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Gay & Bisex

Questo sono io - 6. Uomo avvisato...


di FinnTanner
14.12.2021    |    9.101    |    10 9.5
"“Posso assicurarti che da quando sei entrato nella sua vita Marco è una persona diversa, con te finalmente è felice..."
Dopo una notte passata in osservazione, papà aveva sbrigato le pratiche per le dimissioni ed eravamo tornati a casa insieme. Temevo quel momento più di qualsiasi altra cosa, quello in cui saremo rimasti soli. Quando non avrei più potuto fare a meno di notare la delusione nel suo sguardo.

Una volta rincasati, invece, mi chiese soltanto se mi andasse qualcosa di caldo. Non sembrava nemmeno arrabbiato. Preparò lui stesso il tè, poi sedemmo uno di fronte all’altro al tavolo della cucina e per la prima volta parlammo come due adulti.

“Mi dispiace.” Mi scusai per la centesima volta.

Oltre il trauma, quell’esperienza aveva riportato a galla dei ricordi spiacevoli che credevo di avere rimosso. Così finii per confidargli anche quello che era successo davvero al liceo, con Fabio. A quel tempo, avevo capito da poco quanto mi piacessero i ragazzi, e Fabio era quello che mi piaceva più di tutti. Lui si era accorto subito delle occhiate che gli rivolgevo ogni volta che credevo di non essere visto, e si era approfittato della mia infatuazione per divertirsi a mie spese. Durante la gita scolastica mi aveva provocato ripetutamente, ed era proprio a causa delle sue bugie che mi ero messo nei guai la prima volta.

“Perché non me l’hai detto?” Chiese papà quando scoprì il vero motivo per cui ero finito all’ospedale durante il quarto anno delle superiori.

Vergogna, orgoglio, semplice stupidità, c’era più di un motivo. Mi strinsi nelle spalle. “Non lo so, credevo che non avresti capito.”

“Ti sei innamorato della persona sbagliata e ti ha spezzato il cuore. È capitato anche a me…”

Sgranai gli occhi. Non riuscivo a credere che mio padre - mio padre! - insomma che anche lui avesse avuto quel genere di problemi.

“Si chiamava Livia ed era la ragazza più sveglia che avessi mai conosciuto. Brillante, curiosa e aveva due…”

“Aspetta, aspetta!” Mi coprii le orecchie. “Non voglio sapere tutti i dettagli!”

“Comunque, la cosa importante è che mi sono avvicinato troppo e sono rimasto scottato. Credevo che il mondo stesse per finire e dopo di lei non ho parlato con altre ragazze per quasi un anno…”

“E poi cosa hai fatto?”

“Poi ho conosciuto tua madre.” Affermò con sicurezza.

Appena la nominò i suoi occhi si illuminarono. Era strano, avevo sempre pensato che non gli importasse affatto di lei. Non ne parlava mai, non aveva conservato nemmeno una sua foto. Lo avevo odiato per questo.

“Lei com’era? Com’era quando l’hai conosciuta?”

Papà rimase a fissare un punto indefinito alle mie spalle per qualche secondo, poi sorrise. “Era uno spettacolo, illuminava tutta la stanza, il suo sorriso era davvero contagioso. Tu le somigli molto Leo, dovresti sorridere più spesso.”

Abbassai lo sguardo sulla tazza di tè che stringevo tra le mani. I ricordi che avevo della mamma erano sbiaditi, immagini isolate, la sensazione di calore che mi trasmetteva, il suo profumo. Ma non volevo farmi prendere dalla malinconia ora che sembravamo aver trovato un minimo d’intesa. Così, iniziai a parlargli dell’università e delle persone nuove che avevo conosciuto.

Non la smettevo più di parlare. Gli raccontai tutto, o quasi. Tenni per me solo i dettagli del rapporto con Marco, e il mio cuore saltò un battito quando pensai a lui.

Papà mi lasciò sfogare. Quella era senza dubbio la conversazione più lunga che avessimo mai avuto. Quando parlai di Marco, però, il suo sguardo si fece più attento. Anche se avevo cercato di nascondere la reale profondità dei miei sentimenti, doveva comunque aver intuito qualcosa.

“Quell’agente, Marco, il questore lo considera un ottimo elemento.” Disse papà. “E nel rapporto ho letto che è stato proprio lui a trovarti. A proposito, dov’è adesso? Voglio ringraziarlo personalmente…”

Sollevai la testa di scatto e una fitta mi fece storcere il naso. Quel dolore e il prurito fastidioso al taglio sotto l’orecchio mi ricordarono che la disavventura del giorno prima non era stata solo un brutto sogno. E soprattutto che quello psicopatico di Ferro era ancora a piede libero. Rabbrividii fino alle ossa ripensando all’ultimo sguardo che mi aveva rivolto prima di sparire.

“Non lo so. Non lo vedo da quando mi ha accompagnato in ospedale.” Sospirai sconsolato, il mio tè era freddo.

Marco non mi aveva più rivolto la parola da quando ci eravamo lasciati alle spalle l’edificio abbandonato dove Ferro mi aveva tenuto segregato. Quando ci eravamo separati all’ingresso dell’ospedale il suo sguardo era strano, spento. Era rimasto a guardarmi finché le porte del pronto soccorso non si erano richiuse tra noi, e quella era stata anche l’ultima volta che l’avevo visto.

Non capivo perché si stesse comportando in quel modo. Tutto quello che era successo era solo colpa mia, me ne rendevo perfettamente conto, ma sparire in quel modo, senza nemmeno una spiegazione, mi lasciava con l’amaro in bocca. All’improvviso mi accorsi di non essere arrabbiato solo con me stesso, ma anche con lui.

Papà non mi forzò a parlarne. Sembrava essere una persona completamente diversa da quella con cui ero cresciuto. Non mi stava assillando e non c’era commiserazione nel suo sguardo. Invece ascoltava.

“Sei preoccupato per lui?” Chiese. “È un ragazzo in gamba, sono sicuro che sappia quello che fa.”

Mi strinsi nelle spalle, non ero davvero preoccupato ma per qualche motivo non mi sentivo nemmeno tranquillo.

Marco era il ragazzo più capace che avessi mai conosciuto, ero certo che fosse in grado di gestire qualsiasi situazione. Ma le parole di Ferro mi rimbombavano ancora nella testa e quel pazzo era riuscito a fuggire da un’intera squadra. Non sarei mai stato tranquillo finché non fosse stato dietro le sbarre.

Quando l’auto venne a prendere papà, stava cominciando a imbrunire. Anche se il nostro rapporto sembrava essere migliorato un po’, non potei nascondere a me stesso di essere sollevato quando ci salutammo.

Una volta solo mi rimasero due scelte, buttarmi sul divano e rimuginare o mettermi a studiare. A pensarci bene, però, non potevo lasciare che quello che stava succedendo influenzasse la mia vita e si stava avvicinando un altro esame, dovevo assolutamente studiare. Prima però avevo bisogno di alcuni libri, così infilai in tasca le chiavi e uscii di casa senza pensarci.

La biblioteca era solo a due fermate in direzione del centro. Dall’altro lato dei binari c’era la ressa del rientro dopo il lavoro, e mentre aspettavo ringraziai il cielo in silenzio per non essere là in mezzo. Il mio vagone invece era quasi vuoto, c’erano solo una coppia di anziani, carichi di buste con i regali, e una ragazzina con i capelli rosa e le cuffie infilate nelle orecchie. Anche se il viaggio sarebbe durato meno di cinque minuti mi sistemai comunque su uno dei sedili vuoti. L’ultimo ritardatario si infilò tra le porte scorrevoli quando si stavano già chiudendo. Aveva il cappuccio tirato sopra la testa, ma era evidente che avesse corso per riuscire a salire in tempo. Anche se indossava una felpa di due taglie più grande che non lasciava intravedere bene il suo fisico, il ritardatario aveva inequivocabilmente le spalle molto larghe ed era alto. Mi irrigidii quando si avvicinò nella mia direzione nonostante gli altri posti fossero tutti liberi.

“Non fare stupidaggini.” Disse con noncuranza sedendosi proprio accanto a me. “Non vorrai rovinare le feste ai nipotini di quei due simpatici vecchietti, vero?”

Mi poggiò un braccio sopra la spalla come se fossimo due amici che si erano incontrati sulla metro. L’anziana seduta di fronte a noi ci rivolse un sorriso gentile e io mi sforzai di rispondere. Da sopra la giacca, sentivo la pressione del coltello nascosto che Ferro mi puntava contro il fianco.

“Scendiamo a questa fermata.” Mi sussurrò all’orecchio, mentre il convoglio iniziava già a rallentare.

Sulla banchina c’era solo una donna con il passeggino scesa da un altro vagone che si stava già affrettando verso l’uscita. Per un attimo pensai di divincolarmi e gridare aiuto, ma il peso del suo braccio sulle spalle e la pressione accentuata del coltello sul fianco mi dissuasero subito.

“Andiamo in un posto più tranquillo,” bisbigliò avvicinandosi fino a poggiare le labbra gelide sul mio orecchio. “Solo io e te.”

Non gli avevo rivolto nemmeno una parola da quando si era fatto riconoscere sulla metro, i pensieri mi vorticavano in testa senza sosta. Avevo il braccio destro bloccato tra di noi, però il sinistro era libero. Strinsi il pugno dentro la tasca del giubbotto e d’un tratto la mia mano sfiorò qualcosa di freddo.

Arrivati davanti alla scala mobile presi un respiro profondo. Sfilai la mano dalla tasca e caricai il pugno con tutta la forza che avevo. Ferro si irrigidì appena, sembrava quasi divertito che alla fine avessi deciso di opporre resistenza e non provò nemmeno a schivare. In ogni caso, non avevo nessuna possibilità di metterlo in difficoltà con un singolo pugno, per di più di sinistro. Quando si accorse dello scintillio metallico tra le mie dita era troppo tardi. Puntai dritto agli occhi, avevo solo un colpo e non potevo rischiare di fallire.

“Bastardo!” Urlò Ferro coprendosi il viso con la mano. “Che cazzo hai fatto?”

Il suo coltello era finito a terra, ma non pensai nemmeno per un attimo di raccoglierlo. Invece approfittai di quel momento per liberarmi con uno strattone e corsi su per la scala mobile tre gradini per volta. Ferro era rimasto piegato su sé stesso alla base delle scale e continuava a imprecare coprendosi il volto con le mani. Le chiavi incastrate tra le mie dita erano intrise di sangue. Appena arrivato in cima alle scale, al sicuro, rimasi solo per un secondo a guardarlo prima di chiamare aiuto.

Un paramedico mi aveva messo una coperta sulle spalle. Stavo ancora tremando quando erano arrivati i soccorsi, ma non per il freddo. Era accaduto tutto talmente in fretta che il vero terrore mi aveva raggiunto solo quando era già finita.

“Claudio!?” Quasi gridai quando riconobbi il compagno di Marco tra gli agenti che erano intervenuti per primi. Allora c’era anche lui?

Erano servite tre guardie giurate della stazione e poi diversi poliziotti per trattenere Ferro, la ferita che gli avevo inferto vicino all’occhio sanguinava copiosamente ma era solo superficiale, e passata la sorpresa aveva tentato di fuggire nuovamente lottando come una belva inferocita.

“Riesci a dirmi cosa è successo?” Mi chiese Claudio. Dal suo tono sembrava quasi che si sentisse in colpa per qualche motivo.

Annuii e gli fornii la mia versione dei fatti, senza omettere nulla. “Lui dov’è?” Gli chiesi alla fine, senza riuscire più a trattenermi.

Non c’era nemmeno bisogno di specificare a chi mi stessi riferendo. Claudio sì guardò intorno nervosamente prima di rispondere.

“È un casino.” Cedette alla fine. “Ai piani alti sono impazziti dopo quello che ti è successo, e anche Marco è uscito fuori di testa. Non mangia e non dorme da ieri, si è gettato a testa bassa nelle ricerche del pazzoide che ti ha ferito. Poi dal nulla è spuntata una pista e gli è stato ordinato di concentrare le ricerche sul lungomare.” Disse tutto d’un fiato.

“Comunque è stato lui a chiedermi di restare vicino a casa vostra con una pattuglia nel caso si fosse trattato di un vicolo cieco…”

Dalle sue parole potevo capire quanto tenesse a lui. Che erano amici oltre che colleghi. Cercai di mantenere un’espressione neutra per non far trasparire tutte le emozioni che mi attraversavano in quel momento. “Poteva farsi sentire.”

“Non arrabbiarti con lui. Te l’ho detto, è davvero andato fuori di testa.” Disse Claudio sulla difensiva. “Posso assicurarti che da quando sei entrato nella sua vita Marco è una persona diversa, con te finalmente è felice...”

Quella rivelazione mi lasciò stordito. Marco era davvero felice di avermi conosciuto? Dopotutto, gli avevo causato solo problemi. Eppure, Claudio lo disse con una tale convinzione che era difficile non credergli. Il cuore mi batteva nel petto all’impazzata. Quanto potevo essere egocentrico per preoccuparmi solo che non avesse trovato il tempo di venire a trovarmi nel bel mezzo di un’emergenza? Come potevo essere arrabbiato con lui quando in realtà volevo soltanto riabbracciarlo.

Claudio stava ancora parlando quando Marco mi corse incontro.

“Sei ferito?” Chiese preoccupato, stringendomi a sé.

“Sto bene… sono contento di vederti.” Gli dissi, un po’ più duramente di quanto avessi voluto.

Il mio tono lo lasciò disorientato per qualche istante. “Io…” Sembrava indeciso su come continuare. “Non so cosa avrei fatto se ti fosse successo qualcosa.”

“Sto bene, davvero. Nemmeno un graffio, vedi?” Aggiustai il tiro, cercando di sembrare più tranquillo e mi tirai indietro quel poco che bastava per dimostrargli che ero tutto intero.

Comunque, lui non mi lasciò andare nemmeno per un secondo.

“Andiamo a casa.” Lo supplicai quando sembrò convincersi che stavo dicendo la verità.

Marco mi rivolse un altro sguardo preoccupato, poi si voltò in direzione dell’ambulanza.

“Niente ospedale!” Lo bloccai prima ancora che avesse la possibilità di proporlo.

“Ho anche già rilasciato una dichiarazione preliminare, giusto?” Mi rivolsi al povero Claudio che era rimasto lì a guardarci spaesato per tutto il tempo. “Possiamo andare, vero?”

Il mio sguardo supplichevole dovette impietosirlo. “Si, si. Nei prossimi giorni se necessario verrai convocato…”

“Grazie!” Gridai, trascinando via Marco prima che potesse cambiare idea. “Grazie di tutto!”

“Tu non fare stupidaggini.” Lo pregai mentre passeggiavamo verso casa. Quella sera non mi andava di riprendere la metro e comunque un po’ d’aria fresca sarebbe servita a entrambi per schiarirci le idee.

Marco sorrise con freddezza. “Non preoccuparti, non ho intenzione di andare a trovarlo nella sua cella.” Mormorò con un basso ringhio che mi fece rabbrividire. Era ancora arrabbiato. “Dopo quello che ha fatto, e con i suoi precedenti, sarà troppo vecchio per far male anche a una mosca quando uscirà di prigione.”

Sospirai di sollievo sentendo le sue parole. Forse era davvero finita stavolta.

“Per quanto riguarda te, invece,” proseguì Marco con un tono severo. “Ti avevo avvertito su cosa sarebbe capitato se mi avessi fatto preoccupare di nuovo in questo modo!”

Mi voltai a guardarlo sorpreso, il suo sguardo era assolutamente serio.

Il getto di acqua calda mi aiutò a rilassare i muscoli tesi e rimasi sotto la doccia molto più del dovuto. Per tutto il tempo ripensai alla giornata appena trascorsa e per un lungo momento rimasi appoggiato alla parete, sentendomi esausto. Poi mi rimproverai, dopotutto non avevo fatto nulla di male. Anche se avevo ferito una persona era stato solo per difendermi, e comunque non dovevo più pensare a Ferro. Ormai era tutto finito.

Chiusi l’acqua e uscii dalla doccia in una nuvola di vapore. Mentre percorrevo il corridoio sentii Marco armeggiare nella sua stanza. La porta era aperta e lo vidi di spalle intento a sfilarsi i pantaloni della divisa. Il respiro mi si bloccò in gola e il mio cazzo pulsò sotto l’asciugamano che avevo stretto intorno ai fianchi. Come poteva una persona essere così dolorosamente attraente? Quella sensazione di dovermi trattenere per non saltargli addosso era completamente nuova per me.

“Hai intenzione di rimanere lì tutta la sera?” Domandò Marco all’improvviso, costringendomi a tornare in me.

Non si era nemmeno girato, ma in qualche modo doveva essersi accorto che lo stavo fissando, non sapevo neanche io per quanto tempo ero rimasto li impalato. Intanto lui si era liberato dei pantaloni e quando si voltò verso di me l’espressione sul suo viso era piuttosto eloquente, se mai la stoffa delle sue mutande messa a dura prova non lo fosse stata abbastanza.

D’un tratto, mi accorsi che stavo di nuovo tremando.

“Hai paura?” Mi chiese.

Scossi la testa, in quel momento avrei fatto qualsiasi cosa per lui.

Marco mi rivolse un sorrisetto ambiguo. “Be’, dovresti…”

Aprii la bocca per rispondere ma non me ne diede l’occasione.

“Inginocchiati.” Ordinò subito dopo.

Stavo sognando, vero? Avrei dovuto darmi un pizzico per esserne sicuro. In ogni caso le mie gambe reagirono da sole e mi ritrovai davvero in ginocchio.

Nel frattempo, Marco aveva infilato le dita sotto l’elastico della sua biancheria intima e un attimo dopo liberò il mostro imprigionato all’interno. Sulla punta luccicava già una minuscola goccia trasparente.

Si avvicinò minacciosamente facendo oscillare l’asta fino a pochi centimetri dalle mie labbra. Poi si chinò e mi afferrò il mento, costringendomi a distogliere lo sguardo dal suo enorme cazzo e guardarlo negli occhi. “Stai attento ai denti.” Disse soltanto.

Ero pietrificato, in realtà, quel suo repentino cambio di personalità un po’ mi spaventava e deglutii rumorosamente a vuoto prima di annuire.

Appena aprii la bocca, spinse il suo cazzo tra le mie labbra, senza preavviso. Semplicemente abbrancò la mia testa tra le mani e si fece largo riempendomi fino all’ingresso della gola. Quando capii che non si sarebbe accontentato di farselo succhiare gli afferrai le cosce per spingerlo indietro ma era come premere contro la solida roccia.

Si spinse in profondità nella mia gola, facendomi soffocare. Non mi aspettavo un’invasione tanto repentina e brutale e fui scosso da una serie di conati violenti.

“Ti conviene iniziare a respirare con il naso, perché non ho nessuna intenzione di fermarmi.”

Lo disse con cattiveria, e senza nemmeno lasciarmi il tempo di adattarmi prese a muoversi dentro e fuori dalla mia gola contusa, spingendo come un animale. Le sue palle oscillavano fino a colpirmi il mento ogni volta che affondava tra le mie labbra.

“Cazzo, mi fai impazzire!” Ansimò sprofondando nella mia gola senza alcuna gentilezza, mi stava usando come un bambolotto.

Nonostante tutto però ero certo di una cosa, ero eccitato come non mai e volevo disperatamente toccarmi. Quando provai ad afferrare il mio cazzo schiacciato sotto l’asciugamano Marco allontanò la mano con un piede.

Attraverso le lacrime lo vidi sorridere soddisfatto, e rapidamente come era entrato sfilò l’asta dalle mie labbra. Nel giro di qualche secondo ero sul letto completamente nudo, e Marco era sopra di me.

“Ti sono mancato?” Mi chiese allineando il suo cazzone al mio ingresso posteriore.

Si fece largo senza preliminari, fissandomi negli occhi. Fortunatamente l’asta era impregnata della mia saliva, perché non si preoccupò di utilizzare lubrificante.

Sussultai per l’inevitabile dolore.

“Questo ti è mancato?” Ringhiò spingendosi più in fondo, il peso del suo corpo mi stava già schiacciando.

Potevo solo gemere in risposta. Era come la prima volta, a un tratto si era trasformato in una persona completamente diversa.

Squassato dalle sue bordate violente, avrei dovuto chiedergli di calmarsi, dirgli che mi stava facendo male, di fare più piano, invece, mi aggrappai alle sue spalle e lo tirai verso di me. Era normale non volere che tutto questo finisse? Quel pensiero fugace attraversò la mia mente mentre mi impossessavo delle sue labbra. Baciando, succhiando e mordendo ogni centimetro del suo viso che fosse alla mia portata.

La mia reazione sembrò eccitarlo, e i suoi respiri si fecero più pesanti e veloci. Per un secondo pensai che stesse per venire, invece tirò fuori il suo cazzo. “Non ancora.” Ansimò, asciugandosi il sudore dal petto.

Non avevo mai visto niente di più eccitante del suo viso arrossato per la foga e del suo corpo lucido di sudore che torreggiava su di me.

“Questa volta non te la caverai così facilmente.” Ringhiò minaccioso, a denti stretti. Poi mi costrinse a sollevare lo sguardo, afferrandomi per i capelli e mi sputò in faccia.

Mio malgrado, mi ritrovai a piagnucolare pietosamente. Non per l’umiliazione di quel gesto o il bruciore della brutale penetrazione che avevo appena subìto, ma per il senso di vuoto che aveva lasciato tirandosi indietro. Quella rivelazione mi scosse nel profondo.

Marco però non mi lasciò il tempo di riflettere su me stesso. Mi fece girare a pancia sotto e mi sollevò i fianchi per esporre il mio buco arrossato. Ci sputò sopra una volta, e appoggiò la punta del suo cazzo all’ingresso bagnato.

Mi preparai per un'altra invasione brutale, invece questa volta scivolò dentro lentamente, ma fino in fondo e senza fermarsi. Mi contorsi sotto di lui, appena iniziò a muoversi piano avanti e indietro.

Avevo difficoltà a concentrarmi, tutto il mio mondo si era ridotto al cazzo che avevo nel culo. All’improvviso volevo compiacerlo e provai a stringere mentre faceva scivolare fuori l’asta quasi per intero.

Un lampo di dolore mi attraversò il cervello e nello stesso momento Marco gemette a voce alta.

“Fallo ancora!” Ansimò, chinandosi su di me e abbracciandomi da dietro.

Non volevo assolutamente rifarlo, faceva troppo male.

“Fallo ancora!” Ordinò spingendo con forza ogni centimetro del suo cazzo in fondo alle mie viscere.

Sgranai gli occhi e scossi la testa piagnucolando. “Fa male!” Gemetti lamentoso.

“Fallo! Ancora!” Ripeté, sottolineando ogni parola con una spinta più potente della precedente. Ogni volta che entrava così in profondità una scossa mi attraversava la spina dorsale fino alla base del collo, lasciandomi senza fiato. Faceva male, si, e tanto, ma c’era anche qualcos’altro che mi faceva desiderare soltanto che non si fermasse mai.

“No!” Sibilai a denti stretti, solo per infastidirlo.

Come previsto, Marco espirò rumorosamente, e aumentò sia il ritmo che l’intensità delle bordate. Iniziò a far uscire quasi completamente il suo cazzone per rituffarsi subito dentro con violenza, senza lasciare al mio corpo il tempo di adattarsi.

Riuscivo a stento a trattenermi dal gridare ad ogni affondo. Era diventata quasi una lotta, e non so per quale motivo ma non volevo dargli la soddisfazione di arrendermi a lui troppo in fretta. Serrai i denti, testardo, almeno finché non mi strinse più forte a sé e le sue dita ruvide sfiorarono i miei capezzoli.

Gemetti all’istante, irrigidendo involontariamente ogni singolo muscolo.

Alla fine, fu il mio stesso corpo a tradirmi, e appena anche lui se ne accorse ne approfittò senza pietà. “Sei finito!” Gongolò divertito al mio orecchio, e afferrò un capezzolo tra il pollice e l’indice iniziando a torcerlo rudemente mentre spingeva.

Sospeso tra il dolore e il piacere, presto mi resi conto che resistergli sarebbe stato del tutto inutile. “Aspetta.” Lo supplicai. “Rallenta, così mi fai male...” Mi sembrava di essere diviso a metà ogni volta che il suo cazzo sprofondava dentro di me fino alle palle.

“No!” Ridacchiò bisbigliando al mio orecchio e mi strinse ancora più forte a sé, senza accennare a darmi tregua.

Mi sembrava di morire. Mentre mi scopava le mani di Marco vagavano sul mio petto, sul collo e sullo stomaco, accarezzando, spremendo e strizzando ogni centimetro della mia pelle. Il calore che sentivo nel ventre stava diventando sempre più intenso, espandendosi verso le palle e il mio cazzo duro come la roccia. Se solo mi avesse permesso di toccarmi sarei esploso in meno di un secondo.

“Ci siamo quasi.” Ansimò.

Avvertivo il suo cazzo pulsare dentro di me. Ogni spinta mi causava ripetute scariche di dolore e piacere inestricabilmente intrecciati insieme, avvicinandomi sempre di più al limite. “Non ce la faccio più…” Provai ad avvertirlo senza fiato.

Non sapevo nemmeno se mi avesse sentito fino a che le sue dita non strinsero il mio cazzo. “Ecco, adesso!” Grugnì assestando una serie di bordate feroci e allo stesso tempo iniziò a masturbarmi.

“Oh, cazzo!” Gridai. L’orgasmo fu devastante. Schizzai uno scoppio dopo l’altro al ritmo imposto dalla sua mano, non sapevo di poter venire così tanto. Anche Marco ululò nello stesso momento, e sentii il suo cazzo contrarsi ripetutamente mentre mi riempiva schizzo dopo schizzo.

Mi sentivo debole, mi faceva male ogni singolo muscolo del corpo e mi ci volle ogni briciolo di energia per riuscire a girarmi sotto di lui.

“Credo di amarti.” Sospirai con il cuore che mi rimbombava nel petto, quando la nebbia dell’orgasmo iniziò lentamente a disperdersi.

L’avevo davvero detto ad alta voce? Quando me ne resi conto arrossii fino alla radice dei capelli.

Restammo a fissarci per un lunghissimo istante, poi il suo viso si illuminò e mi sorrise. “Ti amo anche io.” Sospirò guardandomi dritto negli occhi, un attimo prima di baciarmi.
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