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Lui & Lei

Tre Figlie Di Mammà - Capitolo 3


di Giangi57
14.04.2023    |    1.426    |    0 8.0
"La frase «mi piace così» non ammetteva repliche..."
Tre figlie di mammà (Trois Filles de Leur Mére)
Pierre Louÿs, (Gand, 10 dicembre 1870 – Parigi, 6 giugno 1925)
(Opera libera da diritti di autore, ai sensi dell’art. 25 della legge 22 aprile 1941, n. 633 “Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”.
“Art. 25 - I diritti di utilizzazione economica dell'opera durano tutta la vita dell'autore e sino al termine del settantesimo anno solare dopo la sua morte.”)

AVVERTENZA ALLE LETTRICI

Questo piccolo libro non è un romanzo. È una storia vera nei minimi dettagli. Non ho cambiato nulla al ritratto della madre e delle sue tre figlie, alla loro età e alle vicende narrate.


Capitolo 3

Alla quindicesima riga ero sul punto di assopirmi, quando un minuscolo martello metallico fece trillare il campanello dal suono acuto.
«Chi è?».
Una vocina, distinta e debole attraverso il legno della porta, rispose: «Una figlia di puttana».
Non avevo voglia di ridere: ma quel modo di annunciarsi era una di quelle brevi frasi indimenticabili che sopravvivono di per se stesse alla monotonia dell’esistenza… Aprii. Entrò una buffa ragazzina, dall’aria furba, canagliesca, schietta e arguta, con le braccia ciondolanti e il naso al vento.
«Io sono Lili» disse.
«Lo supponevo» risposi ridendo.
«È molto carina, Lili».
«Anche lei è carino. Non ho voglia di andar via».
Perché non ho il vizio delle bambine? Me lo chiedo. Sono odiose tra loro, ma così tenere con noi! Ero lusingato, non lo nascondo, ero molto lusingato per il complimento che Lili m’aveva gettato in faccia. Con una donna, tutte le parole d’amore sono velate da una bruma d’incertezza che la nostra prudenza solleva di fronte alla nostra credulità. Ma una bambina si fa credere. Baciai Lili sull’occhio sinistro.
Tenendomi le braccia intorno al collo, mi disse in fretta, con un tono di scusa e di preoccupazione: «Ho dieci anni. Non ho peli. Le piace così?».
«Non lo dirai a tua madre?».
«No. Ecco. Guardi. Non porto mutande. Me le ha fatte togliere mamma perché non vi rimanessero macchie di sperma».
«Ma è grazioso come il resto quello che mi fai vedere, là sotto».
«Non mi spoglio, che ne dice?
Mi tiro soltanto su la veste?».
«Oh, una veste rialzata è immorale! Le bambine mi piacciono soltanto tutte nude».
«È che…» ribatté lei con la sua franchezza naturale «quel che ho di meglio è la fichetta e il mio culetto.
Il resto è uno strazio!».
«Sono sicuro che anche tutto il resto è grazioso».
«Lo vedrà. E lei, che è appena stato a letto con mamma, quando guarderà il mio corpo di pollastra, bisognerà che la lavori per un buon quarto d ora per farglielo tirare».
«Nient’affatto. Ci scommetto un sacchetto di caramelle».
«E che cosa le darò io, se perdo?».
«La tua discrezione».
«D’accordo» lei disse. «Me ne fotto. Io so far tutto. Non faccia complimenti».
La svestizione di Lili si compì in un lampo: gonnella, pantofole, calzette, camicetta… quando si fu tolta tutta questa roba, della signorina Lili restava ben poco, tanto la sua nudità mi appariva povera cosa.
Braccia e gambe come stecchi; capelli neri fino alla vita; un corpicino esile con un gran monte di Venere e un sesso straordinariamente pronunciato… se è vero che un menu ben assortito deve riunire i piatti più dissimili, la portata di Lili dopo quella di Teresa sarebbe stata il capolavoro di un cuoco.
Lili, sin dal suo primo gesto, mi fece una buona impressione. Invece di saltarmi al collo, cercò tra le mie gambe.
Ho forse bisogno di sottolineare tutta l’innocenza che un simile gesto comporta?
La povera piccola s’era annunciata con l’appellativo di Figlia di Puttana, come altre alla sua età si fanno chiamare Figlie di Maria; una ragazzina che si presenta così non è come le altre.
Ha una faccia di bronzo, per dirla tutta. E questa figlia di puttana, dopo essersi tolta la camicetta, mi adescava come un’ingenua che tiene gli occhi bassi e cerca in primo luogo quel che i ragazzi hanno in più rispetto alle fanciulle. Le piccole prostitute hanno un’innocenza intangibile.
Sentendomi ancora sotto l’incanto di quella lettura rasserenante, attirai Lili tra le mie braccia e incominciai a chiacchierare, tra qualche toccamento che qualificheremo come oltraggio al pudore senza violenza.
«Lili, sei una ragazzina davvero molto graziosa» le dissi.
«Non è vero. Quando mi masturbo davanti allo specchio, non mi eccito mai».
Questa sua frase mi fece ridere fino alle lacrime.
Lili rimase seria; e poiché è facile sedurre i bambini, lei affermò senza preamboli, senza motivo, ma con profonda convinzione: «Le voglio molto bene».
«Oh! su, mia piccola Lili, tu hai due pensieri in mente».
«Perché due?… Sì, è vero, ne ho due. Come lo sa? Gliel’ha detto il dito?».
«Proprio così. I pensieri che le ragazzine hanno in mente…».
«Gli vengono dalla fica?» chiese Lili.
Mi è difficile nascondere dove si aggirasse il dito che mi diceva tante cose.
«Quante ne sai!» le risposi. «E sai perché hai due pensieri? Perché quando si vuol bene a qualcuno si desidera con tutto il cuore un piacere per lui e uno da lui».
Rifletté un istante: il tempo di comprendere la massima.
Poi sorrise e cacciò il viso sotto il mio per rispondermi: «Non la trova troppo piccola, la mia fichetta da un soldo? Vuole comunque chiavarmi?».
«Sei sempre più graziosa, mia cara Lili. La cosa di cui mi hai parlato, sono certo che è per il mio piacere».
«Sì» rispose un po’ confusa.
«E per te? Cosa vorresti?».
«Succhiarla».
La parola era detta. Mi strinse le braccia intorno al collo e prese a ripetere una decina di volte, con il tono scherzoso e cantilenante di una bambina che chiede una leccornia: «Ho voglia di succhiarle il cazzo, la coda, l’uccello, la fava, il batacchio. Ho voglia di sentirglielo diventar duro nella mia bocca. Ho voglia di popparla».
«Come, poppi ancora, alla tua età?».
«Non latte, ma sborra».
«È buona?».
«È buona quando ci si vuol bene».
«Ma quanta ne vuole, signorina? per un soldo? due soldi? tre soldi?».
«Voglio tutto quel che c’è in bottega!… E pago in anticipo, signore, con i miei due buchi».
«Come?».
«Non è uno scherzo».
«Lo credo bene. Le faccio credito, signorina, le sarà messo sul conto. Si accomodi pure».
Lili aveva ancora alcune cosette da dirmi. Sospirò, con le braccia sempre avvinte al mio collo: «È che… Ascolti. L’ho promesso a mamma: dovrà venire una sola volta; bisogna lasciarne per Charlotte, questa notte… Si potrebbero fare diverse cose in una volta. Si potrebbe persino far tutto».
«Nient’altro?».
«Sì. Io sono la più piccola delle tre, ma sono io che ne faccio di più.
Faccio tutto, tranne l’amore tra le tette, perché non ne ho. Vuole chiavarmi, incularmi e godere nella mia bocca? Le dirò dopo il perché».
Poi, d’improvviso, voltò la testa e lanciò un grido: «Oh! guarda, diventa duro senza toccarlo! Il mio sacchetto di caramelle è perduto».
«Lo avrai ugualmente».
«Davvero?
E per la mia discrezione? che cosa mi chiederà?».
«Se mi dai la bocca e i tuoi due buchi, che cosa potrei chiederti di più?».
«La lingua!» esclamò con allegria.
E fu così pronta a pagare il suo debito… Come faccio a dire in che modo Lili mi offrì la sua piccola lingua? La fermai troppo tardi.
«Lili, che mi hai fatto?».
«Una slinguata nel culo» mi rispose in tono gaio. «Merita un cazzo davanti».
Si lasciò cadere sulla schiena, zampe all’aria, il sesso spalancato.
Si lubrificò con tanta saliva quanta sarebbe bastata per violentare una gatta, e ben presto mi resi conto che ero ingenuo a non sapere come prenderla, perché le ragazzine son più facili da chiavare di certe donne.
Entrai senza troppa fatica… «Tutto qui» disse lei sorridendo.
«Si mette la punta e si è già in fondo. Non c’è altro… Non ne vale la pena».
«Oh! ma sì!».
«No. Funziono bene solo da una parte. Non è questa».
«Per quello che mi hai detto, meriteresti che ti facessi fare un bambino».
Rise, ma subito dopo aggiunse: «Me lo farai in bocca, il pupo?».
Poiché sono ugualmente lontano dallo spirito sadico e dal moralismo presbiteriano che si disputano la società, quel che sto per dire è solo l’espressione di un sentimento personale e rischia di dispiacere a tutti: nello stesso modo in cui mi sarebbe stato penoso possedere una ragazzina contro la sua volontà (del resto non ho alcuna esperienza dello stupro), devo dire che provai piacere a chiavare Lili che lo voleva appassionatamente.
Giocava a chiavare come altre ragazzine giocano con la bambola, per un’anticipazione dell’istinto; e per quanto fosse da molto tempo abituata a quel gioco, era fiera di tentare un uomo, fiera di fare alla propria età tutto quel che faceva sua madre… Ma dopo un minuto mi disse gentilmente: «Cambia buco. Andrai più a fondo».
Saltò dal letto, corse in bagno, prese un po’ di acqua saponata per aprirmi la strada e, quando fu di ritorno, si accasciò, fissandomi, sul membro eretto che strinse con la mano. Un lavoro di pochi secondi le fu sufficiente per riuscire. Con abilità pari alla dolcezza, inghiottì dietro tutto quello che non aveva potuto introdursi davanti: proprio tutto! fino alla radice! e, appoggiandomi le piccole natiche sui testicoli, drizzando le ginocchia, divaricando le cosce, accasciandosi come una piccola demone sopra un sant’Antonio, allargò le grosse labbra del suo sesso glabro e rosso e si masturbò sotto i miei occhi, come fanno le ragazzine, con il dito dentro.
La presi tra le braccia, ma era così piccola che anche alzando la testa giungevo soltanto ai suoi capelli.
«Sono contenta! Quando penso che hai appena fatto all’amore con mamma e che ti tira per me sola!
Con mamma, che è così bella e io così racchia! Io, che mi faccio solo i vecchi, mentre mamma si fa i giovani. E tu ce l’hai duro nel mio culetto, così in fondo, così in fondo fino al cuore!».
È un’espressione tra le più tenere e più gentili che abbia udito, e ancora una volta non sarà capita né dai moralisti, che mi rimprovereranno di aver sodomizzato una ragazzina, né dai pazzi, che non sanno dedicarsi a un tal genere di distrazione se la ragazzina non vien schiaffeggiata, fustigata, battuta e se non piange lanciando urla come un porcellino sgozzato.
Lili rimase immobile, poi ruotò dolcemente sul piolo che la penetrava e si distese sopra di me, supina. E non appena le misi una mano tra le gambe, assunse una così intensa espressione di supplica, senza parole, che fui io a dirle: «La tua bocca, ora».
«Ah!» esclamò lei.
E la vidi immediatamente… Dirò anche questo? Sono davvero a disagio… Ma ho giurato a me stesso di dir tutto e di narrare questa storia così come l’ho vissuta… Lili fece uscire dal suo sederino il membro che vi s’agitava dentro da almeno un quarto d’ora, e se lo cacciò in bocca così com’era.
«Oh, piccola porca!» dissi, sottraendoglielo.
«È fatto. È troppo tardi».
«Ma come puoi…».
«Mi piace così».
La frase «mi piace così» non ammetteva repliche. Lili si riprese quel che le avevo tolto, finse perfino di morderlo perché non le sfuggisse, poi prese a succhiarlo come fosse zucchero d’orzo, con una bocca stretta e golosa.
Ben conoscendo le lagnanze e i complimenti che le venivano rivolti a letto, mi aveva avvertito che quest’ultimo esercizio «non era quello che faceva meglio». Ma io cominciavo a esser stanco della lunga eccitazione in cui mi aveva tenuto e, continuando a palpare con la mano destra il culetto divaricato che lei dimenava alla mia portata, l’avvertii di tenersi pronta… Se il paragone non fosse irriverente, direi: una ragazzina che ama succhiare gli uomini ha l’aria di una comunicanda inginocchiata davanti al sacro desco; si direbbe che ella attenda un nutrimento sacro, nella sfera di un inconcepibile mistero in cui il dio dell’Amore sta per donarsi a lei.
Lili assunse un’espressione così commovente che sarei stato crudele a riderne. Alzò gli occhi al cielo, strinse come poté la sua bocca troppo piccola là dove la mia verga sembrava enorme, assolutamente sproporzionata rispetto alla sua fanciullezza, e quando mi sentì eiaculare all’improvviso, incominciò a emettere, non so per qual motivo, certi piccoli suoni chiocci dal naso che erano di una comicità irresistibile. Mi nascosi gli occhi dietro una mano.
Durò solo un istante. Lili non era di quelle ragazzine sciupone che sbavano quel che succhiano e lasciano più rammarico che rimorsi ai signori che le pervertono.
Succhiava male, ma ingoiava bene.
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