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Io lui e Irene


di Singleforme
20.03.2024    |    7.299    |    2 8.8
"Provai a posare la mano sulla sua gamba, poi a spostarla, finché le cosce si aprirono in modo automatico..."
Premessa: come in tutti gli altri racconti, anche i fatti citati in questa storia sono realmente accaduti.

Non nego che sono sempre stato attratto da Irene. Lei è la classica ragazza rotondetta (molto rotonda), dalle forme abbondanti e un lato b decisamente generoso.
Era fidanzata con il mio amico del cuore, una sorta di “fratello stalker” che non mi lasciava fare niente senza il suo consenso.
(leggi "la mia prima volta...forse")
Pretendeva il mio affetto, dando per scontato che anche lui fosse per me l’unico interesse. Io non la pensavo esattamente allo stesso modo, ma lo assecondavo.
Lo conobbi per caso quando avevo tredici anni e, sempre per caso ebbe inizio il rapporto morboso che avrei condiviso con lui fino alla maggiore età. Sia chiaro: lui non mi imponeva niente. Era un tacito assenso che mi aveva estorto con modi gentili e io avevo concesso senza sapere a cosa andavo incontro. Continuavo a dirmi che il tempo avrebbe sistemato le cose, ma mi sbagliavo.
Io sognavo l’amore, la libertà, ma non potevo fare niente senza il suo consenso: il suo volermi bene era un modo per possedermi tutti i giorni della settimana, domeniche e festività incluse. Ormai ero convinto che sarei stato destinato a trascorrere con lui ogni giorno della mia vita, e a Irene, la sua prima ragazza, questo non andava proprio giù. Non tollerava che il mio amico mi preferisse a lei e la chiamasse solo per scambiare effusioni. Condividevamo lunghi periodi nella stessa auto, eccetto i momenti in cui avevano il loro daffare e io approfittavo del tempo per ingurgitare una fugace merenda. Poi tornavano a casa a riprendermi.
L’auto odorava ancora dei loro corpi nudi e delle effusioni che si erano scambiati. A lui non importava niente che risalissi in auto quando Irene aveva ancora il viso rosso e i segni che provava a celare dietro i capelli color miele.
Probabilmente è stato lì che ho iniziato a desiderare la sua ragazza. Non era sensuale: indossava sempre jeans e maglioni comodi, oltre a collant che il mio occhio attento scorgeva a ogni salita e discesa dall’auto. E fu probabilmente per quello scorcio di caviglia nuda che iniziò a formarsi in me il desiderio di Irene. Erano sempre più frequenti i momenti che mi rinchiudevo in bagno a immaginarmi solo con lei, senza il mio caro “fratellone” tra i piedi. Cosa sarebbe stata in grado di fare quella ragazza?
Inaspettatamente la risposta arrivò un giorno d’estate in cui ricevetti la sua telefonata.
“Ciao sono Irene…”
”Irene? Cosa…?”
Si trovava in vacanza dagli zii e mi diceva che una persona voleva parlarmi.
“Ti passò mia cugina”, disse a bruciapelo.
“Pr…, pronto”
Non la conoscevo bene, ma provai a improvvisare: “Ciao Vale, come stai?”
Le non andò per le lunghe: “Volevo solo dirti che hai una pretendente...”
“Dai, ma cosa dici?”
“Sì sì. Beh, dai… l’hai capito, no? Irene si è innamorata di te!”
Dopo quella frase la conversazione si era interrotta. L’avevano volutamente troncata per lanciarmi un messaggio a cui, in un modo o nell’altro, avrei dovuto rispondere. Infatti a quei tempi non possedevo un cellulare e non potevo richiamarla, dato che avevano telefonato a casa da un telefono a gettoni.
Aspettai con ansia il suo ritorno, ma fu un’attesa che mi aveva destabilizzato e mi incuteva timore, ma anche tanta eccitazione.
Dovevo chiarire la faccenda quanto prima.

Che Irene era tornata lo seppi da lui: “Pomeriggio passo a prendere Irene, stiamo un po’ insieme e poi veniamo da te”.
Io avevo fatto spallucce. Dopotutto il fatto che si vedessero per sfogare le proprie voglie significava una sola cosa: se era vero quello che mi aveva detto sua cugina, Irene voleva solo fare altro.
Anche quel giorno la macchina era intrisa dei loro odori e Irene aveva il viso più provato di sempre. Ce l’aveva scritto in volto quello che avevano fatto. Per tutto il pomeriggio non mi aveva degnato di uno sguardo, ma quando l’accompagnammo a casa, quando uscii per farla scendere, le rivolsi uno sguardo interrogativo a cui rispose mimando in segreto il segno del telefono e muovendo le labbra: “Te-le-fo-na-mi”.
Per l’ora di cena, non appena arrivai a casa, presi il telefono e la chiamai.
Mi rispose lei: “Pronto?”
“Mi volevi parlare?
“Non ti ha detto niente mia cugina?”
“S-Sì. Mi ha detto che tu… Ma è vero?”
“Non al telefono”, rispose. “Domani ci trasferiamo alla casa al mare. Raggiungimi lì che scendo e ne parliamo”.
“Ma come faccio con…?”
“Trovi una scusa! Digli che hai da fare! Non puoi essere suo schiavo tutta la vita!”
“Va bene”, mediai. “Cerco di esserci”.

L’indomani alle otto ero fuori casa sua.
“Mattiniero?” disse, quando montò in macchina. Indossava un vestito intero a fiori che a fatica copriva le sue forme. “Beh, non stiamo qui. Andiamo da qualche parte”.
Trovai un posticino appartato nei pressi del campo sportivo.
“Allora?” esordì.
“Allora lo chiedo io”, risposi.
“Non fare il prepotente”, disse dandomi uno schiaffo provocatorio che ricambiai volentieri.
“Allora?” e gliene diedi un altro.
Lei tentò di ribellarsi. Quindi finimmo per prenderci le mani e litigare con le dita intrecciate.
“Non ti basta la lezione?” provò a replicare.
Dopo qualche secondo, non potendo muovere le mani, iniziammo a morderci. Subito dopo le labbra si sfiorarono. Rimanemmo a guardarci qualche istante, prima di iniziare a baciarci a lungo. Le mani iniziarono a esplorarci, prima sui vestiti, poi… era impossibile non toccare i suoi seni grossi. La sua lingua era in fibrillazione e ruotava nella mia bocca che sembrava impazzita. Provai a posare la mano sulla sua gamba, poi a spostarla, finché le cosce si aprirono in modo automatico. Non fingeva di essere casta, lasciava proprio intendere che era quello il suo desiderio e aveva programmato dall’inizio.
Era il mese di agosto e già a quell’ora del mattino il sole era insopportabile.
“Hai voglia?” domandai.
“Non lo senti?” rispose allargando ancora di più le cosce enormi e portandomi la mano tra suoi peli sudati.
Se io ero impacciato, lei fino a quel momento aveva solo finto di esserlo. In preda all’eccitazione stringeva le cosce per poi spalancarle di nuovo in modo esagerato, cercando con foga il desiderio eretto nelle mutande. Mi teneva in pugno, in ogni senso! Palpava determinata, masturbandomi in modo frenetico, mentre le mie dita si conficcavano con forza nella sua vagina.
“Piano!” sussultò. “Sono vergine”.
Fu talmente impossibile resistere alla vista di quel folto desiderio, largo e denso all’inverosimile, e ai movimenti frenetici a cui ero sottoposto, che non riuscii a trattenermi e le venni sul vestito.
Non avevo mai goduto tanto in vita mia. Pensavo a quella fantastica liberazione quando, guardandomi negli occhi mi disse: “E adesso a lui chi glielo dice?”
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