Prime Esperienze

L'iniziazione


di Alternos
28.04.2019    |    21.912    |    14 9.9
"Aderiscono come una seconda pelle e le forme sono ancora più evidenti..."
Di acqua sotto i ponti ne è passata, ma un po' di quel che ero sono sempre rimasto. Avevo quanti anni? Diciamo 18 per decenza. Forse meno?

Non avevo la patente e non avevo mai guidato. Siamo soli in macchina e guida lei, la Pizzi, la prof d'italiano. Lei ha fatto in modo andasse così dopo la serata in discoteca con altri compagni di classe. Ma sì, chissenefrega, avrò pensato, mica mi mangia.

I precedenti segnali? Mi da un 10 in un tema che, va bene tutto, sarà anche stato strepitoso, ma 10 non l'avevo mai sentito. L'anno prima avevo una beghina ch'era tanto se arrivavo a 5 e mezzo: le stavo tremendamente antipatico. A volte si va pure a simpatie nella vita.

Altro segnale è che la facevo molto ridere, pure in classe non se la prendeva troppo se qualche battuta interrompeva la lezione, anche se poi faceva fatica a ritrovare il filo. E poi una volta l'avevo fatta pure piangere, a una festa, a casa di un compagno. Sapevo usare l'ironia come un coltello affilato e a volte mi sfuggiva di mano. Non troppo consapevole, ma un po' stronzo quello magari sì.

Poi che altro? Ah sì, diceva che somigliavo proprio tanto a un suo compagno di scuola che anche lui era così simpatico, che la faceva tanto ridere. E forse non era semplice simpatia, perché pareva un ricordo assai gradito e nostalgico.

Così quella sera, usciti dalla discoteca, aveva detto che poteva accompagnarmi lei, in fondo avevo il vespino parcheggiato proprio sotto casa sua. Gli altri stanno tutti nella Due Cavalli di Pino e nella Tipo di Vargiu, il professore di Matematica, uno che si fa molto i cazzi suoi e camperà cent'anni: ricordo quasi niente di lui. Io invece salgo sulla cinquecento della prof...

Be', un attimo, forse avrei dovuto dire qualcosa di me, che ero vergine magari: baci e palpatine alle tette di qualche compagna, ma niente di più. E anche di lei qualcosa bisognerà aggiungere, almeno una breve descrizione fisica. Come la si potrebbe immaginare Milena Pizzi, 28 anni o giù di lì, professoressa d'italiano? Come uno se la immagina, lei era proprio così. Qualche dettaglio. Porta gli occhiali piccoli, rettangolari, un po' civettuoli. Naso leggermente lungo, dritto dritto, befanino. Bocca piccola. Capelli biondi raccolti da una coda. Occhi chiari. Seno piccolo: una seconda? Il culo la vera delizia, da lei sempre valorizzato con jeans fascianti.

Quando dal lontano paese d'origine era venuto il fidanzato, lei l'aveva presentato alla classe. Io, che il dubbio un po' ce l'avevo, potevo finalmente pensare che facevo male ad avercelo. Perchè il fidanzato era un pezzo di marcantonio come pochi, alto, possente, figo, abbronzato e pure un bravo tipo sembrava. Innamorato cotto della sua Milena, la prof, che pareva capace di sollevare da terra con due dita, delicatamente. Forse però non sapeva farla ridere. Chissà?

Pino fa il grezzo, parte sgommando, con la Due Cavalli e un carico di minchie, tutti maschi tranne Lorena, che non si capisce a quale genere appartenga. Vargiu lo segue con maggiore discrezione. Noi invece indugiamo, a chiacchierare, fumando una sigaretta, stretti nella sua cinquecento vecchio stampo. Io al solito la faccio ridere ma anche un po' imbarazzare. Lei mi da consigli, mi dice che non devo esagerare, che il troppo stroppia. Nel farlo si vede che intenerisce. Mi sistema una ciocca di capelli.

E' affettuosa con me, durante il viaggio, se non deve cambiare le marce tiene la mano sulla mia coscia, mi accarezza. Al contrario degli altri ha scelto la strada vecchia per tornare, più lunga e tortuosa, più tranquilla, assai poco trafficata. Specie a quell'ora di notte. A un certo punto decide di fare una cosa che se fosse stata meno brilla non credo avrebbe fatto. Mi invita a guidare la sua macchina. E' la prima volta? Dai prova, mi dice. Devi fare così e così. Per cambiare di marcia poggia la mano, bollente, sulla mia. Mi sento eccitato, ma dura poco, qualche centinaio di metri e capisce che è meglio tornare alle posizioni precedenti. Con una novità, le carezze sulla coscia sono ora a più ampio raggio, le unghie mi sfiorano le palle piene e dure. L'erezione è una conseguenza. Abbastanza apprezzabile: il pacco cambia forma stretto nei jeans, diventa una sbarra orizzontale. E lei, la Prof, non può non notarlo, la "cosa" non lascia troppo spazio all'immaginazione. Sorride contenta: gatta col sorcio in bocca.

Son viaggi che durano un soffio: la stradina solitaria, immersa nella campagnia, finisce e siamo in paese, sotto casa sua. Cosa potrà succedere ora? Al suo invito a salire da lei avrò rifiutato, con l'aggravante di una battuta sciocca e stronza, infantile? Avrò inforcato il vespino e via, a tutto gas verso il lettino nella cameretta di casa, con i poster dei giocatori sulle pareti? Magari pure impennando, a rischio di rompermi l'osso del collo. Sarà andata così? Oppure...

Davanti al suo portone di casa, io accanto a lei, giovane cavaliere dalle larghe spalle, a proteggerla. Sono quasi le tre del mattino. Lo scatto della serratura e la prof mi si rivolge sorridente: Vuoi salire a casa, su da me? E' un brivido. La reazione è di sorpresa, ma in quegli attimi di titubanza diversi sentimenti sono emersi dentro di me, contrastanti. La curiosità, che si porta dietro immagini sconce della Pizzi, coi suoi occhialetti, in pose da giornaletto porno, maggiore fonte, fin lì, della mia educazione sessuale. Ma anche l'ansietà legata alla mia totale inesperienza, e anche al mio carattere ancora acerbo: altri alla mia età avevano già fatto (o almeno così si vociferava). Poi la preoccupazione, se a una certa ora (quale?) i miei si accorgevano che non ero rientrato erano capacissimi di chiamare i carabinieri: già mi immaginavo portato via in mutande (lavate da mamma acqua e sapone) fuori dall'appartamentino della Pizzi, con in mano i pantaloni: che vergogna!

Mi ha riscosso lei, appoggiando una mano sul mio braccio, come per trattenermi, ma con leggerezza. Il sorriso era una muta preghiera, ma anche una profferta di paradisi da svelare. Sembrava dire, senza dire: Vedrai, ti piacerà.

Ho superato la soglia, senza riuscire a dire una parola, solo un breve cenno del capo. Le scale fino al terzo piano, dove viveva, senza dire una parola. Shhhh, aveva detto, la gente dorme, ma probabilmente non avrei fiatato comunque. Al primo gradino una carezza sulla nuca, come fossi un bambino.

Mi fa accomodare sul divano del piccolo soggiorno, dove quasi sprofondo. Lei sa che sono teso, con l'arma dell'ironia spuntata. Mette musica. Che ancora non conosco. E che diventerà parte della colonna sonora della mia vita. Aretha Franklin, I say a little prayer. E Sakamoto, Forbidden Colours. Mi porge un bicchierino di Montenegro. Brindiamo. A cosa? Al futuro dico io. E al presente aggiunge lei, accarezzandomi ancora la nuca.

L'erezione è tornata a farsi prepotente, quasi dolorosa, forse avevo anche bisogno del bagno. Si è alzata assieme a me, indicandomi la porta del bagno. Io mi metto comoda, faccio in un attimo. Così mi ha detto e si è infilata nell'unica altra porta che dava sul soggiorno: la camera da letto. Intravedo una piccola stanza, il letto è spazioso però, una piazza e mezzo. Anche il bagno è piccolo, ma pulito, ordinato, profumato. Mentre faccio la pipì penso al fidanzato della prof che doveva starci scomodo nel letto alla francese.

Mi soffermo sulle creme e cremine, i trucchi della prof, e davanti allo specchio mi guardo e mi parlo, mi incoraggio. Niente, la fifa c'è. E poi mi sembro strano, con la faccia spiritata. L'uccello mi si è smosciato. Provo a fargli qualche carezza, niente da fare, che gli piglia ora, sarà la tensione, l'alcool? Devo uscire dal bagno, non posso stare rinchiuso tutta la notte lì. Mi sciacquo la faccia e mi bagno anche i capelli. Che ora mi cascano male, il gel si è mezzo sciolto. Basta, non devo intripparmi, devo uscire, lei sarà lì che aspetta.

Invece non c'è ancora, ma sul tavolinetto, accanto al divano dove stavo seduto prima, noto la presenza di un portacenere, sopra c'è posato un joint, stretto e lungo. Sono spaesato. Mentre ci rifletto su, ecco lei che esce dalla stanza ed è tutta diversa. Io la guardo e non so che fare, devo rimettermi buono seduto o saltargli addosso? Ripasso a memoria le posizioni viste sulle riviste per soli adulti e che a volte circolavano anche tra noi ragazzi, che ce le scambiavano, e che spesso avevano le pagine che non si scollavano.

Non ha più il giubbottino di pelle addosso, solo la camicetta bianca. E i capelli ora sono sciolti sulle spalle, come non l'avevo vista mai. La fanno diversa, un'altra persona quasi, non fosse per quegli occhialetti spiritosi, da Prof. O sono io che la guardo con occhi diversi. Ciò che destabilizza però è che non ha più i jeans addosso, si è messa comoda con dei leggins di cotone blu, morbidi. Aderiscono come una seconda pelle e le forme sono ancora più evidenti. Non posso non apprezzare. I miei occhi se ne cibano ingordi, ma cercando di non farsi notare, almeno non troppo.

Si è accoccolata, comoda e disinvolta, accanto a me. Be', disinvolta... come può esserlo una persona elettrica come lei era. Cosa fai? Non l'accendi? Lo so che ti piace fumare. A volte sei tornato dalla ricreazione con gli occhi liquidi e dopo te ne stavi al banco con la testa a ciondoloni, svolgevo la lezione e sapevo che la tua mente era altrove, sulle ali di un falco magari. Non devi esagerare però, ma... non voglio farti la ramanzina ora. Anche perché anch'io mi sento... eccitata, su di giri.

Mi sfiora il viso con una lieve carezza. Mi sei caro, mi dice. Naturalmente deve restare una cosa tra noi. Come tutto il resto. Lo dice seria, ma con sorriso confidente. Mi guarda da sopra gli occhialetti con i suoi innocenti occhi chiari, mentre io mi accingo ad accendere il joint.

Come tutto il resto. E io a tutto il resto ci penso con immagini tipo Le Ore, bibbia della mia educazione sessuale. Ne viene fuori una nuvolona di fumo con la prima boccata, con conseguenti colpi di tosse che fatico a contenere.

Quando la nuvola si dirada lei è ancora lì. Dico Milena, non Prof, quando le passo il joint, perché non siamo all'interrogazione. Le sue dita sfiorano le mie, poi reclina la testa all'indietro, posandola sul divano, e aspira la prima boccata. Fino a quel momento non avevo fatto troppo caso al particolare del bottone non allacciato, o erano due i bottoni slacciati della candida camicetta? Fatto sta che in quella sua posizione mi è bastato arretrare un po' anch'io per intrufolare lo sguardo fin dove poteva giungere. Un seno piccolo si intravedeva, con la sua aureola e il capezzolo rosa. Una dolce visione che lei mi offriva e che io mi godevo senza darlo a vedere.

Ripassa e si stiracchia le braccia. Spegnila tu, mi dice, per me basta così. Fumo molto raramente, ma quale migliore occasione? Ci guardiamo senza parlare, quello è forse il momento decisivo, lo spartiacque.

Posa la mano sulla mia coscia, dice: Senti, io... Non devi dire niente, la interrompo e poso la mia mano sulla sua. Ci sono sguardi che si trasformano in baci eterni in meno di un secondo e sinceramente non so, non ricordo chi per primo abbia proteso la sua bocca. Questione di una frazione, di un millesimo comunque.

Ci sono baci e baci. Ci sono anche baci da cui sembra che non ci si si possa più staccare, che niente e nessuno possa, fossero pure angeli o demoni. La lingua della Prof, sembra un serpentello, curioso, spiritoso. Ci stacchiamo solo quando le nostre rispettive lingue si intiepidiscono, segno che il sangue impetuoso sta andando a irrorare altre parti del corpo.

Lei si tira indietro, reclina nuovamente la testa sul divano, la scuote anche un po' mentre dice: Forse non dovremmo... Lo prendo come un invito, la posizione almeno. Tento di liberare un altro bottoncino della camicetta, mi ferma, ma è incerta. Dico che forse è meglio che vada e mi passa per la mente l'immagine di mio padre in pigiama che compone il numero dei carabinieri, ma lei mi trattiene e mi tira a sé, la sua bocca a rapire la mia. Slaccia lei i bottoni della camicetta. La musica è quella dei Police, Roxanne.

Raggiungo il capezzolo e ci passo sopra il dito leggero, ai suoi brividi rispondo tenendolo stretto tra due dita. Il mio uccello è tornato in forma di sbarra orizzontale. Lei non tarda a percepire il mio stato, anche senza guardare il conseguente rigonfiamento. Lo sa. Lo confermano le sue dite che percorrono la stoffa seguendo in lunghezza quel turgore. Ne è soddisfatta e tenta di appropriarsene, ma la stretta può essere solo parziale. La mia con i suoi seni è invece totale, una carezza sul capo mi invita a scendere, a prendere quelle delizie in bocca, a gustarle con le labbra, a saggiarne le vette acute in punta di lingua. Lecco e succhio, me ne abbevero come fosse acqua di un'oasi nel deserto.

Intanto le sue mani non sono restate inoperose, le dita trovano varchi tra i bottoni dei 501, penetrano nel fortino assediato, con i polpastrelli saggiano il tesoro. Ma ancora è poco, così altre dita fanno saltare i bottoni uno a uno. Ora il fortino può essere saccheggiato. Cosa che immediatamente accade, lasciandomi a bocca aperta quando brandisce il cazzo in gloria, stringendo la pelle tesa dalla massima estensione. Però non fa quello che facevo quasi quotidianamente io, anche più d'una volta al giorno. Si contenta di tenerlo in suo potere, saldamente tretto in pugno.

Capisco che forse è ora che anch'io sia audace e che è il momento giusto per raggiungere quel mistero che tutte le femmine del mondo, belle, brutte, giovani, vecchie, grasse, magre, bionde e brune, tengono nascosto tra le gambe. A dire la verità ci avevo già provato una volta con Patrizia della IV C e lei mi aveva lasciato fare per qualche secondo, per poi togliermi la mano e darmi un ceffone.

Invece Milena, la Pizzi, la Prof, mi lasciava fare e anzi iniziava a gemere forte, ansimare, contorcersi, chiamare più volte il mio nome, per incitarmi. Sotto le mie dita la stoffa dei suoi leggins iniziava a bagnarsi fino a disegnare una chiazza tra le sue cosce, di colore leggermente diverso. Era fradicia eppure così non le bastava, per cui ha preso la mia mano e l'ha introdotta sotto l'esiguo strato di stoffa, sotto i pizzi del tanga, guidandomi fino al mistero più misterioso.

Scoprivo che più l'accarezzavo più si bagnava. Le mie dita ormai rese scivolose dai suoi umori la schiudevano e cercavano di introdursi nel sancta santorum ormai alla portata, ma lei lesta mi ha bloccato il polso, calandosi poi a prendere il mio cazzo in bocca. Lo ha fatto ottimamente, pompando con dedizione, cercando sempre di raggiungere la base, fin quasi a riuscirci. Ho chiuso gli occhi e lasciato che facesse. E' un pompino appassionato, senza mani e senza occhiali, con le unghie mi artiglia una coscia e traccia solchi sul mio ventre.

Non stacca la bocca dal mio cazzo neppure quando cambia posizione, inginocchiandosi tra le mie gambe. Riapro gli occhi e vedo che succhia diligente, lecca interamente l'asta e le palle, si sofferma a lungo con la lingua sulla cappella lucida, però mi accorgo anche che una mano la tiene tra le cosce, accarezzandosi con evidente soddisfazione quel mistero da me così agognato. La sua bocca mi fa sentire in paradiso, ma quella visione della mano che si muove frenetica tra le cosce minaccia di farmi giungere allo spasimo.

Lei se ne avvede e provvede, distogliendo la boccuccia di rosa giusto in tempo. Con in mano il mio uccello ormai paonazzo mi chiede di aspettare: Voglio venire anch'io, dice. La guardo a bocca aperta, reprimendomi per arrestare il flusso dentro di me, mentre veloce si spoglia e si issa su di me, abbracciandomi. L'istante dopo eccomi immerso completamente nel mistero. Ed è una beatitudine. Si muove come una biscia Milena su di me, la pelle lucida e scivolosa. Io sono tutto cazzo e fa tutto lei, con movimenti che mi mandano in estasi e che non tardano a riportarmi all'acme. Stringendo il suo seno nelle mani, sollevo lo sguardo implorante verso i suoi occhi, squoto un po' la testa. Le mie palle sono al colmo, l'uccello è scomparso dentro quel mistero, ma lo sento incandescente.

Lei accoglie la mia implorazione annuendo con un gesto del capo e poi con un: Sììì, che sa di liberazione. Dentro, vienimi dentro. Tiene gli occhi fissi sui miei, poi smette ogni movimento ondulatorio e si erge fin quasi a far fuoriuscire l'uccello. Per tre volte si cala rapida a sbatterselo di nuovo tutto dentro di sé, con decisione. Alla terza volta il fremito che mi parte dal basso della spina dorsale è un'onda inarrestabile che tutto travolge. Sborro copioso dentro di lei. E' la prima volta. Ed è bello. Se lo gode anche lei negli occhi miei l'orgasmo che mi squassa a ondate. Mi fa come una boccaccia, mostrandomi un palmo di lingua, che guizza come quella di un serpente. La musica ora è quella dei Doors, Light my fire. Sei bellissima, riesco a dire.

Mentre già inizio ad abbandonarmi, lei si muove frenetica su di me, strusciandosi con l'uccello esausto ancora in gabbia. Viene così, gemendo, ma con esultanza. Prima di liberarlo si avvicina alla mia bocca e penso a un bacio. Invece mi morde le labbra, poi mi bacia. Con la lingua che mi pare fredda in confronto all'incandescenza dei corpi.

L'uccello fuorisce grondante, ancora tosto, sembra solo un po' stordito, come se ancora non capisse bene ciò che gli è accaduto. Sull'addome e pure sulle cosce è colato un misto di sperma e umori che la Prof provvede sollecita a ripulire. Vieni tanto, mi dice. Mi è sembrato un complimento. Mi chiede se mi è piaciuto. Altroché. Da chiedere il bis e poi il tris, in camera però, sul letto. Per imparare dalla mia insegnante la materia più interessante, la più bella che ci sia.
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