Lui & Lei

La Lupa


di RandagiVlad
04.10.2022    |    2.168    |    0 5.0
"In ginocchio sul tappeto, con le ginocchia divaricate e le mani sulle cosce, palmi verso l'alto..."
Era davvero tanto che non ci si vedeva, che non ci si incontrava. Fisicamente, intendo.

Io e la Lupa ci sentivamo tutti i giorni. Ogni giorno, quasi alla stessa ora. Quasi come un mantra. Un mantra di cui entrambi avevamo bisogno, per diversi motivi: lei per saper che non la lasciavo sola, che non volevo lasciarla sola; io per “tirare” il guinzaglio, per illudermi di avere qualcosa che non si può possedere, che nessuno –oltre me- avrebbe potuto avere … non come l’avevo io, per lo meno; lei per poter fare la stronza ed anche un po’ la puttana, per farmi ingelosire; io per farle credere d’essere geloso e per sentirmi un p’ meno ed un po’ più stronzo.

Dopo tanti mesi avevo una voglia di scoparla che non si misurava. Avevo anche una voglia di farle male che non si misurava. Ed anche lei, me lo aveva detto e ridetto: fottimi e fammi male. Quel che ci mancava, quello che ci sarebbe sempre mancato, era il tempo, perché in quei tre giorni non avremmo potuto fare tutto quello che avevamo lasciato in sospeso. Anche perché, sì la schiava, sì la troia, sì il padrone ed il sadico, ma io, alla Lupa, volevo bene ed in questo volerle bene avrei dovuto comprendere anche il parlare con lei, le coccole, i confronti, le scopate…

Era arrivata a casa prima di me, in quell’appartamento preso in affitto per quei tre giorni in una via di Roma che poteva essere uguale ad altre mille vie di Roma. Io, invero, ero già la da un po’, ma il gioco, questa volta, voleva che lei mi aspettasse in casa e si facesse trovare come le avevo ordinato.
Nell'ultima mail che ci eravamo scambiati ero stato chiaro : "Voglio che indossi una lingerie bianca, in pizzo: un reggiseno che ti lasci il seno scoperto, delle calze bianche e una giarrettiera, anch'essa bianca. Mi raccomando, che non siano autoreggenti. E non mettere le mutandine. Mi aspetterai in salotto. In ginocchio sul tappeto, con le ginocchia divaricate e le mani sulle cosce, palmi verso l'alto. E fatti trovare bendata".
Ora, non è veramente importante come si fosse dovuta far trovare, ma che lo avesse fatto e, quella volta, per la prima volta, la Lupa aveva deciso di obbedirmi. Forse la sua voglia di prenderle era più grande della mia di dargliele. Forse. Glielo avevo letto negli occhi appena varcata la soglia.

Me l’ero trovata davanti in ginocchio e nuda, proprio come aveva sempre sognato di aspettarmi. Intuivo, dietro la benda che le copriva il viso,i suoi occhi carichi di sfida e di preghiera. Non era necessario che mi dicesse, ancora, di quanti cazzi aveva preso, anche con il mio (inutile) consenso, né degli schiaffi che s’era fatta dara da chi sapevamo entrambi, né del fatto che la sua eccitazione rispondeva alla sua fica più di quanto non rispondesse alla sua testa. La Lupa era giovane, infine, cosa avrei dovuto pretendere?!

Mi offriva la sua carne come un mercante fa con la sua merce. Moneta: la mia attenzione.
Mi avvicinai in silenzio a quel dono di carne che mi si offriva. I fremiti sulla sua pelle mi dicevano che sapeva che ero lì, in piedi, di fronte a lei a guardarla. esaminarla.

La pelle della Lupa era bianca come l'avorio e le sue lentiggini irlandesi erano l'unico colore che impreziosiva quel velluto che le copriva la carne.
MI abbassai, accovacciato ed in silenzio, per guardare da vicino le sue labbra. Per toccarle con un dito e godere del movimento che apriva la sua bocca, come se volesse assaporare quel dito che la carezzava.
Lei immobile.
Poi il suo collo.
Il suo petto.
Il ventre.
Non una parola. Nemmeno quando le mie dita avevano preso un capezzolo per strizzarlo, per sentirlo inturgidire sotto i polpastrelli.
"Sei già bagnata, Troia" le dissi passando la mano tra le sue gambe, carezzando la fica da sopra, prima, e infilando due dita dentro di lei, poi, riuscendo a strapparle solo un lieve gemito.
Le passai dietro la schiena, per godermi anche quel capolavoro e perché volevo godermi l'opera d'arte ch'era il suo culo. Un cuore rovesciato sodo e morbido al tempo stesso.
"Giù", fu l'ordine. E la Lupa assunse la posizione che ben conosceva: la faccia a terra sul tappeto, la schiena inarcata ed il culo in alto e con le mani apriva le natiche così da rivelare il suo buco del culo.
La mia lingua non seppe resistere e la poggiai su quel pertugio che si apriva come il becco di un pulcino, come per ingoiare la mia voglia di lei. Dopo aver leccato, con due dita nel culo la presi per i capelli, facendole abbandonare quella posizione e per potermi servire della sua bocca. Amavo baciarla. Amavo il suo sapore, la freschezza, la sua lingua contro la mia, dentro la bocca.
"Ti prego.", disse e la mia risposta fu uno schiaffo, per aver rotto il silenzio. Era sfacciata la Lupa e sul suo viso si dipinse un sorriso compiaciuto. Unno schiaffo, era quello che voleva e lo aveva ottenuto (mi sono sempre chiesto chi tra noi due comandasse davvero).

Un attimo dopo ero ancora di fronte alla mia ninfa nuda ed in ginocchio sul tappeto. Lentamente sfilai la cintura di cuoio dai passanti dei pantaloni. Lentamente mi spogliai e presi le corde e tutto quel che serviva e che avevo portato con me. Assicurai le polsiere alle estremità delle braccia della Lupa, feci passare la corda prima sopra la trave del soffitto che attraversava il salotto, poi negli occhielli di metallo delle polsiere, quindi cominciai a tendere la canapa fino a che le sue braccia non furono bene in lato e le tendessero facendole drizzare la schiena e alzando il suo seno ancor più di quanto già non facessero i suoi 25 anni.
Adesso il suo respiro era regolarmente più frequente e le gonfiava il petto, la bocca socchiusa, i capezzoli due chiodi.
feci in modo che restasse accovacciata sui polpacci e mi avvicinai nudo al suo viso. La Lupa sentiva il mio odore e mosse la testa leggermente in avanti, affinché il suo naso finisse proprio sui miei coglioni. E inspirò forte, per imprimere nella memoria quell'odore.
Ero eccitato, almeno quanto lei, se non di più: mi eccitava averla in mio potere, in balia del mio vizio. Il cazzo oramai duro le sbatteva sul viso e mi bastò poggiarlo sulla sua bocca perché si aprisse ed io vi entrassi. Lento. Per assaporare quell'umido calore che trasmetteva la sua lingua, dalla punta fino in fondo alla gola, inesorabilmente, tenendole una mano dietro la nuca affinché non si allontanasse. Pur sapendo che non era necessario. Pur sapendo che mi avrebbe ingoiato ancora e ancora. Cominciai ad aumentare l'intensità e la profondità degli affondi, godendo dei gemiti e della saliva che colava dalla bocca della Lupa e finiva a terra e sulle mie palle.
"Ancora", aveva chiesto quando mi ero staccato da quel piacere. Aveva rotto il silenzio, be sapendo cosa le sarebbe spettato.
Tirai le corde per farla alzare in piedi. Nuda, la presi per il collo tenendo la cinghia nell'altra mano e le dissi solo "Conta".

"Uno...Due...Tre..." obbediente faceva seguire i numeri ai colpi di cinghia che si infrangevano sulla sua schiena, sui fianchi, sul seno.
La mia frusta sulla pelle bianca, a colorarla di strie rosse, viola.
"Trenta".
La liberai stringendola tra le braccia per non farla cadere a terra, stremata dalla "punizione" che tanto aveva desiderato e che non le permetteva di reggersi sulle sue gambe O forse fingeva di non averne la forza affinché la stringessi. Pelle contro pelle. Fiato nel fiato.

"Ti prego" mi disse la Lupa dopo che la posai sul divano e le tolsi la benda. Con gli occhi rossi di pianto si girò dandomi le spalle e offrendomi il culo e presi a scoparla. Entrai senza rispetto nella sua carne giovane, tirandole i capelli e stringendole i fianchi. Scopando e scopando come se volessi romperla. Come se volessi farla mia per sempre e non lasciarne una briciola per nessuno dopo di me. E mentre il cazzo scorreva tra le sue natiche aperte, nelle sue budella lussuriose, mentre la sua voce mi spronava a fotterla di più, a riempirla di sborra. La mia mente viaggiava averso quei desideri di cui mi chiedeva.
E gli aghi. Ed entrambe le man dentro lei. Ed il collo serrato in una morsa senza fiato alcuno. Ed il mio venderla, senza rispetto apparente, al primo schifoso disposto a pagare. E l’avrei usata come cesso, oltre che come moneta. Come schiava, oltre che come animale. E l’avrei cucita. E le avrei rotto davvero il culo e…

Dopo averla girata per poterle scopare la fica guardandole in faccia ed ubriacandomi dei suoi baci famelici, le avevo tirato uno schiaffo tanto forte da farle sanguinare un labbro e bramavo di farle talmente tante cose, di quelle che ci eravamo detti, raccontati, di quelle che mi aveva chiesto, ed avevo tanta rabbia, tanto sete, tanta fame, tanta nebbia e tanto il cazzo duro, che uscii da lei dopo aver sborrate nel suo ventre.
Mi sedetti sulla poltrona e per tutto il resto della mattina non stetti che a guardarla, per non farle tutto il male che la Lupa mi supplicava di farle. Perché sì: l’avrei uccisa altrimenti.
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