Racconti Erotici > Lui & Lei > Quell'estate in Grecia (2) - Zitta che ci sentono
Lui & Lei

Quell'estate in Grecia (2) - Zitta che ci sentono


di Membro VIP di Annunci69.it PaoloSC
09.05.2023    |    2.827    |    2 9.7
"La aiutai andando dall’altra parte per spingerlo con il piede verso di lei e, nel farlo, mi si slacciò l’asciugamano che avevo drappeggiato ai fianchi a mo’..."
Zitta che ci sentono!
Arrivammo all’appartamento nel tardo pomeriggio, stanchi da una lunga giornata in traghetto tra Atene e Naxos. A quei tempi i traghetti erano lenti, puzzolenti di nafta e olio e di locali igienici mal lavati.
L’appartamento era abbastanza alto in collina, appena fuori il centro abitato di Naxos, non troppo lontano a piedi dal centro storico e dalla zona turistica. Era con tre stanze da letto, due bagni ed un soggiorno spazioso con un grande divano letto. C’erano la cucina ed un enorme terrazzo con vista sul mare, beh, diciamo in direzione del mare, arredato con un tavolo da ping-pong che aveva visto tempi migliori e delle sedie in plastica economiche. Oggi sarebbe impensabile offrire una casa arredata in questo modo, ma quarant’anni fa diciamo che non ci si faceva troppo caso.
Facemmo l’estrazione a sorte assieme alle altre tre coppie per decidere quale sarebbe stata la stanza di ciascuno. Mettemmo in un vaso i bigliettini con le varie stanze e con “soggiorno” tutti piegati nello stesso modo. La prima ragazza, Federica, estrasse il bigliettino della stanza A, la più piccola; alla seconda, Domitilla, toccò la C, di fronte alla A, un po’ più grande, con la porta finestra che dava sul terrazzo, accanto al salone.
Rimanevano il salone e la stanza B, la più grande, accanto al bagno e anch’essa con accesso al terrazzo, ma con vista sul retro. Francesca era l’ultima.
La ragazza prima di lei, Patrizia estrasse il soggiorno e a noi toccò la stanza più grande.
Decidemmo di usare i bagni in coppia per far prima visto che dovevamo ritornare in paese per andare a cena e non c’era molto tempo.
Mentre gli altri erano in bagno, noi approfittammo per disfare i bagagli mettere un po’ di cose a posto. Francesca tirò fuori una decina di cose dal “baule”: “Che dici? Metto questo o questo? Oppure questo?” mostrandomi tre capi diversi.
“Io direi questo” indicando una tuta pantaloni a salopette blu elettrico abbottonata fino all’altezza del pube con grandi bottoni bianchi e taglio dello scollo quadrato, senza maniche.
“Ma non sarebbe meglio questo?” mostrando un vestito a fiori sopra il ginocchio, con gonna a piegoni molto ampi e corpetto con la schiena nuda e scollo all’americana.
Ovviamente, avevo puntato sul capo che non mi piaceva certo che avrebbe scelto quell’altro, per definizione.
Per fortuna, la pratica abito si risolse facilmente.
Andammo a fare la doccia, io dopo di lei visto che non era possibile farla assieme. Mi lavai mentre si truccava, ancora avvolta nel telo da bagno.
Uscimmo dal bagno proprio mentre la quarta coppia stava già discutendo con gli altri per la mancanza di spazio per mettere le loro cose.
“Allora facciamo così: nella nostra stanza c’è un armadio a quattro ante. Noi prendiamo due sole ante e le altre le prendete voi, va bene?” proposi. Non immaginavo che questa soluzione avrebbe generato motivi di attrito con la mia fidanzata.
“Come ti sei permesso? Io ho tutte le mie cose da sistemare!” mi urlò a bassa voce, come solo le fidanzate incazzate sanno fare.
“Scusa, ma hai quasi un metro e mezzo di armadio tutto per te. Hai quattro cassetti più il comò. Hai lo spazio sotto il comò per le scarpe: cosa altro ti serve?”
“E i miei trucchi?”
“Dentro al comodino”
“Non c’entrano, ci sono le creme per la notte”.
“Nel primo cassetto del comò, allora”
“Ci sono i costumi e la biancheria”
“Li sposti nel secondo”
“Ci sono le mie magliette”
“Senti, ti do uno dei miei”
“Ne hai solo uno per la biancheria” mi disse.
“E tutto il resto della mia roba?”
“È nell’altro armadio”
Iniziavo a spazientirmi.
“Allora, facciamo una cosa. Esci e ci penso io. Vai, Smamma!” con tono seccato.
“A me smamma non me lo dici, CHIARO!” inveì.
“E invece si!”
Manco arrivati, e già stavamo discutendo. Avrei dovuto capire già da allora quanto avrei dovuto faticare con lei...
Comunque, riuscii a convincerla a uscire e ad avviarsi con gli altri. Io l’avrei raggiunta da lì a poco.
Mi misi a spostare la mia roba dal secondo armadio nel primo armadio, facendo un po’ di spazio tra le cose di mia moglie, quando entrò Patrizia. la ragazza della coppia che dormiva in salone.
“Paolo, aspetta un attimo a togliere tutto: molte delle cose rimangono nelle sacche, tipo la biancheria, i costumi, sono tutte cose che mi possono servire a prescindere” mi disse.
“Beh, ma qui c’è spazio!” le risposi, facendole notare che avevo liberato i cassetti e quasi tutto il resto dell’armadio.
“Guarda che non mi serve: magari giusto lo spazio per i pantaloni lunghi e per il vestito che in valigia si sgualcisce, perché tutto il resto è roba jeans che non si stropiccia. E poi ci sono le camicie di Andrea (il suo ragazzo) e sì, quelle devono essere stese. E anche le sue polo, visto che ci sono” aggiunse.
L’unico problema era che effettivamente il numero delle stampelle rimaste era veramente poco e Francesca ne aveva usate un gran numero. Mi misi allora ad accorpare più di capi su un'unica stampella, così come le mie camicie. Alla fine, recuperai sei o sette stampelle delle venti e più che Francesca aveva occupato.
Patrizia era una ragazza mora, minuta, lunghi capelli neri. Laureata in Economia, master alla London Business School, era da poco rientrata a Roma e si era appena fidanzata con Andrea. Diciamo che la conoscevo meglio io che il suo ragazzo. Aveva talmente poco seno che non l’avevo mai vista con un reggiseno, nemmeno in spiaggia, e girava di solito con camicette aperte fino allo stomaco senza il rischio di mostrare nulla. In quel momento aveva indosso solo una canottiera lunga senza nulla sotto, dalla cui scollatura potevo chiaramente osservare la sua nudità.
“Posso darti una mano?” le chiesi. Tra l’altro, ero ancora con il telo da bagno chiuso in vita, non avevo avuto modo ancora di rivestirmi.
“Se proprio insisti, potresti cortesemente prendere la sacca nera che sta di là? Pesa molto e dovrei trascinarla” mi disse.
Andai in soggiorno e presi la sacca. In effetti, era molto pesante. Sentivo scarpe, borse, oggetti densi e duri al tatto. Entrai in camera mentre Patrizia sta appendendo due stampelle piene delle mie camicie dentro la nostra parte di armadio.
Proprio mentre sto per poggiare la sacca, si staccò uno dei manici ed il suo contenuto si rovesciò fuori. Erano prevalentemente scarpe, ma anche una busta piena di intimo femminile, una borsa con trucchi e spazzole e una scatola lunga una trentina di centimetri, larga una dozzina ed alta otto.
Cercai di ovviare al pasticcio prendendo le cose cadute e porgendole a Patrizia che man mano le stava riponendo nella parte di armadio a loro disposizione.
“Queste no, mi servono di là” disse prendendo la busta dell’intimo, la borsa dei trucchi e la scatola misteriosa. Ma era destino che quella scatola dovesse mostrare il suo contenuto perché cadde di mano anche a lei, rovinò per terra aprendosi e disvelando il suo contenuto: un vibromassaggiatore con vari accessori a forma di palla, sfera, siluro, supposta gigante… insomma, un bel godemichet dell’epoca.
Feci finta di nulla e dissi “Andrea ha dolori articolari, vedo” facendo finta di non sapere cosa effettivamente erano quegli oggetti. Patrizia, arrossita, cercò di chiudere immediatamente la scatola ma, nella fretta, le cadde di mano uno degli accessori che rotolò sotto il nostro letto. Lei si chinò ed esponendo in toto le sue grazie, cercò di recuperarlo.
La aiutai andando dall’altra parte per spingerlo con il piede verso di lei e, nel farlo, mi si slacciò l’asciugamano che avevo drappeggiato ai fianchi a mo’ di pareo, mostrandole tutto il mio membro, per fortuna ancora a riposo.
Ci facemmo due risate ed esclamammo entrambi: “Pensa se entrassero ora i nostri partner, cosa direbbero? Crederebbero ad una sola parola di quel che ci è successo?” ridendo sulla situazione.
Fortunatamente non successe nulla di più e ci ricomponemmo senza ulteriori problemi.
Alla fine, dopo esserci vestiti, raggiungemmo gli altri presso il ristorante che avevamo adocchiato venendo verso casa.
Fu una cena piacevole. Il ristorante era all’interno del paese, in una piazzetta al cui centro c’era una fontana (cosa strana per un’isola greca) e lungo il lato più largo affacciava una chiesa. Tutte le pareti delle case erano rigorosamente bianche con gli infissi in legno dipinti di blu chiaro.
Dopo cena, uno di noi dispiegò una mappa dell’isola e propose di andare in una spiaggia non troppo lontana dal paese, raggiungibile tramite un breve tratto in autobus e poi con una piccola discesa lungo un dirupo di un centinaio di metri, non troppo agevole ma nemmeno particolarmente faticoso.
Ci consigliò l’oste che, in un gesto di simpatia, portò una bottiglia di ouzo gelato assieme a dei biscotti secchi locali all’anice e brindò al nostro arrivo “µία ϕάτσα, µία ράτσα - mia faza, mia raza” ovvero “una sola faccia, una sola razza”, detto che spesso i greci esclamavano per asserire la comune provenienza mediterranea e la pesante commistione di geni tra i due popoli.
Prendemmo quindi la volta di casa ma visto il precario equilibrio di molti, decidemmo di chiamare due tassì.
Quando arrivammo, Francesca ed io facemmo un rapido salto in bagno per prepararci per la notte.
Quando uscimmo, c’erano Patrizia e Andrea che aspettavano con Patrizia seminuda appoggiata ad Andrea che la sosteneva.
“Vabbè, abbiamo esagerato tutti: buona notte” augurammo loro e ci chiudemmo in stanza.
Era abbastanza caldo e non avevo alcuna intenzione di mettermi nulla per cui mi tolsi le mutande e mi buttai a letto. Francesca invece si infilò il magliettone già usato ad Atene, si tolse la biancheria, spense la luce e si mise anche lei a letto.
Ero brillo, un po’ di mal di testa, ma non mi sentivo troppo male. Allungai la mano tra le gambe di Francesca e le chiesi “E qui come sta?”.
Lei allargò le gambe per favorirmi e nel contempo allungò la mano a prendere il mio cazzo che nel frattempo si era risvegliato.
Dopo un po’ di carezze da parte sua e mia, decisi di leccarla e mi misi in posizione 69 sopra di lei mentre le succhiavo il clitoride, le labbra e le infilavo una o due dita nella vagina. Lei ricambio succhiandomi il pisello e leccandomi l’asta. Ad un certo punto smise di leccarmi ed iniziò ad ansimare. Anche il sapore era diverso, più aspro ed acidulo. Una colata di umori densi le uscì dalla fica mentre la penetravo con le dita.
Mi girai e le infilai il mio cazzo al volo. Iniziò a emettere una serie di gemiti sommessi, ma via via sempre più rumorosi.
“Zitta che ci sentono!” le dissi prima di metterle la lingua in bocca di baciarla per farla tacere. Il tempo di una decina di pompate e lei proruppe in un urletto “SIIII!!!! VENGO!!!!” seguito da un copioso schizzo che bagnò maglietta, lenzuolo e materasso.
Sentimmo dopo un po’ bussare alla porta: “Francesca, Paolo, problemi?” chiesero da fuori.
“No, nulla, tutto a posto, Francesca ha sbattuto il piede contro il letto” mentii.
Aprimmo la serranda per far rinfrescare l’aria, ci adagiammo sul letto dalla mia parte e ci addormentammo abbracciati.

[Paolo Sforza Cesarani, 2022/23]
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 9.7
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per Quell'estate in Grecia (2) - Zitta che ci sentono:

Altri Racconti Erotici in Lui & Lei:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni