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Gay & Bisex

Questo sono io - 5. Ho rovinato tutto


di FinnTanner
05.12.2021    |    5.643    |    3 9.9
"Avevo appena scoperto che erano passate solo poche ore da quando ero stato tramortito e portato via, le telecamere del palazzo avevano ripreso tutte le fasi..."
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Avviso:

In questo capitolo NON c'è sesso esplicito

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Eravamo in viaggio da giorni, ero stanco e avevo un terribile mal di testa. Era già notte fonda quando finalmente arrivammo in albergo. Per fortuna la stanza aveva il bagno in camera.

Il servizio era subito a sinistra dell’ingresso e Giulio ci si fiondò dentro con tutta la valigia. “Primo a fare la doccia!” Gridò, chiudendosi dentro.

Di fronte alla porta del bagno c’era un armadio a muro con le ante a specchio, Fabio non ci fece neppure caso e gettò la sua valigia ai piedi del letto matrimoniale, poi si lanciò sulla trapunta ancora con le scarpe. Si prese il lato vicino alla finestra, incrociò le braccia dietro la testa e mi guardò con la solita aria di sfida.

Grazie al cielo, sopra al letto matrimoniale c’era un lettino singolo incassato nel muro. Non ci pensai due volte prima di levarmi le scarpe e arrampicarmi su per la scaletta, lassù almeno non avrei incontrato il suo sguardo in ogni momento.

Giulio uscì dal bagno in una nuvola di vapore e Fabio prese il suo posto, senza preoccuparsi di chiudere la porta.

“Bastardi, perché non mi avete aspettato per decidere i posti?” Si lamentò Giulio, lanciando il suo borsone sul pavimento.

Dalla mia posizione godevo di una discreta riservatezza, e potevo osservare indisturbato quasi tutta la camera. Dopo aver svuotato la borsa continuando a borbottare tra sé, Giulio si sdraiò dalla sua parte del letto, sopra le coperte. Lo vedevo solo dal petto in giù, e lui non poteva vedere me, indossava un paio di pantaloncini e una vecchia maglietta a maniche corte, ed era a piedi nudi. Aveva già molti peli scuri sulle gambe, molti più di me in ogni caso. Si aggiustò il pacco con noncuranza, poi prese il telecomando e iniziò a scorrere velocemente i canali.

Quando Fabio chiuse l’acqua della doccia, però, tutta la mia attenzione si concentrò sullo specchio di fronte alla porta del bagno. Il vetro era appannato. Avrei voluto essere più determinato, ma non c’era modo che riuscissi a distogliere lo sguardo da quelle immagini sfocate. Scorsi la sua sagoma mentre usciva dalla doccia, lo vidi chinarsi, e per un attimo il suo sedere muscoloso occupò tutti i miei pensieri. A quel punto chiusi gli occhi, inspirando ferocemente.

Quando riuscii a calmarmi e li riaprii, Fabio era già uscito dal bagno. Indossava solo le mutande e si era fermato davanti allo specchio. Mi dava le spalle, ma aveva ripulito il vetro all’altezza del viso e i suoi occhi incontrarono i miei attraverso il riflesso. Mi sentii sprofondare. Raccolsi velocemente le mie cose e quando gli passai accanto lui mi rivolse un sorrisetto beffardo. Sapeva che lo stavo spiando. Probabilmente lo aveva fatto apposta, altrimenti perché lasciare la porta aperta? E io ci ero cascato come uno stupido.

Quando terminai di fare la doccia, Giulio aveva trovato un canale che trasmetteva porno e non mi prestarono la minima attenzione mentre tornavo a letto.

Mi infilai sotto le coperte e affondai la testa nel cuscino. Non ero interessato alle ragazze che ansimavano sullo schermo, e non avevo nemmeno il coraggio di sbirciare nel letto di sotto. In quel momento avrei voluto soltanto sparire.

Il mal di testa non mi lasciava in pace e non sarei riuscito a tenerla per tutto il viaggio. Nel bagno della stazione di servizio c’era solo un lungo orinatoio a muro che occupava tutta la parete di fondo. Avevo sempre odiato gli orinatoi. Per fortuna non c’era nessuno.

Mi sbottonai velocemente i pantaloni e presi la mira, concentrato sul mosaico di mattonelle blu e azzurre davanti a me. Avevo appena iniziato ad alleviare la pressione quando sentii la porta sbattere alle mie spalle, mi irrigidii ma non potevo più fermarmi. Il nuovo arrivato si fermò proprio accanto a me, c’era un sacco di spazio libero, eppure si era messo al mio fianco. Mi sforzai di non guardare nella sua direzione, era talmente vicino che riuscii a sentire il rumore della lampo mentre la tirava giù. Doveva averla tenuta a lungo anche lui, sembrava un fiume in piena.

Appena finito di pisciare me lo richiusi dentro i pantaloni il più rapidamente possibile.

“Se vuoi puoi guardare.” Disse con noncuranza la persona accanto a me. “È tutto il viaggio che mi mangi con gli occhi, approfittane.”

Diventai rosso e mi voltai in direzione di quella voce familiare, attento a non abbassare lo sguardo. Quello che trovai fu l’espressione di scherno impressa sul profilo scolpito nel marmo di Fabio.

Era così vicino che non riuscivo a pensare in modo lucido. Non si era nemmeno girato, continuava a guardare di fronte a sé e il ghigno sul suo viso non faceva altro che allargarsi. Sollevò un sopracciglio e sembrò che mi stesse davvero sfidando a dare un’occhiata al suo cazzo. Ero paralizzato.

Diceva sul serio? Non potei fare a meno di chiedermelo e maledissi me stesso per la mia debolezza. Lui non sembrava avere alcuna fretta di rimetterselo nei pantaloni.

Per fortuna, qualcun altro decise di usare il bagno e io ricomposi velocemente la mia espressione, approfittandone per scappare via. Ero certo di averlo sentito ridere mentre mi allontanavo a grandi passi verso l’uscita, senza voltarmi indietro.

Fuori dalla porta mi ritrovai nel corridoio della mia vecchia scuola. Ero spaesato e muovermi stava diventando sempre più difficile. Giulio stava ridendo a crepapelle, accanto a lui, Fabio mimava una sega con la mano e gemeva ad alta voce.

“Ti prego, fammelo vedere! È così grosso, posso toccarlo?” Gracchiava Fabio in falsetto.

Perché aveva mentito? Perché tutto questo stava succedendo di nuovo?

Quando incontrai i suoi occhi lo sguardo che mi rivolse era freddo.

Adesso tutti stavano ridendo di me, bisbigliando tra loro. Anche i professori mi guardavano con pietà.

La cosa peggiore però era la delusione nello sguardo di mio padre prima che mi voltasse le spalle.

“Papà… no, no, non andare via!” Gridai, volevo raggiungerlo ma non riuscivo a muovermi. “Mi dispiace!”

“Sei uno stupido, Leo.”

Quella voce. Marco? Cosa ci faceva nella mia vecchia scuola? Mi stava scoppiando la testa. Aveva sentito tutto anche lui?

“Sei solo un ragazzino viziato e immaturo, non vale la pena perdere ancora tempo con te!” Disse con disprezzo, la sua voce arrivava da ogni direzione.

No. No. No. “Non è come pensi… aspetta!” Gridai, ma non c’era più nessuno. Ero rimasto solo e stavo sprofondando, la testa mi faceva sempre più male. Un peso sul petto mi spingeva sempre più in basso e non avevo la forza per tirarmi fuori.



“Sta delirando. L’hai colpito troppo forte, idiota!”

“Che cazzo stai dicendo? Chi sarebbe l’idiota?”

“Sta zitto! Si sta svegliando…”



Era buio e stavo gelando, il cuore mi rimbombava nelle orecchie e le immagini di quei ricordi dolorosi mi turbinavano ancora nella mente. Non riuscivo a distinguere passato e presente.

Provai a portarmi le mani alla testa per alleviare il dolore, ma mi accorsi di avere le gambe e le braccia legate.

“Buongiorno, bello addormentato.”

Sobbalzai quando mi resi conto che c’era qualcuno accanto a me. Aveva la voce impastata, come se fosse ubriaco.

“Levati!” Gli intimò qualcun altro, alle sue spalle.

“Che cazzo ci facevi nella nostra zona?” Mi gridò in faccia il secondo arrivato.

Di cosa stavano parlando? Volevano rapinarmi? “Ho dei soldi nella giacca…”

“Non ce ne facciamo un cazzo dei tuoi soldi, sbirro di merda!” Sbottò il ragazzo che sembrava ubriaco.

Rimasi ammutolito. Perché pensavano che fossi… un poliziotto. All’improvviso, l’immagine di un viso lampeggiò tra i miei ricordi. Era il ragazzo che stava creando problemi nel negozio vicino a casa. Quella era la sua voce. Allora era stato lui a portarmi lì? “Io non sono un…”

“Andate a fare un giro.” Disse una terza voce, più lontana, interrompendoci.

Quanti erano? Cosa stava succedendo?

“Ma-” Provò a protestare l’ubriaco.

“Ho detto, fuori.” Il terzo non alzò nemmeno la voce, ma c’era qualcosa nel suo tono e gli altri due ragazzi scapparono via senza aggiungere altro.

“Leonardo Valeri.” Disse quando gli altri due uscirono sbattendo la porta. “Posso chiamarti Leonardo?”

Conosceva il mio nome? Dal modo in cui gli altri due avevano reagito, doveva essere lui a comandare tra loro. Una serie di domande si fecero strada nella foschia che mi annebbiava il cervello. Perché pensavano che fossi un poliziotto? Non volevano soldi, ma allora perché mi avevano rapito e poi legato al buio? All’improvviso, un pensiero agghiacciante mi fece irrigidire. Si trattava di un sequestro?

“Chi siete? Cosa… cosa volete?” Chiesi agitato.

“Non temere.” Il nuovo arrivato iniziò ad avvicinarsi con calma. “Ho letto il nome sulla tessera dell’università che avevi in tasca. Io sono Ferro, è un vero piacere conoscerti.”

Dovevo trovare il modo di andarmene il più presto possibile, il suo tono forzatamente misurato mi metteva i brividi. “Sono sicuro che ci sia stato un errore, è vero, sono solo uno studente, se mi lasci andare non sporgerò nemmeno denuncia, è stato solo un malinteso…”

“Non credo.” Mi interruppe di nuovo.

Si fermò a pochi passi da me, restando in ombra dal petto in su. Non riuscivo a distinguere i particolari del suo viso, ma potevo dire che era alto. Più di me, forse anche più di Marco, e altrettanto ben piazzato. Indossava scarpe da ginnastica bianche, lucidissime e dall’aspetto costoso. I pantaloni della tuta e una maglietta bianca a maniche corte, nonostante la temperatura fosse proibitiva. La maglia gli fasciava i solidi muscoli del petto e delle braccia come una seconda pelle.

Doveva aver letto la confusione sul mio viso e per un momento mi sembrò di sentirlo ridacchiare. “Mio bel Leonardo, non essere sciocco, puoi comunque essermi molto utile.”

Merda, cosa intendeva? Sapeva di mio padre? Allora era davvero un sequestro. I pensieri si affollavano nella mia testa, dovevo andarmene subito. “Io non…”

“Voglio sapere del ragazzo del parco.” Disse all’improvviso. “Marco.”

Quel nome mi lasciò sbalordito e mi immobilizzai, senza parole. Come faceva a sapere anche di Marco? Avevo pronunciato il suo nome mentre ero svenuto? Fu come se mi avesse colpito un fulmine. Nello stesso momento il mio carceriere fece un passo avanti, uscendo dall’ombra. Aveva un bel viso e mi stava sorridendo, ma il suo sorriso non era vero. Il suo sguardo vuoto mi fece rabbrividire fino alle ossa.

“No.” Risposi troppo in fretta. “Non so di cosa parli… quale parco?”

All’improvviso realizzai che quelli erano i ragazzi che avevo intenzione di affrontare al parco giochi abbandonato. Sapevo che mi avevano visto e avevano anche assistito alla scenata con Marco. Poi dovevano averci seguiti fino a casa.

“Lui e quell’altro sono poliziotti.” Disse Ferro, interrompendo il filo dei miei pensieri. Non me lo stava chiedendo. “Ne ho sentito la puzza.”

Parlava come se discutessimo del tempo e la sua calma mi terrorizzava.

“L’unica cosa che non capisco è cosa ci facessi tu laggiù, così lontano da casa.” Il suo sguardo si illuminò solo per un secondo. “Adesso però sei qui con me, quindi dimmi…”

Merda! Dovevo stare attento e pensare in fretta, poteva finire molto male. Se c’era una cosa che avevo capito di quel ragazzo ambiguo era che non aveva scrupoli. “Hai ragione, sono venuto al parco giochi. Volevo comprare della droga.”

Era una scusa che avevo già usato, ma non avevo tempo di inventarne una migliore in quella situazione. Comunque, che altro motivo potevo avere di andare lì per quello che ne sapeva?

“Quei due… sbirri, mi hanno fermato e fatto una ramanzina. Poi mi hanno riaccompagnato a casa…” Gli spiegai, cercando di sembrare convincente. Dopotutto, quella parte era vera.

Ferro strinse gli occhi, inchiodandomi con lo sguardo. “Non sei un tossico.”

“Era la prima volta…” Provai ad aggiustare il tiro.

“Non… mentirmi!” Mi interruppe di nuovo, alzando leggermente la voce.

Non volevo farlo arrabbiare, ero certo che non ne sarei uscito vivo se avessi continuato a sfidare la sua pazienza.

Lui però non sembrava avere intenzione di interrompere quel gioco, almeno per il momento.

“Dimmi, Leonardo.” Non staccava un attimo gli occhi dai miei. “Marco verrà a cercarti?”

Cosa voleva davvero questo tizio? Sotto la pressione del suo sguardo mi sentivo come un topolino in trappola. Non sapevo mentire e non potevo nemmeno dire la verità. Rischiavo di andare in confusione.

D’un tratto l’attenzione del mio rapitore sembrava essersi spostata. Non mi stava più guardando, era immerso in qualche sorta di fantasia che lo faceva sorridere.

Ormai ero sicuro che fosse una specie di psicopatico. “Io… no, no. Perché dovrebbe venire a cercarmi? Mi hanno solo riaccompagnato a casa…”

Provai nuovamente a fare forza contro la spessa corda che mi teneva legati i polsi dietro la schiena. Inutilmente.

“Te l’ho già detto, non mentirmi!” Mi ringhiò in faccia, avvicinandosi con uno scatto fulmineo. Un coltello era comparso nella sua mano a solo pochi centimetri dal mio viso.

Mi voltai d’istinto, credendo che volesse colpirmi, invece mi accarezzò la guancia e il collo con il metallo freddo, senza ferirmi.

“Ho visto come ti guardava, la preoccupazione nel suo sguardo e il modo in cui ha fissato me.” Il suo tono si fece più duro per qualche istante. “Non avrebbe dovuto sfidarmi in quel modo, nel mio territorio.”

Possibile che non fossi davvero io il suo obbiettivo?

“Non ti serve quello stupido poliziotto.” Non so perché, ma quella rivelazione mi diede un po’ di intraprendenza e parlai con voce stranamente ferma, guardandolo dritto negli occhi. “Posso darti tutto quello che vuoi…”

I suoi occhi di ghiaccio mi studiarono, con curiosità. “Tu non puoi darmi quello che voglio, ma quando avrò finito con lui, forse mi divertirò anche con te, in altri modi.”

Non risposi. Tutto il mio coraggio era già evaporato. Nel giro di un secondo, la malignità con cui aveva pronunciato quelle parole distrusse ogni mia speranza di uscirne indenne, e senza coinvolgere nessun’altro. Era tutta colpa mia, se non fossi stato così stupido da andare in quel parco non sarebbe successo nulla.

“Leonardo, mio caro Leonardo.” Disse Ferro, di nuovo cordiale. “Quasi mi dispiace dover rovinare questo bel corpicino. Tuttavia, dovremo recapitare qualcosa di tuo al nostro amico per farlo arrivare qui in fretta, e con la giusta… disposizione d’animo.”

Fece ruotare agilmente la lama tra le dita, senza staccare un attimo gli occhi dai miei e senza mai smettere di sorridere. Mi divincolai con tutte le mie forze, anche se sapevo che era inutile. Adesso ero davvero terrorizzato.

Avvicinò lentamente il coltello al lato sinistro del mio viso, godendosi ogni secondo della mia paura. Non mi ero nemmeno accorto di aver trattenuto il respiro finché non iniziò a girarmi la testa.

Qualche istante prima di perdere i sensi, sentii la porta sbattere e gli altri due ragazzi corsero dentro con il fiatone. “Gli sbirri sono qui!” Esultò l’ubriaco, eccitato.

Il mio aguzzino raddrizzò la schiena sorpreso. “È già arrivato?”

“C’è un maledetto esercito qui fuori!” Gridò il più sveglio dei due. “Dobbiamo andarcene subito!”

Ferro mi guardò con una nuova luce negli occhi. “Chi sei tu?”

Non avevo nessuna intenzione di rispondere e gli altri due lo trascinarono via prima che potesse costringermi. Continuò a guardarsi indietro mentre correva via.

“Ci rivedremo, Leonardo.” Disse dileguandosi nel buio. La sua era senza ombra di dubbio una minaccia.



“Leo! Leo!”

Pochi secondi dopo sentii gridare il mio nome.

Ero ancora senza fiato. “Sono qui.” Provai a farmi sentire, ma era poco più di un sospiro. L’ultima occhiata che mi aveva rivolto Ferro era impressa a fuoco nella mia mente. Un odio primordiale.

“Leo! L’ho trovato!” Gridò Marco correndo verso di me. “Sei ferito?” Percepivo l’angoscia nella sua voce.

“Non mi ha nemmeno sfiorato, sto bene!” Volevo solo calmarlo.

“Stai sanguinando!”

Lo guardai sorpreso e in quel momento sentii la pelle bruciare sotto l’orecchio sinistro. “Oh, io…” Non me ne ero nemmeno accorto. “È solo un graffio.”

“È finita…” Disse Claudio, correndo verso di noi.

“Li avete presi?” Marco era furioso mentre tagliava le corde che mi tenevano ancora legato alla sedia.

“Ne abbiamo due in custodia, ma uno è riuscito a scappare.”

Era accaduto tutto come in un sogno. Solo quando mi fecero sedere sul retro dell’ambulanza iniziai davvero a rendermi conto del pericolo che avevo corso. Una dottoressa si avvicinò per controllare le mie condizioni e medicarmi la ferita sotto l’orecchio.

Marco e Claudio discutevano a voce alta fuori dall’ambulanza. Marco era ancora in preda alla furia e continuava a gridare contro il collega più giovane.

Avevo appena scoperto che erano passate solo poche ore da quando ero stato tramortito e portato via, le telecamere del palazzo avevano ripreso tutte le fasi del rapimento. Nel mio stato di semi coscienza mi era sembrato che fossero passati giorni.

“Non è niente, davvero, è solo un graffio. Non è necessario portarmi in ospedale.” Cercai di convincere la dottoressa. “Voglio solo tornare a casa.”

“Invece sì.” Marco aveva smesso di prendersela con Claudio e si era sporto dentro il vano dell’ambulanza. “Sta arrivando tuo padre, è già in viaggio e sarà in città al massimo entro un paio d’ore.”

Girai di scatto la testa nella sua direzione, sconvolto, e subito me ne pentii quando una fitta mi fece sobbalzare. “No! Perché l’hai fatto?”

Le cose non potevano andare peggio di così, la presenza di mio padre avrebbe solamente causato altri problemi.

Marco mi guardò sconsolato. “È stato il mio capo a chiamarlo, appena ha saputo che eri stato rapito.” C’era anche qualcos’altro nella sua voce. Sembrava preoccupato.

“Non è stata colpa tua.” Dissi d’impeto. “Non potevi prevedere qualcosa di simile. La responsabilità è solo mia.”

Marco abbassò lo sguardo e non disse nulla. Salì sull’ambulanza insieme a noi e chiuse il portellone. “Andiamo in ospedale.” Disse alla dottoressa. Poi sedette rigido accanto al mio lettino e rimase in silenzio, senza nemmeno guardarmi.

Volevo dire qualcosa, arrabbiarmi, insultarlo o abbracciarlo, supplicarlo, ma ero bloccato. Sentii le lacrime bagnarmi le guance e il cuore sprofondare dolorosamente nel petto.

Avevo rovinato tutto.
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