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Intimo per signora


di HarrymetSally
31.03.2021    |    27.686    |    21 9.5
"Avevo lasciato entrare in casa un vampiro con un sorriso e una ventiquattrore, e adesso sarei stata divorata..."
Era sera inoltrata e mi annoiavo. Mio marito era fuori per una conferenza di due giorni tra professionisti del settore, ed io non ero invitata. Immaginavo che a quell’ora fosse già cominciata la cena di gala, nel quale uomini sgualciti dentro abiti perfettamente stirati corteggiavano donne dallo spacco vertiginoso e dalla scollatura ombelicale che però volevano essere apprezzate per la loro intelligenza, stordendole con chiacchiere insignificanti, tutto in nome del "fare network.”
Io stavo facendo network con un paio di amiche in chat, più che altro lamentandomi come mi viene facile quando la mia indole capricciosa è libera dai vincoli della buona educazione.
Mi trovavo da qualche parte tra “quel figlio di puttana mi ha mollata qui come un rasoio usato” e “quel porco avrà toccato il culo di tutte le stagiste” quando udii suonare il campanello.
Ebbi un moto di speranza. Magari aveva deciso di lasciare tutto e tornare dalla sua mogliettina. Probabilmente, come suo solito, aveva dimenticato le chiavi a casa, e adesso se ne stava lì, sull’uscio, speranzoso.
Forse, in fondo, almeno metà degli insulti che gli avevo rivolto in quegli ultimi dieci minuti erano immeritati! Congedai in fretta le mie due amiche, promettendo loro di richiamarle prima di andare a dormire.
“Arrivo!” dissi. In realtà, non avevo in programma di aprirgli subito. Corsi in bagno e applicai con cura il rossetto che lui adora, un color cremisi che incendiava le mie labbra, esaltandone il contorno sottile.
Indossavo un abito da cocktail nero, che avevo usato per il meeting di fine progetto tenutosi poche ore prima in un noto tempio dell’altolocata movida milanese. Era sexy ed elegante, e non trovai motivo di cambiarlo, ma lo rassettai sistemando le pieghe qua e là. Non portavo alcun reggiseno, i miei seni alti e sodi mi consentivano quel vezzo, e il mio culetto era inguainato in un perizoma nero molto semplice. Non uno di quelli da farlo impazzire, ma comunque abbastanza grazioso, e in ogni caso era assai più di quanto meritasse. In fondo erano quasi le dieci e io mi ero dovuta arrangiare fino a quel momento!
Il campanello suonò una seconda volta, segno che l’attesa lo aveva cotto al punto giusto.
Diedi una spazzolata veloce ai capelli, riavviandoli davanti allo specchio, e corsi ad aprire la porta.
La visione che mi si presentò davanti non era quella che mi aspettavo.
Un uomo alto circa un metro e novanta, con ampie spalle e una mascella molto forte mi sorrideva con un certo imbarazzo.
“Buonasera, spero di non averla disturbata.”
Il sorriso timido e l’espressione lieve dei suoi occhi chiari disinnescarono parzialmente il mio senso di allarme di fronte a quello sconosciuto. Rimasi sulla soglia, appoggiata allo stipite con un’espressione interrogativa, ma senza l’ansia che talvolta mi coglie davanti all’imprevisto.
“Cosa posso fare per lei?” Notai che aveva una valigetta nera al suo fianco, e sperai ardentemente non si trattasse di qualche fantasioso culto religioso venuto a benedire la casa di questa peccatrice.
“Mi scuso per l’orario, ma il mio responsabile mi ha detto che di solito è la fascia preferita dalle signore della zona, che sono spesso impegnate fino a tarda sera. Sto ancora imparando il mestiere, e spero di non averle creato un disagio….”
Non sapevo cosa rispondere. In effetti mi aveva creato un disagio, ma i suoi modi gentili mi indussero a non essere troppo rude. E poi si sa, la curiosità è femmina.
“Che mestiere sta imparando, esattamente?” chiesi, con una punta di divertita ironia. Tra una excusatio e un’altra, ancora non sapevo cosa era venuto a fare.
“Ah, già. Che sciocco, mi scusi ancora. Vede, io rappresento un nuovo brand nel campo dell’intimo per signora. Non solo lingerie, anche clubwear….”
Lo interruppi. Troppe parole straniere in una sola frase. Mi domandai quale decerebrato gestisse i corsi di comunicazione di questi ragazzi, mandandoli in giro a farsi sbranare dalle volubili signore della Milano da bere.
“Capisco… beh, io ho una collezione di intimo molto variegata, in realtà. Mio marito non fa che comprarmi perizomi, chemise e calze autoreggenti. E, come forse avrà notato, non ho un gran bisogno di reggiseni.” Fui perfida. Avevo colto le occhiate in tralice che quell’uomo mi lanciava, illudendosi di passare sotto i miei radar. Con occhio reso educato dalla deformazione professionale, mi aveva di certo preso le misure, per lo meno sul lato A.
“Ehm… mi scuso davvero se sono stato inopportuno, io….”
Lo spettacolo di un uomo di quasi due metri che arrossiva mi divertì, così decisi di giocare ancora un po’.
Feci una mezza piroetta su me stessa, lentamente, consentendogli di ammirare la mia schiena e il culo.
“Immagino che ora avrà una idea chiara delle mie misure…”, dissi poi, tornando a guardarlo.
“Ehm, sì, direi che oscilliamo tra 38 e 40, dipendentemente dal modello.” Sorrise, leggermente rincuorato dal fatto di poter far valere una sua competenza nella conversazione. In effetti, ci aveva preso in pieno.
“Però, come le dicevo, non ho un particolare bisogno in questo momento” aggiunsi, cominciando a richiudere la porta.
Lo spirito del venditore porta a porta è per sua natura indomito. Un po’ come gli antichi soldati persiani, che avevano la scelta tra le picche di fronte a loro e la frusta dietro di loro, i rappresentanti devono scegliere tra essere molesti ed essere disoccupati. La maggior parte di loro sceglie la prima opzione. A quel punto, tutto dipende da come decidono di molestarti. Alcuni di loro sanno molestarti dolcemente.
“Capisco signora, ma vede, credo che il suo corpo perfetto meriti qualcosa di unico, e io in questa valigetta ho capi che, sono certo, non hanno ancora un posto nel suo cassetto della biancheria.”
Un punto per lui, anzi tre. Primo, solleticare la mia vanità è sempre una scelta saggia, perché sono una bella donna e mi piace che gli uomini lo riconoscano apertamente. Secondo, la frase era ben formulata. Denotava cultura e una scintilla di creatività, oltre ad un certo sangue freddo. Terzo, e più importante, il corpo era rimasto fermo dov’era. Non aveva tentato di mettere il classico “piede nella porta”, come a volte ti insegnano in quei corsi per aspiranti barracuda che vengono impropriamente denominati “comunicazione assertiva.” Al contrario, era rimasto immobile, rispettoso del mio spazio.
“D’accordo – dissi – facciamo un patto. Ora io la farò entrare, e lei mi mostrerà il suo primo capo. Se troverò che lei ha ragione, le offrirò un caffè e mi farò consigliare un indumento da provare. In caso contrario, la rispedirò su quella strada in tempo zero, e la avverto che so essere molto scorbutica quando decido. Accetta la sfida?” Sorrisi, giusto per ammorbidire leggermente la spigolosità di quella offerta.
Allungò la mano, afferrando la mia e stringendola con delicatezza e decisione. “Affare fatto” disse.
Aveva mani enormi, ma molto ben curate. Si vede che era un uomo che teneva al proprio aspetto, fin nei più piccoli dettagli. Anche mio marito amava essere in forma, ma la pluriennale passione per la Boxe Thailandese gli aveva lasciato in dote mani perennemente scorticate e lividi ovunque. La pelle del venditore, al contrario, appariva liscia, luminosa e profumata come se fosse appena uscito da un centro SPA.
Lo feci accomodare in salotto, un’ampia stanza arredata in stile shabby con un divano sulla parete più interna. Non sedette. Al contrario, appoggiò la valigetta sul tavolo, aprendola con un movimento simultaneo dei due pollici, e cominciò ad esaminare il proprio campionario con un’espressione concentrata sul volto.
Era evidente che la prospettiva di essere buttato fuori non gli piaceva moltissimo. Mi scoprii divertita da quel piccolo gioco.
Se a suonare il campanello fosse stato mio marito, a quest’ora sarei stata probabilmente a novanta gradi sul divano, con il suo martello da guerra tra le cosce e le sue mani strette sulle mie natiche. Quel diversivo non era la stessa cosa, ma come premio di consolazione poteva anche andare.
Gli rivolsi un sorriso civettuolo. “Allora, trovato qualcosa che possa esaltare la mia figura?”
Il venditore sollevò gli occhi dal campionario e mi squadrò.
“Signora mia – rispose – è assolutamente impossibile esaltare la sua figura più di quanto non ci abbia già pensato la Natura. Tutt’al più, posso sperare di non rovinarla.”
Accidenti, questa di sicuro non l’aveva imparata ai corsi per commerciali! La sfrontatezza del complimento, accompagnata dal suo sguardo virile sulle mie forme, mi diede il primo brivido della serata. Quell’uomo poteva essere alle prime armi nel settore vendite, ma di intimo per signora ne aveva visto, e sfilato, parecchio!
Si avvicinò portandosi a pochi centimetri dal mio viso. Potei annusare la fragranza del suo dopobarba, qualcosa che sapeva di pulito e di forte. Si era rasato di fresco per presentarsi alla mia porta, e il morso del rasoio gli aveva qua e là imporporato il collo, in un modo che trovai molto mascolino su quella pelle forse fin troppo delicata.
“Se permette, vorrei essere sicuro di scegliere qualcosa che rispetti la sua splendida silouette.”
Mi prese delicatamente per una mano, facendomi compiere un giro su me stessa. L’altra mano sfiorava il mio fianco per assecondare la rotazione. Parve compiaciuto.
“Sì, decisamente direi qualcosa di attillato. Inoltre, se non le spiace… ha detto che non indossa reggiseno, giusto?”
“Esatto, ma….” Non ebbi il tempo di finire la frase. Arrestando la mia giravolta a metà strada si portò alle mie spalle, infilandomi le braccia sotto le ascelle.
Avvertii i palmi delle sue mani enormi sfiorarmi i capezzoli con piccoli movimenti circolari. La stoffa del mio vestito era talmente sottile da farmi quasi avvertire il contatto sulla pelle. Come sempre, i miei capezzoli mi tradirono all’istante, ergendosi come punte di spillo alla prima sollecitazione. Ho sempre avuto questo problema, fin da ragazzina. Bastava un soffio di vento, un piccolo abbassamento di temperatura o anche semplicemente un suono particolare e i miei capezzoli si rizzavano facendomi fare la figura della troia. Con il tempo, ho imparato ad abituarmi a quegli scomodi compagni di viaggio, ma stavolta mi avevano giocato proprio un brutto tiro!
“Che cosa diavolo sta facendo?!” esclamai stizzita, ma era difficile suonare autoritaria con i capezzoli in tiro.
“Mi scuso se il mio comportamento le è parso inappropriato – disse, senza allontanare le mani – volevo semplicemente verificare perché spesso donne della sua corporatura e carnagione tendono ad avere capezzoli molto prominenti e deliziosamente sensuali, e alcuni capi del mio inventario sono concepiti apposta per far risaltare questa sua caratteristica.” Il tono di voce era piatto, privo di qualunque imbarazzo. Non dava per nulla l’impressione di essere stato colto in flagrante. Era semplicemente un solerte professionista che si stava dedicando al proprio lavoro. Essendo io stessa estremamente non convenzionale nello svolgimento dei miei doveri, non mi sentii di biasimarlo.
“Capisco - risposi – mi scuso se l’ho mal giudicata. Confido che adesso abbia tutti gli elementi per scegliere un capo adatto.”
“Quasi”, rispose, e con un rapido movimento della mano mi fece voltare ancora. Avvertii le dita accarezzare i miei fianchi e poi giù, scendere lungo le natiche seguendo senza esitazioni la curva disegnata sotto il vestito dal mio perizoma.
“Vedo che ama un tipo di mutandina molto succinta, quindi anche abiti a forte gradiente di trasparenza potrebbero fare al caso suo” disse.
Gli sorrisi. “E’ sempre così meticoloso nel suo lavoro?”
“Sempre – confermò – il nostro è un campo estremamente competitivo. L’unica possibilità di sopravvivenza per aziende come la nostra è offire al cliente un’esperienza unica, personalizzata.”
“Capisco cosa intende – risposi mentre mi ricomponevo dopo le sue… misurazioni – Sono anche io una libera professionista in ambiti competitivi, ed essere meticolosi, quasi zelanti, è l’unica possibilità.”
La compagnia di quell’uomo stava risultando inaspettatamente gradevole. Era un buon conversatore, e presentava quella gradevole mescolanza di audacia e rispettosità che amavo trovare in un uomo, anche solo in un rapporto cliente-venditore.
“Dunque – proseguì mentre armeggiava con il contenuto della valigetta – avrei pensato di farle sceglere uno tra questi due capi. E se nessuno di essi dovesse soddisfare le sue esigenze, beh, in quel caso prenderò quella porta e mi spedirò sulla strada da solo, risparmiandole la fatica!”
Estrasse un primo indumento dalla valigia, e lo liberò con fare esperto dalla confezione. Era una sorta di tuta elasticizzata a rete, di cui era difficile intuire la forma una volta indossata.
“Sembrerebbe una tuta” dissi, con un’ombra di perplessità mentre prendevo l’abito tra le mie mani, saggiandone la tessitura.
“Tecnicamente, viene definita catsuit. È adatta a situazioni particolari, se vogliamo anche un po’ estreme. Potrà notare la rete a larghe maglie che, una volta indossata, lascerà ampia visibilità alle sue bellissime forme.”
“Grazie – risposi – ma non mi sembra un indumento molto comodo. Nelle intenzioni dovrebbe essere un capo provocante, è ovvio l’intento di sviluppare un desiderio sessuale nell’osservatore. Però poi la tuta rende estremamente difficile… l’accesso a certe aree, diciamo. Non sempre ho voglia di dovermi spogliare completamente, a volte i tempi sono stretti, se capisce cosa intendo.”
Il venditore sorrise con l’aria di chi aveva appena mosso uno scacco matto.
“Capisco perfettamente quello che intende, ed è per questo che la catsuit che tiene tra le mani è aperta nel mezzo. Grazie al suo design appositamente studiato, questo capo consente accesso diretto a… diciamo entrambe le aree interessate da un possibile atto sessuale, senza richiedere alcuno sforzo.”
In pratica, potevo farmi scopare la fica e il culo senza dovermi nemmeno abbassare una spallina, se avevo capito bene. A mio marito sarebbe piaciuto…
“Posso vedere l’altro capo?” chiesi.
Mi porse una cosuccia microscopica di cui non riuscivo neppure a decifrare il verso corretto.
“È sicuro di non aver infilato per sbaglio un abito della Barbie?” chiesi, esplodendo in una risata.
“Sicurissimo, guardi, sono disposto a raggiungere la strada direttamente dalla finestra, se sbaglio!”
Lo squadrai con la mia aria più severa da professoressa, quella che da anni assoggettava mandrie di studenti al mio volere.
“È un bel salto, da qui….”
“Mi metta alla prova.”
“D’accordo” acconsentii, e feci per ritirarmi nell’altra stanza al fine di cambiarmi.
“Se posso permettermi di darle un suggerimento – disse l’uomo, afferrandomi il polso – è perfettamente inutile che si faccia tutto il corridoio per cambiarsi. In ogni caso, quando lo avrà indossato, ci sarà ben poco spazio per l’immaginazione. Siccome immagino voglia il mio parere, le conviene risparmarsi la strada avanti e indietro. Sembra un lungo corridoio, da qui….”
Di solito detesto essere scimmiottata, ma era fatto con eleganza e mi divertì.
La combinazione della ferma presa sul mio polso e della voce suadente mi solleticava delle strane corde in fondo alle viscere, qualcosa che aveva a che fare con il mio patrimonio genetico di femmina.
Ero al bivio, potevo divincolarmi stizzita o sorridergli. Imboccai la seconda strada.
“D’accordo. Allora si renda utile e mi aiuti col vestito.”
“Sono a sua assoluta disposizione”, disse abbandonando la presa sul mio braccio e dedicandosi alla lampo sulla mia schiena.
L’abito si ritrovò sul pavimento in un istante. Era evidente che non era la prima volta che spogliava una donna.
“Che lavoro faceva, prima di questo, se posso chiedere?” domandai mentre balzavo fuori dal vestito ormai accartocciato sul pavimento.
“Ho fatto il massaggiatore per un po’, ma ho preferito cambiare.” Mi squadrava apertamente la schiena nuda e il culo, accarezzandone le curve con i gesti professionali di chi sta solamente prendendo delle misure.
“Come mai?”
“Vede, le mie clienti erano spesso donne molto avvenenti, e dopo un po’ cominciò a sembrarmi molto disonesto farmi pagare per qualcosa che dava piacere a me in primo luogo.”
“Le fa onore – commentai mentre prendevo il vestitino della Barbie nelle mie mani.
“No” mi fermò il venditore, afferrandomi nuovamente per il polso. Aveva uno strano modo di muoversi, spesso lento e sornione, ma con scatti repentini che in più di una occasione mi avevano fatto sentire disarmata. Mi faceva venire in mente uno di quegli alligatori che avevo visto sonnecchiare nei documentari, salvo poi azzannare la preda con fulminea efficienza.
Lo guardai con aria interrogativa ed una punta di irritazione. Non sono schiva e non mi dispiace essere seminuda davanti ad un estraneo, ma decido io quando e quanto a lungo.
“Prego?”
“Vede, se osserva bene la conformazione dell’abito, noterà che, oltre alle trasparenze, vi sono questi curiosi tagli nel tessuto. Deve pensare a questo modello come a un Fontana, se ha presente. I tagli servono ad aprire una dimensione diversa, passare oltre la bidimensionalità e rivelare ciò che vi si nasconde.”
“E sarebbe?”
“Vede, è questo il punto. Se lei mette un perizoma, anche succinto come il suo, mortifica la natura del vestito. Il taglio dovrebbe rivelare la pelle e coinvolgere l’osservatore in un perverso voyerismo. A meno che non lo consideri troppo audace, ovvio….”
Credo che fu quello il momento in cui caddi nella sua trappola. Aveva annusato la mia ùbris, la prepotente arroganza del mio sentirmi femmina e avventuriera, e la stava usando per farmi muovere a suo piacere. In retrospettiva, quello fu il preciso istante in cui gli consegnai il comando, ma in quel momento mi parve di dover mettere quel venditore inesperto al suo posto.
“Vedremo se è abbastanza audace” dissi sdegnosamente, e gli chiesi di sorreggermi mentre mi liberavo del perizoma.
Lo fece con estrema delicatezza, sfiorandomi appena il fianco e offrendomi una mano per sostenermi.
Fui percorsa da brividi che mi sollevarono la pelle ed inturgidirono nuovamente i miei capezzoli, maledetti loro!
L’uomo se ne accorse, e afferrò al volo l’occasione di saggiarli con il palmo e con le dita. Dapprima vi fece scorrere i polpastrelli, poi il dorso dell’indice e del medio.
“Sono davvero seni meravigliosi, così adatti alla nostra linea di clubwear! Mi creda, non tutte le donne possono indossare abiti di grande carica erotica, e conservare al tempo stesso grazia ed eleganza. Lei ha l’equilibrio e le proporzioni di una etoìle.”
Con quei complimenti così sfacciati, eppure ancorati ad una logica professionale, aveva sapientemente disinnescato la mia indignazione, obbligandomi a stare al gioco.
“Non è facile trovare un venditore che ami così tanto il proprio prodotto.”
“Io amo il corpo della donna e qualunque cosa gli renda giustizia” rispose, continuando ad accarezzarmi i seni. Ormai mi si era seccata la gola.
Mi erano rimaste soltanto le autoreggenti nere.
“Crede che dovrei toglierle?” chiesi indicandole, con una remissività che mi sorprese.
“No, l’autoreggente offre un delicato intrico di trasparenze, sfidando l’osservatore a vincere la resistenza del pizzo per poter scorgere la pelle.”
“Mio Dio – esclamai – mai avrei pensato che dietro un abito si potesse celare tanta scienza!”
“Come le dicevo, l’unica possibilità è offrire al cliente un’esperienza unica.”
“Unica lo è di certo” risi, mentre la sua mano scendeva lungo i fianchi, accarezzava l’esterno della coscia e si spostava all’interno. Avvertii le sue dita sfiorare la mia sottile striscia di peluria e la morbida carne al di sotto di essa.
“Oh” mi sfuggì dalle labbra, contro la mia volontà.
“È bello vedere che anche tra donne di classe e cultura come lei c’è ancora chi ama conservare un po’ di pelo. Personalmente, trovo che conferisca un alone di mistero ed esalti le caratteristiche del vestito.”
Era un commento molto diretto, quasi grezzo, eppure mi lusingò. Mi abbandonai un po’ di più al suo tocco, schiudendo leggermente le cosce. Contro ogni mia previsione, il venditore non ne approfittò. Al contrario, ritrasse la mano e si allontanò di un passo.
“Mi faccia vedere come le sta” disse.
Il languore che mi si era insinuato dentro era difficile da ricacciare indietro, ma mi sforzai di fare quanto chiedeva, senza rendermi conto che gli avevo obbedito ancora.
Armeggiai con quell’abito strettissimo persino per me, ma devo ammettere che il risultato fu intrigante.
Le trasparenze e i tagli generavano un tortuoso intreccio tra pelle nuda e tessuto, rispettando alla perfezione le curve del mio corpo con un risultato, senza falsa modestia, da mozzare il fiato.
“Come sto?” dissi infondendo alla mia voce una falsa insicurezza mentre sfilavo orgogliosamente di fronte a lui.
“Semplicemente meraviglioso” rispose mentre si avvicinava alle mie spalle, annunciato dal suo dopobarba.
Quasi senza una vera decisione, mi trovai a reclinare il busto all’indietro, abbandonando la testa contro il suo petto. Le sue mani corsero lungo la curva delle mie gambe, indugiando sulla fascia di pizzo dell’autoreggente per qualche interminabile istante. Pollice ed indice cominciarono ad avventurarsi sulla pelle. Avvertii il suo respiro farsi più denso, ma quando parlò il tono era ancora molto professionale.
“Vede quello che le dicevo? Come l’orlo del vestito e il pizzo delle calze cospirano per irretire l’osservatore? Questo gioco tra la pelle e il tessuto farà impazzire il suo uomo, ne sono certo.”
Cominciai ad ansimare anche io mentre mi lasciavo tormentare dalle sue dita che scendevano e risalivano, giocando con l’orlo dell’abito.
“Crede che gli piacerà, quindi?”
“Io penso di sì, ma non voglio darle certezze prima di aver verificato alcuni importanti dettagli” rispose con aria critica.
“Quali dettagli?” chiesi, ondeggiando insieme a lui in una sorta di figura di tango. Una mano continuava a giocare al confine tra vestito e autoreggenti, stuzzicando la pelle di tanto in tanto, ma senza mai oltrepassare il confine della coscia.
L’altra mano era risalita, quasi senza che lo notassi, ad accarezzarmi nuovamente ora un seno ora l’altro. I miei capezzoli rispondevano alle mani di quell’uomo come se nascondessero un telecomando.
“Vede, se fossi il suo uomo per prima cosa vorrei assicurarmi di poter sentire i suoi seni attraverso il tessuto. Avrà notato che di frequente alcuni abiti, all’apparenza molto sexy, sono in realtà estremamente spessi e costituiscono una vera e propria barriera rispetto alle sensazioni tattili più sottili.”
“Sì, in effett…aaah.” Un lucchetto fatto di nebbia si era chiuso attorno ai miei pensieri, soffocando la mia lucidità. I miei strati di cultura, civiltà e arroganza aristocratica lasciavano il posto ad una reattività animalesca. Mi strusciavo contro di lui, per sentire il suo sesso, le sue ossa, i suoi muscoli.
“Certo, anche con tessuti di bassa qualità è possibile avere una risposta sensoriale adeguata, ma soltanto a patto di stringere con sufficiente energia. Così.” Mi afferrò il seno con forza fino a quel momento inusitata, strappandomi un altro gemito, poi cominciò a pizzicarmi il capezzolo.
Avvertivo quasi la trasmutazione del dolore in piacere, come se persino i miei recettori fossero confusi sul da farsi e oscillassero tra una sensazione e l’altra.
Distratta dalla mano che si era impadronita del mio seno, non mi ero resa conto che l’altra mano era ormai risalita lungo il vestito, fin quasi a toccarmi il culo.
Mi afferrò per i fianchi e mi fece voltare con decisione. Con il mio metro e sessantacinque per quarantasette chili, quel colosso mi muoveva con la facilità di un fuscello, ed avvertivo la strana sensazione che il mio corpo cooperasse quasi contro la mia volontà. Vittima di una primordiale soggezione nei confronti delle vibrazioni alfa emanate da quell’uomo, mi trovai ad obbedire istintivamente ai comandi silenziosi impartiti dalle sue mani.
Appoggiai la testa sul suo petto, lasciandomi cingere da quelle braccia smisurate.
“In secondo luogo – proseguì – vorrei esser sicuro di poter sollevare il vestito per accarezzarla a piacimento. Spesso, quando l’abito è eccessivamente attillato, la stoffa offre resistenza, e diventa estremamente frustrante. Ma come può notare, non è questo il caso.”
Afferrò i lembi del vestito, sollevandolo fino alla vita per scoprirmi il culo. Sentii le mie natiche completamente raccolte tra le sue mani. Le dita mi tastavano e mi frugavano senza ritegno.
“È davvero facile” mormorai, riferendosi forse alla semplicità con cui il vestito si sollevava, oppure all’estrema facilità con cui il primo sconosciuto poteva impossessarsi di me.
Mi afferrò per i capelli, costringendomi ad alzare lo sguardo per incontrare il suo. Fissandomi con intensità, portò il dito indice alla mia bocca, passandomelo sulle labbra dapprima con delicatezza, poi con maggior decisione. Feci un po’ di resistenza, poi però schiusi le labbra e lo lasciai entrare. Avvolsi la mia lingua attorno al suo dito, succhiandolo e leccandolo abbondantemente.
“Lo sai dove va questo adesso, vero?” disse, estraendolo e sollevandolo davanti a me.
Il passaggio al “tu” mi sorprese ed eccitò quasi più delle sue mani sul mio corpo. Un effluvio di umori cominciò a sgorgarmi dalla fica, rivelando una volta di più l’imbarazzante, segreta alleanza che il mio ospite e il mio corpo avevano stretto nel momento in cui gli avevo concesso di varcare la soglia.
“Sì” risposi con un tono remissivo che mi stupì.
Si bagnò ancora il dito, poi la mano scomparve alle mie spalle.
Fu una cosa lenta, quasi alla moviola. La sentii discendere lungo la schiena e farsi strada verso il mio culo. Con un sapiente movimento di pollice e medio, divaricò lo spazio tra le mie natiche, prendendosi il suo tempo per saggiarmi con l’indice. Io respiravo sempre più affannosamente, premendo i miei seni contro di lui, strusciando i capezzoli contro la sua struttura muscolosa. Sentii il suo dito che iniziava a penetrarmi, lentamente. Apprezzai che, nonostante l’ovvio potere virile che in quel momento aveva su di me, ci tenesse a non causarmi dolore.
Il dito entrò ancora un po’.
“Aaaah… anche questo fa parte delle sue verifiche?”
“Certo – rispose ansante – se fossi il suo uomo, sapendo che di solito una vera cagna si struscia più forte quando le si apre il culo, vorrei essere sicuro che il tessuto resista allo sfregamento.”
Affondò più forte, e questa volta urlai. Spinsi il bacino all’indietro per incontrarlo ancora di più. Lui assecondò il movimento, e continuò a incularmi prima con un dito, poi con due, mentre mi baciava il collo. I fluidi che continuavano a colarmi lungo le cosce smussavamo via via le mie resistenze con l’ineluttabilità delle maree. Mi staccai dal suo abbraccio, avviandomi verso il divano, pronta a spalancarmi per lui.
“Dove va?” mi chiese con aria perplessa.
Mi fermai all’istante, disorientata, e lo guardai. “Io….”
“Dobbiamo ancora provare degli articoli, sempre che questo primo assaggio l’abbia soddisfatta.”
Mi ricomposi, recuperando la mia dignità di donna evoluta e padrona di casa.
“Sono una donna di parola – dissi – e riconosco che lei aveva ragione. Questo abito è delizioso. Le peparo un caffè. Lei intanto scelga un altro capo da farmi provare.”
Smisi l’abito in prova e recuperai il mio vestito. Tralasciai il perizoma, avevo come la sensazione che avrei comunque dovuto rinunciarvi tra poco.
Mentre ero in cucina ad attendere che il caffè salisse, vidi il telefono vibrare. Un messaggio
“Ho finito. A casa tra un’ora, give or take.” Esistono persone che dicono un’ora e pensano due, ma mio marito è di tutt’altra pasta. Calcolai di avere non più di una quarantina di minuti per congedare il mio ospite.
Tornai in salotto e gli porsi la tazza fumante.
“Cambio di programma – dissi - Mio marito rientra tra circa mezz’ora. Il tempo di finire quello che ha cominciato”. Mi sedetti sul divano offrendogli la vista delle mie gambe spalancate, pronta all’assalto sessuale che avrei ricevuto tra un istante. O almeno così credevo.
L’uomo inalò dalla tazza, assorto, come se ascoltasse qualche voce sepolta in fondo alla sua testa, invece che quella della donna che aveva di fronte.
“Io ho una controproposta – disse – lei ora prova il capo che ho scelto per lei, e se le piace esaudirà una mia richiesta.”
“Non c’è tempo” ribattei, sulle spine. Un’ora, give or take!
Sono certo che non è così, così come sono certo che lei è una donna di parola, e noi abbiamo fatto un patto. Un caffè, e un altro indumento.”
Si alzò e si diresse nuovamente verso il campionario. Ne estrasse un delizioso slip con l’orlo di pizzo nero ed un intricato gioco di trasparenze sul di dietro. Ai lati vi erano due fiocchi regolabili esteticamente molto graziosi.
Presi lo slip dalle sue mani e lo indossai, sfilando ancora per lui.
“Perfetto – disse – Ora vieni qui.” Ancora il “tu”, quell’acceleratore di eccitazione che sapeva usare così sapientemente per farmi vibrare a suo piacimento.
Come ipnotizzata dalla perentorietà delle sue parole, obbedii. Mi vennero in mente quelle antiche storie sui vampiri, su come fossero totalmente inermi, finchè non li si lasciava entrare. Ma una volta aperta la porta e rivolto loro l’invito in casa, il loro potere diventava smisurato. Avevo lasciato entrare in casa un vampiro con un sorriso e una ventiquattrore, e adesso sarei stata divorata.
“Vedi, la prima cosa da saggiare, in un capo del genere, è l’elasticità del tessuto. Troppo spesso capi del genere sono esteticamente pregevoli, ma troppo poco elastici e soggetti a strappi e smagliature.” Mi attirò a sé con forza, sollevandomi ancora il vestito. La sua enorme mano destra mi stringeva forte le natiche, mentre la sinistra mi teneva stretta in una morsa.
“Vede, quasi tutti gli slip consentono una pressione simile, ma pochissimi permettono di fare questo.” Il suo dito fu di nuovo nel mio culo, pelle, stoffa e tutto il resto.
“Aaah, fai piano, ti prego!”, ma quale maschio non aveva mai preso questa richiesta per il verso opposto? Spinse più forte, strappandomi un altro grido, che soffocai contro il suo petto.
“Non posso. Devo mettere alla prova il tessuto. Ora vai lì – disse, indicando il tavolo – e piegati in avanti.”
Mi avviai con passo lento verso quello che prometteva di essere il patibolo della mia fedeltà coniugale.
“Non abbassare il vestito” ordinò.
Feci come mi chiese, tenendo l’abito sollevato con entrambe le mani, mentre ancheggiavo per lui. Provavo un perverso piacere nel compiacerlo, e più i suoi ordini perdevano gli strati di gentilezza rivelandone la vera natura, più desideravo obbedire. Mi stava facendo assaggiare il suo guinzaglio, e mi piaceva.
Fu subito dietro di me, posandomi una mano sulla schiena per farmi piegare di più.
“Un altro dettaglio di questo capo, che lo rende particolarmente intrigante sono i due lacci laterali, che consentono una immediata disponibilità sessuale.” Accompagnò quelle parole con un gesto secco, e lo slip fu in terra. Con le mani strette intorno alle mie cosce, mi fece aprire le gambe. Si inginocchio di fronte al mio culo ormai indifeso e cominciò a lavorarlo con la bocca.
Venerò il mio culo per minuti squisitamente interminabili, alternando baci vellutati a delicati morsi sulle natiche, poi cominciò a fottermi con la lingua. Sapeva modularne la tensione in modo perfetto, talora usandola come un cazzo, per penetrarmi, talora leccandomi languidamente. Gettai il vestito a terra, allontanandolo con un calcio.
Godevo da impazzire, ma le lancette nel mio cervello scandivano il tempo, inesorabili.
Pochi minuti ancora, e il mio uomo mi avrebbe trovata con la lingua di uno sconosciuto infilata nel culo.
Non potevo predire cosa sarebbe accaduto, a quel punto. Già altre volte mi aveva stupito, con la sua imprevedibilità. Per quanto ne sapevo, avrebbe potuto uccidere l’altro uomo, oppure unirsi a lui.
“Ora… aaaah… devi proprio… an… andare…mmm.”
Riuscii a staccarmi da lui e mettere qualche centimetro di distanza.
“Prendo sia lo slip che il vestito – dissi, ancora ansimando – pago tutto in contanti.” Avevo fretta di soddisfarlo e mandarlo via.
“E che me ne faccio dei tuoi contanti?” disse, e scoppiò a ridere.
Ero spiazzata.
“Beh, per un nuovo arrivato guadagnare la stima del proprio capo è fondamentale” dissi, cercando di ripristinare la logica in quella conversazione.
“Tesoro – disse con il tono paziente di chi spiega due più due a una bambina – ho iniziato a vendere intimo per signora appena finito il liceo per pagarmi l’università, e ho fondato questa azienda quasi quindici anni fa. In tutto questo tempo passato a bussare alle porte delle signore come te ho imparato come farle spendere, come farle spogliare e come far aprir loro le gambe. Di tanto in tanto mi piace ancora bussare alle porte e decidere quale delle tre cose far accadere. Quanto a noi due, appena mi hai aperto la porta ho capito cosa volevo da te.”
Ero sconvolta, ma mi controllai. “Non hai voluto scoparmi quando te l’ho offerto, e ora è tardi.”
“Non sono qui per scoparti, tesoro, ma per testare un ultimo capo.”
Estrasse la catsuit dal campionario, e me la porse.
“Non abbiamo tempo per un’altra prova….”
“Sì, invece. Ora a te la scelta. Se decidi di indossarla, la dovrò provare. Come ti dicevo ha la caratteristica di essere aperta, consentendo un immediato accesso davanti….” Infilò la mano libera nella valigetta, rovistandovi per qualche istante.
“… e dietro” concluse mentre appoggiava la boccetta di gel lubrificante sul tavolo.
“Tu sei completamente fuori di testa!” mi ribellai, ma il venditore si era slacciato i pantaloni, rivelando un cazzo maestoso e già completamente in tiro.
La vista di quella splendida mostruosità mi strozzò le parole in gola.
“Mio marito….”
“Tuo marito arriverà e si prenderà il buco che resta libero.”
Mi morsi un labbro, sospesa tra desiderio e terrore.
“E se rifiuto?” dissi.
“Non so che idea tu ti sia fatta, ma io sono un uomo perbene. Non ho mai preso da una donna qualcosa che non volesse darmi. Se rifiuti, mi rivesto, infilo le cose in valigia e, per usare le tue parole, potrai rispedirmi sulla strada. Nessun problema.” Posò la catsuit sul tavolo e prese a segarsi con ambo le mani, con movimenti fluidi e lenti. Senza smettere di fissarmi, aprì la boccetta di lubrificante, versandone il contenuto sulle mani, poi riprese a massaggiarsi.
“Mentre decidi io mi porto avanti” disse.
Guardai l’indumento adagiato sul tavolo, poi il cazzo puntato verso di me, poi di nuovo il tavolo.
Proprio in quel momento, vibrò il telefono.
Sto cercando parcheggio.
Gli rivolsi un sorriso timido, poi abbassai lo sguardo. Il membro luccicava alla luce del lampadario, per effetto del lubrificante cosparso sulla pelle tesa. Vibrò, in risposta al mio sguardo, invitandomi silenziosamente ad arrendermi.
Mi liberai con lentezza delle autoreggenti.
Presi la catsuit e cominciai a indossarla.


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