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600 frustate 2


di Honeymark
03.06.2019    |    6.040    |    3 9.9
"- Adesso la «pannocchia» dei due è ancora più grossa..."
600 frustate
2



Io e la collega lasciammo la povera condannata e andammo a cena nel ristorante dell’Hotel. Nel ristorante si potevano ordinare bevande alcoliche, ma il maitre suggerì comunque di bere qualcosa semmai in camera, dove c’era un fornito minibar.
- Cosa ne pensi? – Domandai a Federica, solo dopo aver iniziato a mangiare.
- Che è una situazione di merda.
- Vuoi tirarti indietro? – Le domandai masticando.
- E come faccio…?
- Beh, – le dissi per rincuorarla. – Intanto domani assistiamo alle quaranta frustate. Poi ci penseremo.
- Già, – aggiunse. – Come giornalista dovrei ritenermi soddisfatta a poter assistere a qualcosa che è stato sempre precluso ai colleghi…
- Cos’è che non va allora?
- L’idea di guardarla frustare mi turba, l’ipotesi di frustarla mi fa sentire male.
- A me no. – Risposi cautamente. – L’idea di essere autorizzato a farlo, chiesto addirittura da lei, mi fa sentire la coscienza a posto.
- Beh, senti, intanto assistiamo alla punizione. Questo fa parte del nostro lavoro.
- Già. Bel lavoro.

L’indomani, alle 17, eravamo nella hall dell’Hotel in attesa che qualcuno prendesse contatto con noi.
Puntualmente, ci vennero a prendere e ci portarono al carcere. Alle 18 ci incontrammo a quattro, noi due, la condannata e il capo delle esecuzioni del carcere.
- Le presento mio fratello e sua moglie, – disse la condannata al capo indicandoci. – Li ho autorizzati ad assistere e, se poi accettano, a frustarmi personalmente.
- Sentite, – disse il capo. – Sappiamo tutti che non siete parenti. Ma, viste le circostanze, potrei chiudere un occhio.
- Quanto? – Domandai, avendo recepito il messaggio.
- Lei cosa pensa? – Mi domandò.
- Duemila dollari?
Sorrise e ci pensò.
- Facciamo 5.000 e lascio che signora passi l’ultima settimana al vostro albergo. È una cosa che posso fare di mia autorità.
- Affare fatto. – Risposi e ci stringemmo la mano.
Restammo tutti in silenzio per un po’.
- Entro domattina li avrà – Dissi per sbloccare l’impasse. – Come si procede adesso?
- Se mi date i passaporti – rispose il capo rasserenato, – vi accredito come parenti. C’è una pratica da aprire, ma se venite alle 20 precise a questo indirizzo e con i quattrini, troverete qualcuno che vi accompagna in sala esecuzioni. Io sarà lì ad attendervi.
Prendemmo i passaporti e glieli consegnammo. Lui li mise in tasca senza guardare i cognomi. Ce ne andammo.
- Dove pensi di prendere i soldi? – Mi domandò poi la collega.
- Ce li daranno i nostri giornali. – Risposi. – Li chiamiamo subito. Se ci autorizzano li anticipiamo io e te col bancomat. Ne hai?
Non rispose. In serata ottenemmo il benestare dai nostri direttori in cambio di uno scoop eccezionale, anche se edulcorato.

La sera dopo, puntuali, ci recammo senza passaporto al carcere di Al-Beka, all’indirizzo che ci avevano dato. Senza passaporto ci sentivamo un po’ in difficoltà, ma tutto andò bene. Presero i nomi, verificarono nel registro e ci fecero attendere finché un funzionario non venne a prenderci per accompagnarci in sala.
Camminammo a lungo per corridoi stretti e bui, che incutevano un certo timore. Poi entrammo in una grande sala e l’uomo ci consegnò al caposala. Aveva i nostri passaporti. Li aprì per verificare se eravamo noi. Poi li chiuse e ce li consegnò.
- Oggi assisterete all’esecuzione della condanna giornaliera. – Spiegò. – Se poi accettate. La prossima volta potrete essere voi ad applicare la frusta alla condannata.
- Grazie, – dissi.
La mia collega si era coperta il capo come si usa in quei paesi e si era ben guardata dall’aprire bocca. Tanto, avrebbero parlato solo con me. Però faceva un gran caldo e stava sudando.
Il capo ci vide e ci venne incontro. Gli diedi la mano porgendogli la busta con i quattrini senza che nessuno ci vedesse.
- Come funziona? – Domandai a quel punto.
- In questo momento la stanno preparando, – spiegò. – Poi verrà portata qui dai due carnefici di giornata, quelli che poi le somministreranno 20 frustate a testa. Le fisseranno le caviglie a quegli anelli in terra e le legheranno i polsi a quella carrucola sul soffitto. La metteranno in tensione e poi la palperanno. Le daranno le prime cinque frustate. Quindi si sposteranno intorno così finché non le avranno dato 20 frustate a testa.
- Chi sono i carnefici?
- Giovani militari dell’accademia, figli di notabili della città. Le mamme in persona li raccomandano affinché vengano scelti per fare un mese di servizio qui. È una performance che insegna ai ragazzi a dominare le donne. Stavolta hanno mosso le alte sfere per avere l’opportunità di punire personalmente una infedele europea.
- Capisco, – dissi.
Immaginai che ricevesse mance anche da quelle mamme premurose.
Vidi che la mia collega era inorridita.
Proprio in quel momento entrarono i carnefici e il capo di fece accomodare nello scranno degli spettatori, dove c’eravamo solo noi.
Un ragazzo sui 20 anni, a torso nudo, con i pantaloni verde oliva e gli scarponi militari, tirava la nostra amica. Era nuda, le avevano messo un collare con attaccato un guinzaglio. Alle caviglie le avevano messo una specie di distanziale che la obbligava a camminare con le gambe leggermente divaricate. I polsi erano stati legati dietro la schiena con dei braccialetti di cuoio.
Devo dire che era di una bellezza mozzafiato e che teneva il passo con rassegnata sottomissione. Le tette erano certamente della quinta misura e stavano su da sole. Il pelo della figa era a triangolo come piace a me. Il culo lo avrei visto dopo, ma me lo immaginavo superbo.
Dietro di lei il secondo carnefice reggeva due fruste, la sua e quella del collega.
Giunti sotto la carrucola, il primo liberò i polsi della disgraziata e li portò alla carrucola. Poi la girò in modo che noi la vedessimo di fronte. Quindi fissò in terra il distanziale alle caviglie e tirò la carrucola in modo da metterla in tensione con le braccia in alto. I due attesero disposizioni dal Capo, il quale li fermò e mi accompagnò dalla condannata.
- La prego di osservare – mi disse in inglese – che non porta alcun segno delle frustate precedenti. Siamo un paese civile. La punizione deve far male, non devastare.
Allungò la mano in modo che uno dei due carnefici gli passasse la frusta.
- Vede? – Disse ancora. – Queste fruste le produciamo noi proprio nell’intento di far soffrire la condannata ma senza lasciare segni che durino più di tre giorni.
Me la mostrò, anche se non ci vedevo nulla di particolare.
- Ora osservi le tette e il culo, – continuò, mentre la condannata restava forzatamente immobile. – I ragazzi amano colpirla lì.
Annuii.
- Adesso le palpi le tette.
- Ma… – dissi imbarazzato. E poi poteva essere una trappola. – È mia sorella…! – Protestai.
- Sì, e la prossima volta la frusterà senza ritegno. – Rispose secco. – Quindi adesso la palpi.
Guardai la collega che, rossa in faccia, mi fece segno di sì con la testa.
Allora allungai le mani in avanti e palpai le tette alla povera signora. Da davanti non lo avevo mai fatto e per la prima volta vidi lo sguardo allibito della donna che stavo palpando senza la sua autorizzazione.
- Sente? – Disse. – Dopo dieci «sedute» non ha alcuna imperfezione. Eppure fra un po’ vedrà con che veemenza i ragazzi la frusteranno. Alla fine dovrà ammettere che sappiamo frustare.
Al momento non seppi cosa dire e mi lasciai accompagnare allo scranno dove stava la mia collega Federica.
- Mi vergogno… – le bisbigliai nell’orecchio. – Mi sono eccitato da morire.
- Ti capisco, – rispose, stringendomi il braccio per farmi coraggio. – È nella natura delle cose. Guarda come sono sconciamente eccitati i due aguzzini. Sembra che abbiano una pannocchia sotto la zip.
I carnefici misero sulla testa della condannata un caschetto di cuoio che somigliava a quello dei ciclisti. Era per impedire che le colpissero la faccia.
- Ora iniziamo – disse il capo rivolgendosi a noi. – Guardate come fanno, perché la prossima volta dovrete farlo voi.
Poi chiamò i ragazzi.
- Prendete contatto con la condannata.
I due andarono a palparle prima la figa, poi il culo e infine si soffermarono sulle tette, strizzandole. La poverina provò a reagire, ma non poté che mugugnare. La mia collega mi strinse il braccio.
- Adesso la «pannocchia» dei due è ancora più grossa. – Sussurrai all’amica.
- Che scoperte… – rispose piano, – Vorrei vedere il contrario!
-Mettetevi in posa. – Ordinò il Capo a fine palpeggi.
Uno si mise davanti a lei, l’altro dietro.
- Per colpi ripetuti, cadenza cinque, si diano le prime scudisciate alla condannata.
Il giovane davanti mosse la frusta a terra con la mano destra come per prepararsi al gran colpo. Guardava la sua vittima con fredda eccitazione. Era come se tra le due parti si fosse aperta una sfida a senso unico. Lui doveva colpirla nel modo più doloroso possibile, senza sbagliare il colpo. Doveva farla urlare e sobbalzare.
La povera signora stava tremando come una foglia. Così ignuda ed esposta al carnefice doveva provare una sensazione di totale sottomissione. Bloccata e tenuta in tensione con le corde, doveva sentirsi del tutto impotente. Era come se il suo destino si stesse per compiere.
Noi due, spettatori, eravamo come paralizzati. La mia collega si teneva stretta al polso per farsi coraggio.
Poi, d’un tratto, come colpo dismaglia l’arme, una potentissima scudisciata andò a scaricarsi sulla condannata, riecheggiando nella volta della sala.
Sciaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaackkkkkkkkk!
- Ahaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhaaaaaaaaaaaaaaaaa!
L’urlo della vittima uscì dai polmoni come se avesse voluto svuotarli d’un botto.
La mia collega mi strinse il polso come una morsa. Le strinsi il braccio per farle coraggio.
Dopo cinque secondi, come ordinato dal capo, partì il colpo del collega che stava dietro, che si scaricò attorno alla vittima con folle veemenza.
Sciaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaacccckkkkkkkkk!
- Ahhhhhaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhaaaaaaaaaaaaaaaaa!
Stavolta la donna, che non aveva potuto vedere partire il colpo, sbatté la testa indietro e l’urlo fu ancora più agghiacciante.
I giovani carnefici, invece, sentendo il frutto del loro lavoro, si caricarono ulteriormente e ripresero la loro opera meticolosamente. La mia amica si stringeva a me.
La donna urlava, i due la frustavano. Ad ogni azione si liberava un’azione uguale e contraria. Sempre più eccitati dalle urla e dalle contorsioni che generavano, compivano una vera opera d’arte.
La mia collega si era unita a me con l’intero corpo e io non riuscivo più a controllare la mia invereconda erezione.
Dopo i primi 10 colpi, cinque a testa, si fermarono e si portarono di fianco. Noi ci portammo allo scranno dal quale la si poteva vedere da dietro.
Sciaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaackkkkkkkkk!
- Ahaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhaaaaaaaaaaaaaaaaa!
Sciaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaackkkkkkkkk!
- Ahaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhaaaaaaaaaaaaaaaaa!
Sciaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaackkkkkkkkk!
- Ahaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhaaaaaaaaaaaaaaaaa!
Il carnefice che stava alla nostra destra le frustava le tette-
Il carnefice che stava alla nostra sinistra, invece, le colpiva ogni volta il culo,
Sciaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaackkkkkkkkk!
- Ahaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhaaaaaaaaaaaaaaaaa!
Sciaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaackkkkkkkkk!
- Ahaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhaaaaaaaaaaaaaaaaa!
E il culo sobbalzava ogni volta, come se la frusta le desse una palpata violenta e sfuggente. Una volta credetti di vederle il buco del culo grazie alle natiche che si erano allargate sotto la sferza. Quando ricevette il quinto colpo, le natiche continuavano a sbattere da sole, come prese de un delirio incontrollabile.
I due si fermarono nuovamente e cambiarono ancora di posto. Ci portammo davanti a lei per vederla bene. Tette e figa in bella vista. Nuda, pronta a essere frustata nuovamente e a urlare direttamente alla nostra direzione. Era come se la stessero frustando per noi.
E finalmente potemmo vedere le scudisciate colpire le tette della infelice, che sbattevano in su e in giù, elastiche e capaci di eccitare tutti i presenti.
Sciaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaacccccccccckkkkkkkkk!
- Ahhhhhaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhaaaaaaaaaaaaaaaaa!
Sciaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaccccccccccccckkkkkkkkk!
- Ahhhhhhhhhhhhhhaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhaaaaaaaaaaaaaaaaa!
Verso la fine, la poverina pisciò d’un getto tutta l’urina che aveva nella vescica. Poi svenne.
- Venga, – mi disse il capo, facendo segno alla mia collega di restare dov’era.
Uscii dallo scranno e mi avvicinai.
- Vede? – Disse indicandomi le tette. – Sono arrossate, ma integre, sempre rivolte all’insù. E così la pelle del culo.
Annuii, eccitato.
I due ragazzi se ne andarono e la condannata venne sciolta da alcune donne, forse carcerate anche loro. La misero su una barella e la portarono via.
- Allora, – domandò il capo. – Ve la sentite di frustarla anche voi così, la prossima volta?
- Sì, – dissi con fermezza, anche se in quel momento non me la sentivo proprio.
- Bene, allora. – Disse. – Adesso dovrete prendere un taxi, perché la signora sarà portata in albergo domani sera. Come sempre, la teniamo in osservazione tutta la notte e il giorno dopo. Ve la riportiamo a casa viva e vegeta domani sera e prendiamo accordi per la «vostra» seduta.

(Continua)
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