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L’UNIVERSITA’ - FOTTUTISSIMA VACANZA IN SICILIA


di Membro VIP di Annunci69.it chupar
30.06.2023    |    6.283    |    3 9.7
"Mi mancava la tesi, un paio di esami, ma il più era fatto..."
Avevo lavorato tutta l'estate nell'hotel romano in cui avevo trovato lavoro. Le tasse universitarie erano da considerasi pagate, parte dei libri mancanti pure. Quindi avevo deciso di concedermi una meritata vacanza in un agriturismo siciliano con la mia fidanzata. Mi mancava la tesi, un paio di esami, ma il più era fatto.
La finestra della nostra camera si affacciava sul terreno agricolo della struttura. Da giorni fissavo due ragazzoni che ci lavoravano, uno sui trentacinque anni, l’altro sulla quarantina. Davvero notevoli, mori, villosi, con mani un po’ rovinate e ruvide, un fisico asciutto, nervoso e con un pacco da paura, tanto che i bottoni della patta sembravano dovessero esplodere da un momento all’altro. Lavoravano continuamente seminudi e, con gli stivali infangati che calzavano e le ascelle pelose e gocciolanti di sudore, mi eccitavano ancora di più.
A fine vacanza, l’ultimo giorno, dissero di volerci regalare una certa quantità di zucchine.
Li vidi arrivare in scooter con una mega busta e, fermatisi, mi comunicarono che c’era loro padre che stava rientrando e che, in magazzino, aveva lasciato una cassetta per me e per la mia fidanzata.
Nell’agriturismo non c’era nessuno, credo fossero tutti andati a mare o fermatisi in piscina. Entrai nel capannone e, mentre stavo per prendere il regalo, sentii dei lamenti. Affacciandomi ad una finestra semiaperta vidi all’esterno, sul resto dell'edificio agricolo. Inizialmente credevo fosse un gatto, ma mi resi conto che era il padre dei due lavoranti che si stava sparando una gran sega. Quello poggiato al muro del capannone, sembrava il classico capofamiglia sui 60 anni da film di serie B, dall'aria rozza e prepotente. Nonostante ciò, o proprio per questo, pensai che gli avrei fatto volentieri un bel pompino, regalandogli il massimo del gusto con il minimo dello sforzo. Diciamo la verità: ero in vena di porcate, mi sentivo sensuale, ero affamato e avevo una gran voglia di riempirmi di qualcosa di buono e gustoso. In silenzio stavo per allontanarmi senza prendere nulla di quanto promesso, se non altro per non fare rumore, quando mi resi conto che i figli dell'uomo erano entrati nel capannone.
Il più maturo, molto imbarazzato, mi chiese scusa sottovoce, affermando che il padre avrebbe dovuto dar loro una spiegazione. L’altro, invece, si limitava a fissarmi insistentemente. Mi chiesi perché e valutai che non è che fossi abbigliato in modo propriamente virile. Indossavo una magliettina nera scollacciata, jeans attillati bianchi con un cinturone western, infradito, due anelli alle dita e colorati braccialetti ai polsi. In fondo, mi dissi, era piena estate ed ero in vacanza. Un po' di libertà mi era concessa, no?
Educato, il tipo non andò oltre lo sguardo, affermando - "Miii... Quello matto pe le femmine sta diventando con la vecchiaia! Veramente!" - e con addosso solo un pantaloncino nero, calze di spugna e un paio di zoccoli, sedutosi su una cassa, iniziò a sfiorarsi il pacco in modo piuttosto insistente. Chiedendosi come fare a recuperare il giovane uomo, ridacchiando, mi disse che forse il padre si era eccitato guardandomi da dietro, perché sembravo una donna.
Risposi che lo prendevo come un complimento e lui replicò che era quello il suo intento, anche perché: "Sapete come si dice qui in Sicilia? Che lu culu nun stuffa mai, e cu’unnavi jetta vuci." (il culo non stanca mai e chi non lo riesce ad avere si lamenta).
L’atmosfera iniziava a scaldarsi tanto che cercai di stuzzicarli per capire fin dove potessi arrivare. Mi avvicinai a quello seduto e, fingendo di chinarmi per prendere le zucchine, mi strusciai su di lui. L’altro, che proprio scemo non era, secondo me aveva già capito dove volevo arrivare. Infatti, si mise dietro di me e con una mano mi accarezzò delicatamente le chiappe: "Sono abbastanza o sono troppo piccoli per voi questi cucuzzeddi? Se volete ce li abbiamo pure più grossi da fervi provare".
Io feci l’indifferente e lo lasciai fare: "Dipende, non so bene come li voglio usare. Credo di volerli mettere nel forno..."
I due si guardarono e, senza ribattere con inutili parole, mi si accostarono iniziando a baciarmi sul collo.
Il maggiore, senza perdere molto tempo in preliminari, si tirò fuori il pisello e cominciò a farsi una sega, facendoselo diventare duro. Il fratellino, intanto, lo guardava, toccandoselo da sopra i pantaloncini neri, sporchi e consumati. Quindi anche lui se li sbottonò e prontamente tirò fuori un cazzo di tutto rispetto: "Jarrusu, iochici cà minchia". (Ricchione, gioca con la minchia)
Afferrai quei cazzi tra le mani e, alternandomi tra una sega e una leccata, trascinai la situazione per alcuni lunghissimi minuti. Il minore, piuttosto sbrigativo, si scostò e, andatomi dietro, mi calò i pantaloni e mi poggiò la sua grossa cappella tra le natiche. Ci giocò un po’. Io gli dissi che senza preservativo non si faceva nulla e lui: "Ma va, che si nà cavadda…. Si nun si buttana, picca ci manca!"
E dopo avermi lubrificato con saliva e presperma, con un colpo spinse dentro la capocchia, facendomi sospirare di piacere.
- "No, dai… Non così!"
E lo stronzetto, dopo un altro colpetto, affondò fino alle palle!
Mentre iniziava a pomparmi dentro e fuori, provai ad oppormi, ma ansimando ancora più forte - "No, cazzo! Non volevo dire questo…" - e l’altro, infilandomi il cazzo in bocca, disse – "Dopo dici. Che vuoi perdere sta minchia a sucari?" (Ce lo dici dopo. Che vuoi perdere questo cazzo da succhiare?)
Iniziai a ciucciarlo per bene e intanto cercavo di coprire come potevo trattenere i sospiri che facevo ad ogni colpo, temendo che la mia fidanzata o qualche altro ospite potesse sentirci. Mi ero completamente dimenticato del padre che, all’improvviso, comparve.
L'uomo fissò con orgoglio i figlioli che mi stavano sfondando e, avvicinandosi al secondogenito, gli fece cenno di cedergli il posto. Il ragazzo lasciò spazio al patriarca che si posizionò e in un solo colpo s'infilò: "Ti piace la minchia ‘n culu, eh?"
A turno si diedero il cambio e, mentre chi mi inculava mi tirava i capelli e mi dava pacche sulle chiappe, gli altri due si divertivano a sbattermi le loro mazze in bocca o a colpirmi il viso. Il padre, ad un certo punto, si mise dietro di me che stavo cavalcando come un'amazzone ninfomane sul cazzo del figlio. Si posizionò bene e prima lui poi l’altro, con l’aiuto delle grosse mani, mi allargarono più che poterono le chiappe. Voltai la testa e gli dissi: "Siete due porci schifosi. Sono troppo stretto, così mi spaccate l culo".
E l'uomo: "Buono devi stare! Dammi tempu chi ti perciu tutto bene bene!" (Dammi tempo che ti apro)
Dovetti mordermi le labbra per non urlare quando quel bastardo iniziò ad infilare il suo cazzone lucido, accostandolo a quello del figlio. Il ragazzone, vedendo le contrazioni del mio volto, disse al padre di fermarsi, ma lui rispose: "Rutta ppi rutta, rumpemula tutta!" (Rotta per rotta, rompiamola tutta).
- "Pa', sicuro?"
- "Sicuro! Tu futti e futtitinni". (Fotti e non ci pensare)
Spinsero insieme, ma entrarono solo a metà. Poi li sentii muoversi poco alla volta per andare più a fondo. Insistendo, si infilarono per intero.
Il ragazzo apprezzò: "Bedda Matri! Bello è!"
Non sapevo se lamentarmi, preoccuparmi o trattenere l'eccitazione all'idea di padre e figlio che, all'unisono, mi stavano scopando, strusciandosi coglioni pelosi e i due cazzi stetti dal mio sfintere dilatato all'inverosimile.
Per un bel po’ mi trapanarono di culo e stantuffarono maledettamente bene, facendomi urlare e strillare dal dolore e dal piacere. Il terzo provvedeva ogni tanto a tapparmi la bocca con la mano o infilandoci dentro l'uccello.
Usciti, padre e figlio, ammirarono ciò che avevano fatto al mio povero retto, diventato una galleria allargata. Quindi, mi lasciarono andare e mi voltarono come una bambola di pezza. Il primo mi montò sul petto e sborrò sul mio mento, gli altri due vennero sul mio volto, sulle labbra e sulle guance, ricoprendomi del tutto. Da gran puttana accolsi i loro schizzi densi e appiccicosi, raccogliendo ciò che potevo e passandomelo tra le labbra.
Non dissero nulla, non commentarono. Come se volessero rifrancarsi dal caldo torrido dopo un'ora di lavoro nei campi, si andarono a lavare, raggiungendo una pompa che pendeva dalla parete.
Cercai di alzarmi a fatica tutto imbrattato di sborra. Mi toccai il culo con una mano. Era da non crederci: avevo il buco così allargato che ci entrava una mano intera. Mi faceva male. Mi lamentai, ma il figlio maggiore replicò: " Non ci scassari a minchia e va eccati!" (Non ci rompere il cazzo e sparisci!)
Andai in camera, trasportando con finta indifferenza la cassetta di zucchine che mi avevano regalato, sperando che Francesca fosse ancora in piscina. Per fortuna non era in camera. Andai nel cesso, più che altro per tamponarmi con acqua fretta e, invece, pensando ai quei tre bastardi mi inculai con una delle loro zucchine e mi sparai una sega schizzando sui miei abiti già unti e scolati di sperma siculo.
In Sicilia hanno ragione: Conzala comu voi, sempre cucuzza è!


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