Lui & Lei

L'indole


di Alternos
25.05.2022    |    2.854    |    0 9.2
"Il problema è che, spogliate in fretta e furia le parti più interessanti, avevo appena puntato il suo fiore più prezioso quando i fari di una macchina ci..."
Prima di lei c'era stata solo quell'unica notte con la Prof, vicenda di cui già ho narrato in precedenza ("L'iniziazione"). Avevo assaggiato, ma forse meglio dire che mi ero fatto assaggiare, oltre che guidare, consigliare, iniziare all'impareggiabile piacere del sesso.

Ora toccava a me, mi si spalancavano le porte dell'Università, le cosce di una città nuova, sconosciuta, che pregustavo gaudente. Eppure mi sentivo un semivergine e un testone, per quella fissazione per la donna ideale, quella giusta. Per cui avevo deciso a priori di non innamorarmi, se non di quella. Pazienza se il sangue che mi scorreva nelle vene era impetuoso, se l'uccello non mi dava pace, sempre duro come un bastone, alla minima impensabile sollecitazione, anche senza apparente giustificazione. Erezioni spontanee che a mala pena smorzavo con la masturbazione. Dopo mezzora lui era di nuovo ringalluzzito e ricominciava con la solita solfa: allora quando cominciamo? Quando cominciamo veramente?

Che al genere femminile non fossi indifferente questo l'avevo già un po' intuito. Ma forse predominavano inibizioni, repressione, timidezza. Qualche conoscenza interessante c'era pure stata, ma non era sfociata. La donna giusta restava una chimera, ma considerando l'età pensavo di poter ancora un pochino attendere. Chi proprio non voleva saperne di aspettare era lui, il cazzo mio in preda al priapismo. Propendeva per l'inevitabile. Finché l'inevitabile ebbe un nome: Marzia, conosciuta a un corso frequentato da entrambi.

Alla fine della lezione si andava al bar universitario. Venivano anche Rinuccio, filosofo campano con la particolarità di non saper frenare la lingua, e il bresciano Federico, ragazzo compìto come pochi, ma che quando guardava e parlava con Marzia pareva che la sborra gli tracimasse dagli occhietti e dagli angoli della bocca. Lei, invece, era di Città di Castello e credeva di somigliare alla sua famosa concittadina che turbava i sogni di tanti maschi, italiani e non. In effetti la ricordava in qualcosa: i lunghi capelli bruni, il seno florido, soprattutto un certo modo d'imbronciare le labbra e quell'aria maliziosa. Tutto questo però in miniatura, una ninfetta.

A lezione eravamo sempre fianco a fianco a bisbigliare come colombi. Mi piaceva, questo sì, ma non mi dava il batticuore, non sentivo fosse la donna giusta, l'ideale. Cioè alta, non quanto me, d'accordo, ma non troppo più piccola. E poi la immaginavo con i capelli color dell'oro quella che vagheggiavo come primo ed eterno amore. Marzia invece era minuta e bruna. Come la mettevo?

Poi una volta siamo andati assieme, solo noi due, a una conferenza pallosissima all'istituto Agenore, ne siamo fuggiti prima che ci sbattessero fuori per il nostro bisbigliare. Ma nel frattempo il danno era stato fatto. Non lo so se sono stato proprio io, oppure lui là sotto, il mio cazzo scontento di troppe narcisistiche pugnette, a proporre a Marzia un invito a cena a casa mia. Accettato prontamente, senza titubanza alcuna. Ma come? Mi sono detto. Così si fa, si accetta alla prima richiesta? Ero abitualo ancora allo stile isolano: mai accettare alcun invito che non sia stato ripetuto almeno tre volte. Invece alla prima offerta... Zac. Il patatrac.

La cena è semplice, da matricole, un piatto di pasta, magari al tonno. La bottiglia di vino la finiamo in fretta e davanti al caminetto acceso ne stappiamo un'altra. Su quell'unica poltrona è gioco forza che ci si debba stringere: lei siede su di me. Il vino è la miccia, discioglie le ultime reticenze, liquida le inibizioni. Le mie prime carezze sono accolte senza remore, anzi, con sospiri che sanno di desideri, voglie da appagare da troppo tempo compresse. Capisco che il campo è libero, che si può osare. Si deve.

Ai baci segue la mia mano che si inerpica sotto la sua maglia per raggiungere, abbrancare, impadronirsi d'un seno palpitante (appena sotto, il cuore batte forte). Anche lei osa, poggiando il palmo aperto sulla mia gloriosa erezione. Vorrebbe raggiungerlo in maniera più diretta l'oggetto del desiderio, ma i jeans sono stretti e la posizione non agevola. Con la punta dei polpastrelli però sfiora struggente la cappella, creando un primo elettrico contatto. Per me è come La Creazione di Michelangelo.

Ormai una poltrona per due è troppo poco, non può contenere simili irresistibili ardori. La camera da letto non è lontana, solo una rampa di scale da fare abbracciandoci, baciandoci, toccandoci. C'era freddo, è vero, ma i corpi sono roventi e il letto è piccino. Arrivando in profondità scopro il piccolo fiore, un bocciolo appena dischiuso. Mi impadronisco di quella piccola figa dai peli radi, lisci e sottili, ordinati. Voglio bere a quella fonte incontaminata. La lecco, come un cane la scodella, sono inesperto, ma a lei piace, geme e inarca la schiena. Esplora dappertutto la mia lingua da segugio, si arresta sulla soglia, che non è sbarrata, ma si intuisce stretta, impervia.

Il leccaggio dura poco, devo prenderla. E lei non aspetta altro, freme. Non è poi così difficile da centrare l'obbiettivo, solo che è davvero stretta. "E poi tu ce l'hai così grosso," dice, tra lamenti e sospiri. Entrerà, solo che bisogna fare piano, contenersi. Lei sta sotto e io, senza forzare, scivolo sempre più dentro la sua anima, e non solo, in profondità. Il mio cazzo si muove sinuoso in quel luogo angusto e umido, sprofonda nell'oscurità fino in fondo, stretto come in un guanto di velluto.

La scopo così, con impeto, come se nell'universo fossimo rimasti noi due soli, e non ci fosse un domani. La fame ativica si placa solo dopo il quinto amplesso, non meno voluttuoso e travolgente del primo. Il sonno ci coglie quando i primi raggi di sole fanno breccia nell'oscurità della notte. Ci addormentiamo tutti impiastricciati di sperma ormai secco, abbracciati, stretti nel lettino singolo, esausto e disfatto come lo siamo noi.

Romantico, vero? Sembrerebbe l'inizio di una bella storia d'amore. Ma così non è: facciamo colazione assieme, poi lei deve andare, mi porge la bocca per un bacio di commiato, il più bello di tutti forse, però quello che riceve è un bacio sulla guancia, vicino, ma non sulle labbra.
Perché non è l'ideale mio, non è la donna giusta. Quella del batticuore, del pensiero dominante. Quella dei sogni, forse.

L'amore no, ma perché negarsi i piaceri di un sesso appena scoperto? Continua la frequentazione fianco a fianco al corso universitario. Lei mi stuzzica, ninfetta provocante, il docente se ne accorge, ma ne sorride benevolo. L'erezione, tirata al massimo, non mi abbandona mai. Se ne compiace molto lei, appena può si guarda attorno e senza farsi accorgere poggia il palmo della mano tra le mie gambe, per godere di quel gonfiore, calore, spessore. A lezione, al bar, sull'autobus, al museo, seduti sui gradini della piazza del Duomo. A mio avviso simili provocazioni, fatto a un cazzo eccitato e costretto, andavano punite.

Oltretutto il sesso senza amore ha un costo e il prezzo da pagare se lo accolla l'innamorata, la piccola Marzia dalla figa stretta. Soffre, certo, ma gode anche delle punizioni che le impartisco a colpi di minchia. Solo che non abbiamo un posto dove andare. In doppia io: provvidenzialmente in quella prima occasione il mio compagno di camera si era recato nella natia Calabria. In doppia lei. Gli amplessi dovevamo sudarceli, cercando e trovando i posti più impensabili.

Come una sera in cui eravamo stati al cinema. Il film lo ricordo ancora, era "Sex and Zen". Marzia mi aveva torturato per tutta la durata della visione. Mi aveva sbottonato maliziosa, e contando sull'oscurità della sala, aveva preso ad accarezzarmi e masturbarmi, ogni tanto sbocconcellava pure. Senza però farmi giungere all'orgasmo, appena se ne accorgeva riponeva il tesoro nello scrigno. Ci si può immaginare il mio stato, anche se pure io non è che tenessi molto le mani a posto.

All'uscita era ormai impensabile per me attendere oltre: entro il minor tempo possibile dovevo possederla, dare una bella lezione a quella fighetta impertinente. Ma dove? La cabina telefonica, un luogo sicuro. La salvezza per i miei lombi gonfi all'eccesso. Così non è. Non tanto la scomodità, l'avrei fatto anche a testa in giù purché fosse, farlo in piedi certo non mi spaventava. Il problema è che, spogliate in fretta e furia le parti più interessanti, avevo appena puntato il suo fiore più prezioso quando i fari di una macchina ci hanno illuminato a giorno. E poi c'era il problema dei passanti.

Sembravamo invasati. Abbiato tentato vari androni finché non ne abbiamo trovato uno che poteva fare al caso nostro. Il deposito delle biciclette di un palazzo, appartato e buio. L'ho fatta girare e in un lampo le ho tirato giù pantaloni e mutandine. Altrettanto rapidamente mi sono predisposto a penetrarla, calandomi calzoni e slip alle ginocchia. Di preliminari ne avevamo abbastanza. Era il momento giusto per riempirla tutta fino in fondo. Lei già si puntellava contro il mio furore, pronto a scatenarsi, poggiando entrambe le mani sul muro grezzo. La cappella era dentro solo a metà quando abbiamo dovuto rivestirci in tutta fretta perché arrivava qualcuno a parcheggiare la bici. Siamo venuti via rapidi, a testa bassa mentre lo incrociavamo.

Cammin facendo, c'eravamo ormai avvicinati a casa sua. Poteva finire così la serata? L'ingresso del palazzo era avvolto nell'oscurità, silenzioso e invitante. Appena dentro abbiamo ripreso a baciarci e ad accarezzarci dappertutto. Le ho abbassato i pantaloni quanto basta per intrufolare una mano al di sotto delle mutandine, trovando un lago. Io avevo il cazzo che mi scoppiava, ma non era tanto quello, quanto il dolore alle palle a farsi sentire.

Non resistevo e lei non ha opposto resistenza quando l'ho condotta verso le scale e l'ho fatta ingonocchiare sui gradini. Non era la condizione più comoda, ma ci si poteva arrangiare. Ho iniziato a montarla da dietro, quasi con ferocia, tenendola stretta per i fianchi. Non era una situazione tranquilla, poteva sempre arrivare qualcuno. Finalmente l'illuminazione. La terrazza, fa lei, la porta è sempre aperta. E perché cazzo non me lo hai detto prima.

In terrazzo potevamo godere di maggiore discrezione, ma non abbiamo di certo perso tempo in convenevoli. E' ricominciata la monta. Con lei che si teneva a una ringhiera, e la città appena sotto, ignara della sua passione. Dovevo fargliela pagare tutta a colpi di minchia quella sua passione per me. Pensavo: sei proprio una puttanella a farti sbattere così da me, che non ti do altro che questo.

"Avevi proprio voglia di cazzo, eh?" Le dico.
"Si, del tuo cazzo."
"Di farti sbattere così... (come una puttanella, ma non lo dico). Umh, sì, secondo me avevi proprio una gran voglia di cazzo."

La sbatto forte, senza riguardo, con colpi sempre più decisi e profondi. La prendo per i capelli e la faccio inginocchiare sul battuto grezzo, tenendole sempre la testa
abbassata. Le stringo le mani sul collo al momento di esplodere con un orgasmo che mi squassa. E squassa anche lei, di conseguenza, che riceve i miei ultimi colpi, quelli più potenti. Le sborro dentro. Soddisfatto mi risistemo i pantaloni, mentre lei, a terra, ancora trema e geme piano. Il romanticismo può aspettare.

L'estate stiamo lontani. Io in Sardegna, lei a Bruxelles, una parte della sua famiglia vive lì. Al ritorno, cambio casa e condizione: ho una camera singola. Però su Marzia comincio a farmi degli scrupoli. Lezioni in comune non ne abbiamo più. Un pomeriggio la incontro e lei fa la provocante. E' sempre un po' piccante con me, una lolita impertinente. Decido di punirla e la invito a seguirmi casa mia. Stesi sul letto la denudo completamente e inizio a giocare con le dita con la sua fighetta, facendola inumidire sempre di più. Nel frattempo la interrogo.

"Allora come sono andate le vacanze? Ti sei fatta scopare da qualcuno?"
"Mio cugino. Ha un anno più di me. Mi puntava tutto il tempo. E così..."
"Così cosa? Cosa avete fatto?"

Le mie dita si sono fatte più audaci e un dito è andato a finire nel profondo umido e angusto.
Lei in cambio mi sbottona e libera un leone ruggente con la cappella tirata e lucida. Ha tutta un'aria maliziosa mentre se ne impossessa. La voglia di darle una lezione è alle stelle e avrei voglia di metterglielo in bocca fino in gola, ma così non potrebbe rispondere. Devo frenarmi.

"Allora? Cosa aspetti?"
"Ci siamo trovati soli in casa e siamo finiti a letto."
"E quindi?"
"Ci siamo baciati."
"E poi?"
"Lui mi baciava dappertutto. Bacia proprio bene. Con la lingua."
"Dappertutto dove?"
"La bocca, il collo, le tette, le cosce, anche i piedi. E poi..."
"E poi?"
"E poi mi ha fatto aprire le cosce bene e me l'ha leccata bene. Mi ha leccato anche il buchino. Mi ha fatto godere."

Non ho resistito, ne avevo abbastanza di ascoltare quella ninfetta sfrontata e puttanella. La forzo con un un secondo dito che complice l'umidatà riesce a farsi largo dentro di lei. Di sicuro non è diventata più larga. Mi metto a cavalcioni del suo viso e lei accoglie il mio invito: prende a succhiarmi con dedizione. Le allargo le cosce e inizio a leccare avidamente la sua fighetta, quando avverto che il suo piacere aumente la schiaffeggio sulle grandi e piccole labbra scoperte, le infilo le dita dentro.

Poi decido che devo chiavarla, facendola urlare quando la penetro, perché una cosa sono le dita e un'altra è un cazzo grosso, duro e arrabbiato. Mentre la sbatto senza pietà le afferro le tette e poi il collo, senza stringere troppo, naturalmente. La bacio anche. In bocca, lo faccio solo quando scopiamo e sono infoiato forte. Potrei anche sborrare così, dentro di lei. Sarebbe una degna conclusione. Ma no, ho un'altra idea in testa, stavolta.

Il mio sperma troverà un altro luogo dove sfogarsi. Glielo metto in bocca ancora grondante dei suoi umori. E' duro da morire e anche le palle non sono da meno. Non ci metto tanto a sborrare. Voglio che ingoi tutto, le dico. Tutto, ma si ingolfa, la venuta è impetuosa e gli schizzi si susseguono copiosi. Cerca di sottrarsi: uno schizzo finisce sulla guancia e sul naso. Devi ingoiare anche questo, ordino con dolcezza e fermezza. Con un dito le porto lo sperma alla bocca, poi me lo faccio forbire bene con la sua lingua.

Per qualche tempo non ci vediamo, un paio di settimane forse. Marzia però non resiste e chiama al telefono, mi invita a cena casa sua. Accetto, ho voglia di scopare, ma so anche che lei condivide la camera con un'altra ragazza, la rotonda Concettina, una che non la smette mai di parlare. In più mi mangia con gli occhi ed è brutta come la fame. Me la devo sorbire per una buona mezzora, che mi pare un secolo, poi si dilegua anche lei, come le altre coinquiline insignificanti. Concedono l'intimità della cena, la cucina è campo libero.

Più interessante è il dopocena sul divanetto a farci le coccole. Lei mi dice quanto le sono mancato, io che ho una gran voglia di fotterla come si deve. Lei piange, dice che vorrebbe sentirmi più vicino. Niente, più piange d'amore e più mi sale una voglia bestiale di sottomettarla ai miei voleri. La voglio fottere forte. Non vuole concedersi perché teme che facciamo troppo casino, visto che il divanetto è appoggiato proprio alla sottile parete oltre la quale si trova la sua camera da letto, con annessa la logorroica e rincoglionita Concettina. Non te la vorrai trovare di fronte sul più bello, domanda.

Certo che no, ma una soluzione va trovata. Ed è li a portata di mano, il cucinino proprio di fronte. Certo bisogna farlo in piedi, ma non fa niente. Al mio cazzo a questo punto va bene tutto, purché sia. Le faccio poggiare le mani sul frigo e pian piano il mio uccello riprende confidenza con quella figa strettina. Da dietro, fino a scoparire tutto dentro di lei. Ci metto poco a cambiare ritmo. La sbatto forte, voglio sfondargliela. Impossibile non generare rumori conseguenti, nonostante le sue implorazioni. Si terranno ben lontane le tue coinquiline, altrimenti ce n'è pure per loro, le dico. Me ne fotto di loro, voglio farla urlare.

Cosi la faccio voltare. Pensa che voglio venirle in bocca e fa per inginocchiarsi. Invece ho ben altre intenzioni. La sollevo come una piuma e dopo averla issata sulla punta del mio cazzo, di botto la impalo. Il frigorifero riceve anche lui la sua parte, ma regge. Regge anche Marzia, anche se a ogni colpo temo di spaccarla in due. Invece urla di piacere. Si morde le labbra e la lingua, ma ugualmente non può che urlare. Musica per le mie orecchie, con il contributo degli strepiti del frogorifero. Allora, tuo cugino ti faceva urlare così?

Godo dentro di lei senza che si spacchi, ma quando dieci minuti dopo me ne vado Marzia si è adagiata sul divanetto e mi sembra davvero un po' sciupata. Hai avuto ciò che volevi, no? Dico, soddisfatto, prima di imboccare la porta. Non aspetto neppure la risposta, tanto sono convinto di aver fatto bella figura. Ci vediamo in giro, aggiungo quando ormai sono sul pianerottolo. Nessuna risposta. L'ho proprio distrutta, penso. Con soddisfazione.

Invece in giro non l'ho vista per niente. E neppure mi chiamava. Passa più di un mese e il periodo natalizio si avvicinava, con relativo ritorno a casa, nell'isola. Così resto sorpreso quando Marzia mi suona il campanello un pomeriggio. Sarà per gli auguri, immagino. La faccio entrare in camera mia. Lei è, come sempre, maliziosetta e provocante. Si siede sul letto, io preferisco tenere le distanze. Mi faccio gli scrupoli e me ne sto seduto su una poltroncina. Lei si alza e viene a sedere sul mio grembo. Dalla camicetta sbottonata si intravede il seno. "Lui è contento di vedermi," dice, rendendosi conto della mia erezione, "tu no?"

"Sì, certo," rispondo, ma lei poggia un dito sulla mia bocca come a sigillarla. Poi si rialza e torna ad adagiarsi sul lettino. E inizia lo show. Fa caldo, dice, togliendosi la camicetta. Io la guardo e non mi muovo. Si accarezza le tette languida come una gattina. Poi sbottona anche i pantaloni e non solo, li abbassa alle ginocchia. Seguono gli slip del coordinato. Quando si sfiora, con un dito che teneva prima in bocca, le grandi labbra, ho l'uccello che vorrebbe avere le ali, perché invece io sèguito a guardarla senza muovermi. Si gira, mettendosi a pancia in giù, ma impennando il culo. Una mano fa capolino tra le cosce. Mi indica il buchino, minuscolo e perfettamente rotondo. "Ti piace? Ti avevo detto che mio cugino me lo ha leccato? Mi ha anche penetrato, ma solo con la lingua."

Con un polpastrello preme sul buchino in tiro, lo penetra per qualche millimetro. La pazienza ha un limite, penso. Faccio per alzarmi e raggiungerla, ma lei, lesta, si ricompone. Devo andare, mi fa, si è fatto tardi. Ci penserà mio cugino, aggiunge, ridendo. Stiro un sorriso io, anche se mi sento un allocco. In più ho il cazzo furioso, che mi prenderebbe a botte in testa.
Ci vediamo, tanti auguri. Con baci sulle guance.
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