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non un vero racconto, ma le mie linee di pensiero


di RandagiVlad
12.07.2022    |    265    |    0 8.0
"(Facile un corno: sto tirando via perché non ho voglia di seguitare, mentre qui, solo per non perderci il capo, ci vorrebbe una pagina con tutte le regole)..."
Da "Il freddo e il crudele" di Gilles Deleuze:

"Con troppa fretta si è portati a ritenere che sia sufficiente rovesciare i segni, capovolgere le pulsioni e concepire la grande unità dei contrari per ottenere Masoch partendo da Sade. Il tema di una unità sadomasochista, di una entità sadomasochista, è stato particolarmente nocivo per Masoch. Egli ha sofferto non soltanto un ingiusto oblio, ma anche un'ingiusta complementarità, un'ingiusta unità dialettica con Sade. Infatti, quando si legge Masoch appare chiaro che il suo universo non ha nulla a che vedere con quello di Sade. Non si tratta soltanto di tecniche, ma di problemi e di preoccupazioni, di progetti totalmente diversi. Non si può obiettare che la psicoanalisi ha da gran tempo dimostrato la possibilità e la realtà delle trasformazioni tra sadismo e masochismo. E l'unità stessa di quel che viene denominato sadomasochismo ad essere in causa. La medicina distingue tra sindromi e sintomi: i sintomi sono segni specifici di una malattia, ma le sindromi sono unità di incontro o di incrocio, che rinviano a discendenze causali molto diverse, a contesti variabili. Non siamo certi che l'entità sadomasochista non sia essa stessa una sindrome, che dovrebbe esser dissociata in due discendenze causali irriducibili. Troppe volte ci è stato detto che uno stesso soggetto era sadico e masochista"

Ne "Il freddo e il crudele", l'idea geniale di Deleuze (a mio avviso) è rivelare come assurdo che nell'incontro tra un sadico ed un masochista si realizzi una soddisfazione reciproca. Si può essere sadici, oppure masochisti e, per realizzarsi, necessita incontrare la persona che è complementare nella medesima "perversione", non di una persona che vive nella perversione contraria.

Da quel che ho capito nel setting SADICO, sia la vittima che il carnefice condividono gli stessi valori, legati al sadismo: la vittima vi rinuncia (al proprio sadismo) affinché lo eserciti l'altro; parimenti nel setting MASOCHISTA il carnefice cede il proprio masochismo alla vittima.

Un autentico sadico, dice Deleuze, non sopporterà mai una vittima veramente masochista, che, cioè, si delizi della sua crudeltà, perché, in questo modo, verrebbe meno la sua stessa ragion d'essere: infliggere una pena. Una delle vittime dei monaci, in Justine, dice «Essi vogliono essere certi che i propri crimini procurino pianti, e allontanerebbero colei che si concedesse solo spontaneamente»

Perciò non mi sembra sbagliato dire che o si appartiene al sadismo, in cui si è vittima sadizzante e carnefice sadizzato, o si appartiene al masochismo, in cui si è vittime masochizzate, o carnefici masochizzanti.
O si è sadiani, o si è masochiani.

Anziché chiedere "sei Master, o salve?" potremmo -per farci un'idea più corretta del nostro interlocutore- chiedere "Appartieni al masochismo? e, in questo caso, sei la variabile che possiede il sadismo assente nel sadico, che è l'immagine riflessa del masochista, oppure appartieni al sadismo in quanto vittima, cioè sei il doppio passionale del carnefice sadico?"

Leggendo (e, sì, forse mi faccio delle stramegacolossali seghe mentali) mi è parso dii notare come l'appartenenza all'uno, o all'altro modo di essere si traduca, con esattezza e tragicità, nella scrittura: perché in quanto arte è una "utopia" in cui ogni passione si scioglie e si coagula incessantemente. Ed esistono una letteratura sadiana e masochiana? ovvero una letteratura che cede, ribellandosi, alla protervia di chi la usa ed una scrittura che, invece, si lascia piegare, "malgrado" l'autore?

Questa domanda mi è sorta dopo aver letto "Rien va" di Tommaso Landolfi e "Hilarotragoedia" di Giorgio Manganelli. Riporto due brani: secondo voi chi è sadiano e chi masochiano?

da Rien va, di Tommaso Landolfi
Eh, come fare a non immaginare, a non vedere attraverso la loro voce [delle donne, ndr] i loro vezzi nascosti? Con particolare riguardo a quello che le donne chiamano gentilmente il loro «puntolino». Se, ora, si consideri che una larga parte dell’amore è inflizione, col fatto parallelo e forse consequenziale che le donne sentono e portano, in fase di pudore, i loro attributi sessuali come menomazioni, e combinano le due, è facile vedere dove sia la maggiore provocazione. (Facile un corno: sto tirando via perché non ho voglia di seguitare, mentre qui, solo per non perderci il capo, ci vorrebbe una pagina con tutte le regole). Insomma, voglio forse dire, quanto più schiva in apparenza la donna, tanto più irritante, e d’altra parte quanto più capace di resistenza, tanto più segnalata l’eventuale vittoria: che non è davvero peregrino (ma è manifesto che mi sono imbrogliato). E per finire, quanta voluttà si troverebbe a sottomettere queste donne; e come sarebbe dolce essere amati da loro, quando esse medesime si fossero piegate ma come a dispetto di sé, fossero ribelli ma schiave.

Da Hilarotragoedia, di Giorgio Manganelli
Mi capitò inoltre di aggravare queste confusioni oggettive con altre che direi soggettive: mi innamorai di un drago… Innamorarsi di un drago, un drago, notate, che era mio compito uccidere! Un drago di faccia empia ed oscena, di occhio feroce e idiota, e adorno solo del gran prestigio delle ali meravigliose, sgargianti, arcobalenanti, morbide e metalliche… Per quelle ali si può spasimare. (…). lo amai prima come fanciulla legata allo scoglio in attesa di essere divorata. Lo amai non appena lo vidi emergere dalle acque, amai l’orrido, il mirabile, il tremendo, l’ottuso, e indugiai in stremata delizia, in attesa di cedere ai suoi denti…
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