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Lui & Lei

La ragazza nera


di Blacknoble
03.12.2021    |    13.009    |    8 9.6
"Amava il contrasto delle loro pelli..."
Marco non smetteva di mescolare il cemento. Imprecava tra sé e sé per la durezza del lavoro che non gli dava tregua. Dopo aver mischiato la sabbia alla malta, riempiva un secchio legato ad una fune che era agganciata ad una puleggia. Dopodiché, provvedeva a tirare la corda fino a far arrivare il secchio al terzo piano del palazzo dove il suo collega provvedeva a svuotarlo.
Un ritmo incessante e faticoso che si protraeva con pause minime per tutta la giornata. Certe volte, il suo lavoro lo affliggeva profondamente. Nel Sud dell’Italia, del resto, c’erano pochi mezzi e tanti manovali, stipendi bassi e condizioni di lavoro molte volte estreme, ma sopravvivere era indispensabile. D’altra parte non aveva scelta, proveniva da una famiglia modesta; il secondo di tre figli, la madre casalinga, il padre, anche lui, manovale.
Marco era cresciuto nella miseria, in un quartiere povero della periferia di Napoli; Sant’ Antimo. Pur trovandosi, sin da ragazzo, a fronteggiare molte difficoltà, non era mai andato ad ingrossare le fila della delinquenza, il che sarebbe stata la strada più facile e scontata per quell’ambiente. Insomma, qualche cazzata da adolescente l’aveva fatta anche lui; la peggiore, decisamente, era stata quella di abbandonare la scuola, anche tutti i suoi amici lo fecero, non era insolito in quel posto, ma era il tipo di errore che quasi tutti loro avrebbero compreso quando ormai sarebbe stato troppo tardi. Dopo l’ebrezza dei primi soldi guadagnati e gli anni passati a sperperarli tra vestiti e motorini, ci si trova catapultati nel mondo degli adulti senza alcuna base solida. Ed è un mondo impietoso che non perdona le colpe dell’adolescenza, non considera nemmeno le capacità individuali, o giustifica le conseguenze a cui può portare, tra cui, la peggiore, è quella di darsi alla malavita. Molti dei suoi amici lo avevano fatto. Erano stanchi, disperati, stufi di essere disprezzati e relegati nel gradino più basso della società. Volevano la loro fetta della torta, desideravano vivere in modo decente, non sempre al margine. Una strada che, però, non ha comunque sbocchi, la maggioranza di loro, infatti, era finito in carcere, qualcuno morto, ma nessuno era diventato ricco, né tantomeno libero. Il padre di Marco, però, era abbastanza autoritario, gli stava col fiato sul collo, e questo fu uno dei principali motivi per cui non prese una brutta strada. Le volte in cui aveva scoperto che aveva sgarrato, lo aveva picchiato così duramente con la cintura che ne portava ancora i segni addosso. Le stigmate della retta via.
Ma l’onestà era una magra consolazione, Marco era stanco di tanto sforzo per ottenere così poco in cambio. Abitava ancora con i suoi che aiutava con il suo misero stipendio, dal momento che suo padre, avendo sempre lavorato a nero, aveva avuto diritto solo alla pensione minima e con quell’elemosina non sarebbero riusciti a tirare avanti. Uno stato di cose che influenzava ulteriormente la possibilità di progetti per il futuro. Gli capitava spesso di ripensare alla sua storia d’amore più importante, era durata cinque anni. La cosa triste era che non avevano nemmeno un posto dove fare l’amore. Approfittavano della domenica mattina quando la famiglia di Marco andava in chiesa. Non c’era alternativa. Gli alberghi, anche i più economici, erano troppo costosi e non aveva un’auto. Si muoveva con uno scooter malandato. Lei, Anna,la sua ex, lavorava in un negozio di abbigliamento e guadagnava poco. Con quel poco, anche lei doveva aiutare i suoi con cui condivideva un appartamento a Secondigliano. Anna voleva una famiglia, in fondo era una speranza legittima, ma la realtà era diversa. Non c’erano margini di miglioramento, non c’erano e non ci sarebbero state prospettive anche per un sogno così semplice. Alla fine dovette farsene una ragione e lo lasciò. Stette male per molto tempo. Nei quartieri popolari l’amore ha un valore sconosciuto nel resto della società; è la ragione non per resistere, ma per esistere. L’assenza di ritegno ne fa un sentimento che coinvolge quasi tutti gli aspetti della vita degli individui che la vivono. L’amore fa sopravvivere alla disperazione, distorce la realtà ed, incredibilmente, rende tutto diverso. Nei quartieri popolari, c’è così tanto amore che diventa eccentricità. Un folklore amoroso che si esprime in canti sotto ai balconi, colazioni a letto, regali meravigliosi e pomposi. È commovente l’amore, anche per gente che vive sul ciglio della morte.
Poi Marco conobbe Rihanna.
Dopo Anna, aveva realizzato che le sue condizioni non erano favorevoli ad un’unione che potesse portare al matrimonio. Si amavano, ma erano entrambi poveri, e responsabili di altri. Questa dolorosa presa di coscienza lo allontanò un po’ dal mondo femminile. E fu così che, non potendo permettersi una relazione canonica, cominciò a frequentare le prostitute.
“Rihanna”, così si faceva chiamare, era una statua nera alta un metro e ottanta. Due cosce che che non finivano mai. Due meravigliose cosce sulle quali troneggiava un culo grande e proporzionato ma sodo come un uovo.
Aveva delle lunghe e fitte treccine che le coprivano la schiena lambendole il sedere, seni prosperosi che sembravano voler evadere in continuazione da reggiseni troppo piccoli. D’altra parte non se ne preoccupava, del resto Rihanna era quasi sempre nuda. Vestita appena di un intimo super provocante che cambiava di frequente. Faceva la prostituta sul doppio senso, insieme a centinaia di altre ragazze, divise per piccoli gruppi, appena oltre la strada e visibili a tutti. Accendevano dei fuochi d’inverno per cercare di procurarsi un po’ di calore, nonostante fossero svestite per mettere in mostra la “merce”. C’era un viavai costante di auto che entravano ed uscivano dalle viuzze caricandole e sparendo nella macchia per un po’. La zona ha vasti terreni incolti e non è difficile celarsi alla vista degli altri inoltrandosi di poco dentro le viuzze laterali.
Marco ci andò per la prima volta con un collega che aveva la macchina. Questi gli chiese di aspettarlo al bar e dopo gli raccontò tutti i dettagli. Per venti euro, si era divertito per venti minuti, il piacere costava un euro ogni sessanta secondi. Marco aspettò al bar una volta alla settimana per circa sei mesi senza mai aver il coraggio di andare col collega dalle prostitute. Non per reticenza, ma sopratutto per pura ragione economica. Non aveva abbastanza soldi, e si sa, i piaceri costano. Fece per un pò finta di avere delle reticenze fino a che un giorno, il suo collega gli disse:
“Vieni dai, te la pago io una di loro”.
Accettò senza alcuna esitazione, anzi, quando glielo propose, di colpo, gli venne un’erezione. Non era la prima volta che andava dalle prostitute. La cosa non lo scandalizzava, faceva parte di una sorta di adolescenziale iniziazione al sesso, ma a quasi trent’anni e dopo un lungo fidanzamento era quantomeno strano, senza nemmeno prendere in considerazione le sue condizioni economiche.
Antonio guidava lentamente. Osservavano attentamente le prostitute per essere sicuri di scegliere quelle più piacenti.
“Lì”, disse Marco indicando un gruppo di quattro prostitute nere ammiccanti. Lo disse per lei, per “Rihanna”. L’aveva colpito appena l’aveva vista. I suoi occhi erano orgogliosi, era spoglia di vesti, ma abbigliata di dignità. Spiccava semplicemente per la sua sensualità, non perché tentasse di attirare in qualche modo l’attenzione, al contrario delle altre ragazze che mimavano gesti osceni, chiamando chiunque passasse. Lei no. Pareva che scegliesse. I loro sguardi si incrociarono e magicamente si sentì scelto.
Antonio accostò l’auto per guardarle più attentamente. Tutte e tre si precipitarono verso i finestrini per mettersi in mostra. Tutte, tranne lei. Rimase lì dov’era. Antonio non l’avrebbe mai preferita per la sua altezza, lui era piuttosto basso e tozzo. Quando Antonio si decise, la ragazza si infilò dietro in auto mentre le altre due imploravano Marco di scegliere una di loro, ma lui voleva Rihanna, la chiamò con un gesto, e lei entrò in macchina senza dire una parola. La tariffa era standard. Si allontanarono di qualche metro e fermarono la macchina.
“Vado io nella macchia”, disse Marco ad Antonio, poi scese e si allontanò con lei.
“Come ti chiami?”, le chiese mentre camminavamo per allontanarsi dall’auto di Antonio e avere un minimo di privacy.
“Rihanna”, rispose.
“Come la cantante?”
“Si...”
Si fermarono presso un vecchio tronco di albero abbattuto. Egli vi si sedette e cominciò a sfilarsi i pantaloni, mentre lei toglieva il minuscolo tanga che aveva indosso e lo riponeva nella sua enorme borsa che appoggiò su una pietra vicina. Con i tacchi era ancora più alta ed imponente. Era quasi sera, ma la sua forma si stagliava contro la luce del sole calante. Slacciati i pantaloni e calate le mutande, lei si inginocchiò e prese il suo membro tra le mani per infilargli il preservativo appena aperto. Lui era già cosi eccitato che a malapena non le venne in mano. Tentò di protestare per allentare l’eccitazione.
“Ma come? Non me lo succhi senza preservativo?”.
“No”, disse secca, mentre portava a termine l’operazione. Finalmente glielo prese in bocca con vigore. Era un pompino da professionista. Non dolce, ma preciso, millimetrico, teso ad un finale che era la pronta conclusione. La maestria con cui la sua lingua stringeva, la bocca che andava e veniva, la mano che girava su se stessa mentre accompagnava lil cazzo verso l’alto ed il basso. E l’altra mano che stritolava le palle massaggiandole dolcemente. Le sue treccine coprivano completamente il basso ventre di lui scendendo quasi sino a terra. Ansimava, pronto ad esplodere, le mani sulla sua nuca, ma la fermò.
“Piano” disse, staccandola da lui. Voleva scoparla.
“Girati” le disse.
Lei appoggiò le mani sul tronco, pronta a riceverlo. Il suo culo nero luccicava sotto i raggi morenti del sole. Era offerta, completamente. Benché fosse conscio che lo facesse per soldi, in quell’istante, quel sedere nero e quella vagina rosa rappresentavano la goduria, una lussuria inestimabile. Marco era alto, comunque dell’altezza giusta per penetrarla agevolmente. Probabilmente, aveva messo del lubrificante. Scivolò in lei e il suo cazzo fu avvolto all’istante dal calore. Come se dentro di lei ardesse un fuoco. Non fece una mossa. Lasciò che fosse lui a fare tutto. Era così eccitato che, in verità, aveva paura di muoversi, temendo di godere troppo presto quando voleva protrarre quella sensazione il più a lungo possibile. I suoi muscoli si tesero per distribuire la tensione mentre le sue mani curiose tastavano il suo sedere, quasi impastandolo. Era un contrasto che per lui era completamente nuovo. Un aspetto dell’erotismo che non gli era mai stato concesso di vivere. Le sue mani bianche sul suo culo nero. Il suo cazzo bianco che entrava ed usciva dalla sua figa rosa, contornata di nero. Venne violentemente. A lunghi getti. Mentre continuava metodicamente ad entrare ed uscire da lei, cercando di far perdurare il piacere. Lei non emise un suono. Appena finì di sussultare, si ritrasse. Andò a prendere la sua borsa, senza nemmeno guardarlo, prese delle salviette intime, si pulì e infilò di nuovo i suoi slip. Poi, tornò da lui, lo guardò e tese la mano.
Per un po’, Marco non tornò più da lei, non perché non volesse, ma la mia condizione lavorativa era cambiata. Aveva avuto la fortuna di incontrare uno dei suoi vecchi maestri di scuola; ormai era anziano e viveva con la moglie in una villetta a Giugliano. Sapendo che faceva il muratore da un decennio, gli propose di andare a dare un’occhiata alla sua casa che aveva bisogno di essere ristrutturata. Gli disse in tutta onestà che aveva chiamato altre ditte che gli avevano fornito dei preventivi sempre superiori ai centomila euro. Va, altresì, detto che la villa che lasciata in eredità alla moglie dai genitori, stava cadendo effettivamente a pezzi. Andò a fare un sopralluogo insieme ad un altro amico muratore e convennero che avrebbero potuto fargli risparmiare una discreta somma, facendo i lavori per novantamila euro. Quando glielo dissero, in realtà, non avrebbero mai creduto che accettasse. Marco non aveva mai avuto un appalto o un lavoro tutto suo, al massimo lavoretti nel quartiere, ma sempre cose di pochissimo conto, fatte nei ritagli di tempo.
Una settimana dopo, avevano una partita Iva e incassarono un acconto di ventimila euro per cominciare i lavori. Ufficializzata la società, non mancarono, però, le difficoltà; dal materiale da reperire, alla gestione del personale, tutti aspetti per quali non erano preparati. Tuttavia, pian piano, spinti dall’entusiasmo, superarono tutti gli intoppi e riuscirono a completare i lavori in quattro mesi. Sembrava che la fortuna cominciasse un po’ ad arridergli, nel frattempo, infatti, qualche vicino aveva chiesto dei preventivi, e con due di loro, si erano accordati. Gli auspici erano buoni, Marco pensò spesso ad Anna… se solo avesse avuto un po’ di pazienza.
Tornò da Rihanna qualche mese dopo. Non era cambiata, come la prima volta, indossava intimo rosso. Un intimo quasi impercettibile. La vide da lontano mentre saliva in auto con un cliente. Fece un giro e scelse un’altra prostituta, la caricò sul motorino ed andò ad appartarsi. Tutto finì in fretta... in testa aveva solo Rihanna.
Gli affari con la nuova ditta non andavano male. Aveva debiti, ma anche contratti. L’acquisto di materiale per adempiere a lavori di maggiore entità, si rivelò proficuo. Ottennero sempre più appalti tanto che riuscirono ad aprire una piccola sede con tanto di segretaria. Di soldi, non ne vedeva ancora, ma tutti lo chiamavano “capo”.
Tornò sul doppio senso a cercare Rihanna.
Questa volta, la vide e la prese. Si fiondò subito su da lei e la fece salire sul motorino.
“Come stai Rihanna?”, le chiese.
“Ti ricordi il mio nome?”, esclamò lei sorpresa.
“Certo. Veramente ti ho anche pensata.”.
Sorrise. Non era imbarazzata, probabilmente era abituata a questo tipo di discorsi. Fece ciò che faceva sempre; il suo lavoro.
Si tolse le microscopiche mutande e si avvicinò a Marco col preservativo in mano. Lui era eccitato. Avrebbe voluto farlo diversamente, ma non c’erano presupposti per il diverso in quel momento. Venti euro, venti minuti al massimo. Fu esattamente come la prima volta, la differenza stava nelle fantasie che aveva alimentato nel periodo in cui non si erano incontrati. Ricordava perfettamente la curva della sua schiena, il suo collo, le sue labbra carnose, il suo naso forte, la fronte delicata, lo sguardo felino. La bellezza del suo fisico era amplificata dal colore scuro della sua pelle. Morbida, profumata, setosa.
Viaggiò nelle sue fantasie attraverso la sua figa. I ricordi di lei gli avevano alimentato la sue libido. Amava il contrasto delle loro pelli. Poi avrebbe scoperto il resto.
Andò da lei una volta a settimana per tre mesi. Dopodiché, due volte. Cominciarono a parlare spesso. Lei gli raccontava di sé, ed anche lui cominciava ad aprirsi. Le cose lentamente miglioravano sotto l’aspetto economico. Decise, quindi, di incontrarla nella stanza di un motel non lontano. Riuscì a trovare un accordo per cento ore a cinquecento euro. Così funzionava. Cominciò a pagarla cinquanta euro per un’ora o poco di più.
Incontro dopo incontro, lei cominciò ad abbassare progressivamente le sue difese, abbassò il ponte levatoio della sua inespugnabile fortezza intima.
“In realtà il mio vero nome è Gloria”, gli disse un giorno.
Gloria era nata ventiquattro anni prima in un piccolo villaggio nel Nord della Nigeria. Quinta figlia di una famiglia che ne contava venti, non era rimasta incinta dopo il matrimonio e, pertanto, era stata rimandata a casa sua dal marito che aveva preso una donna più giovane. L’uomo che l’aveva ripudiata in realtà non riuscì mai ad avere figli. Cacciò la seconda moglie, poi la terza e, quindi, morì di una misteriosa malattia. Voci maligne dicevano che si era suicidato. La famiglia, dalle sue parti, non era un obiettivo, ma un’esigenza. Chi non era in grado di sposarsi ed avere una prole numerosa non era una persona degna di rispetto. Mandata via dal marito, aveva subito le vergogne delle spose cacciate. Anche i suoi genitori la accusarono per parecchio tempo prima di rendersi conto che in realtà il problema poteva essere dell’uomo, visti i suoi numerosi tentativi coronati tutti da insuccessi. L’evidenza dei fatti, tuttavia, non li rese più dolci nei suoi confronti. Una donna sola in Africa, è un peso per i propri genitori. La cultura, la tradizione, vogliono che ad un certo punto, siano i figli a prendersi cura della madre e del padre.
Lei non avrebbe potuto. Giacché non aveva studiato, si arrangiava alla meno peggio come sguattera, fino a quando non le fu offerto di andarsene.
L’occasione le fu data da una delle poche amiche che all’epoca frequentava. Un tipo che viveva in Italia l’aveva contatta promettendole una vita diversa e dignitosa. In realtà, non esiste una donna della Nigeria che non sappia che fine le toccherà attraversando il mare, soprattutto affidandosi ad un uomo. Il governo della Nigeria, spinto dai sovvenzionanti Stati europei in prima linea per la questione della tratta delle schiave del sesso, aveva prodotto e fatto diffondere in più lingue sia attraverso le emittenti radio, che in televisione la verità sul destino che toccava alle ragazze che andavano in Europa. Tutte lo sapevano, ma tra fare la sguattera gratis o la puttana, la scelta, molto spesso, era abbastanza semplice.
Precious, la sua amica, le aveva detto che il suo contatto era diverso, umano, ma lei non ci credeva, sapeva... però, la vita lì stentava, era dura, stagnante. La Nigeria non era un posto facile dove vivere, soprattutto per le donne, a maggior ragione per quelle senza marito, considerate meno che niente. Rimanere lì significava una quotidianità fatta di sofferenze, in attesa della morte. Essendo già stata sposata poi, era difficile che qualcuno si potesse fare avanti, sapendo che non aveva partorito nessun figlio. Non aveva diritto nemmeno al piacere. Era stata infibulata da piccola e, a soli quattordici anni, data in matrimonio e, di conseguenza, riaperta per essere “consumata”. Ricordava ancora il dolore lancinante, i grugniti di suo marito mentre lei si mordeva le labbra per non urlare dal dolore, momenti interminabili prima che finalmente lui raggiungesse l’orgasmo e si scostasse da lei. Successivamente, aveva temuto ogni notte. Il dolore lentamente le era passato, ma il disgusto no. Non amava quell’uomo, ma gli apparteneva. Ripensando a tutto il film della sua vita, decise di andarsene; conscia dei rischi, ma decisa a lasciarsi tutto alle spalle per andare incontro ad una vita diversa. In fondo al suo cuore, c’era sempre la speranza che non succedesse alcuna delle cose orribili che aveva sentito in tv. Pensava di aver sofferto abbastanza.
Scapparono una notte. Il contatto della sua amica andò a prenderle, insieme ad altre due ragazze, con un’auto privata. Guidò per oltre venti ore fino a Lagos e le lasciò tutte e quattro nella camera di un motel. Lì le aspettava una donna piuttosto anziana con la quale dovevano definire i termini del loro accordo. La signora disse loro che avrebbero dovuto ridare indietro quarantamila euro e le spese per arrivare a destinazione che sarebbero ammontate ad altri diecimila euro. Assicurò loro che nel giro di cinque anni sarebbero riuscite a rimborsare i loro debiti e persino riuscire a risparmiare qualcosa. Quando le ragazze chiesero dei lavori che avrebbero fatto, la donna fu evasiva.
“Un po’ di tutto; dalle pulizie negli ospedali, alle badanti per anziani, commesse nei negozi, parrucchiere... cose di questo genere”.
Esattamente lo stesso copione dal quale metteva in guardia la televisione! Tutto corrispondeva in maniera drammaticamente accurata, ma la disperazione può essere più forte della paura, o anche della realtà. Il prezzo della libertà è molto alto, ma pochi immaginano quanto possa esserlo quello della paura e della disperazione.
Le ragazze, tutte, erano coscienti che avrebbero fatto le prostitute, ma stavano scegliendo quel che si definisce il “male minore”. Ognuna di loro aveva una ragione per non restare lì; storie personali intrise di abusi e dolore. La scelta fu unanime, anche perché non c’era altra scelta.
Per due giorni furono sottoposte ai riti vudù. Sotto la minaccia di orribili conseguenze, siglarono un patto col sangue e la loro parola per impegnarsi a saldare il debito contratto. Tutte loro credevano e temevano la stregoneria. Lì in Africa è un dato di fatto, non un’illusione. Quel giuramento mistico le legava molto più di quanto avrebbe potuto fare la loro parola, con la paura. Se lo avessero rotto, avrebbero perso i loro familiari e loro stesse sarebbero morte.
Il loro viaggio fu l’anteprima dell’orrore che avrebbero conosciuto. Sballottate in vecchi camion da un paese all’altro, abusate costantemente sia da uomini di legge che dai poco di buono che collaboravano con i loro “soci d’affari”, arrivarono in Libia e vennero mandate in un bordello nell’attesa di essere imbarcate. Lì, subirono terribili vessazioni, violenze e abusi. Erano oggetti, nulla più che merci. Non sapevano dove andare, come scappare. Qualora fossero riuscite a scappare da Tripoli, probabilmente qualche libico le avrebbe rapite per farne schiave. Ne erano coscienti e, così come avevano fatto in precedenza, scelsero il male minore. Ma nemmeno le bestie venivano trattate come loro. Due di loro rimasero incinte, le fecero abortire con metodi disumani. Una di loro morì.
Dopo un anno, chiuse nel bordello a soddisfare clienti di ogni genere, finalmente si imbarcarono. Furono fortunate perché la loro imbarcazione finì alla deriva per tre giorni prima di essere avvistata dalla Marina italiana. In realtà, avevano anche incrociato una nave maltese che li aveva crudelmente ignorati, malgrado le loro grida e implorazioni, continuando la sua rotta senza mai segnalare l’avvistamento.
Fortunatamente, ce l’avevano fatta.
Una volta a Lampedusa, avevano preso contatto con la “Madame”.
Lei disse loro come scappare e loro lo fecero. Ad aspettarle a poca distanza dal campo c’era un ragazzo nigeriano.
Due giorni dopo erano a Napoli e, quello successivo, per strada a battere. Erano trascorsi quasi tre anni. Gloria aveva visto arrivare ragazze nuove, altre andare via, altre ancora morire e aveva perso la sua voglia di vivere. Era prigioniera. Le volte che aveva tentato di ribellarsi era stata violentemente rimessa in riga. L’avevano punita infierendo in tutti i modi, sul corpo recava le cicatrici lasciate dai mozziconi di sigarette, dalle cinte chiodate, le avevano persino fracassato diverse ossa, ma qualsiasi fossero le sue condizioni, era ineluttabile che il giorno dopo dovesse andare al lavoro.
Gloria aveva calcolato che, da quando era andata via dalla Nigeria, aveva fruttato oltre centomila euro ai suoi aguzzini. Ma non aveva più voce. Era appassita nello spirito.
Marco si sentì un verme, si sentì complice dei suoi aguzzini per tutto quello che le aveva fatto. Si era innamorato di un corpo senza indovinarne l’animo sofferente. Ma poi era andato oltre, si era innamorato anche di quello che c’era sotto quella pelle nera. Non del dolore vissuto, ma della forza della persona che aveva saputo affrontare tante avversità senza togliersi la vita.
Marco non la toccò più, ma la vide più spesso. Doveva pagarla tanto da fare in modo che i suoi sfruttatori non l’avrebbero picchiata e impedito di uscire con lui. Andavano a passeggiare al mare, a prendersi un gelato... Marco, in pratica, pagava per quella normalità. Gloria non riusciva a spiegarsi quel modo di fare che andava avanti, ormai, da mesi. Non aveva alcuna fiducia nel genere umano, soprattutto negli uomini. L’atteggiamento di Marco la destabilizzava, era un fuori programma incomprensibile per lei. Prese ad aspettare Marco fin dal momento in cui si lasciavano. E Marco faceva lo stesso. Gli affari gli andavano sempre meglio, riuscì a comprare persino un’auto. Quello che gli aveva raccontato Gloria, non gli dava pace e fu così che si mise in testa di indagare sul traffico delle persone e delle prostitute.
Si ricordò di avere un amico poliziotto che abitava nel suo quartiere. Gli raccontò tutta la storia di Gloria, l’uomo non ne fu sorpreso e gli disse di un’associazione che si occupava di aiutare queste donne, riuscendo in molti casi a far cambiare loro vita e ad ottenere i documenti. Poteva essere la soluzione giusta, ma il poliziotto lo avvertì dicendogli che la resistenza maggiore l’avrebbe trovata da parte di Gloria.
Difatti, quando glielo disse, lei andò su tutte le furie, gli disse che senza aver pagato il riscatto, metteva la propria vita e quella dei suoi a repentaglio. Marco, per convincerla che le sue paure fossero infondate, le mostrò diversi documentari che era riuscito a scovare su Internet. Testimonianze di decine e decine di ragazze che avevano denunciato i loro aguzzini e vivevano in condizioni dignitose. Gloria, pur facendo fatica a credergli, rimase colpita da quelle testimonianze, alcune espresse nella sua lingua di origine. Aveva bisogno di far maturare dentro di lei una decisione. Fu lei stessa, dopo qualche mese a riparlarne. Fu il primo passo che portò ad un iter che condusse ad indagini circostanziate e al conseguente arresto di una banda internazionale di nigeriani e napoletani. Furono arrestate quaranta persone e liberate oltre cento ragazze. L’organizzazione criminale era da anni nel mirino delle forze dell’ordine, ma mancavano alcuni tasselli fondamentali che furono aggiunti al puzzle investigativo proprio grazie alla testimonianza di Gloria.
Ma non fu la sola eclatante novità. Gloria non riuscì a trattenere le lacrime quando una dei medici dell’associazione che si curava di lei e di altre donne nella sua condizione, le spiegò di poterle ricostruire il clitoride. Non avrebbe riacquistato la sensibilità dell’organo, ma la completezza in quanto donna.
Marco ed i suoi genitori, intanto, cambiarono casa. Si trasferirono in un’abitazione più grande sempre nello stesso quartiere. Le cose cominciavano decisamente ad andargli nel verso giusto, sia in affari che in amore.
Decise che era tempo che Gloria conoscesse i suoi genitori, sapeva che il fatto che fosse nera avrebbe causato non poche tensioni in famiglia, ma lui si fece forte anche del fatto che, soprattutto dal punto di vista economico, ricopriva ormai il ruolo di capofamiglia. Seppur, quindi, non sempre di buon grado come in quel caso, le sue decisioni venivano rispettate e accettate.
Nel corso di quel periodo Marco non la prese. Si baciarono, accarezzarono, desiderarono, ma senza mai andare fino in fondo. Lei non aveva smesso di offrirglisi, ma Marco voleva che tutto tornasse, il più possibile, ad una purezza primordiale e istintiva, che lei sentisse nel profondo di averne voglia.
Trascorso quasi un anno, si sposarono. Gloria era una persona semplice, aveva saputo guadagnarsi un posto nel cuore di Marco, un luogo che Marco non sapeva esistesse. Come se si fosse annidata e avesse messo radici in un angolo della sua anima, diventandone parte.
Il giorno del matrimonio Gloria era vestita di bianco, lo aveva fortemente desiderato quell’abito, nonostante qualcuno aveva storto il naso; il bianco rappresentava la purezza assoluta, ritenevano fuori luogo che lo indossasse lei, col suo passato... avrebbe potuto mettersi qualunque altro colore, ma non il bianco. Lei non volle sentire ragioni e aveva obiettato: “Non ho mai potuto scegliere un uomo. Finora, in due continenti, sono stata costretta a essere alla mercé di chiunque. Ma, sposando Marco, la parte più pura di me, ha scelto liberamente e, dunque, mi sento e sono vergine. Fino a questo momento, sono stata invasa e usurpata, ora posso finalmente scegliere ed accogliere…”.
Decisero di passare la loro prima notte di nozze nella loro nuova casa, piuttosto che in un albergo, per quanto lussuoso. dopo il ricevimento. Gloria rise quando Marco la prese in braccio per superare la soglia. La loro felicità insieme era come un firmamento. Facevano luce, ed il loro amore, faceva anche rumore.
Appena entrati, Gloria si tolse l’ingombrante vestito da sposa.
Rimase con indosso solo un raffinato reggiseno di pizzo, slip microscopici, auto reggenti, scarpe col tacco alto, tutto declinato in una nuance di bianco abbacinante.
Il contrasto tra la sua pelle, i suoi indumenti, la sua bocca dipinta di rosso, era di una bellezza che lasciò Marco senza respiro. Era la luce nei suoi occhi che lo sorprendeva più di ogni altra cosa, una luce nuova che non aveva mai visto.
Andò verso di lui con un’andatura danzante. Lo baciò e, mentre lo faceva, cominciò a sbottonargli la giacca e poi la camicia. Sfregò i suoi meravigliosi seni contro il suo petto bianco e villoso, prima di cominciare ad armeggiare con i suoi pantaloni. Quando caddero ai suoi piedi, le sue mani si poggiarono sul rigonfiamento del suo sesso. Marco aveva le mani sul suo sedere, per stringerla ancor di più a sé. Piano, la sua bocca gli scivolò sul collo strappandogli un sospiro e un brusco brivido. Con una mano, gli accarezzava i capezzoli, e con l’altra sul suo membro che ormai era fuori dalle mutande troppo piccole per contenerlo, lo masturbava. La sua bocca continuò a scendere andando verso la sua erezione.
“No!”, esclamò Marco.
Non voleva. Era stata sempre sottomessa al piacere degli uomini. Tutta la sua vita, ma ora lei era la sua vita e, in un modo o nell’altro, il peso del suo passato, incombeva anche su di lui. La spinse sul divano baciandola, si inginocchiò davanti a lei, le aprì le ginocchia e infilò la testa tra le sue cosce.
Gloria ebbe un moto di sorpresa quando capì ciò che stava per fare. Non le era mai capitato. Nessuno lecca una puttana, ma lei era sua moglie, e le mogli si venerano. Almeno così raccontava la religione ma, soprattutto, cosi diceva il suo cuore.
La lingua sul suo clitoride appena ricostruito si faceva più dura, le infilò due dita nella vagina e cominciò a muoverle ritmicamente. Dapprima non successe nulla. Gloria riusciva a lasciarsi andare, la verità era che non sapeva come si facesse... non aveva mai goduto in vita sua. Ci vollero quindici minuti prima che lui la sentisse cominciare a gemere. Un suono per lui celestiale, una musica che nessun artista o cantante avrebbe mai potuto cantare, una melodia che andava oltre le carni per depositarsi nel cuore, lambire l’anima.
Incoraggiato da quell’inaspettato piacere, aumentò il ritmo, notando che la sua lingua quando finiva sotto il clitoride le provocava un piccolo brivido. Insistette su quel punto, spingendo con forza verso il basso, per far più pressione. Sentiva che le piaceva, il suo corpo era teso verso il piacere. La lingua quasi gli doleva, ma non si sarebbe mai fermato. Sentiva il piacere in lei che saliva lentamente, ma in modo inesorabile. Anche la sua mano era anchilosata, ma non si sarebbe mai fermato.
Sentiva i suoi umori densi e profumati invischiargli la lingua, le sue dita strette nella morsa della sua figa. Gloria esplose urlando:
“Oh my Goood...”.
Rimase immobile sul divano mentre lui riemergeva dalle sue lunghe gambe nere. Gli occhi chiusi e ancora scossa da un orgasmo che pareva non finire più. Come se avesse pudore del suo piacere, con una mano si era coperta il pube. Marco la guardava sorridente e stranamente appagato. Pur essendo estremamente eccitato, non aveva fretta. L’amore non ne ha.
Gloria, appena si fu ripresa, lo guardò a lungo. Mentre lo guardava, lacrime silenziose le scendevano sulle guance. Il suo sguardo era colmo riconoscenza e amore. Lasciò che piangesse a lungo stringendola tra le sue braccia.
La mano di Gloria si poggiò sulla sua coscia e cominciò ad accarezzarlo. Era rimasto col cazzo duro per tutto quel tempo. Quel tocco lieve gli procurò una scarica di adrenalina. La sua pelle, in contrasto con la sua, facevano scintille. Gloria provò di nuovo a prenderglielo in bocca.
“Dopo...”, le disse sorridendo mentre la adagiava nuovamente sul divano.
Era incredibilmente bagnata dopo il primo orgasmo della sua vita. Scivolò dolcemente in lei, lentamente, come si fa con le ragazze vergini. Voleva strappare il velo di orrore che aveva sempre ammantato la sua vita, farle riscoprire il cazzo non più come strumento di tortura, ma come felice complemento della figa. Si mosse adagio. Fu lei a cominciare a spingere tirandolo più a fondo in lei con le mani sulle sue natiche. Era così eccitata, meravigliata di provare quelle sensazioni che nel sesso dovrebbero rappresentare la normalità, ma per lei era stato sempre un supplizio. Venne in lei violentemente mentre lei intensificava il movimento delle sue anche. Aveva aspettato così tanto quel momento che il suo cazzo rimase eretto in lei e continuò senza fermarsi nemmeno un secondo. Il piacere di Gloria che saliva di nuovo, i suoi rantoli di piacere mai espressi, i loro corpi attorcigliati, diversi, ma uniti. I contrasti che non li separavano. Esplosero insieme nel giro di pochi minuti, urlando.
Esausti e sazi. Marco si accese una sigaretta, Gloria si lamentò del fatto che la casa avrebbe puzzato di fumo, come era solita fare sua madre, un particolare che lo fece sorridere.
Gli tolse la sigaretta dalle dita e lo prese per mano. Lo porto nella loro stanza dove si mise carponi al centro del letto, si girò e, guardandolo, gli disse:
“Ti voglio nel mio culo. Non l’ho mai voluto concedere a nessuno. Voglio donarti l’unica verginità che mi resta”.
Il suo sedere sovrastava il letto. Nero, lucente, invitante. La sua schiena arcuata era meravigliosa. Un’isola di emozioni. La fessura della sua figa rosa, risaltava sulla sua pelle nera e sul suo intimo bianco. Si avvicinò sentendo il suo pene diventare di nuovo duro, nonostante i due orgasmi. Gli mise le mani sui fianchi e infilò la lingua tra le sue natiche, iniziando a leccare l’orifizio dell’ano, contemporaneamente, infilò un dito nella sua vagina. Sentiva il suo culo rilassarsi sempre di più, tanto che ad un certo punto cominciò ad infilarvi un dito, poco alla volta, sputandoci sopra per lubrificarlo. Dopo qualche minuto, il dito tutto, andava e veniva dentro il suo sedere, mentre con l’altra mano, e due altre dita, era nella sua figa. Gloria gemeva, provava piacere e ciò lo incoraggiò a proseguire. Dopo dieci minuti e tanta saliva, cominciò a spingere il suo glande per entrare in lei, proprio come desiderava. Si era di nuovo rinchiusa. Ricominciò la sua opera col dito, fino a quando si distese, e così spinse piano il suo cazzo dentro lei. Quando entrò il glande, Gloria ebbe una reazione brusca e il suo cazzo si sfilò. Tornò subito offrendogli il suo meraviglioso sedere. Pazientemente, riprese ciò che stava facendo. Spinse piano, un po’ alla volta, senza fretta, fino a quando lei si rilassò completamente, iniziando a spingere. Preoccupato di farle male, le sputava senza sosta sull’ano per renderlo più scivoloso. Quando cominciò a formarsi una crema bianca, capì che non ce n’era più bisogno. Gloria stava godendo. Era accovacciata e l’orgasmo tendeva i suoi muscoli rivelando ogni dettaglio. Una dea nera. Il suo culo stringeva il suo cazzo in spasmi forti quasi al limite del dolore. Raggiunsero il piacere insieme e lui rimase conficcato in lei per oltre mezz’ora prima che si addormentassero. Erano felici.
Marco e Gloria ebbero tre figli. La loro storia, a differenza di mille altre, ha avuto un risvolto bello, raro e prezioso.
Gloria non dimenticò mai il suo passato e fondò un’associazione per aiutare le ragazze vittime della tratta, con l’aiuto e l’appoggio di suo marito Marco.


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