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Inculato da un mio dipendente - parte 10


di gattino0123
07.01.2024    |    10.678    |    41 9.6
"Il problema con lui è che le sue reazioni diventavano sempre più un terno al lotto, non sapevo mai come avrebbe reagito, soprattutto dietro la porta di quel..."
Credo di non aver mai provato delle emozioni così contrastanti in tutta la mia vita. Ero veramente tanto felice per la notte che avevo passato con Stefano: non avevamo fatto solo sesso, noi avevamo fatto l’amore, e in fondo era quello che avevo sempre desiderato da quando lo avevo assunto e avevo iniziato a provare una forte attrazione per il suo corpo e per la sua personalità. Avrei dovuto essere al settimo cielo e, invece, mi sentivo uno schifo per quello che avevo fatto ad Alberto, lo avevo lasciato solo la sera del suo compleanno, nonostante mi avesse espressamente detto quanto ci tenesse ad avermi vicino.

Lavoravo in azienda da sette anni e, per la prima volta, provavo una fottuta paura ad entrare lì dentro. Non sapevo come affrontare Alberto, non sapevo cosa dirgli, si meritava tutte le ragioni di questo mondo ma non volevo neanche esporre troppo il mio rapporto con Stefano, in fondo era un mio dipendente. E, ad esser sincero, avevo paura anche di affrontare Stefano, che già in passato aveva fatto dei clamorosi passi indietro dopo essersi lasciato andare con me.

Incrocio Alberto, prima di parlargli vorrei elaborare un discorso da potergli fare, ma non ne ho il tempo perché si avvicina subito verso di me.
Alberto: “Ecco il tuo cappotto, l’hai lasciato in disco ieri sera”. Me lo lancia con freddezza sulla scrivania, non lo avevo mai visto così.
Io: “Grazie, sei stato carinissimo. Possiamo parlare un attimo?”.
Alberto: “Cosa c’è da dire, Simo? Mi sembra tutto chiarissimo”.

Lo convinco ad allontanarci un attimo per poter parlare meglio: “cosa è chiaro esattamente?”.
Alberto: “Che la reazione di ieri di Stefano non è quella di un bulletto omofobo, è la reazione di un bulletto geloso. Mi hai preso in giro per tutto questo tempo, tu ci vai a letto, cosa che hai fatto anche ieri scappando dalla festa”.
Io: “Non è così semplice Albi”.
Alberto: “E’ semplicissimo, invece! Non voglio neanche sapere i favori che ti chiede o i favori che gli fai grazie a questo rapporto, sono fatti vostri. Era evidente che ti piacesse, ti avevo anche detto che mi sarei fatto una scopata a tre, sai che sono aperto. Ma le cose sono andate diversamente, avresti potuto dirmi la verità e invece mi hai mentito. Hai questa apparenza così dolce e carina, invece sei una serpe, avrei solo voluto scoprirlo prima”.

Me lo dice così, brutale e diretto, non lo avevo mai visto in questo stato. Aveva ragione su tutto, tranne sui favori lavorativi, io non li avevo mai fatti a Stefano e lui non si era mai neanche sognato di chiederli o farmi intuire che li volesse, il nostro rapporto era di un altro tipo. Ma Alberto era visibilmente ferito dal mio comportamento e aveva anche il diritto di pensare queste cose crudeli nei miei confronti e così, nonostante mi facessero stare male, non ho ribattuto a nessuna delle sue frasi. Non sono mai stato uno che vuole avere ragione a tutti i costi e in quel momento mi sentivo di meritare la sua cattiveria, anche se sapere la sua nuova opinione su di me mi rendeva infinitamente triste.

Alberto: “Guarda chi c’è, l’amichetto tuo, digli che può anche finire di spiarci, tanto per me abbiamo finito”. Mentre Alberto si allontana, vedo Stefano in fondo al corridoio, ci stava osservando da lontano. Mi fa un cenno con la testa, ormai era ufficialmente il suo segnale in codice per seguirlo in bagno. Lo raggiungo e, ancora una volta, apre la porta della toilette facendomi segno di entrare, gli piaceva troppo avere il controllo su di me, era come se io potessi entrare solo perché me lo stava ordinando lui. Non so se gli piacesse il ribaltamento dei ruoli o se fossi io ad ispirargli questo comportamento, fatto sta che non dispiaceva lasciarglielo fare. Il problema con lui è che le sue reazioni diventavano sempre più un terno al lotto, non sapevo mai come avrebbe reagito, soprattutto dietro la porta di quel bagno, che ormai era il nostro bagno.

Chiusa a chiave la porta, mi spinge lentamente contro il muro e poggia entrambe le sue mani e i suoi piedi contro la parete, anche questo in fondo era una forma di controllo: non potevo muovermi da lì perché lui bloccava il mio passaggio. Ci guardiamo per qualche secondo in silenzio, poi si avvicina e mi bacia, esattamente come aveva fatto la sera precedente.
Stefano: “Mi piace troppo baciarti”. Oddio, ieri il primo bacio e oggi il primo complimento, cosa stava succedendo? Ed era vero che gli piaceva baciarmi, si vedeva da come lo faceva, mi baciava lentamente come se volesse assaporare le mie labbra. E, ad ogni bacio, mi guardava dritto negli occhi, come a comunicarmi che era lui a comandare il gioco, non riuscivo a reggere quel suo sguardo deciso.

Mentre mi baciava guardandomi, mi palpava le chiappe con entrambe le mani, le tastava in ogni centimetro e le attirava a sé.
Stefano: “Tu sei mio”. Me lo stava dicendo a parole, ma era più ogni suo singolo gesto a trasmettermi questa sensazione. Tra l’altro, era incredibile l’enorme differenza con Alberto, che avrebbe voluto condividermi per fare una cosa a tre, per Stefano invece ero solo suo.

Stefano: “Non parlare più con Alberto, mi dà fastidio sapere che ti ha scopato anche lui”.
Io: “No vabbè, adesso non esageriamo, posso parlare con chi voglio”.
Stefano: “Ma porca troia, ma non puoi essere un frocio come tutti gli altri? Mi sembri peggio di una ragazza oh”. Lo dice mollando un pugno sulla porta, lasciandomi abbastanza basito per la reazione. “Scemo io a lasciarmi andare così, non avrei dovuto”. Va via, prima ancora di lasciarmi spiegare o di capire bene il motivo di questa sua reazione.

Fantastico. Ieri sera avevo due uomini che mi piacevano e che, in diversi modi, morivano per me, adesso invece mi odiano entrambi e non vogliono più vedermi. Capivo perfettamente la reazione di Alberto, mentre Stefano restava sempre un grande punto interrogativo per me, era come se non riuscissimo a capirci fino in fondo, come se ci fosse qualcosa di non detto tra noi. E forse era inevitabile che fosse così perché, dalla prima nostra interazione sessuale in poi, non ci sono state più parole tra noi, solo sesso, interazioni lavorative e tanta cattiveria da parte sua. Ma la sostanza dov’era?

Da quella mattina sono passati due mesi, due mesi di silenzi nei confronti di entrambi, anche se i miei sentimenti erano molto diversi. Provavo senso di colpa nei confronti di Alberto e tanta rabbia verso Stefano, due stati d’animo che mi spingevano a stare distante da loro e, devo ammettere, che la cosa era ricambiata sia da Stefano che da Alberto. In pausa pranzo una mia collega mi informa che quel fine settimana saremmo andati in montagna, avevamo prenotato mesi fa, lo avevo totalmente rimosso. Il bello e il brutto di lavorare con tanti colleghi coetanei è che alla fine si diventa anche amici e per forza di cose ci si frequenta anche al di fuori del lavoro. Tutto bellissimo in condizioni normali, ma non avevo lo stato d’animo idoneo per passare un fine settimana con i silenzi di Alberto e Stefano, mi sentivo già angosciato.

Dopo tanti pensieri, alla fine decido di andare anche io in montagna con loro. Sono l’ultimo ad arrivare, sono in dodici già tutti lì, non appena arrivo il mio sguardo si poggia subito su Alberto e Stefano: il primo con un maglione bianco aderente, sembrava ancora più muscoloso del solito, le sue braccia erano davvero possenti; il secondo, invece, indossava una delle sue solite tute felpate che gli risaltavano il pacco e un nuovo paio di occhiali da sole che lo rendevano ancora più bello del solito.

Inutile negarlo, nel vederli in quel modo il mio ormone si era svegliato. Scopro che in mia assenza avevano già assegnato i posti letto: Alberto dormiva con Manuela, la più grande del gruppo, mentre Stefano stava con Davide, il suo più grande amico all’interno dell’azienda. E io? A me avevano lasciato il divano presente in sala.
Io: “Certo che avreste potuto aspettarmi prima di posizionarvi nelle camere”.
Alberto: “Ha insistito tanto Stefano per farci prendere posto”, come a volersi giustificare per l’azione non propriamente carina nei miei confronti.
Stefano: “Mi sembra giusto, l’ultimo che arriva s’attacca”. Il solito stronzo, avrei voluto ribattere ma non avevo voglia di litigare davanti a tutti, e divano sia.

La giornata per fortuna passa allegramente, degustazione di vini in un paesino in zona, e poi grigliata la sera nella baita che avevamo affittato. Alberto sembra più disteso e rilassato nei miei confronti, abbiamo anche scherzato un po’ insieme mentre stava preparando dei cocktail per tutti. Stava andando tutto bene, finché non si intromette Stefano nel discorso.
Io: “Mi fai uno Sbagliato?”.
Stefano: “Il cocktail perfetto per te, sbagliato, proprio come te”.

Era solo una delle tante cattiverie che mi aveva detto negli ultimi mesi, stavolta però lo stava facendo davanti a tutti, prima si era sempre guardato bene dal nascondersi e dal mostrarsi per quello che era. E, infatti, la reazione del gruppo non è tardata ad arrivare, quasi tutti gli hanno fatto notare la cazzata che ha fatto.
Stefano: “Ma che cazzo volete, non si può manco scherzare adesso oh, ma ripigliatevi, branco di pecore”. Era un fiume di rabbia, lo guardavano tutti stupiti, tranne io, che ormai ero abituato a questi suoi scatti di ira improvvisi. Accerchiato dagli sguardi, Stefano esce e va in giardino, senza aggiungere altre parole.

Passano venti minuti ma non rientra, mi offro volontario per andare a vedere cosa stesse facendo. Lo trovo davanti la brace, ancora semi accesa, intento a fumare una sigaretta.
Io: “Non hai freddo qui fuori?”.
Stefano: “Ah Simo, non mi rompere il cazzo anche tu adesso. Vuoi sentirti dire che ho sbagliato? Ho sbagliato, adesso sparisci”.
Io: “Ma come? Non ero io quello sbagliato?”.

Ci guardiamo per un attimo e iniziamo a ridere, approfitto dell’attimo di distensione per sedermi accanto a lui.
Stefano: “Non lo so, a volte penso di essere davvero sbagliato”.
Io: “Perché?”.
Stefano: “Perché faccio le cazzate, ma me ne rendo conto solo dopo. Lì per lì mi piace, mi diverte vedere la rabbia nelle persone, ti sembra normale? A me no”.
Io: “Più che poco normale, direi che sei sadico, ma questa cosa l’ho capita da tempo”.

Stefano: “Con te questa cosa si accentua a palla, mi piace troppo vederti triste, a volte mi basta dirti due stronzate per provocarti e tu fai subito la faccia da cucciolo bastonato. Ma che ti frega di quello che ti dico io?”.
Io: “Non sono due stronzate, Ste. Mi hai detto che sono brutto, che non valgo niente, che non sono un capo, che sono come una bambola gonfiabile, che non sono normale, e in più gli schiaffi e mille insulti omofobi. Dimentico altro?”.
Stefano: “Messe così tutte in fila non sono belle. Però è come se non ne potessi fare a meno, ci ho provato ad ignorarti quando me ne sono reso conto, ma poi la voglia di farlo è troppo forte”.

Quelle parole di Stefano mi hanno fatto accendere un campanello nella mia testa, mi sembrava di vedere la mia stessa situazione ma capovolta: io ho sempre sentito una dipendenza nei suoi confronti, una forte attrazione fisica e una voglia irrefrenabile di stare con lui, anche se il suo comportamento mi facesse stare male; Stefano stava descrivendo il rovescio della medaglia, un sadismo nel vedermi stare male e un piacere malsano nel vedere le mie reazioni. Due istinti diversi che, però, insieme diventavano una combinazione letale.

Stefano: “Poi a te non t’ho proprio capito: a volte fai le facce da cane bastonato quando ti tratto male, altre volte mi sembra che tu ci goda. Secondo me la tua è proprio una farsa, ti piace proprio come ti tratto”.
Io: “Ma come fai a non capirlo? A letto magari si, mi piace il tuo modo di fare, ma tu sconfini, ti piace umiliarmi e io questo non lo posso accettare”.
Mi guarda quasi perplesso, come se per la prima volta avesse incasellato realmente il mio comportamento e avesse capito cosa mi piace e cosa no.

Stefano: “Io non le penso tutte quelle cose che ti ho detto, Simo. Sarò pure stronzo, ma io la mia ragazza non l’ho mai tradita per dieci anni. E alla fine che sto facendo? La sto tradendo con te, io mi sento uno schifo per questo. All’inizio pensavo che con te fosse solo un gioco di potere, invece io ti desidero, ho voglia di baciarti, lo farei anche adesso cazzo”.
Per la prima volta da quando lo conosco, mi stava parlando senza guardarmi, non riusciva a reggere il mio sguardo, invece di guardare i miei occhi fissava la brace.

Veniamo interrotti dagli altri, che ci invitano a rientrare per fare qualche stupido giochino con le carte. Ero infinitamente contento per quella chiacchierata avuta con Stefano, finalmente ci eravamo parlati e avevamo giocato a carte scoperte, per restare in tema. Di sicuro aver ammesso il suo sadismo non mi faceva piacere, ma ci avevo letto esattamente la mia stessa dipendenza che mi portavo dietro da mesi e con cui in fondo stavo lottando, proprio come mi aveva confessato lui. E poi aveva ammesso a parole che gli piacevo, cosa che ormai avevo capito l’ultima volta che avevamo scopato, ma sentirglielo dire mi mandava al settimo cielo.

Decido così di prendere la situazione in mano, parlo con Davide e millanto un inesistente mal di schiena che non mi avrebbe permesso di dormire sul divano, cambiamo posto e in camera con Stefano ci finisco io. Dopo ore di inutili giochini, finalmente ognuno va nelle proprie camere per dormire.

Stefano: “Guarda che dopo quello che ti ho detto e dopo questa tua scelta di dormire con me, stasera ti finisce male”, dice avvicinandosi a me lentamente, dopo aver chiuso la porta della nostra camera.
Io: “Voglio che mi finisca male Ste, voglio che mi rompi il culo”, mi avvicino a pochi centimetri da lui, dicendo questa frase porca ma con sguardo dolce e ingenuo, sapevo che lo avrebbe fatto impazzire.
Stefano: “Non dirmi così”, mi accarezza i capelli dolcemente.
Io: “Voglio che mi rompi il culo Stefano, come non hai mai fatto prima”.

Mi tira i capelli e mi guarda con sguardo di sfida, poi con la mano mi accompagna giù in ginocchio, eseguo fedelmente. Tira fuori il cazzo che è già duro, probabilmente grazie al mio approccio, e inizia a darmi dei colpi di pisello in faccia, ad ogni colpo lo sento indurirsi sempre di più. Tra l’altro il cazzo di Stefano è proprio bello grosso, i colpi fanno anche un po’ male, credo di aver fatto una piccola smorfia di dolore perché da quel momento ha accentuato la forza, dandomi dei colpi più decisi sulle labbra e sugli occhi.

Apro leggermente la bocca e, cogliendo il segnale, me lo ficca tutto dentro. Inizio a succhiare lentamente, facendo scorrere pian piano le mie labbra sul suo cazzone, mentre lo faccio lo guardo dal basso con aria dolce e sottomessa, volevo comunicargli con i gesti che sessualmente volevo essere suo e che era questo il luogo per sfogarsi. Anche lui, da parte sua, non mi toglieva gli occhi di dosso, con il suo solito sguardo deciso e virile. Mi tira i capelli e inizia a fottermi forte la bocca, quasi come se fosse un’anticipazione di quello che avverrà da lì a poco. Amavo troppo sentire il suo cazzo tra le mie labbra, lo adoravo letteralmente, mi piaceva la sua durezza, l’odore, il sapore, tutto.

Stefano: “Ci sta troppo bene il mio uccello tra le tue labbra”. È incredibile, sembravamo telepatici, non era la prima volta che pensavamo le stesse cose mentre facevamo sesso, è come se con gli occhi uno comunicasse all’altro i propri pensieri. Annuisco con la testa, e inizia a leccargli la cappella.
Stefano: “No no, aspetta, cosa mi hai chiesto quando ho chiuso la porta?”.
Io: “Che voglio che mi rompi il culo”.
Stefano: “Non mi dovevi sfidare Simo, io te l’avevo detto, buttati sul letto e muoviti”.

Mi stendo sul letto a pancia in giù, sto per abbassarmi i pantaloni ma sento subito le sue mani addosso, me li abbassa lui con fare deciso, gli piaceva troppo avere il controllo su di me.
Stefano: “Questo culo che ti ritrovi è fatto per fare eccitare gli uomini, lo sai?”
Io: “Si”, tornando a fargli lo sguardo dolce, quello sguardo che gli piaceva tanto.

Stefano: “Tu oggi vuoi piangere”, mi pressa la testa contro il cuscino e me lo butta tutto dentro, provo a soffocare il dolore contro il cuscino, non volevo che gli altri ci sentissero. Incurante del mio dolore inizia a fottermi ancora più forte, dandomi dei colpi lenti ma decisi.
Stefano: “Cos’è che vuoi?”.
Io: “Che mi rompi il culo”.

Altri colpi forti e decisi, adesso però iniziava pian piano ad aumentare il ritmo, scopandomi non solo forte, ma anche veloce. Il cazzo di Stefano mi stava aprendo in due, ma non mi importava, volevo che si sfogasse su di me e che mi sentisse sessualmente suo. In fondo era quello che ci eravamo implicitamente detti davanti il fuoco della brace: a letto sono tuo, ma fuori mi devi trattare bene. Questa era la prima parte del patto, io lo stavo rispettando, ma vedevo lui in primis super coinvolto, era tanto infoiato.

Non sentivo solo i suoi colpi di cazzo, sentivo anche tutta la sua foga nella voce e nei modi di fare.
Stefano: “Porco demonio, te lo spacco sto culo”, ed era esattamente ciò che stava facendo, mi stava inculando con la foga di chi voleva entrare a tutti i costi, nel silenzio più totale si sentivano le sue palle che sbattevano forte contro il mio culo.
Io gemevo forte contro il cuscino, lui amava sentirmi in suo potere, ma anche io stavo amando sentirmi di suo possesso, e questa fusione di intenti veniva sprigionata nel nostro rapporto sessuale.

Nel giro di qualche minuto, lo sento svuotarsi completamente dentro di me. Sono sempre stato attento ad utilizzare le precauzioni, ma con Stefano era diverso, mi piaceva troppo sentirlo dentro. Restiamo in quella posizione per un bel po’, io sdraiato e lui sopra di me. Mentre riprendiamo fiato, inizia ad accarezzarmi i capelli, li tocca e li annusa, ne è sempre stato attratto e ne ho sempre più la certezza.

Stefano: “Sei mio Simo”. Si, è vero, ma questa volta il gioco lo avevo dominato io.

Continua.
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