di se. Come allora, mi rendo conto che subisco il suo fascino.

Ero in fondo, nelle ultime file, - rispondo.

Mattia annuisce, sistemandosi l’orologio d’acciaio. Un concerto di voci, di risate, progredisce con il passare dei minuti. Ad un certo punto entrano in scena i camerieri con enormi piatti di affettati, salumi, bruschette e formaggi di ogni tipo. È l’inizio del pranzo.

- Non so tu, ma io non conosco nessuno, - dico.

Non riesce a trattenere un sorriso, la faccia di chi vuole saperne di più.

- Come mai? - domanda tagliando un pezzo di formaggio sardo.

- Io ed Elena ci siamo conosciute all’università. E non abbiamo amici in comune. Quando ci vediamo, il che succede raramente, siamo solo io e lei. O al massimo con i nostri rispettivi fidanzati.

Mi guarda. Versa di nuovo il vino nei nostri calici.

- Non è venuto il tuo ragazzo?

Nego con un movimento della testa e prendo il bicchiere. Già sto al secondo, e siamo solo all’antipasto.

- No. Non è riuscito a farsi spostare il turno di lavoro.

- Che lavoro fa?

- Poliziotto. Orari assurdi.

- Immagino.

Iniziamo a commentare il cibo, il buon vino, ritrovando la stessa sintonia della sera di tre anni fa. Nel frattempo, come da usanza, i due sposi vagabondano fra i tavoli nell'assurdo tentativo di accontentare tutti. Le bottiglie di vino vuote si moltiplicano con il passare dei minuti. I camerieri servono i primi. La mia sedia è sempre più vicina a quella di Mattia e, visti da fuori, chiunque potrebbe scambiarci per una giovane coppia affiatata.

Il suo ginocchio si appoggia al mio e io non faccio nulla per tirarmi indietro. Siamo complici, stupidi, e il vino non fa altro che peggiorare le cose. La sua mano finisce sul mio braccio, lasciato del tutto scoperto dal vestitino, mentre lui mi parla a pochi centimetri dall’orecchio. Un piacevole brivido si propaga dal collo alla schiena. Con una mano che accarezza nervosamente i capelli, sempre più presa da quel gioco pericoloso, inseguo i suoi occhi verdissimi.

Sento la sua mano che sale lentamente fino alla spalla, vicinissima alla spallina del vestito. Le sue labbra carnose sono ad un palmo dalle mie. Se non fosse per la gente, per il contesto, lo bacierei.

Uno dei testimoni, che si è appena avvicinato al nostro tavolo, ruba l’attenzione di Mattia. Parlano del discorso dello sposo, di uno scherzo da organizzare, e io vengo tagliata fuori dalla conversazione.

Mi consolo con il vino, controllo il cellulare. Ci siamo io e Francesco, abbracciati davanti al tramonto di Mikonos. I tre bicchieri di vino cominciano a farsi sentire nella testa che diventa sempre più leggera e sgombra di pensieri. C’è un messaggio da leggere su WhatsApp.

'' Amore provo a venire, ma non ti assicuro nulla ''

Spero che abbia un intoppo, qualcosa che lo trattenga a lavoro.

Rispondo al messaggio.

'' Non preoccuparti, amore. Ti annoieresti soltanto ''

Mattia finisce di parlare con il testimone. Si scusa per l’interruzione e mi fa un riassunto dello scherzo in programma. Non me ne frega nulla, ma sembra brutto dirglielo in faccia. Così lo ascolto, senza commentare. Ci viene servito l’altro primo, sempre a base di pesce, previsto dal menù nuziale.

Oltre la vetrata della sala, dove il sole concentra tutta la sua attenzione, si estende un prato tagliato in maniera impeccabile. Finiamo a parlare di lavoro. Mattia mi dice che gestisce un autosalone insieme alla sua compagna.

Rimango spiazzata. Il suo atteggiamento, il modo in cui si sta rapportando con me, non è da ragazzo fidanzato.

- Come mai non è qui? - chiedo.

- È a Bologna, per una fiera. Almeno uno di noi due doveva esserci. E dato che avevo il matrimonio, è andata lei.

Annuisco.

- State insieme da tanto?

- Un anno. Ci siamo conosciuti l’estate scorsa.

Fa una pausa. Dopo aver bevuto un po' di vino, conti- nua.

- Però ci troviamo molto bene insieme. Siamo simili, fra di noi c’è tanta complicità.

Mi sforzo di sorridere. Il fatto che lui parli di lei con me mi provoca un senso di fastidio. Gelosia, forse. Un sentimento immotivato, considerando che amo Francesco.

Mattia mi dice che ha una vacanza in programma con Chiara. Andranno a Cuba, fra un mese. Ancora una volta reprimo l’istinto di rispondere si, va bene, ma ancora non hai capito che non me ne frega nulla della tua ragazza.

La vaga possibilità di fare qualcosa con lui qui, durante questo noiosissimo matrimonio, evapora lentamente.

- E tu? -

Stringo appena le spalle e lascio andare un sospiro.

- Io ho le ferie, ma lui no. Giusto un paio di weekend, roba di pochi giorni. Quindi penso che andremo a Sabaudia. Lui ha una seconda casa lì.

La nostra conversazione si sospende nel momento in cui lo sposo, microfono alla mano, occupa la scena annunciando l’inizio del suo discorso. Gli invitati posano forchette e bicchieri, si voltano verso l’uomo più elegante della sala.

Quindi, ottenuta l’attenzione di tutti, il neo marito di Elena comincia il racconto di come si sono conosciuti, del primo bacio e tutto il resto. E’ un monologo pesante, pieno di cliché. Mattia e il testimone raggiungono lo sposo, gli tolgono il microfono e ravvivano la sala con qualche anedotto divertente. Qualcuno ride, qualcun altro si sbilancia con un appaluso.

Gli invitati, finito il siparietto, emigrano nel giardino del ristorante. Decido di seguirli. Il caldo è sopportabile.

In un angolo, riparata sotto un grande ombrellone bianco, c’è una piccola orchestra. Suona una musica lenta, dolce, perfettamente in armonia con la quiete del luogo. Alcune coppie, in mezzo all’erba tenera, accordano i movimenti dei loro corpi al ritmo della musica. Una fila circolare di sedie bianche lì circonda, creando una pista da ballo. Il cielo è azzurrissimo.

Io resto dietro alla musica, dietro alle sedie, con le braccia incrociate. Mattia aspira nervosamente una sigaretta. Sta parlando al telefono, al confine del giardino, oltre gli alberi, dove nessuno può sentirlo. Annuisce un paio di volte con un’espressione insofferente, il che mi fa pensare che sta litigando con la sua ragazza.

Lo sospetto e lo spero.

Cammino verso di lui. Prima che io possa raggiungerlo, Mattia finisce la telefonata. Lo vedo scuotere la testa con una smorfia spazientita e pronunciare un’imprecazione a mezza bocca. Si avvicina al prato, verso lo spazio delimitato dalle sedie, dove le coppie di invitati che cedono al ballo aumentano a vista d’occhio. Mattia, riemergendo dai mille pensieri, si accorge che sono a pochi metri da lui e mi sorride.

Nel frattempo la musica cambia, diventa un’armonia lenta e romantica. Mi avvicino a lui e gli prendo la mano.

- Andiamo a ballare?

Ha una faccia sorpresa, di chi non sa cosa rispondere. Non se l’aspettava. Il nodo della sua cravatta nera è allentato, le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti. Si serve di qualche altro secondo per decidere. Poi le sue labbra si allargano in un sorriso, e non serve aggiungere altro.

- Ti avverto, sono un disastro, - si giustifica.

Nel ballare, forse si. Ma nel sesso, Mattia, sei il migliore.

Rido.

- Tranquillo.

Lo porto in mezzo alle altre coppie, senza lasciargli la mano. Mattia si guarda intorno, cercando di capire come iniziare. Appoggia le mani sui miei fianchi. Io allaccio le mani dietro al suo collo. E cominciamo. Uniformiamo movimenti dei nostri corpi alla melodia svogliata e leggera dell’orchesta. Per via del troppo vino ho la testa che galleggia, incapace di produrre ragionamenti sensati. Ci fissiamo negli occhi, ascoltando la musica.

Premo il seno contro il suo petto. Le sue mani, a questo punto, guadagnano qualche centimetro verso il basso. Stuzzicata dalla circostanza, accenno un sorriso. Muovo con lentezza le dita dietro al suo collo, scorrendo verso l’alto, fino ad accarezzargli i capelli. Mattia chiude con forza le mani intorno ai miei fianchi, gustandosi le forme nascoste sotto la leggera stoffa del vestitino.

La distanza fra i nostri corpi si annulla e ora riesco a sentire, vivido e forte come uno schiaffo, il suo profumo unito all’odore di tabacco. Poi, con tutta la malizia di questo mondo, avvicino le mie labbra alle sue, senza toccarle, fermandomi quel tanto basta. Continuo ad accarezzargli il collo. Sento le sue mani scivolare sul mio sedere.

- Che fai? - gli sussurro all’orecchio.

Faccio finta di non capire. Però Mattia sa che può osare. Che sono sua, di nuovo. Che Francesco è a lavoro, la sua ragazza alla fiera di Bologna, e che nessuno ci controlla. E che tutti e due lo vogliamo, in fondo.

Il mio seno è incollato alla sua camicia, ai pettorali, e non faccio nulla per evitarlo. Ormai siamo immobili come statue ancorate al prato. Ho il perizoma intriso dei miei caldi liquidi.

Mattia mi sfiora l’orecchio con le labbra.

- Vuoi che le tolgo?

Chiudo gli occhi e gli bacio il collo. Le sue mani stringono il mio sedere, facendomi perdere l’ultimo briciolo di lucidità.

Proprio sul più bello, dopo aver trovato la giusta sintonia, la musica si arresta.

Le coppie si sciolgono tra sorrisi e qualche tenero bacio. Tolgo le mani dal collo di Mattia e, senza farmi vede- re da nessuno, lo sfioro in mezzo alle gambe. Scopro che gli è venuto duro come un pezzo di marmo. Ci sorridiamo con malizia. Nel frattempo, un poco alla volta, gli invitati iniziano a rientrare nel ristorante.

- Mi sa che stanno arrivando i secondi. Torniamo dentro? - domanda Mattia.

E io intanto, eccitata come non mai, sto prendendo in seria considerazione l’idea di imboscarmi con lui da qualche parte. In un bagno, nel magazzino del ristorante. Ho la necessità di dare una conclusione a ciò che abbiamo iniziato.

- Va bene, - rispondo.

Io vado al mio tavolo mentre Mattia raggiunge dei suoi amici, seduti più avanti. Dopo qualche minuto recupera addirittura una sedia. Cerco di trovare una spiegazione al suo stupido comportamento, ma non la trovo. Rompo il ghiaccio con i miei compagni di tavolo, ingannando l’attesa del suo ritorno, senza mai perderlo di vista.

Controllo il cellulare. Non c’è nessun messaggio di Francesco.

Il tempo fluisce lento e Mattia si trattiene lì per un’ora. In giardino, riparati sotto una sottile striscia di ombra, un ristretto gruppo di uomini sta fumando. Alcuni bambini, nella parte opposta, giocano sorvegliati dalle rispettive mamme. Si attende il taglio della torta.

Forse ci ha ripensato, Mattia. Lui ha una ragazza e già si è sbilanciato troppo. E quindi decido di archiviare tutto. Il vino, e qualche vecchio ricordo, ci stavano per far commettere un errore.

Fermo un cameriere e gli chiedo indicazioni per il bagno. Lui mi dice che devo andare nell’altra sala dal momento che i più vicini sono fuori servizio. Quindi lo ringrazio e mi avvio.

Le luci della sala sono spente, qualche tavolo è accostato alle pareti. Il rumore dei miei tacchi sul pavimento penetra il silenzio.

I bagni si trovano alla fine. Dopo qualche minuto, nel punto in cui si incrociano i bagni delle donne con quello degli uomini, mi trovo davanti Mattia. Il suo sorriso nasconde una punta d’imbarazzo.

Dopo il ballo, infatti, non ci siamo più rivolti la parola.

- Pensavo di essermi perso. Il bagno è lontano.

Mi sfioro i capelli con un gesto lento e distratto.

- Hai cambiato tavolo? - chiedo.

Lui impiega qualche secondo a rispondere.

- Ti manco? - chiede con ironia.

È stronzo. Ma mi fa venire voglia.

Riduco le distanze da lui, sfoderando un sorriso furbo.

- Ti avverto, sto per cambiare idea.

E ora gli esce un sorriso. Mi guarda con sospetto, fingendo di non capire. Io sto al suo gioco.

- Riguardo a cosa?

Gli butto le braccia intorno al collo e gli ficco la lingua in bocca. Le nostre labbra si inseguono, ansiose. Mattia infila le mani sotto al vestitino, mi accarezza la pelle liscia delle natiche, lo fessura dove scompare il perizoma. Poi indietreggio di un metro, gli prendo la mano.

- Vieni.

Non c’è tempo. Potrebbe arrivare qualcuno.

Lo porto nell’antibagno delle donne, dove ci sono tre porte. Ne scegliamo una a caso e ci chiudiamo dentro a chiave. Le nostre lingue si ritrovano subito. Sembriamo due adolescenti in gita.

Con delicatezza, ma anche con l’urgenza di chi non vuole attendere oltre, Mattia mi guida contro la parete. Mi bacia il collo con foga. E io nel frattempo gli accarezzo il viso, i capelli. Sento lo sfibbiare della sua cintura e subito dopo la zip che dei pantaloni che va giù. Guardo in basso. Mattia ha le mutande abbassate fino alle caviglie e una notevole erezione.

Mi alzo il vestitino, poi abbasso il perizoma. Per facilitare il tutto sollevo una gamba, lui l’afferra da sotto e la tiene stretta al suo fianco. Mattia piega un po' le ginocchia ed entra con un affondo secco e deciso. La sensazione è quella di avere dentro un palo fatto di carne. Serro le labbra e faccio uscire un breve gemito. Nel frattempo le sue dita robuste affondano nella mia coscia, in modo da tenermi bloccata a lui.

Le sue spinte sono lente e profonde, il che mi crea un piacere indescrivibile. Sento che ha il respiro pesante. Gli metto la lingua in bocca, trovo la sua, ci gioco. I nostri corpi sono attaccati, lui di peso su di me, io contro la parete bianca, e ci scambiano il sudore, l’odore. Per evitare di scivolare, afferro le sue spalle.

Lo fisso negli occhi. Sorrido.

- È il matrimonio migliore a cui sono stata.

Ma soprattutto, è la prima volta che mi capita di scopare nel bagno di un ristorante.

Mattia prova a sorridere, ma ha il viso assorbito dal piacere e dallo sforzo.

- Anche io, - riesce a dire sottovoce.

Avverto il cambio di velocità, il suo muoversi con slancio dentro di me, quasi non avesse aspettato altro che questo momento. Decido di non trattenermi, di fregarmene di chi ci potrebbe sentire, liberando così osceni gemiti di piacere. E nel frattempo lui boccheggia come un animale, cercando di durare il più possibile. La mia gamba destra è sempre sollevata a mezz’aria, stretta intorno al suo fianco.

Lo lecco sul collo, dietro all’orecchio. Le unghie delle mie dita che sprofondano sulla sua schiena, sul tessuto sottile della camicia. E dovrà trovare una giustificazione con la sua fidanzata. Per i segni evidenti, colpevoli.

- Sara, sto per venire..

Ha la voce sfracellata dal piacere.

E peccato che nessuno dei due aveva con sé un preservativo.

- Esci, non prendo nulla, - gli dico.

E un attimo dopo esce da me. Io chiudo gli occhi, assorbo quella mancanza.

Mattia emette un verso cavernoso, infinito. Trattengo il respiro.

Poi finalmente ci stacchiamo, esausti. Sulla porta e sul pavimento del bagno ci sono fiotti di sperma. Io appoggio di nuovo la gamba, lui si pulisce la cima del pisello con un ritaglio di carta igenica. L’idea che io non sia venuta, nemmeno lo sfiora. Mi rialzo il perizoma, aggiusto il vestitino.

Lo guardo mentre si riveste.

- Tu vai, ci vediamo in sala, - gli dico.

Lui accenna un sì con il capo.

- Va bene. A dopo.

Dopo che Mattia è uscito dal bagno, senza aggiungere altro, quasi pentito di quel veloce tradimento, rimango qualche minuto in quel buco. Vicina al gabinetto, a riflettere su cosa ho appena fatto. Apro quindi la porta, faccio una sosta davanti allo specchio per dare una sistemata ai capelli e alla fine torno nella zona ristorante.

Torno al mio tavolo. Il mio cellulare inizia a squillare, così rispondo.

- Amore, sono qui.

La voce di Francesco in questo momento è uno schiaffo in pieno viso. Cerco di ritrovare un briciolo di lucidità.

L’ho tradito, certo. E mi è anche piaciuto. Però ora mi ha raggiunto e devo inventarmi qualcosa.

- Qui dove?

- Nel parcheggio del ristorante.

Il problema è la voglia, il desiderio che è rimasto tale. L’orgasmo mancato.

- Ti sei liberato.

- Si. Ti ho mandato dei messaggi, ma forse non l’hai letti.

Avevo di meglio da fare, amore mio.

- Scusa, avevo lasciato il telefono nella borsa. Stavo parlando con una vecchia amica in giardino.

- Ok. Comunque sto entrando.

- No, aspetta. Esco io.

E attacco, senza nemmeno ascoltare la sua risposta. Recupero la borsa e mi precipito fuori da ristorante, nel parcheggio. Francesco è accanto alla sua macchina, il telefono ancora in mano. L’abito blu di sartoria gli fa le spalle larghe, rendendolo ancora più attraente.

Lo raggiungo. Poi vado diretta alle sue labbra, gli chiedo la lingua, ci baciamo come due che non si vedono da mesi.

Il suo sorriso è dolce, caldo.

- Ehi, quanto entusiasmo.

Tu lo chiami entusiasmo, io la chiamo voglia. Di scopare, di nuovo. Con te, stavolta. Perché tu ci pensi, al mio piacere.

Sorrido. Aggancio i miei occhi nei suoi.

- Ho una voglia assurda.

Rimane a guardarmi come un’idiota, uno che non ha capito bene il senso della frase.

- Non vuoi che entro a salutare?

- Non me ne frega niente. Troviamo un posto, subito.





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