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Lui & Lei

Tre Figlie Di Mammà - Capitolo 2


di Giangi57
14.04.2023    |    3.147    |    0 7.0
"Non sono mai stato uno di quegli adolescenti che spasimano per le donne mature; ma una peccatrice di trentasei anni, quando è bella dalla testa ai piedi, è..."
Tre figlie di mammà (Trois Filles de Leur Mére)
Pierre Louÿs, (Gand, 10 dicembre 1870 – Parigi, 6 giugno 1925)
(Opera libera da diritti di autore, ai sensi dell’art. 25 della legge 22 aprile 1941, n. 633 “Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”.
“Art. 25 - I diritti di utilizzazione economica dell'opera durano tutta la vita dell'autore e sino al termine del settantesimo anno solare dopo la sua morte.”)

AVVERTENZA ALLE LETTRICI

Questo piccolo libro non è un romanzo. È una storia vera nei minimi dettagli. Non ho cambiato nulla al ritratto della madre e delle sue tre figlie, alla loro età e alle vicende narrate.
Capitolo 2

Una mezz’ora dopo la madre entrava da me. Il mio romanzo si complicò fin dal primo sguardo.
La madre era ancor più bella della figlia… Ricordai il suo nome: Teresa.
Appena coperta da una vestaglia aderente che fasciava il suo corpo flessuoso, rifiutò la poltrona che le offrivo, venne a sedersi sul bordo del letto e mi disse a bruciapelo: «Ha inculato mia figlia, signore?».
Ah, quanto mi sono sgradite tali domande e quanto poco mi piacciono simili scene! Feci un gesto nobile e lento che non significava assolutamente nulla… A questo lei rispose: «Non lo neghi. È stata lei a raccontarmelo.
Se l’aveste sverginata vi caverei gli occhi; ma se le ha fatto solo quel che le è permesso… Perché arrossisce?».
«Perché lei è bella».
«Che cosa ne sa?».
«Non ne so abbastanza».
Andavo anch’io al dunque con poche parole.
La partenza prematura di Mauricette mi aveva lasciato più infiammato di quanto non lo fossi prima d’incontrarla. Del resto con le donne preferisco esercitare maggiormente la mia scienza della pantomima che le mie capacità oratorie.
Teresa non riuscì a dirmi niente di quel che s’era preparata. Mutare la direzione di una scena pericolosa è il solo modo di condurla a buon fine. Avevo usato lo sterzo senza rallentare. Lei rimase senza fiato per un istante, sebbene fosse più forte di me; ma strinse le cosce con un sorriso. Prima che io avessi potuto toccar qualcosa, riuscì a constatare di sua mano quali motivi avessi per scegliere quell’itinerario; e lessi nel suo sguardo che la mia brusca sterzata non mi aveva meritato la squalifica.
Questo scambio di gesti stabilì tra noi una considerevole familiarità.
«Cosa vuoi che ti faccia vedere?
Quel che ho tra le gambe?».
«Il tuo cuore!» le risposi.
«Credi che stia là sotto?».
«Sì».
«Cerca, allora».
Rideva sommessamente. Sapeva che la ricerca non era facile. La mia mano si smarrì in un groviglio lussureggiante di peli tra cui per qualche tempo smarrii la strada.
All’inizio delle cosce erano fitti come sul ventre.
Stavo per scoraggiarmi quando Teresa, troppo scaltra per dimostrarmi quanto fossi maldestro, si tolse la vestaglia e la camicia, per consolarmi o per distrarmi, o magari per offrirmi un secondo premio di consolazione.
Un corpo ammirevole, lungo e pieno, opaco e bruno, mi cadde tra le braccia. Due seni maturi, ma senza nulla di materno e ben eretti, nonostante la mole, premettero contro il mio petto. Due cosce ardenti mi serrarono non appena tentai di… «No. Non così. Mi chiaverai più tardi» mi disse.
«Perché?».
«Finirai lì».
Si vendicava. Assumeva lei la guida; e la formula di quel suo rovesciamento era assai felice perché nel rifiutarmi ciò che le chiedevo, lei sembrava accordarmelo con un sovrappiù di cortesia.
Lei capì, dal silenzio che mantenni, che era il suo corpo a comandare. Con un tono nuovo, che inquisiva senza offrirmi assolutamente nulla, mi disse: «Vuoi la bocca o il culo?».
«Ti voglio tutta».
«Non avrai il mio umore. Non ne ho più una sola goccia nel ventre. Mi hanno troppo leccata da stamattina».
«Chi?».
«Le mie figlie».
Mi vide impallidire. Mi tornò in mente l’immagine di Mauricette tutta nuda che diceva: «Ti cedo mamma». Non sapevo più cosa stessi provando. Un’ora prima avevo creduto che Mauricette sarebbe stata l’eroina della mia avventura… Sua madre m’infiammava tre volte di più. Lei lo comprese ancor meglio di me, si distese sul mio desiderio e, sicura del proprio potere, accarezzando con la peluria e col ventre la mia carne perdutamente infiammata, ebbe l’audacia di dirmi: «Vuoi ancora Mauricette? Ha una cotterella per te. Si masturba per te. Tu volevi trattenerla. Vuoi che vada a cercarla? che sia io ad aprirti le sue natiche?».
«No».
«Ma tu non conosci Lili, la sua sorellina, che è infinitamente più viziosa! Ricette è vergine e non fa pompini. Ricette ha un solo talento.
Lili sa far tutto: le piace tutto; e ha dieci anni.
Vuoi chiavarla? incularla? scaricare nella sua bocca? in mia presenza?».
«No».
«A te non piacciono le ragazzine? Prendi Charlotte, allora, la mia figlia maggiore. È la più bella delle tre. I capelli le scendono sino alla vita. Ha un seno e un sedere statuari. La più bella fica in famiglia è la sua; e quando si toglie la blusa mi fa bagnare, io che non sono lesbica, io che amo il cazzo.
Charlotte… Immagina una bellissima ragazza bruna, languida e calda, impudica e innocente, una concubina ideale che accetta tutto, gode di tutto, e che ama alla follia il suo mestiere. Più le chiederai, più sarà contenta. La vuoi? Non ho che da chiamarla attraverso la parete divisoria».
Era il diavolo innamorato,* quella donna. Non so cosa avrei dato per prenderla in parola e gridarle sulla faccia «Sì!».
Mentre tendevo i muscoli della volontà, mentre aprivo la bocca per prender fiato… Teresa mi disse rapida, come esprimendo un sincero interesse: «Te lo faccio tirare?».
Questa volta m’infuriai. Le urlai che mi prendeva in giro, e altre cose ancora, e la battei. Lei scoppiò in una risata sonora, mentre lottava con le braccia e con le gambe.
Disarmata dalle proprie risa, si difendeva alla cieca.
Io la tempestavo di colpi e di spinte che non sembravano farle alcun male; infine quelle risa mi esasperarono e, non sapendo più dove afferrarla per batterla meglio, impugnai un ciuffo di peli, tirai… Lei lanciò un grido.
E credendo di averla ferita, caddi tra le sue braccia tutto turbato. Mi aspettavo mille rimproveri, ma lei non intendeva assolutamente dirmi qualcosa che potesse raffreddare la mia eccitazione. Si lamentò e la sua risata si trasformò in sorriso, mentre accusava se stessa: «Ecco quel che capita ad avere tanti peli tra le gambe! Quando andrai a letto con Lili, ti sfido a fare altrettanto».
L’incidente placò la mia violenza e affrettò la conclusione. Teresa non perse un istante ad offrirmi il suo capriccio come un perdono. Me l’offrì senza consultarmi, con un’abilità da funambola.
Coricata su un fianco, stringendomi le reni tra le cosce sollevate, passò una mano sotto di sé… vi fece non so cosa… poi mi guidò come più le piacque.
La prestidigitazione di certe cortigiane riesce a compiere imprese inconcepibili… Come un attor giovane che si risveglia nel giardino d’una maga, fui sul punto di sospirare «Dove sono?», poiché la mia incantatrice rimaneva immobile e io non sapevo bene dove fossi entrato. Tacqui per serbare un dubbio che mi lasciava una speranza. Ma ogni dubbio svanì quando incominciò a parlare.
«Non preoccuparti di me,» mi disse «non muoverti. Non tentare di dimostrarmi che sai il fatto tuo.
Ricette me lo ha detto; per stasera me ne fotto. Quando sarai tu a incularmi, godrò senza toccarmi. In questo momento sono io che mi faccio inculare, e vedrai come! ma io non voglio godere».
«E se io preferissi il tuo godimento al mio? Se ti facessi godere a forza?».
«A forza?» ribatté Teresa. «Non toccarmi o ti svuoto i coglioni in un batter di culo… Prendi!… Prendi!… Prendi!…».
Era sconvolgente, quella donna.
La violenza e l’agilità delle sue reni superavano quel che avevo sperimentato tra le braccia delle altre donne. Ma tutto durò solo l’istante in cui mi aveva minacciato.
Poi tornò immobile.
Allora, nonostante il turbamento che ella procurava ai miei sensi, non volli attendere che i nostri corpi si separassero per dire a Teresa che non amavo affatto esser strapazzato.
Le dichiarai che la trovavo bella, estremamente desiderabile, ma che mi consideravo un uomo e non un bambino, avendo compiuto vent’anni, e che non avevo il vizio di trarre piacere dalla tirannia d’una donna; ma non so come glielo dissi, poiché ero piuttosto agitato.
Avrebbe potuto rispondermi che la sua minaccia era una risposta alla mia: non lo fece, tornò a esser dolce e mantenne tuttavia un certo sorriso attorno al suo pensiero segreto.
«Stai tranquillo, non ti spezzerò il cazzo» mi disse con tenerezza.
«Te lo succhio, lo senti? Te lo succhio con il culo».
Non avrei saputo dire che cosa mi stesse facendo. Ma in realtà la sua bocca non mi avrebbe snervato maggiormente. Mi riusciva difficile parlare.
Lei osservò sul mio volto il riflesso delle mie sensazioni e, senza alcun bisogno di interrogarmi per sapere se fosse il momento, accelerò a poco a poco il movimento delle reni fino all’«adagietto»,** così almeno mi parve. Credo di aver mormorato «Più in fretta!», ma lei non lo fece.
Non ho che un vago ricordo di quegli ultimi istanti. Lo spasmo che trasse dalla mia carne fu una sorta di convulsione di cui non ebbi coscienza e che non saprei descrivere.
Così, dopo un paio di minuti di silenzio, le chiesi: «Che cosa mi hai fatto?».
«Un grazioso lavoretto col buco del culo» mi rispose ridendo. «Tu hai già inculato delle donne…».
«Sì. Un’ora fa. Una fanciullina, che peraltro non se la cava male».
«Nient’affatto male. Ha buoni muscoli, eh?, e galoppa».
«Ma tu…».
«Ma io sono la prima che t’abbia succhiato il cazzo in quel modo.
Vuoi sapere come faccio? Te lo dirò domani. Lascia che mi alzi. Vuoi sapere il perché anche di questo?
Per partorire il pupo che mi hai appena fatto: la sorellina delle mie tre figlie».
…Quando mi apparve nuovamente, sempre nuda e sistemandosi con entrambe le mani l’acconciatura sulla nuca, la mia giovine età non comprese che con quel suo gesto solenne Teresa voleva far risaltare il seno di cui era fiera.
Non sono mai stato uno di quegli adolescenti che spasimano per le donne mature; ma una peccatrice di trentasei anni, quando è bella dalla testa ai piedi, è un «gran bel pezzo», dicono gli scultori; è una «femmina», dicono gli amanti.
E che cosa non era quella donna? Si faccia concorso: dividerà curiosamente gli uomini.
Teresa nuda assomigliava… a una mezzosoprano. Stavate per dire: a una donna da bordello?
Nient’affatto. Mormorate: ma non è la stessa cosa? No. C’è la differenza che passa tra il giorno e la notte. Se conoscete le attrici soltanto attraverso le conversazioni da ridotto, non potete parlar di loro.
Le belle cantanti che vivono del loro letto e le giovinette spesso più belle che cantano la loro anima sentimentale salendo una scalinata rossa, non hanno altra somiglianza tra loro se non la stessa disinvoltura nel muoversi pressoché nude, e nel farsi trattare da puttane.
La donna di teatro aspira con tutte le proprie forze alla libertà. La ragazza del bordello ha bisogno di schiavitù.
In apparenza la professione più servile tra le due sembra esser la prima. Infatti la guitta calca le scene per liberarsi della propria famiglia o del proprio amante; la prostituta s’è gettata nella servitù, preferendo obbedire ai capricci degli altri piuttosto che esser l’artefice della propria vita.
Sin dal primo anno di Conservatorio, la ragazza di teatro impara a memoria tutte le parole più crude del linguaggio francese.
Per lei è un gioco raggrupparne una quindicina intorno a un’idea miserabile che non ne meriterebbe alcuna, e uno dei suoi pregi è di scandirle secondo.le regole ortodosse della dizione.
Al contrario, la ragazza di bordello non ha affatto il gusto né la scienza del vocabolario cinico. La libertà di linguaggio non la tenta più di quella della vita. Andando a letto con una sconosciuta non è possibile sbagliarsi su chi essa sia: bastano le grida d’amore a rivelare se proviene dal bordello o dall’Odèon; ma sono in molti a sbagliarsi, perché non pensano a questo.
Avevo dunque più motivi del dovuto per indovinare quel che non mi era stato detto. Il corpo di Teresa, la disinvoltura del suo carattere e la brutalità delle sue espressioni, tutto in lei mi sembrava portare lo stesso marchio.
«Fai del teatro?» le chiesi.
«Non più, ma ne ho fatto. Come lo sai? Da Mauricette?».
«No. Ma si vede. Si sente. Dove hai recitato?».
Senza rispondere, si stese accanto a me sul ventre. Ripresi con ironia: «Me lo dirai domani».
«Sì».
«Resta con me fino ad allora».
«Fino a domattina? Lo vuoi?».
Poiché sorrideva, credetti che avrebbe accettato.
Ero ancora un po’ stanco, ma lei mi ispirava quasi lo stesso desiderio che se fossi stato fresco di forze. Si lasciò abbracciare e mi disse: «Che cosa vuoi da me fino a domattina?».
«Farti godere, prima di tutto».
«Non è molto difficile».
«Non dirmi così, mi esasperi.
Perché ti sei trattenuta?».
«Perché il mio “lavoretto” sarebbe stato imperfetto. Dunque!
Che cosa vuoi ancora?».
«Tutto il resto».
«Quante volte?».
«Oh! credo che con te non starei certo a contarle. Non sarebbe neppure “difficile”».
Teresa mi lanciò uno di quegli sguardi lunghi e silenziosi attraverso i quali penavo tanto a distinguere il suo pensiero. E quella donna che non voleva rispondere a nessuna delle mie domande, mi fece d’improvviso la confidenza più imprevista, come se la certezza che aveva di suscitare il mio desiderio le garantisse la mia discrezione; o forse il suo scopo era costringermi a mantenere il segreto, qualora l’avessi conosciuto da un’altra fonte.
«Ricette mi ha detto di averti fatto giurare e che hai mantenuto la parola. Posso confidarti un segreto?
Sì? Ebbene, io abitavo a Marsiglia con le mie tre figlie, in un appartamento. Sono venuta via da lì perché hanno cambiato il commissario di polizia.
Ecco.
Capisci?… Qui me ne starò tranquilla per qualche tempo; ma poiché ho una figlia col fuoco al culo, lei è venuta a farsi inculare da te il primo giorno… e sua madre c’è venuta subito dopo».
Su queste parole riprese a ridere, in primo luogo per persuadermi che la sua storia marsigliese non aveva alcuna importanza, e poi perché voleva che fossi di buonumore prima di raccontarmi i suoi progetti.
Dal riso passò alle carezze.
Quando fu certa del mio stato, mi pose una domanda nella forma più propizia a strappare confessioni: «Non sei tanto bamboccio da non sapere ancora che cos’è una ragazzina. Una vera ragazzina, senza peli, senza tette; ne hai mai chiavate?».
«Sì; ma non spesso. Due… o quattro… in tutto. Due vere, come dici tu; e le altre due un po’ meno vere».
«Due, mi bastano. Lo sai che non s’infila una bambina come se fosse una donna, e che la punta del cazzo è tutto quel che la fichetta della pupa può ricevere? Lo sai questo?».
«Evidentemente. Perché me lo domandi?».
«Perché sto per mandarti la mia Lili e, visto che hai la mania di chiavare, non voglio che me la sfondi».
Le pazienti persone dei due sessi che si sono assunte l’incarico della mia educazione mi hanno insegnato che ad un ballo, se la bella signora che si è invitata a danzare risponde «Invitate mia figlia», non bisogna manifestare né rammarico, né piacere, né indifferenza.
La situazione è molto complessa.
Lo sapevo; ma, tutto nudo, sono meno educato che vestito. E poi ho qualche somiglianza con Alessandro. Taglio le complicazioni.
«Credo che non saprei come fare. Insegnamelo tu» dissi a Teresa.
Si fece molto nervosa e rise, volgendo la testa.
«Quel che mi chiedi, non l’hai mai neppure visto».
«Mostramelo».
«Non davanti. Mi hai inculata dal davanti. Vedrai la mia fica dal di dietro. Ma ricordi quel che ti ho detto?».
«Che sarà per concludere?».
«Povero piccolo! Se mi ficco il tuo cazzo in bocca, sarai ben da compiangere. E se ti faccio danzare i coglioni sulla punta della lingua… Tu non conosci la mia lingua? Ecco!
Guarda! Guarda!».
Poiché, senza astenermi dal guardare, cercavo di prendere Teresa in un modo più semplice e non meno piacevole, lei strinse le cosce e bloccò il mio braccio.
«Non capisci che non ci si attacca tre figlie alla cintura con una catena come tre scimmie a un paletto?
Che loro facevano all’amore a Marsiglia e che non lo fanno più a Parigi? Che se io mi prendessi un amante loro ne prenderebbero sei?
Stammi a sentire. Mi vuoi? mi avrai. Ma ci avrai tutte e quattro».
Fui sul punto di chiedere, terrorizzato: «Tutti i giorni?». Mi trattenni e cercai di dissimulare la mia inquietudine sotto una maschera di riconoscenza.
«Ti manderò Lili,» continuò lei «perché Lili va a letto presto e le bambinette sono come le signore della buona società: hanno le formiche al culo, al pomeriggio.
Questa sera ti manderò Charlotte per tutta la notte. Domani sera, sarò io quella che vedrai entrare. E se non sei contento di noi, chiedi pure il registro dei reclami».
«Sono soddisfatto… Sventuratamente, vedo che te ne vai».
«No. Tra cinque minuti, quando avrò mantenuto le mie promesse.
Però a due condizioni: tu non vieni, e io neppure. Non ti mostro le mie beltà perché tu le slingui…».
Raccomandazione inutile.
Preferisco di gran lunga dar prova della mia virilità che rivaleggiare con le lesbiche e questa preferenza diventa assoluta quando vado a letto con una donna che ha altri amanti.
Sempre flessuosa e agile, Teresa fece un balzo da amazzone per mantenere le sue due promesse, a rovescio sopra il mio corpo disteso.
Quel che offrì al mio sguardo mi parve straordinario. Ogni sua parte era anormale: un clitoride protuberante; lunghe labbra sottili, delicate, nere e rosse come petali di orchidea; una gola vaginale tornata stretta, che per contrasto conferiva alle labbra proporzioni mostruose; un ano singolare a coccarda, ampiamente tinteggiato di bistro su un fondo porporino; ma tutt’intorno a questi particolari la più incredibile stranezza era quella dei peli. Credo di non aver mai avuto nel mio letto una donna così villosa e nera.
I suoi peli l’invadevano tutta: il ventre, le cosce, gli inguini; fiorivano tra le natiche; oscuravano la groppa; risalivano fino al… All’improvviso non vidi più nulla. La lingua di Teresa mi aveva toccato la pelle. I miei muscoli, irritati, si contrassero. La lingua vagò, tornò, passò di sotto… Fremevo. Tutto questo non durò che un attimo d’angoscia. Teresa sollevò la testa e, balzando dal letto, esclamò: «Basta, questa sera!».
«Hai giurato di rendermi pazzo furioso? Intendi lasciarmi in questo stato?».
«È per Lili. Corro a cercarla.
Falle credere che l’hai duro per lei.
E domani, tu ed io… tutta la notte, mi capisci?».
Non c’è nulla che mi disturbi più delle sostituzioni di amanti.
Desiderare una donna, possederne un’altra, tutto questo mi è odioso.
Quando Teresa fu scomparsa, decisi che la signorina Lili si sarebbe fatta desiderare per virtù propria, o che non avrebbe avuto nulla di nulla.
Mentre l’attendevo, presi dalla mia biblioteca un inebriante romanzo di Henri Bordeaux, che avevo acquistato appositamente per abbattere a forza le erezioni ribelli alla mia volontà.
Alla settima riga, accadde il miracolo.
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