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Mi fido di te, palpami le tette!


di Lazio-Sicilia
29.12.2022    |    13.208    |    6 9.8
"“Allora, a che posto mi metti tra le tue conquiste?” chiede provocatoriamente lei..."
Il rapporto tra me e Silvia è sempre stato particolare: lei è l’unica strafiga con cui in vita mia ho mantenuto solo e sempre una relazione di collaborazione lavorativa e di amicizia disinteressata.
Nonostante lei mi abbia sempre eccitato moltissimo io non l’ho mai sfiorata. Almeno fino a ieri…
Silvia ha 55 anni portati egregiamente e nemmeno le vede alcune ventenni di oggi.
Capelli biondi, occhi azzurri, viso perfetto, pelle liscia, quinta di seno, ventre piatto, culetto sodo e tondo, gambe dritte e lunghe: una milfona senza eguali per me che ne ho 41. Una sorta di Jessica Rabbit in carne ed ossa! Un vero e proprio sogno erotico. Mai diventato realtà nonostante i miei amici maschi – che ci conoscono entrambi – credano che io gli nasconda qualcosa, ma non era mai successo niente fra di noi. Davvero.
Io e Silvia abbiamo iniziato a frequentarci ormai una quindicina di anni fa per lavoro, da lì poi è nato un rapporto di fiducia e di affetto reciproco che ci ha portato ad essere veri amici.
Io frequento tranquillamente la sua casa e la sua famiglia, compresi i figli e il marito che – lo ammetto – in paese è un po’ chiacchierato per il suo modo di fare ambiguo e un po’ effeminato eppure ha sposato una donna che è un incrocio tra Diletta Leotta e Belen Rodriguez. Mah?!
Diverse volte mi è capitato di andare al mare con Silvia e di ammirarla in tutto il suo prorompente splendore fisico oppure di trovarla in casa appena uscita dalla doccia con solo l’accappatoio indosso a celare le sue ambite grazie però non sono mai andato oltre a qualche sega fatta in suo onore al mio ritorno a casa.
Io e lei parliamo molto, anche di fatti privati ed intimi. Lei si confida con me e dà a me consigli utili vista la sua esperienza nel rapporto di coppia. Però l’ho vista sempre e soltanto come un’amica per la sua età, per la sua posizione sociale e per la presenza della sua famiglia.
Io, da buon fan dei mitici 883, ho sempre creduto ne La Regola dell’Amico secondo cui “se sei amico di una donna non ci combinerai mai niente mai / non vorrai rovinare un così bel rapporto” e cose simili, ma ad ogni regola c’è sempre un’eccezione…

Il 23 dicembre di quest’anno sono ritornato al mio paese di origine in Sicilia per trascorrere le festività natalizie con e tra gli affetti più cari, tra cui anche Silvia.
Ad agosto per telefono mi aveva comunicato che, durante una visita di routine, il suo medico le aveva trovato un nodulo al seno che andava subito trattato con la chemio-terapia. Era sconvolta, in lacrime. Distrutta.
Una notizia del genere è una doccia fredda per tutti, a maggior ragione per una come lei che del seno ne ha sempre fatto un vanto e un punto di forza della sua persona. Lo porta proprio bene in giro, non lo ostenta in maniera volgare ma lo fa sentire importante fasciato in abiti sempre alla moda che non lasciano molto spazio all’immaginazione.
Adesso comunque, dopo quattro mesi di calvario, le cose stavano andando per il verso giusto e l’ultima volta che l’avevo sentita al telefono era ritornata ad essere la solita Silvia: raggiante e determinata.
In questi mesi di distacco fisico la chiamavo più o meno ogni settimana per farle sentire la mia vicinanza affettiva. Le ho dato sostegno morale nei momenti di sconforto.

Quel giorno ci eravamo messi d’accordo per vederci a casa sua intorno alle 16:30 per un caffè ed una lunga chiacchierata.
A quell’ora, puntuale, citofono al suo campanello. Salgo le due rampe di scale che mi portano al primo piano e sulla porta trovo lei che mi accoglie a braccia aperte e con un sorriso a 32 denti. Mi stringe forte e mi riempie di baci su entrambe le guance. Mi prende per mano, mi conduce in cucina e mi fa accomodare.
Tutti gli altri membri della famiglia sono fuori casa per sbrigare le ultime faccende pre-natalizie.
Mi chiede di me, del mio lavoro, della mia salute, delle mie ragazze – Silvia sa benissimo che ancora non intendo sistemarmi e che voglio godermi la vita giorno dopo giorno – e io la aggiorno un po’ su tutto… sul fatto che all’anno nuovo cambierò lavoro e che ho avuto un incontro ravvicinato con la moglie del mio futuro capo (leggi il mio racconto), che sto frequentando una ragazza che fa l’avvocato, conosciuta in maniera rocambolesca, che mi attrae molto anche se vive lontana da me (leggi l’altro mio racconto) e che tutto sommato non mi posso lamentare della vita che faccio e che adesso ero lì per due settimane piene a rilassarmi e a divertirmi.
Intanto lei prepara il caffè, imbandisce la tavola di dolci e biscotti e mi riempie un bicchiere d’acqua.
Quindi è il suo turno e – in maniera quasi speculare ma opposta – lei mi dice invece che al lavoro non si sente più apprezzata come prima e ormai va’ avanti per inerzia, che con il marito, adesso che i due figli sono grandi e hanno preso le loro strade indipendenti, si sente come un’estranea in casa e che la salute la fa tribolare un bel po’ anche se adesso per fortuna il brutto sembra essere alle spalle…
“A proposito” – mi dice – “voglio condividere con te questa bella notizia!”.
“Tocca qui…”.
E mentre dice così abbassa la cerniera della giacca della tuta ed alza il top che le avvolgeva il seno mostrandomi la sua tetta sinistra che era una vera e propria opera d’arte lì a mezzo metro dai miei occhi increduli.
Io rimango impietrito e non so letteralmente cosa fare. Non mi ero mai trovato in una situazione del genere con Silvia – né lo avrei neanche immaginato fino a un minuto prima – e qualunque cosa mi passasse per la testa in quel momento mi pareva in ogni caso inadeguata.
“Dai, non fare il cretino. Che c’è? Non hai mai visto una tetta prima d’ora?”.
“L’avvocatessa e la moglie del tuo nuovo capo non ce le hanno le minne?”.
“Tocca! Il nodulo è scomparso, non si sente più al tatto!”.
Mentre mi parla mi prende la mano destra e me la mette sotto la sua tettona dove scompare letteralmente sovrastata da quella boccia calda, umida e profumata.
Non voglio passare né per scortese né per pappamolle così mi alzo e mi metto in una posizione più comoda all’impiedi di fronte a lei – che invece rimane seduta – per palparla meglio. D’altronde è lei che me lo ha chiesto…
“Bene!” – esclamo – “É vero… non si sente niente di strano… anche se io non ho il termine di paragone giusto per giudicare perché prima d’ora non ti avevo mai palpato!”.
La butto lì, a metà strada tra battuta e provocazione.
Lei fa un sorrisino malizioso, si scopre anche l’altra tetta che a stento era rimasta celata e mi dice: “Beh… puoi fare il paragone con quest’altra che non è mai stata malata!”.
Quindi mi prende la mano sinistra e la posiziona sotto la sua tetta destra. Adesso ho entrambi i suoi meloni in mano!
Con questo gesto inevitabilmente sono in una posizione molto ravvicinata rispetto a lei e – come se non bastasse – il mio pube è ad una trentina di centimetri dalla sua faccia e mi risulta difficile tenere nascosto il gonfiore che nel frattempo si è generato da quelle parti.
“Allora? Cosa mi dici? Senti qualcosa di strano?”.
“No” – rispondo – “Mi pare tutto nella norma”.
“A parte i capezzoli, troppo turgidi rispetto alla norma”, aggiungo. E quasi mi mordo la lingua per quello che ho appena detto senza ragionare.
Ormai è una sfida, un ping-pong di battutine ed allusioni.
Infatti lei mi dice: “Meno male che nella vita tu non fai il medico perché non saresti affatto professionale!”.
“Perché?”, le chiedo non capendo nell’immediato a cosa alludesse…
“Perché solo per aver preso in mano due tette tra un po’ mi cavi gli occhi con la tua erezione!”.
“Allontana quel coso dalla mia faccia prima che me lo sbatti in testa e mi fai male!” e ride.
“Beh” – replico – “ciascuno indurisce ciò che ha: tu i capezzoli e io il coso, come lo chiami tu”.
“Perché? Tu come lo chiami invece?” incalza.
“Mah… guarda… una volta una ragazza, non so perché, l’ha battezzato Willy. Un’altra ‘bandierone’. E altre con altri nomignoli che adesso non ricordo. Per me è semplicemente il mio ‘fratellino’. Ecco”.
Mentre le dicevo questo io ero sempre nella medesima posizione, non mi ero schiodato di un millimetro, e giochicchiavo con pollici ed indici su areole e capezzoli.
Lei: “Beh… a guardarlo… non sembra tanto -ino… sembrerebbe più -one… ‘fratellone’, semmai!”.
Ridiamo entrambi.
Lei: “Dai, a questo punto mi hai fatto venire la curiosità – lo sai che la curiosità è donna – fammelo vedere!”.
E senza darmi il tempo né di rispondere né di reagire mi slaccia la cintura con entrambe le mani e mi sbottona interamente la patta da cui adesso spunta il mio cazzo che slabbra la parte anteriore dei boxer.
“No, dai, cosa fai?!” Porto le mani al pube per ricompormi.
“Tra di noi c’è sempre stato un rapporto paritario: tu hai visto e toccato una mia parte intima e ora spetta a me fare altrettanto con te!”. Dice lei, facendo passare per normale un ragionamento che normale non era.
Quindi mi scosta le mani portandomele lungo i fianchi, tira verso di sé l’elastico dei boxer ed avvicina lentamente la sua faccia al mio inguine come se si stesse affacciando sul pozzo dei desideri…
Con entrambe le mani fa scivolare verso il basso i boxer liberando il mio cazzo, che non aspettava altro.
Intanto i jeans mi sono arrivati alle caviglie mentre i boxer sono rimasti all’altezza delle ginocchia.
“È bellissimo!” – sospira lei – “Lungo, largo, teso, duro, dritto, liscio, profumato!” E si avvicina ancora di più. Ora è con la sua faccia a 5 centimetri dal mio cazzo in tiro. Si raccoglie i capelli dietro la nuca…
“Va bene, Silvia, ora lo hai visto. Dai, fammi rivestire” le dico.
“Sssshhhhhh” – mi intima lei – “Lascia fare a me!”.

Prima se lo annusa per bene: parte dallo scroto, risale lungo tutta l’asta e poi indugia sulla cappella.
Poi comincia ad assaggiarlo: dà piccole leccate prima intorno al glande, poi scorre su tutto il palo fino ad arrivare a soppesare le mie palle con la sua lingua un po’ come io avevo fatto con le mani alle sue tette.
Divarica le gambe affinché io possa posizionarmi nello spazio che ha creato fino ad aderire alla sedia su cui lei rimane seduta e ingoia letteralmente il mio cazzo fino a farlo scomparire nella sua bocca.
Con entrambe le mani mi stringe forte le chiappe, tirandomi a sé.
Io dall’alto vedo soltanto il suo chignon dorato che ondeggia avanti e indietro, a destra e a sinistra, su e giù.
Ha una bocca fantastica: accogliente, profonda, setosa, morbida e calda.
Io chiudo gli occhi e mi abbandono completamente a lei.
A un certo punto però, di colpo, finisce la sensazione di calore che mi avvolgeva e il mio cazzo è insalivato ed infreddolito, completamente fuori dalla sua bocca.
“Vuoi che mi fermi?” Mi chiede lei, con lo sguardo della maestrina che aveva detto che spiegava e invece all’improvviso interroga…
“Stai scherzando?!” – ribatto – “Cosa c’è? Non ti piace?”.
“Al contrario” – risponde lei – “Mi piace da impazzire! È fantastico!”.
“E allora gustatelo e goditelo!” Chiudo il discorso prendendola per la nuca e rimettendola in posizione.
Lei ricomincia a pompare palpandosi le tette e spremendosi i capezzoli.
Io mi godo la scena dal riflesso del vetro della porta-finestra della cucina. Ormai fuori è buio.
Sento il mio cazzo duro, lungo e grosso come non mai. Sembra di marmo. Tra una poppata e l’altra vedo la vena che lo attraversa nella parte destra gonfia e piena. Tutti i corpi cavernosi sono irrorati e distesi. La pelle è lucida ed umettata, la cappella è tronfia e lustra.
Richiudo gli occhi e ripenso a tutte le volte in cui negli anni passati Silvia mi aveva eccitato ed ispirato momenti di vero godimento.
Ma questa volta non era fantasia, era realtà. A darmi piacere non c’era la mia mano ma la sua bocca.
“Bello mio” – mi sussurra lei dopo una decina di minuti, quasi svegliandomi dal sogno – “Io non avrei niente in contrario a bere la tua sborra, che sono sicura sarà buonissima, ma in questo periodo spesso ho una sensazione di nausea e di vomito appena ingoio qualcosa”.
“Mi vuoi bene lo stesso se ti faccio venire sulle mie tette?” chiede.
Io: “Ma certo che ti voglio bene lo stesso, scema! Non devi fare cose che ti fanno sentire male! Eppoi le tue tette sono meravigliose. Fammele scopare!”.
Così inizio letteralmente a penetrare con colpi decisi e ben assestati la fessura del suo seno mentre lei tiene le sue bocce compresse l’una all’altra.
“Dimmelo se ti faccio male” la tranquillizzo.
Lei fa un cenno d’intesa e di compiacimento.
Adesso la sua testa è libera dai movimenti sussultori e lei mi guarda dritto negli occhi con sguardo amorevole.
Io e Silvia ci capiamo al volo, da sempre. Tra di noi basta uno sguardo, non servono le parole.
Si sta prendendo cura di me. Ha voluto ripagarmi per la mia sincera e forte amicizia. Ha voluto donarmi qualcosa di fisico che però ha dietro qualcosa di metafisico: l’affetto.
Non so se nella sua testa questo regalo fosse già programmato da prima o se le mie provocazioni abbiano portato inaspettatamente il suo comportamento ad un livello più spinto del previsto comunque adesso sto godendo della sua bocca e delle sue tette, sogno proibito per molti ed inaspettata realtà per me ora. E a quanto pare tutto ciò me lo sono meritato!
Lei è felice, si vede, sia per me che per lei, credo. È contenta di avermi fatto questo regalo, che ho decisamente apprezzato, ma è contenta anche per lei perché – tramite me – ha ristabilito un buon rapporto con il suo corpo, e in particolare con il suo seno. Ora lo guarda, lo accarezza e lo stimola senza timore e senza dolore.
Siamo entrambi beati e felici: due amici che si stanno divertendo insieme.
Complice anche la molta birra che ho bevuto a pranzo, ancora non sento lo stimolo di venire (a me la birra fa questo effetto ritardante), quindi continuo a scoparla imperterrito nel seno e riprendiamo pure a dialogare.
“Allora, a che posto mi metti tra le tue conquiste?” chiede provocatoriamente lei.
Poi aggiunge: “Ci sono almeno tra le prime 20?”. “Certo… altre ti hanno dato sicuramente molto di più e io non rientro nel tuo target però mi pare che non sono proprio da buttare”.
“AAhhh… ma che facciamo le classifiche ora?” rispondo io, stando al gioco.
Io: “Nella tua categoria sei sicuramente la numero uno!”.
Lei: “Ah sì?! E quale sarebbe la mia categoria?”.
Io: “Milf, naturalmente!”.
Lei: “Stronzo!”. Si ritrae di colpo, libera dalla morsa delle sue tette il mio cazzo e comincia a schiaffeggiarlo scherzosamente.
“Vorresti farmi credere che per te io sono troppo vecchia ma la verità è che tu te lo sogni la notte quello che c’è qui e qui”. E con la mano sinistra indica la sua fica ed il suo culo mentre con la mano destra inizia a farmi una sega.
Io: “E va bene, lo ammetto… te la darei una botta… anche più di una veramente… sia davanti che dietro… servizio completo!”.
Lei: “Brutto porco! Non si dicono queste cose ad una Signora! Sei proprio monello!”.

Tra bocca, tette e mani il mio cazzo riceve le sue cure da più di 20 minuti ormai, è sempre un pezzo di marmo e di svuotarsi per il momento non ha nessuna intenzione.
Io sto proprio bene. Non ho alcuna pressione psicologica e l’amicizia complice e sincera che ho con Silvia mi mette proprio a mio agio. Zero ansia da prestazione. Non devo dimostrare niente a nessuna.
È uno dei rapporti senza penetrazione più soddisfacenti della mia vita, forse il migliore veramente.
Per me è come essere in palestra: sto allenando un muscolo del mio corpo e sto ricevendo benessere psico-fisico, come durante una sessione di allenamento.
Continuiamo…
Io: “Sai che sei appena salita sul gradino più alto del podio tra le donne che mi hanno dato sollazzo senza farsi penetrare?”.
Lei: “Addirittura?! Sono sul podio?! Come quelli che vincono il Gran Premio?!”.
Io: “Esatto!”.
Ridiamo entrambi.
Lei: “Allora bisogna festeggiare. Come fanno loro. Con gli schizzi di champagne!”.
“Quando me lo dai questo champagne? Quanto ti manca? È da quasi mezz’ora che ho questa mazza minacciosa puntata su di me”. Ride.
E ancora lei: “Non sono abituata a queste resistenze e a questi tempi. Tra un po’ devo preparare la cena e magari a minuti rientra pure qualcuno dei miei… Che intenzioni hai?”.
Io: “Mi stai mettendo fretta? Vuoi lo champagne? Aspetta…”.
E sempre io: “Scusami, eh!?”.
Mentre lei continua a lavorare di polso io la faccio alzare dalla sedia, la giro di profilo, le infilo una mano dentro i pantaloni della tuta ed esploro i suoi meandri raccogliendo con le mie dita le gocce dei suoi umori che porto al naso respirandoli a pieni polmoni.
Lei mi lancia un’occhiataccia come a farmi capire che mi sono spinto troppo oltre ma in fin dei conti non ha opposto la ben che minima resistenza. Così ravano per la seconda volta il suo scrigno intimo dalla doppia serratura e stavolta assaggio in bocca i suoi umori.
La mia cappella è rosso fuoco, il mio prepuzio arrotolato è gonfio ai bordi.
L’input olfattivo-gustativo sta facendo effetto… ancora qualche minuto e ci sarà l’eruzione.
Io: “Il tuo odore e il tuo sapore sono più buoni di quanto immaginavo. Mi fai impazzire!”.
Lei: “E tu invece mi fai stancare! Mi si sta slogando il polso! Meno male che non facciamo sempre così altrimenti dovresti pagarmi il fisioterapista!”. Ride ancora.
Molla la presa con la mano e ricomincia il lavoro di bocca. A stento riesce ad ingoiarlo tutto. È veramente enorme come non mai.
Sto per capitolare comunque. Comincio a tremare dalle ginocchia in su. Sento come dei crampi all’addome. La prostata pulsa a ritmo insistente.
Io: “Ecco lo champagne! Ci siamo!”.
Le sfilo il cazzo dalla bocca e glielo appoggio sul seno, sfiorandole i capezzoli turgidi con lo scroto tumido.
Un fiume di sborra le imperla entrambe le tette. Si forma subito un rivolo di calda crema bianca che si fa strada in quel Grand Canyon di carne. Le servono due poi tre tovaglioli di carta per raccogliere e catturare tutto il mio nettare.
Io sono veramente stremato. Il mio cazzo si è ritratto tutto, è quasi sparito, si mimetizza tra le due palle svuotate da come è ridotto.
Mi asciugo anch’io con un altro tovagliolo. Lei li raccoglie tutti e li va a gettare in bagno. Poi si lava.
Quindi apre la porta-finestra che dà sul terrazzo e spruzza un po’ di deodorante in giro per purificare la stanza dal mio odore.
Si risiede davanti a me, mi guarda dritto negli occhi e mi porge il vassoio di pasticcini.
Lei: “Mangia va’… che hai bisogno di riprenderti”.
Io: “Mi hai fatto godere come non mai. Mi ci vorranno un paio di giorni per riprendermi…”.
Lei: “Meglio! Così per un paio di giorni non vai in giro a fare danni”.
Io: “Io non faccio danni, faccio solo cose belle. Finora nessuna delle mie amiche si è mai lamentata”.
Lei: “E ci credo! Con quell’arnese lì! Se poi lo usi anche bene, come immagino…”.
Io: “Ah sì!? E da quando in qua tu fantastichi sul mio arnese?”.
Lei: “Da quando Mauro non mi sfiora più. Da circa un anno e forse più”.
Io: “Stai scherzando?! Ma come si fa?! Non… boh… cioè… che dire…” farfuglio.
Lei fa spallucce e sospira sconsolata.
Prende in mano un bicchiere d’acqua, lo alza al cielo e dice: “So benissimo che non si brinda con l’acqua ma per il momento mi posso permettere di mandare giù soltanto questa”.
E poi prosegue: “Spero di guarire presto e di poter assaggiare il tuo champagne, se tu vorrai conservarmene almeno un po’ ogni volta che ritornerai qui”.
Io rimango basito per qualche secondo e poi, alzando anch’io al cielo un bicchiere d’acqua, rispondo: “Ma certo che ti conserverò lo champagne. Il migliore che ho! Puoi contare su di me!”.
Poi aggiungo: “Mi sembra di vivere un sogno ma con il passare dei minuti mi rendo conto che è tutto reale. Sta iniziando una nuova fase della nostra amicizia quindi!?”.
Lei: “Sei sempre stato una persona leale, affidabile e presente. Anche in questo brutto momento mi sei stato vicino con il cuore e con la mente. Io mi sento ancora Donna e ho bisogno anche del lato fisico… carnale… oltre a quello spirituale. Mi pesa e mi rattrista molto tradire Mauro ma se devo farlo – perché ho delle forti pulsioni che sento di dover soddisfare – preferisco farlo con te, se e quando ce ne sarà la possibilità.
Spero che non mi giudicherai male né scapperai spaventato per quello che ti sto dicendo”.
Io: “Ti confesso di essere stranito per quello che mi hai fatto e per quello che mi hai detto oggi ma sento di volerti ancora più bene di prima. Se posso renderti felice, lo farò volentieri. Anche sotto quell’aspetto”.
Silvia si alza e viene verso di me, si siede sulle mie gambe, mi abbraccia forte e comincia a piangere.
“Grazie” mi sussurra.
“Stai tranquilla, non ti preoccupare. Adesso pensa a guarire completamente e poi ti sentirai nuovamente Donna. Già lo sei ma io ti aiuterò a riprenderne piena consapevolezza” le dico asciugandole le lacrime.
Mangio l’ultimo pasticcino, bevo ancora un po’ di caffè e la saluto, consapevole e fiero di essere diventato un suo amico ancora più “intimo”!
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