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Rita, cap 1: Le mani.


di RandagiVlad
31.08.2023    |    213    |    3 8.0
"I gemiti di Rita si fecero via via più intensi “Ohhh..."
Questa è l'incipit di una storia vera, leggermente romanzata, ma pur sempre vera, spero vi incuriosisca saper come continua.
Sono su A69 da diverso tempo, con un “profilo” particolare - inutile negarlo – che mi ha permesso di incontrare donne (qualche rara volta coppie) davvero speciali.
Quando “incrociai” Rita su questo sito, invero, non mi aspettavo che rispondesse al messaggio privato che le mandai, per diversi motivi: 1) era un messaggio “chiacchierino” in cui non parlavo di sesso, né mi dilungavo in complimenti al suo bel corpo, o millantando prestazioni da pornodivo; 2) viste le foto dei singoli nei suoi feedback, era chiaro che fisicamente non fossi aderente ai suoi standard; 3)nulla poteva far pensare che il mio essere un “master” l’avrebbe interessata.

Invece.

Invece il mio messaggio ricevette una risposta, che non si fece nemmeno attendere. Rita rispose in modo ironico alla battuta che avevo usato per rompere il ghiaccio e accennava al mio “annuncio”. Qualche sua domanda, che intuii ben mirata, volta a capire se quando alludevo al bdsm sapessi di cosa parlavo, oppure se lo usassi come esca per attirare qualche curiosa “famolostranista” non più esperta di quanto (non) fossi io.
Dal tono scherzoso, passammo in breve a scriverci in modo più serio e lei mi fece capire che era davvero interessata ad un incontro che non fosse una semplice scopata. Aveva voglia, Rita, di sensazioni forti e non solo dei soliti cazzi grossi (sì perché, così mi disse, per preferenze personali, sul sito aveva sempre scelto ragazzi molto ben dotati - che non mancavano allora e non mancano oggi n.d.a. -).
Il nostro scambio epistolare non durò che un paio di giorni, poi ci scambiammo il numeri di telefono e continuammo le nostre conversazioni a voce; questo per altri quattro o cinque giorni, fino a che lei mi disse “Sabato sei libero? Credo sia ora di vederci. Vengo io da te”
Le avevo detto della mia passione per la fotografia e per il primo incontro non le proposi di venire da me, a casa mia intendo, le dissi, invece, che ci saremmo incontrati nel parco del castello visconteo di una città limitrofa a quella dove abitavo… Rita apprezzò la proposta in “campo neutro” - anche se, come scoprii dopo, non era venuta per chiacchierare -.
Era piccola, minuta e con un corpo davvero ben fatto: le curve dolci, il seno non grande ma perfettamente armonico con la sua figura, i capelli neri corti e gli occhi scuri come il fondo di un pozzo in cui sei sicuro ci siano dei tesori; aveva due bellissime labbra che, non appena vidi, mi fecero venir voglia di baciarla, anche se sapevo che non era il caso di farlo in modo così “improvviso”; un bel sorriso, solare e luminoso nonostante i suoi colori fossero scuri. Prendemmo una granita da mangiare seduti accanto al laghetto con le anatre e i cigni “Hai portato la macchina fotografica…” mi disse, e non era una domanda, sedendosi a gambe larghe, così che si vedessero le mutandine rosa che indossava sotto il vestito leggero. “Sì” le risposi “ma forse è il caso che ci spostiamo per fare le foto, che dici?”. Rita sorrise, si guardò intorno e, in un gesto rapido ma che non destò alcun sospetto in nessuno di quanti ci fossero intorno, si sfilò le mutandine e me le porse dicendo “Queste allora non servono”.
Presi il suo indumento dalle sue mani e indugiai nel contatto con le sue dita; portai le mutandine al naso per sentire l’afrore di quella donna che mi stava provocando e, accettando la sfida, mi avvicinai a lei, poggiando una mano su una sua gamba nuda e chinandomi per baciare quella bocca carnosa che mi aveva rapito da subito. Le mordicchiai il labbro inferiore mentre con la mano scivolavo sotto il vestito fino a lambire le sue grandi labbra.
“No.” le dissi “Non servono”.
Ci alzammo e andammo in una zona del parco più “discreta” e dove c’era pochissima gente. Tra luci ed ombre scattai diverse pose a Rita, che in parte giocava con me e l’obiettivo, in parte obbediva ai miei comandi e, curiosa, assecondava i miei azzardi.
Dopo una foto in cui lei, poggiata al tronco di un albero frondoso, si alzava il vestito scoprendo una fica perfettamente liscia e curata che quasi mi lasciò ipnotizzato, mi avvicinai a lei schiacciandola contro l’albero, riempiendola con due dita mentre con l’altra mano le serrai il collo e mi impossessai della sua bocca.
Rita rispose al mio bacio possessivo nel modo che desideravo: con trasporto, abbandono, passione.
Voglia.
Le lingue saettavano nelle nostre bocche, ne assaporavano gli spazi, si lasciavano succhiare, mordere.
Mi staccai da lei restandole vicinissimo. Ci guardammo con una intensità che non scorderò mai.
“Sì” mi disse Rita “fallo. Puoi...ti prego”.
Aprì la sua bella bocca così che io potessi sputarle dentro la mia passione e “firmare” il nostro accordo.
“Sei…”
“...la tua puttana”. Rita completò così la frase, poi aggiunse “Portami a casa”.
Una pausa e,senza staccare gli occhi dai miei “per favore, legami”.
Una volta in macchina Rita mi chiese di non fare la strada più breve e, appena fuor del parcheggio del parco, poggiò i piedi sul cruscotto, tenendo le gambe aperte e cominciò a toccare la vulva nuda. La lasciai giocare un po’, poi unii la mia mano alla sua, facendo scorrere un dito lungo tutto lo spacco di quel frutto bagnato.
Andavo su e giù lentamente, lambendo le carni delle piccole e grandi labbra, ora alternando questo movimento con quello di un dito che, curioso, si infilava dentro di lei, ora prendendo il clitoride eccitato tra indice e pollice stringendo un po’ (e anche forse di più), ora schiaffeggiando quel frutto tentatore e lascivo.
I gemiti di Rita si fecero via via più intensi “Ohhh...sì…. Ti prego, continua!” quasi un rantolo, finché non esplose in un orgasmo silenzioso ma, molto, agitato: le sue gambe si strinsero attorno alla mia mano, mentre il corpo era attraversato da brividi di piacere che non fecero che gratificare il mio ego ed aumentare la mia voglia di averla.
Sì, la volevo. La volevo per farla mia: il mio parco giochi, la mia puttana. Il mio capolavoro.
Si riprese in tempo per arrivare a casa mia in uno stato “accettabile”. Scendemmo dalla macchina senza poter evitare che i nostri corpi si cercassero. Una volta in casa, Rita si inginocchiò davanti a me, la bocca giusto all’altezza del cazzo e cominciò a carezzarmi attraverso il tessuto dei jeans. Prima solo con le mani, poi poggiandovi il viso, poi mordendo il cazzo ancora coperto anticipandomi la sua fame.
Continuò slacciandomi i jeans e ripetendo quei gesti sul membro ormai duro e ancora coperto dai boxer; questa volta si Fermò ad… annusare, sì, annusare: ne avevamo parlato tanto sia per iscritto sia al telefono, del fatto che mi sarebbe piaciuto “insegnarle il mio odore”, affinché mi sapesse riconoscere in mezzo a tutti gli altri.
Finalmente la sua curiosità la portò ad abbassare del tutto i boxer. Il mio cazzo quasi rimbalzò fino a sbatterle sul viso.
Rita ficcò il naso nell’unico ciuffo di peli, sopra il pube, che avevo lasciato sul mio cazzo depilato. Inspirò, prima delicatamente, poi più forte. Cominciò a lambire la pelle con la lingua sull’attaccatura delle gambe col bacino....


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