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Lui & Lei

Guerriera senz'armi


di BirbaPerBirbe
17.08.2021    |    3.491    |    1 8.7
"Il Lupo sembrava volesse entrarle dentro con tutto sé stesso, fino a che emise un rantolo, schiacciandola al muro..."
Fu così che iniziò la nostra storia.
Gestire gli avanzi di matrimoni degradati non era la sua aspirazione.
Non era una crocerossina e tantomeno una suora, ma il degrado di un maschio la avvinghiava, la legava, la rendeva schiava.

Quella sera ero a spasso con Marco, amico dai tempi del liceo, in via Veneto. Ad intervalli di qualche mese, senza preavviso, ci piaceva fare dei viaggi a Roma: bastava una telefonata, mia o sua, per innescare quell’ancora fresco senso di libertà che ci prendeva tanti anni prima quando da adolescenti si “bruciava” la scuola e si saltava su un treno per Venezia, senza nessun altro scopo che non fosse quello di fare qualcosa di proibito.
Via Veneto ci piaceva perché nel tardo pomeriggio si vedeva un sacco di figa, ci piaceva ancora usare lo stesso termine “proibito”, che vestita elegante entrava ed usciva dalle tante boutique.
La fine di queste scorribande era sempre l’Harry’s Bar, dove sorseggiavamo un gin tonic o un irish coffee, a seconda della stagione.
Si parlava di quello che si era visto: le tette di questa, le gambe meravigliose dell’altra, facendo a gara a chi riportava più dettagli e a chi la sparava più grossa.
La bionda, quella di Versace, mi ha spogliato con gli occhi!!!
E via di questo passo …

Quella sera ci stavamo avvicinando all’Harry’s quando vedemmo una scena insolita: una donna sulla trentina, elegante e leggermente formosa, si era accostata ad un uomo che sembrava quasi un barbone: vestiti stazzonati, capelli leggermente unti, sguardo basso e triste.
Questo si trovava all’imboccatura di una di quelle viette laterali e un po’ buie, lo si vedeva appena. Noi eravamo stati attratti dalla donna e guidati dal suo fascino, perciò l’avevamo notato.
Ma ciò che successe allora ci calamitò letteralmente.
Lei si era posata a lui spalla a spalla toccando impercettibilmente con la sua mano il ventre dell’uomo. Le dita sembravano le zampe di un gattino che si strofinavano su un tappeto: l’uomo non dava segno di accorgersene.
Quando la donna abbassò la mano fino ad arrivare alla patta dei pantaloni lui le prese il polso fermandola e allontanandola da sé.
Non capimmo cosa gli stesse dicendo all’orecchio, fatto sta che si incamminarono velocemente. Io feci un cenno a Marco per invogliarlo a seguirli e ci incamminammo cauti dietro a questa strana coppia.
Si avviarono verso Villa Borghese e lì entrarono infrattandosi subito dietro un edificio.
Successe ciò che non avrei mai pensato potesse succedere: lei lo implorava con voce forte (pareva fuori di sé, in trance sessuale, violenta) di poterglielo succhiare, già inginocchiata, come si potrebbe pensare una donna faccia con l’uomo dei suoi sogni.
Da qui voglio raccontare proprio come io lo vidi, senza parole in più: lui un porco; lei una cagna!
Il porco le prende la testa violentemente e la preme sulla patta gonfia, la cagna a leccarle i pantaloni, lui li slaccia e li abbassa, la cagna con le labbra bagnate a prendergli in bocca il cazzo. Il porco le strappa la camicetta, le sfila il reggiseno e le strizza con forza il seno tra le sue dita, la cagna ingoia il cazzo fino alle palle, fa sgusciare la lingua che arriva a leccargli i coglioni, grossi, pieni di sborra, quasi doloranti.
Il porco le scopa la bocca, le due mani sulla testa di lei, avanti e indietro, violento. Lei ansima, senza però districarsi, lui glielo spinge in gola “puttana, vacca di una troia, ti piacerebbe ti venissi in bocca, eviteresti altro”, la gira con forza animale spingendola al muro e alzandole la gonna, le strappa le mutandine, le chiude la bocca con una mano mentre con l’altra si prende il cazzo in mano e lo appoggia all’ano di lei, trattenendosi.
“E adesso mi vuoi ancora puttana? Vuoi che spinga e ti inondi il culo? Se te ne vuoi andare vattene ora, a succhiare qualche altro cazzo, troia!” Diceva tutto ciò con la bava alla bocca, adesso più lupo che porco.
Io avevo i brividi e sentivo il mio amico con un fiatone dato più dalla paura che dall’eccitazione. M girai verso Marco, “interveniamo?”, un attimo prima di sentire la voce di lei, roca, “inculami, sfondami, e non fermarti, spaccami …” e con un fil di voce “… finiscimi …”.
Ritornammo a guardare la scena proprio nel momento in cui Lupo scaricava tutta la sua rabbia penetrando la Cagna, assestando dei poderosi colpi che quasi piegavano le braccia di lei appoggiate al muro. Lei che al primo colpo emise un grido soffocato dalla mano di lui, dopo di che si mise a piangere, quasi fosse una liberazione, continuando a pronunciare una sola parola “liberami … liberami …”.
Il Lupo sembrava volesse entrarle dentro con tutto sé stesso, fino a che emise un rantolo, schiacciandola al muro.
Stettero così un tempo che mi sembrò infinito.
Lui iniziò piano ad allontanarsi, sfilò piano il suo membro, si rialzò le mutande e i calzoni.
Così, senza nemmeno riassettarsi quel poco che sarebbe stato possibile, si allontanò. Non disse nulla.
Lei si accasciò a terra, respirando voluttuosamente boccate d’aria infinite, rimettendosi a posto il meglio possibile i vestiti, annodando la camicetta, tastandosi e accomodandosi i capelli.

Fu in quel momento che la mia vita cambiò “Marco, scusami, devo restare, torna pure a casa, scusami …”
Marco mi guardò e credo vide nei miei occhi qualcosa che non aveva mai visto. Mi abbracciò e con la voce rotta mi disse “ho capito”.
Si allontanò lentamente, girandosi a tratti.

Diana - da allora questo per me diventò il suo nome - stava tornando indietro, verso di me. Si fermò interrogativa.
Ed io “Sono Matteo, devo conoscerti”
“Perché lo vuoi, perché pensi che io sia una puttana?”
“No, perché ho trovato la donna più guerriera, la donna che affronta i suoi demoni”

Perché dissi questo non lo so nemmeno adesso, era stato un altro a parlare con la mia bocca.
Fatto sta che lei sorrise, con un sorriso doloroso ma anche spavaldo “tu sei matto! Ma matto matto, non di quelli da manicomio, di quelli che stanno fuori, i peggiori …”
Io non parlai (e con lei questo divenne presto un’abitudine) e le tesi la mano, lei la prese e si appoggiò dolcemente alla mia spalla. “Fai quello che vuoi” disse.
Entrando al Majestic ci guardarono tutti, chi male, chi sorpreso e chi divertito.
Presi una camera. Una volta entrati il suo corpo inizio a diventare sempre più pesante, stanco. Sorreggendola appena la portai in bagno e mentre si riempiva la vasca la spogliai lentamente.
Attorno a noi il silenzio era pieno di figure, dalle più dolci alle più aggressive.
La aiutai ad entrare in vasca, lei si rilassò mollemente mentre io mi sedevo a terra appoggiato al muro, guardandola.
Passò molto tempo “mi aiuti ad uscire?”.
La asciugai e la accompagnai al letto.
Diana si distese, nuda, di traverso al letto, le gambe a penzoloni. Il corpo ancora segnato dalla violenza appena vissuta.
Io mi sedetti a terra tra le sue gambe. Il profumo leggero del suo sesso si mischiava a quello del sapone.
Torcendomi appena arrivai con la mia bocca a sfiorarle la vulva. La baciai ripetutamente e lievemente. Il suo respirò aumentò il ritmo, a tratti le cosce mi stringevano appena la testa. Iniziai a leccarla, il suo umore leggermente amaro iniziò a bagnarmi la bocca.
Mi alzai un po’, prendendole in bocca il clitoride gonfio, muovendo la lingua con sempre maggior costanza e cadenza.
Il suo orgasmo giunse lieve, lungo, tra spasmi delle cosce e del ventre e rilassamenti profondi, in successione.
Il liquido fuoriusciva da lei come una eiaculazione notturna di un giovane uomo, generava un forte benessere in entrambi.
A notte tarda mi risvegliai in quella posizione, mi alzai, la sistemai nel letto e mi distesi vicino.

Io e Marco non tornammo più a Roma, non andammo più assieme da nessuna parte.
Io e Diana non ci lasciammo più, in silenzio …
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