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Prime Esperienze

La bella estate


di Easytolove
08.12.2021    |    16.977    |    7 10.0
"Quando il via vai dei bagnanti che giungevano, era terminato, c’era sempre una pausa prima che iniziassero a farsi sentire i primi morsi della fame, di chi..."
Era uno degli ultimi anni felici e spensierati della vita,quelli in cui si transita dall’adolescenza all’età adulta.
Il mio corpo era sbocciato come un fiore,con le forme di una donna provocante, due seni grossi e duri come meloni, un folto ciuffo di peli neri tra le cosce, il ventre piatto e muscoloso, mi accorgevo di questa mia trasformazione, dagli sguardi pesanti e vogliosi degli uomini, dalle loro battute, le allusioni, gli inviti velati, a bere una bibita insieme, l’offerta di un gelato.
Nei mesi estivi, aiutavo una mia zia nella conduzione di un bagno sulla spiaggia, uno di quelli grandi e chiassosi, soprattutto nei giorni festivi, pieni di ragazzini che correvano dietro ad un pallone, mariti annoiati, mogli spettegolanti, che facevano dei piccoli crocchi di tre o quattro, sempre pronte ad indagare
su quelle che potenzialmente si sarebbero fatte il bagnino, prima della fine della vacanza.
Soltanto lui, lo avrebbe saputo, e da quello che si raccontava, ben poche sarebbero rimaste insensibili alle sue premure.
Quello sarebbe stato l’ultimo anno che trascorrevo su quella spiaggia, già lo sapevo, in autunno avrei compiuto diciotto anni, poi terminato il liceo, mi sarei trasferita in una città del nord, dove mi attendevano gli studi universitari.
Iniziai il mio lavoro, nei primi giorni di giugno, il bagno era tranquillo soprattutto nei giorni lavorativi, poche mamme con i bambini piccoli, qualche coppia di pensionati, un paio di famigliole tedesche, di quelli che fanno le vacanze anticipate.
Mi occupavo del bar sulla spiaggia, una costruzione di legno, con una grande veranda ombreggiata, piena di piccoli tavolini, dove i bagnanti consumavano le bevande, oppure pasti freddi e veloci, durante la pausa dal sole di mezza giornata,.
Arturo ogni tanto veniva a darmi fastidio, ci conoscevamo da sempre, scherzavamo, mi indicava le mamme e mi diceva piano in un orecchio,”la vedi quella, prima della fine della settimana me la scopo”.
Ridevamo, anche se, non potevo fare a meno di notare di come, il suo sguardo indugiasse un po’ troppo sulle mie grosse tette, che straboccavano dal leggero grembiulino colorato, che usavo come copricostume.
Il sole lo prendevo in quelle due o tre ore del primo pomeriggio, quando molti si addormentavano, gli anziani si recavano nelle pensioni dove alloggiavano, e i bambini venivano messi a dormire.
Era quelle le ore in cui Arturo , come diceva lui, “colpiva” le mamme.
Lasciava il controllo dei bagnanti al suo giovane aiutante, e le dirottava in una specie di alcova che si era ricavato in un magazzino, nascosta e defilata.
Lo sapevo perché avevo spiato i movimenti, e un paio di volte ero anche riuscita ad assistere nascosta e non vista, alle arti amatorie di Arturo, con la mamma di turno intenta a godere le sue indubbie capacità, e notevoli prestazioni.
Fu durante una di quelle brevi pause, mi ero tolta il grembiulino e anche il pezzo di sopra del costume, mettevo un lettino in una zona defilata e un po’ nascosta a fianco del bar, che mi apparve per la prima volta Caterina.
“Sei tu la barista”?
Dopo aver aperto gli occhi ed essermi girata verso quella voce, la vidi.
Istintivamente mi sono coperta i seni con una braccio, lei era in piedi dietro alla balaustra che delimitava la veranda con i tavolini, indossava un costume nero, di quelli interi, anche se notevolmente scollato, un pareo colorato legato sui fianchi, ma che le lasciava scoperte le gambe e quasi tutte le cosce, un cappello di paglia grande, tutto sbertucciato.
Bionda, alta e magra, con un cesto di capelli mezzi arruffati, tenuti insieme da dei lunghi bastoncini di legno colorati.
“Si sono io signora vengo subito se ha bisogno”
Mi sorrise, ammiccando uno sguardo incuriosito.
“fai con calma non ho fretta, e la prossima volta non ti coprire quando mi vedi, un bel paio di tette finora non mi hanno mai scandalizzata”.
Mi rimisi il mio grembiulino, e un poco arrossata, per il sole e il troppo pudore dimostrato, mi avvicinai al tavolino che aveva occupato.
Si era messa all’ombra, con uno di quei computer portatili, scriveva digitando sulla tastiera, completamente assorta, quasi estraniata dal mondo che la circondava.
“cosa le posso portare signora”?
“ah cara scusa se ti ho disturbata, volevo mangiare qualcosa, cosa mi consigli”?
“oggi abbiamo molto buona, un insalatina di mare con le verdure, con delle focaccine croccanti”
“sembrerebbe invitante cara, portamene pure una porzione, e una bottiglietta di acqua gassata”.
La osservai mentre sbocconcellava l’insalata, faceva dei piccoli panini con le focaccine che divideva in due aprendole , restava qualche istante pensierosa, per poi ricominciare e picchiettare su quella piccola tastiera.
Per qualche strano motivo riusciva a catturare la mia attenzione, continuavo ad esplorare le sue forme, era indubbiamente una bella donna, sulla quarantina, magra e ben formata, con uno strano fascino senza tempo.
Ero assorta nei miei strani pensieri, con la sensazione di osservarla senza vederla, quando mi chiese se le portavo un bel caffè, e il conto.
Pensai che avrei avuto almeno un'altra ora per restarmene in santa pace a prendere il sole.
Segretamente iniziai a spiarla.
Notai come fosse sempre sola, giungeva molto presto la mattina, sicuramente prima di me, la vedevo sul suo lettino in prima fila, sdraiata al sole.
Si abbassava il costume arrotolandolo fin sotto ai fianchi, la sua magrezza contrastava con due seni mozzafiato, quando si girava lo tirava in mezzo al sedere, mettendo in mostra due chiappe muscolose, di quel colore che assume la pelle quando il rosso delle prime esposizioni al sole si trasforma in nocciola scuro. Quando il via vai dei bagnanti che giungevano, era terminato, c’era sempre una pausa prima che iniziassero a farsi sentire i primi morsi della fame, di chi faceva la colazione in ritardo o anticipava il piccolo pranzo, si veniva a sedere sempre al solito tavolino, il più al riparo dal sole, apriva il portatile e iniziava le sue operazioni di scrittura.
Ormai lo sapevo, voleva una birra analcolica, e due piccole tartine burro e acciuga.
La domanda era sempre la solita, come anche la mia risposta.
“allora Gabriella come stai oggi, hai dormito bene”?
“certo signora Caterina, e lei”?
“anche io cara, è sempre un piacere vederti, ricordati verso l’una di portarmi la mia insalata, e una birra”
“lo so signora stia tranquilla, buon lavoro”.
Quella donna aveva carpito tutta la mia attenzione di quella estate fino ad allora.
La osservavo mentre scriveva, scrutavo tra le pieghe del costume, la spiavo quando la mattina prendeva il sole mezza nuda, ormai erano quasi tre settimane, gli altri bagnanti erano quasi tutti cambiati, quasi nessuno si fermava per così tanto tempo.
Chiesi alla zia, mi disse che era una scrittrice, anche se quello l’avevo compreso da sola, e che sarebbe rimasta fino a quando il romanzo che stava scrivendo non fosse stato completato.
Arturo ogni tanto compariva con i suoi aggiornamenti sui traffici con le mammine, gli chiesi cosa ne pensasse, e mi rispose un pochino stizzito,
“quest’anno la più bella non ci sarà verso di scoparla cara Gabriella”.
Risi di gusto,
“d’altronde Arturo quella non è la tua classica preda ,mi sa che è al di fuori della tua portata”.
“No Gabriellina cara, di donne me ne intendo, a quella i maschi non interessano, stai attenta che potresti diventare tu la sua preda”.
Se ne andò ridacchiando lasciandomi assorta nei miei sempre più strani pensieri.
“Uno di questi pomeriggi verresti a fare una gita in barca con me”?
Ero intenta a fare l’inventario del frigorifero dei gelati, per compilare la lista di quelli da riordinare.

Il fresco del frigorifero mi aveva inturgidito i capezzoli, che come due pulsanti rigonfiavano la sottile stoffa del grembiulino.
Non ho potuto fare a meno di notare il suo sguardo, fisso, mentre sollevavo il capo, la sua espressione strana, il sorriso compiaciuto.
“non so signora, dovrei chiedere a mia zia……”
“ ti prego cara, basta con questa signora, dammi del tu e chiamami Caterina”!
“va bene Caterina,…..”
Come sempre in queste situazioni arrossivo, tradendo la mia proverbiale timidezza, restavo a farfugliare frasi a metà, soprattutto con quella donna che mi aveva fin troppo conturbata.
“facciamo così, il permesso a tua zia lo chiedo io, vedrai che non saprà dire di no”.
La zia avrebbe anche accordato il permesso, non fosse che il giorno dopo, quando giunsi in spiaggia per la solita apertura del bar, Caterina non era sola.
La notai subito, la donna che stava sdraiata al sole nel lettino vicino al suo, di solito vuoto, e non ho potuto fare a meno di notare come, le stesse accarezzando la schiena, mentre parlottavano con i volti stranamente e eroticamente troppo vicini, per essere soltanto una vicina di ombrellone.
Smise di venire a fare colazione e a pranzare sotto alla tettoia.
Restavano in spiaggia fino a metà mattina, per poi sparire, si allontanavano con l’auto che guidava questa donna, su cui ormai non avevo dubbi, fosse la compagna, oppure qualche fidanzata di Caterina.
Erano molto strane, lei sembrava essere indefinita, mutava fisionomie e fisicità a secondo di come venisse osservata, in penombra pareva una mulatta, al sole la sua pelle si schiariva, diventava lucida, persino i lineamenti del viso sembravano cambiare.
A volte correva sul bagnasciuga, partiva quando il sole ancora non bruciava troppo, con il solo costumino a perizoma, aveva pochissimo seno, vista da lontano poteva sembrare benissimo un uomo, con quei capelli neri, a spazzola, rasati sulla nuca.
Tornava dopo un ora, Caterina la attendeva senza mai smettere di scrivere, seduta al riparo dell’ombrellone. Poi entrambe entravano in acqua, cosa che lei mai aveva fatto prima, si allontanavano per un poco, e poi restavano ferme con le sole teste in vista vicine, Arturo con il binocolo le spiava, e mi disse, che lo facevano lì dentro l’acqua, non aveva dubbi in proposito.
Una mattina decisi che mi sarei dimenticata di Caterina, in qualche modo sentivo di dover fare qualcosa, per sfuggire da quel pensiero ossessivo, mi caddero gli occhi su Fulvio, il giovane aiutante di Arturo.
Forse un paio di anni più grande, avevo notato la sua estrema timidezza, quando Arturo lo mandava a rifornirsi di acqua fresca, o a prendere lo spuntino di mezzogiorno che gli veniva preparato, teneva sempre lo sguardo basso, percepivo la sua voglia di frugarmi sotto al grembiulino, iniziai volontariamente a provocarlo, la mia verginità iniziava a diventare un peso, tutte le mie amiche lo avevano già fatto, Fulvio mi piaceva, sembrava avere anche da quello che si poteva intravedere, i giusti argomenti sotto allo striminzito costume.
Fu in uno di quei pomeriggi, in quelle poche ore in cui, mentre la brezza di mare agitava le frange degli ombrelloni, lo attirai con una scusa nell’anfratto dietro al bar, dove si ammassavano le casse con le bibite, i lettini di scorta, un frigorifero fuori uso, nell’attesa di essere rottamato.
La sua voglia malcelata dalla timidezza, fuoriuscì tutta, lo compresi mentre mi sbottonava il grembiule colorato, per la prima volta avevo lasciato scorrere il tempo in avanti, senza pensare, cancellando le paure,
ascoltando soltanto quello che la mia natura più nascosta avesse bisogno.
Fu dolcissimo, come d’altronde la sua timidezza, lasciava trasparire.
Mi entrò dentro lentamente, gli tenevo il capo stretto tra le mani, con il sedere appoggiato sul coperchio del frigorifero rotto, il grembiule sbottonato, le piccole gocce di sudore sotto ai seni che osservavo colare,
avvicinarsi ai suoi muscoli addominali tesi, il suo ritmo che lentamente aumentava, l’esplosione dentro alle viscere che improvvisa mi tolse le forze, il suo rantolare, dopo che improvvisamente scappò fuori , mentre uno schizzo caldo, mi bagnava la pancia e le cosce.
Iniziammo a farlo tutti i pomeriggi, Fulvio mi raccontava favole immaginarie, fantasticava di noi due insieme per il resto della vita, ma ero interessata soltanto alla tensione sessuale, volevo imparare, conoscere i miei limiti, approfittavo di quelle mezz’ore clandestine, avevo predisposto una specie di giaciglio, con dei vecchi materassini, non era più lui che mi scopava, ma ero io che lo sottoponevo ai miei esperimenti, alle sempre nuove posizioni in cui lo volevo fare.
La magia si interruppe il giorno di ferragosto, quando improvvisamente apparve una fidanzata, una ragazza ossuta, con i capelli castani, gli occhi acquosi, studentessa universitaria milanese, Fulvio farfugliò qualche strana frase di circostanza, disse di essere dispiaciuto, gli dissi di stare tranquillo, non gli nascosi la verità, per me era stato un ripiego, un balocco sessuale, una distrazione per allontanare l’ossessione di Caterina,
colei che trasfiguravo nella sua persona quando scopavamo.
Come ogni anno veniva organizzata una festa sulla spiaggia, iniziava il pomeriggio, per terminare a notte fonda, con il rastrellamento degli ultimi ubriachi, quelli che si erano troppo dilungati di fronte al banco del bar, davanti ai cocomeri tagliati a metà, ripieni di un intruglio alcolico a base di frutta e uno strano torcibudella conservato dentro delle bottiglie colorate, con un etichetta con sopra scritto Sangria.
Eravamo nel culmine della serata, osservavo e meditavo, riempivo bicchieri con liquidi colorati dalla dubbia
composizione, quando una voce ben nota mi fece trasalire.
“a me non offri niente da bere”?
Era in piedi di fronte al bancone, con un lungo vestito nero di cotone semi trasparente, la pelle luminescente, con il suo diabolico sorriso, e l’aria di colei che si trova improvvisamente catapultata in un mondo che non le appartiene.

“Caterina, non mi aspettavo di vederti qui oggi, a quest’ora e soprattutto da sola!”
“Va tutto bene?”
Mi guardò con quel suo strano sorriso,gli occhi un pochino acquosi di chi ha pianto fino a non molto tempo prima, e mi disse;
“Andrà tutto molto meglio quando sarò ubriaca, cosa mi proponi per farlo il più in fretta possibile”.
“Guarda dentro a quei cocomeri, c’è uno strano intruglio, tutti quelli che ne hanno bevuto più di tre bicchieri, hanno faticato a ritrovare la via di casa”.
“spero che anche tu mi farai compagnia, anche se rischio un accusa per corruzione di minore”.

Eravamo entrambe al terzo bicchiere.
Caterina mi aveva raccontato tutto quello che la mia fervida immaginazione aveva provato ad intuire.
Era una scrittrice, da molti anni trasferita negli Stati Uniti, dove i suoi libri avevano un successo clamoroso, scriveva in inglese, con uno pseudonimo americano, nonostante fosse italiana .
Come ogni estate tornava qui, dove praticamente nell’anonimato, scovava qualche posto, situazioni che le
stimolavano l’ispirazione, per creare nuove storie, un nuovo romanzo da pubblicare.
“La donna che è venuta a trovarti chi era”?
Deve aver percepito il malcelato sentimento di gelosia che come la brace di un fuoco spento male covava nelle consonanti della domanda.
I suoi occhi si trasformarono in due fessure sottili.
“Non fare la gelosa, lo so che il giorno stesso in cui è apparsa, hai iniziato a farti scopare da Fulvio, come pensi che ci sia rimasta …………”
“In ogni caso era il mio editore, quella che pubblica i miei romanzi, è una specie di moglie, o di marito, forse quando farò ritorno a Los Angeles ci sposeremo”
“Mi sono fatta scopare per farti dispetto, ho visto come mi guardavi, mi avevi promesso una gita in barca, poi è arrivata quella, e ti sei eclissata, non hai nemmeno più avuto il coraggio di venire a prendere una tartina imburrata con le acciughe”.
“Lo so, perdonami, sono stata stupida, ma avevo paura di non riuscire a controllarmi, ti devo confessare una cosa”.

Il bagliore bluastro della luce notturna mi appare improvviso, quando apro gli occhi, istintivamente allungo il braccio, e avverto la presenza di Caterina, mi giro verso di lei, dorme, ascolto il respiro leggero che le solleva il petto, una mano corre verso quelle morbide colline, la voglia di baciarle mi assale, le salgo sopra, lentamente le apro le cosce, la prendo per i polsi, senza aprire gli occhi apre la bocca, in attesa della mia lingua dentro, iniziamo a baciarci, sento che stringe le gambe a tenaglia, mi imprigiona contro di lei, iniziamo a sfregarci, mentre il tempo sembra essersi fermato.
Apro gli occhi, e vedo sul comodino il libro che ha scritto sulla spiaggia, quello in cui sono stata la sua musa ispiratrice, grazie al quale, il giorno dopo il mio diciottesimo compleanno, mi ha vista volare a Los Angeles, per stare con lei, “La bella estate” è il titolo, nella pagina di retrocopertina, c’è una foto, un selfie, io e Caterina, sedute su di uno sgabello davanti ad un bancone di legno,mentre beviamo uno strano intruglio da cocomero tagliato a metà.
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