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Questo sono io - 1. Una nuova vita


di FinnTanner
07.11.2021    |    13.944    |    14 9.7
"Stringeva ancora in pugno i miei capelli e non potevo fare nulla se non stare lì fermo a guardarlo, con gli occhi sbarrati..."
Viaggiavamo verso la capitale in silenzio. Io e mio padre non avevamo un rapporto facile da quando la mamma se n’era andata. Ero piccolo quando è successo e non ho molti ricordi di lei, solo qualche immagine sfuocata dei suoi capelli biondi, la sua pelle chiara e liscia, ricordo che a volte odorava di biscotti quando mi prendeva in braccio. Un po' le somiglio.

“Leo…” Esitò papà alle porte della città. “Non è una punizione.”

Continuai a guardare fuori dal finestrino, ignorandolo. Le chiome degli alberi ai margini della strada erano fuse in una striscia indistinta di verde scuro e il cielo cupo annunciava un temporale.

Iniziò a piovere mentre scaricavo i bagagli dal sedile posteriore dell’auto. Solo qualche lampo illuminava di tanto in tanto le nuvole minacciose sopra la città. Odiavo questo posto.
L’appartamento almeno era moderno e pulito, e molto più spazioso di qualsiasi alloggio studentesco. Anche se lo avrei scambiato volentieri con una topaia se solo avessi avuto scelta. Ma anche se durante gli anni del liceo gli avevo causato qualche “lieve imbarazzo”, come lo chiamava lui, papà aveva programmato la mia vita fin dalla nascita. Avrei studiato legge e dopo sarei diventato un magistrato, proprio come suo padre e suo nonno prima di lui.

“Vedrai che non ti disturberà.” Ripeté papà per l’ennesima volta. “Potrai comunque fare quello che vuoi. È solo per il tuo bene!”

Non avevo intenzione di rendergli le cose più facili e nemmeno lo salutai prima di sbattere la porta della mia nuova stanza.

“Mi dispiace…” Mi sembrò di sentire dall’altro lato.

Ma era solo un sussurro, o forse lo avevo immaginato. Non mi ero nemmeno accorto di aver trattenuto il respiro finché non sentii la porta d’ingresso chiudersi. Il mio ‘coinquilino’ non era ancora arrivato e l’appartamento sprofondò nel silenzio.


Quattro mesi dopo, a una settimana dal mio diciannovesimo compleanno, superai il primo esame con il massimo dei voti. I colleghi avevano organizzato una serata fuori per festeggiare e io accettai di unirmi a loro volentieri. La facoltà di legge era impegnativa, ma non così male come avevo immaginato e mi ero fatto anche qualche amico.

“Allora, dov’è la festa?”

Mi stavo cambiando prima di uscire, e mi voltai per lanciare un’occhiata di traverso al bel ragazzo appoggiato con noncuranza allo stipite della porta della mia stanza. Non gli risposi. Doveva essere appena rientrato da lavoro perché indossava ancora la divisa, e aveva addosso un vago odore di profumo per auto e sudore. Se ne stava lì a fissarmi mentre sorseggiava una bottiglietta di birra ghiacciata.

Marco ignorò la mia occhiataccia. Lui era il mio coinquilino. Aveva solo qualche anno più di me e non era nemmeno uno studente. Era davvero una guardia, non in senso figurato, era un poliziotto. E ufficiosamente aveva l’ordine di tenermi d’occhio. “Non fare tardi.” Disse in tono freddo. “Fìdati, non costringermi a cercarti.”

Rientrai a casa poco prima di mezzanotte. Marco si era addormentato sul divano davanti alla televisione accesa. Indossava solo un paio di vecchi pantaloncini e teneva i piedi nudi poggiati sul tavolino del soggiorno, accanto a un sacchetto di patatine e due bottigliette di birra vuote.

Sbuffai e mi avvicinai per raccogliere le bottiglie. Russava lievemente e non si era nemmeno fatto la doccia, aveva ancora addosso quel tenue odore di auto nuova e sudore. Era alto e magro, con le gambe lunghe e i muscoli del petto e dell’addome definiti. Sapevo che avrei dovuto allontanarmi subito da lui, ma il mio corpo non rispondeva e non riuscivo nemmeno a distogliere lo sguardo dal suo petto che si alzava e abbassava regolarmente.

Il rumore di una scena del programma che stava guardando lo fece sussultare nel sonno, e io mi riscossi accorgendomi che lo stavo fissando già da un po'. Corsi via, gettai le bottiglie e mi avviai a passo svelto verso la mia camera, chiudendomi la porta alle spalle cercando di non fare rumore. Poi mi buttai sul letto e affondai la testa nel cuscino sperando di poter scomparire.

Qualche giorno dopo, Marco afferrò una tazza dalla credenza in cucina e se la riempì fino all’orlo con i miei cereali e il latte freddo di frigorifero. “Come mai tuo padre ti tiene sotto sorveglianza?” Mi chiese di punto in bianco, sedendosi dall’altro lato del tavolo, proprio di fronte a me

Non capivo perché d’un tratto avesse tanta voglia di fare conversazione, io e lui non avevamo scambiato più di due frasi di senso compiuto da quando vivevamo insieme. Lo ignorai mentre finivo velocemente di fare colazione, prima di andare a lezione.

“Non mi sembri un tipo… che crea problemi.” Insisté con la bocca piena.
Io infilai la mia tazza nella lavastoviglie e cercai di svignarmela dalla cucina senza fargli sembrare che scappassi. Quando gli passai accanto vidi un mezzo sorriso passare sul suo volto, e potevo giurare di aver visto i suoi denti bianchi scintillare come quelli di un lupo. Di sicuro la colazione mi rimase sullo stomaco per tutta la mattina mentre ripensavo alla sua espressione.

Quando rientrai all’ora di pranzo, nell’ingresso c’erano un paio di scarponi neri di pelle abbandonati fuori dalla scarpiera. Era strano, a quell’ora non avrebbe dovuto esserci nessuno in casa. Marco pranzava in mensa o si fermava a mangiare qualcosa per strada se era di pattuglia. In ogni caso, qualcuno si stava facendo la doccia e aveva anche lasciato la porta del bagno aperta. Il nostro appartamento aveva due camere da letto e due bagni, io usavo quello in fondo al corridoio, Marco invece usava quello più grande, proprio di fronte alla mia camera, e quando ci passai accanto non potei evitare di guardare dentro. Ero obbligato a passare di là e non potevo nemmeno camminare ad occhi chiusi, tentai di mettere a tacere la mia coscienza. Il bagno era pieno di vapore, ma potevo comunque scorgere la sua sagoma di spalle dietro le pareti di vetro appannate della doccia. Fissai affascinato i muscoli della sua schiena guizzare mentre si insaponava. Proprio in quel momento, però, Marco si voltò e i suoi occhi incontrarono i miei. Arrossii fino alla radice dei capelli prima di scappare nella mia stanza. Anche attraverso il vetro appannato era impossibile che non avesse notato che lo stavo fissando.

“Ti è piaciuto lo spettacolo?” Disse qualche minuto dopo, entrando nella mia camera senza bussare. Indossava una vecchia tuta da ginnastica e i suoi capelli chiari erano ancora umidi.

Io strinsi le labbra e mi sforzai di non arrossire di nuovo, volevo conservare almeno quel minimo di dignità che mi era rimasta. “Fòttiti!” Borbottai fra me.

Però Marco mi sentì comunque, si infuriò e con una sola falcata mi fu addosso stringendomi una mano al collo. Mi mandò a sbattere contro il muro. In un attimo il suo viso era a pochi centimetri dal mio.

“Cosa hai detto?” Mi ringhiò in faccia, era così vicino che potevo sentire il suo respiro caldo sulla pelle.

Mi irrigidii, cercando di proteggermi dalla violenza dell’impatto. “Ho detto, fòttiti!” Trovai non so dove il coraggio di ripetere.

Avvertii distintamente la contrazione delle sue dita intorno al collo, ero sicuro che se avesse voluto avrebbe potuto spezzarmi le ossa con un gesto.

Poi, d’un tratto, un mezzo sorriso increspò le sue labbra. Continuava a fissarmi senza darmi la possibilità di distogliere lo sguardo, non sapevo dove nascondermi mentre l’imbarazzo si aggiungeva alla paura.

Mi diede uno schiaffo e lasciò la mano sulla mia guancia, sfiorandomi la pelle che iniziava già a formicolare. “Allora ce l’hai le palle.” Disse facendosi ancora più vicino. Il suo respiro mi bruciava la pelle, odorava di dentifricio alla menta.

Provai a distogliere lo sguardo ma Marco mi costrinse nuovamente a guardarlo, e poi, senza nessun avvertimento, all’improvviso mi baciò.

Era un bacio urgente e possessivo, quasi rabbioso. Io ero paralizzato, la sua irruenza mi spaventava. Non capivo perché si stesse comportando in quel modo, se volesse solo mettermi alla prova. Mi impediva di allontanarmi o anche solo di girare la testa. Prese ad accarezzarmi la guancia senza mai staccare le sue fameliche labbra dalle mie. Non mi ero nemmeno accorto che avesse spostato una mano finché non sentii la sua presa stringermi dolorosamente il cazzo da sopra i pantaloni. Mi era diventato duro senza che potessi farci niente.

Marco staccò le sue labbra dalle mie senza allontanarsi troppo. “Lo sapevo.” Disse sorridendo apertamente. Mi teneva ancora schiacciato contro il muro e non avevo nessuna possibilità di proteggermi. Quando mi strinse di nuovo il collo riuscii almeno a voltare la testa di lato per non essere costretto a incontrare il suo sguardo mentre mi derideva. Invece, inaspettatamente, ricominciò a baciarmi, dalla piega del collo e verso l’orecchio. Sentivo il suo respiro accelerato rimbombarmi nella testa. Con l’altra mano aveva anche iniziato a massaggiarmi il cazzo da sopra i pantaloni.

“Vuoi che mi fermi?” Mi chiese all’improvviso, sussurrando direttamente al mio orecchio.
Non potevo rispondere, non sapevo nemmeno io cosa volessi, e comunque lui non mi diede nemmeno il tempo di pensarci. Un attimo dopo, mi ritrovai faccia al muro con tutto il peso del suo corpo sul mio, e il suo braccio sul retro del collo mi teneva il viso premuto contro la parete.

Iniziò a mordicchiarmi l’orecchio da dietro, facendomi rabbrividire, e con l’altra mano mi strinse il culo. Non potei fare a meno di gemere pietosamente, ad alta voce, completamente sopraffatto. Potevo sentirlo ridacchiare mentre stringeva un poco tra i denti il lobo del mio orecchio. Nel frattempo, la sua mano si era insinuata sotto la mia maglia sollevandola, ruvida contro la pelle nuda della mia schiena.

Mi ritrovai nudo dalla vita in su, di nuovo faccia a faccia. Le sue mani erano ovunque, una si era infilata dentro i miei pantaloni, mentre l’altra mi premeva sul petto.

Marco mi impose il silenzio con un altro bacio soffocante. Sulle labbra, sul mento e verso il collo, mi baciò la gola e il petto, fino al capezzolo. Poi verso l’altro lato, lasciando una scia infuocata di baci sulla mia pelle. Mentre baciava delicatamente l’altro capezzolo alzò lo sguardo, per essere sicuro che lo stessi guardando, e quando i nostri occhi si incontrarono, inaspettatamente, mi morse facendomi gemere ad alta voce.

Gli piaceva, glielo leggevo negli occhi, il controllo che aveva su di me lo eccitava. Tornò a baciarmi sulle labbra quasi con violenza, senza che nessuno dei due avesse la possibilità di respirare.

“Toglimi la felpa.” Ringhiò a meno di un centimetro dal mio viso, quando fummo costretti a staccarci per riprendere fiato.

I muscoli del suo petto e dell’addome guizzarono sotto la pelle mentre alzava le braccia per permettermi di sfilargli la maglia. Ma non mi diede il tempo di imprimere quell’immagine nella memoria perché mi costrinse subito in ginocchio.

Marco mi pressò contro il muro. Il suo cazzo premeva sul mio viso, evidente sotto la stoffa leggera della tuta. Mi afferrò i capelli obbligandomi a guardarlo negli occhi, umiliarmi in quel modo lo eccitava, e mi fece sfregare il viso sul cavallo dei suoi pantaloni. Poi si chinò avvicinando il suo viso al mio, spingendomi indietro la testa per i capelli, mi fissò per un secondo e pensai che volesse baciarmi nuovamente. Istintivamente allungai il collo alla ricerca delle sue labbra, ma lui sorrise e si tirò indietro all’ultimo secondo. Ero certo che l’avesse fatto di proposito, glielo leggevo negli occhi. Ero mortificato.

Lui invece raddrizzò la schiena senza interrompere il contatto visivo tra noi, adesso era certo di avermi in pugno. “Spogliami.” Disse spietato.

Non avevo scelta, mi tremavano le mani quando afferrai l’elastico della tuta. Ero spaventato dai suoi modi e arrabbiato per il suo atteggiamento, ma più di tutto ero eccitato da quella situazione completamente nuova per me. Tirai i suoi pantaloni verso il basso con cautela, non volevo che capisse quanto in realtà fossi impaziente.

Lui però sembrava in grado di leggermi nel pensiero. “Non avere fretta…” Mi prese in giro facendomi arrossire violentemente.

Non indossava biancheria intima e il suo cazzo stretto nei pantaloni quasi rimbalzò sul mio viso non appena lo liberai. Era grande, spesso, e puntava minaccioso contro di me, dritto come una lancia.

Stringeva ancora in pugno i miei capelli e non potevo fare nulla se non stare lì fermo a guardarlo, con gli occhi sbarrati. Marco afferrò la sua asta alla base e la fece oscillare un paio di volte a qualche centimetro dal mio viso, come un osso davanti a un cane. “Lo vuoi?” Mi chiese con soddisfazione, iniziando a colpirmi lievemente il naso e poi la guancia con il suo arnese.

La mia risposta doveva essere ovvia ma lui invece lasciò andare il cazzo e all’improvviso mi diede uno schiaffo. Non forte, ma abbastanza da farmi piagnucolare ridicolmente per la frustrazione. Mi costrinse ad alzare la testa e si chinò per baciarmi davvero, sorreggendo la mia nuca con una mano. Ero completamente sotto il suo controllo, e mentre ci baciavamo sentivo in bocca il sapore del suo dentifricio mentre la sua lingua mi invadeva completamente.

“Dai, fammi vedere cosa sai fare.” Sussurrò interrompendo quel bacio bagnato, e un secondo dopo il suo cazzo puntava di nuovo contro le mie labbra arrossate e socchiuse. Lo stringeva alla base con una mano mentre con l’altra mi teneva il mento accompagnandomi verso l’asta.

Quando entrò nella mia bocca per un momento fu traumatico, ne avevo dentro solo una piccola parte ma mi sembrò di soffocare, era più grosso di qualunque cosa avessi mai avuto in bocca, e avevo paura di toccarlo con i denti. Però era anche caldo e liscio contro la mia lingua e allo stesso tempo duro, come un ferro rivestito di morbida seta. Non sapevo bene cosa fare, senza pensarci allargai i denti e provai a prenderlo più in fondo, stringendolo tra le labbra mentre mi tiravo lentamente indietro.

Marco inspirò rumorosamente e me lo tolse senza dire nulla. Io rimasi a bocca aperta, come uno stupido, chiedendomi se avessi fatto qualcosa di male. Lui lo fece sbattere un paio di volte sulla mia lingua con soddisfazione, poi senza preavviso lo rispinse dentro ancora più in fondo.

Mi ritrassi d’istinto, sorpreso per quell’invasione improvvisa, ma lui mi afferrò nuovamente per i capelli tirandomi a sé e costringendomi a prendere in bocca il suo cazzo fino quasi alla metà. Ero nel panico, non potevo respirare e provai a divincolarmi, ma la sua presa era troppo forte. Durò solo un secondo, poi lo ritirò fuori completamente, alla stessa velocità con cui era entrato, lasciandomi a boccheggiare per l’aria.

Avevo le lacrime agli occhi, Marco invece si era eccitato e continuava a colpirmi sulle labbra e sulla lingua con la sua asta, facendola oscillare divertito. Poi, tenendosi il cazzo alla base e con i miei capelli ancora stretti in pugno, mi costrinse a riprenderlo in bocca per una buona parte. Si tirò leggermente indietro e lo spinse di nuovo dentro fino a metà. Il suo cazzo rovente pulsava tra le mie labbra. Ripeté quel gesto un paio di volte, spingendosi più avanti ad ogni affondo. Stava mettendo alla prova la mia resistenza e il mio disagio non faceva altro che accrescere la sua libidine e il suo senso di dominio. In preda alla frenesia iniziò a fare avanti e indietro con il cazzo dentro la mia bocca, facendolo sfregare rudemente sulla lingua e sul palato. Finché un affondo mi colpì troppo vicino all’ingresso della gola e mi ritrovai a soffocare, trattenendo a stento un conato.

Lui ne sembrava orgoglioso, sfilò il suo cazzo dalle mie labbra e si chinò a baciarmi. Mi accarezzò le guance con delicatezza, quasi a volermi consolare, sorreggendomi la testa tra le mani mentre le sue labbra divoravano le mie. Senza interrompere il bacio mi fece rialzare in piedi e quando le nostre lingue intrecciate si separarono mi morse il labbro inferiore, riluttante a lasciarmi andare.

In quel momento avrei voluto dire qualcosa, ma ero semplicemente sopraffatto dall’intensità di quelle emozioni primordiali e da tutte quelle sensazioni che stavo sperimentando per la prima volta nella mia vita. Alla fine, rimasi in silenzio completamente perso nei suoi profondi occhi blu, scuri come la notte e offuscati per l’eccitazione. Un attimo dopo, quasi come una marionetta tra le sue dita mi ritrovai nuovamente a dargli le spalle, stretto tra il freddo muro di cemento e il suo altrettanto solido corpo rovente. In quella posizione mi sentivo indifeso eppure, allo stesso tempo, stranamente al sicuro nel suo abbraccio. Dal canto suo, Marco non si curava dei miei dilemmi interiori e prese a baciarmi con foga sul retro del collo e verso le spalle, spingendo con prepotenza il suo corpo sul mio. Potevo sentire il suo cazzo d’acciaio premere minacciosamente contro i miei pantaloni. Poi le sue intenzioni si fecero chiare, mi strinse il culo con una mano e allo stesso tempo i suoi baci sulla mia spalla si trasformarono in un morso. Un brivido mi corse attraverso la spina dorsale fino alla base del collo, facendomi irrigidire mentre un gemito lamentoso mi si spezzava in gola.

Un secondo dopo, smise di premere sulla mia schiena e le sue mani iniziarono a tastare alla cieca i bottoni dei miei pantaloni. Quasi li strappò via strattonandoli con impazienza e prima che me ne rendessi conto mi ritrovai con i pantaloni calati fino a metà coscia. Ormai era rimasto solo il tessuto sottile della biancheria intima a fare da barriera tra i nostri corpi.

Mi divincolai, volevo almeno voltarmi e fronteggiarlo invece che stare in quella posizione fin troppo vulnerabile. Ma in un attimo, forse intuendo le mie intenzioni, Marco mi bloccò con un braccio sulla schiena impedendomi qualsiasi movimento mentre con l’altra mano mi stringeva il culo da sopra i boxer. Poi mi colpì.

Quella sculacciata sonora mi fece sussultare vistosamente, più per la vergogna che per il dolore.

“Dove volevi andare, eh?” Mi sussurrò Marco all’orecchio, da dietro, facendomi arrossire se possibile ancora di più.

Prima che me ne accorgessi mi ritrovai a piagnucolare pietosamente senza senso.

La sua mano non aveva mai smesso di massaggiarmi con prepotenza il culo. “Ti piace se faccio così?” Disse stringendo la natica, appena prima di colpirmi un’altra volta con più forza.

Questa volta non riuscii a trattenere un gemito e Marco soddisfatto risalì con la mano il mio addome e il petto fino al collo, costringendomi a voltare la testa verso di lui. “Si che ti piace.” E mi baciò ancora con foga.

Quella rivelazione sembrò provocarlo. Senza esitare quasi mi strappò di dosso i boxer lasciandomi completamente esposto, si inginocchiò alle mie spalle e poi rimase lì senza fare nulla. Mi vergognavo da morire, nessuno mi aveva mai guardato in quel modo, così da vicino, e il fatto che non stesse facendo nulla, che se né stesse semplicemente a guardarmi in silenzio, non faceva altro che rendermi ancora più nervoso.
Stavo quasi per mettermi a piangere per l’ansia quando sentì le sue mani sfiorarmi i glutei, dapprima un tocco leggero, poi in un massaggio sempre più profondo. Mi baciò sulla natica e mi morse una volta e poi un’altra. E ogni volta un brivido mi risaliva lungo la schiena quasi dolorosamente. Marco continuò a baciarmi e colpirmi e mordermi fino a che iniziarono a tremarmi le gambe. Poi, quando iniziai gradualmente ad abituarmi a tutto questo, affondo il viso tra le mie natiche, toccando il luogo più nascosto e privato del mio corpo e io mi sentii morire.

Non può essere vero, pensai fuori di me. Persi ogni briciolo di forza e sarei crollato se lui non mi avesse sostenuto. Iniziò a leccarmi e baciarmi in punti del corpo che non sapevo neanche esistessero, inviando ad ogni tocco potenti scariche elettriche direttamente al mio cervello. Mi costrinse a piegarmi in avanti, la sua lingua era ovunque e mi sembrava di impazzire, poi all’improvvisò si fermò tenendomi le natiche spalancate, sentivo il suo respiro affannato sulla pelle umida intorno al mio buco così vergognosamente esposto.

Quando sentii il suo dito farsi strada lentamente dentro di me il respiro mi si bloccò in gola.

Subito una sculacciata dolorosa mi costrinse a sussultare. “Non irrigidirti.” Mi ordinò Marco iniziando a muovere con cautela avanti e indietro il suo dito dentro il mio corpo. Si alzò senza toglierlo, poggiandosi di nuovo su di me e ricominciò subito a baciarmi l’orecchio da dietro e poi verso le labbra, continuando a muovere ritmicamente quel dito dentro di me fino a farmi sciogliere completamente in una pozza di piacere e desiderio.

Quando le nostre labbra si separarono, mi afferrò per le spalle e mi spinse sul letto. Le sue intenzioni erano chiare e per la prima volta da quando tutto questo era iniziato ero davvero terrorizzato.

“Aspetta…” Sussurrai.

Marco non staccava i suoi occhi dai miei, come un leone che aveva puntato la sua preda. “Cosa?” Disse facendo un passo verso di me, minaccioso.

Mi sentii gelare. “Aspetta!”

“Perché?” Ormai aveva già coperto la breve distanza che ci separava e si era insinuato tra le mie gambe. Il suo cazzo pulsava a pochi centimetri da me e all’improvviso sembrava ancora più grosso e intimidatorio di prima.

“Io non l’ho mai fatto!” Gridai, pieno di angoscia.

Per un momento, Marco mi fissò perplesso e immobile, poi qualcosa nella sua espressione si incrinò.

Pensai non gli importasse che non avessi nessuna esperienza e mi irrigidii, preparandomi a resistere contro il suo prossimo assalto. Invece lui iniziò a ridere.

Ero sbalordito, non mi aspettavo che reagisse in quel modo ma lui stava ridendo sempre più forte e non accennava a smettere. Stava ridendo di me.

Iniziavo ad arrabbiarmi sul serio. Non aveva il diritto di umiliarmi in quel modo. “Sei uno stronzo!” Gli gridai in faccia, mi veniva da piangere ma non potevo sopportare che mi vedesse in quello stato. “Vattene!” Gli urlai contro, spingendolo per levarmelo di dosso ma era come premere contro un muro.

“No, dai, scusa, scusa!” Disse cercando di trattenere le risate, senza molto successo.

Ero furioso. “Devi andartene! Esci dalla mia camera!”

“Dai, aspetta, scusa.” Riuscì a calmarsi alla fine. “È solo che non me lo aspettavo, davvero.”
Lo guardai dubbioso, temevo che mi stesse ancora prendendo in giro e rimasi sulla difensiva.

Marco mi guardava dritto negli occhi, onestamente.

Sembrava davvero sincero, e dalla rabbia iniziai a passare all’imbarazzo per quella confessione e la sfuriata che ne era seguita. Ad un tratto non sapevo più cosa dire e avrei voluto solo nascondermi.

“Tutto a posto adesso?” Mi chiese Marco quando sembrava che mi fossi calmato.

Non so perché gli credevo. Avere una conversazione con lui, però, era impossibile con il suo cazzo che oscillava a pochi centimetri da me. “A posto.” Riuscii a rispondergli dopo un po', arrossendo. “Ma potresti togliere quel coso enorme dalla mia gamba, per favore.”

Mi pentii subito per la scelta infelice delle parole.

Marco abbassò lo sguardo, seguendo la direzione del mio, poi tornò a guardarmi sollevando le sopracciglia. Ma anziché levarsi di dosso si sdraiò proprio sopra di me, avvolgendomi completamente. Il suo viso era di nuovo a pochi centimetri dal mio. “Mi sembrava che quel ‘coso enorme’ fino a poco fa ti piacesse, o sbaglio?”

Io arrossi violentemente e Marco mi guardò con soddisfazione. Non sapevo proprio cosa dire per uscire da quella situazione.

Per fortuna, presto Marco mi levò dall’imbarazzo, allungò il collo e riprese a baciarmi.

E almeno per un po' non ero più costretto a dire nulla..
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