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Diario erotico di un patriota (1)


di jeepster
14.07.2023    |    7.671    |    9 9.7
"La cosa non è durata molto, direi solo qualche minuto, dopodiché ho sentito il suo liquido bagnarmi la mano..."
INTRODUZIONE:
Questo testo è la trascrizione il più possibile fedele di un manoscritto da me trovato quando ho acquistato un villino a Napoli al Vomero che in passato doveva esser appartenuto a un magistrato. Si trovava dentro una cartellina chiusa da tre lacci di tessuto all’interno di un faldone sulla cui copertina c’era scritto: “Ergastolo di Santo Stefano – Novembre 1857”, ben custodito insieme ad altri fascicoli e faldoni in un vecchio e grosso baule dell’ampia soffitta che era necessario svuotare.
Detto manoscritto consisteva di una trentina di fogli ingialliti dal tempo; scritti a mano su una carta di scarsa qualità con una calligrafia totalmente differente da quella di tutti gli altri documenti dello stesso fascicolo.
Anche il contenuto era tutt’altra cosa rispetto al resto.
Da una rapida lettura mi son reso conto che la quasi totalità della documentazione contenuta in detto fascicolo consisteva in minute, appunti e relazioni di un’indagine giudiziaria con relative bozze di istanze da presentare in tribunale, mentre il fascicoletto allegato era una sorta di diario che raccontava episodi di vita vissuta all’interno del penitenziario sull’isoletta di Santo Stefano; ho quindi pensato che doveva trattarsi di documentazione sequestrata nel corso dell’indagine; però man mano che andavo avanti con la lettura mi rendevo conto che i fatti descritti non avevano nulla a che fare con il caso oggetto d’indagine e infatti in nessun documento si faceva riferimento a quanto era stato acquisito.
Molto verosimilmente il magistrato che aveva disposto il sequestro di quei fogli per leggerne ed approfondirne con calma il contenuto, poi sebbene l’abbia ritenuto irrilevante ai fini dell’indagine, per chissà quale motivo ha deciso di conservare per sé quel manoscritto, anziché restituirlo al proprietario o disfarsene. Potrei ipotizzare che lo abbia trovato di un qualche valore letterario o che abbia trovato addirittura una certa consonanza col proprio sentire.
Sebbene il contenuto è piuttosto scabroso, ho ritenuto di renderlo noto.
Durante la trascrizione sono intervenuto soprattutto per riportare a un italiano corrente il linguaggio e la sintassi del testo originale e ho adottato la mia soggettiva interpretazione delle parole che risultano poco comprensibili o di difficile lettura, viste le molte cancellature. Ciononostante ritengo di aver reso abbastanza fedelmente il contenuto di questo manoscritto.
Il titolo l’ho dato io, sulle pagine non c’è alcuna intestazione se non la data in cui sono state redatte.

18 Marzo 1855
Ieri sera Rino, il mio caro compagno di cella, ha ricevuto una lettera da suo zio che gli confermava una notizia terribile che aveva già saputo per altre vie e a cui non aveva voluto dar credito: è stato ritrovato il cadavere di suo fratello, rapito alcuni mesi prima in Calabria.
Fatico nel trovare le parole più giuste per raccontare lo strazio da lui patito, e poi anche il mio, in seguito a quella tremenda notizia; per di più i macabri particolari riportati a sostegno della certezza e veridicità di quanto veniva riferito, hanno avuto un effetto devastante nell’animo del mio povero Rino. Dapprima ha iniziato a leggere la lettera in silenzio, poi quasi subito ha interrotto la lettura cacciando un urlo straziante: un “NOOOO” rauco e prolungato che ha lasciato sbalorditi me e tutti gli altri compagni di cella. Ha ripreso la lettura piangendo, mentre continuava a ripetere tra sé e sé “no, no, no, no…”. Subito dopo me l’ha voluta rileggere ad alta voce e anch’io non ho saputo trattenere le lacrime. Tante volte mi aveva parlato di suo fratello, del grande affetto che li legava strettamente e delle tante vicende vissute insieme. In questi ultimi mesi successivi alla notizia del rapimento aveva espresso più volte la speranza e insieme il convincimento che presto avrebbe ricevuto la notizia della sua liberazione, poiché la sua famiglia aveva già pagato il riscatto richiesto.
Mentre leggeva ad alta voce, stava in piedi davanti a me che ero seduto sul tavolaccio che mi fa da letto ma alla fine non ho potuto fare a meno di alzarmi per abbracciarlo forte e piangere e singhiozzare insieme a lui. Siamo rimasti così un bel po’, dopodiché l’ho invitato a sedersi sul mio letto e io accanto a lui. Con i gomiti appoggiati sulle sue cosce e le mani a coprirsi la faccia, continuava a piangere senza sosta; io gli tenevo il mio braccio sulla spalla per fargli sentire la mia vicinanza, nel vano tentativo di consolarlo; neanch’io riuscivo a frenare le lacrime. Gli altri compagni di cella, che avevano ascoltato insieme a me Rino che leggeva il contenuto della lettera, non dissero nulla e vista l’ora tarda, man mano si sono messi tutti a dormire. A un certo punto, allorché il pianto a dirotto si era un po’ calmato, Rino ha fatto per alzarsi, con l’intento di andarsi a stendere sul suo giaciglio ma io l’ho trattenuto per un polso e con un cenno della testa gli ho fatto intendere che poteva coricarsi compagnescamente insieme a me quella notte. Annuendo ha accettato l’invito; così ha preso la sua coperta per aggiungerla alla mia e stare più caldi entrambi.
Dato il poco spazio del tavolaccio su cui eravamo distesi, i nostri corpi erano necessariamente attaccati ma questo ci consentiva di trasmettere calore l’uno all’altro. Rino mi dava le spalle, aveva smesso di singhiozzare ma restava in silenzio, io da dietro gli accarezzavo amorevolmente la testa e lui mi lasciava fare. A un certo punto seguendo il suo braccio ho lasciato scivolare la mia mano per andare a stringere la sua, scoprendo con mia grande sorpresa che la teneva in mezzo alle gambe e se la strofinava sul pube. Appena la mia ha toccato la sua si è interrotto e in quel momento mi son chiesto se non fosse un invito a proseguire io il lavorio di prima o se avesse smesso per vergogna di quello che stava facendo. Confuso e sconcertato com’ero, non ho saputo fare niente di meglio che andare a palpargli il pube, sentendo chiaramente il turgore del suo sesso in piena erezione. Visto che non mi ha bloccato la mano, ho capito che gli avrebbe fatto piacere se fossi stato io a toccarlo. L’ho fatto senza stare tanto a pensarci; ho infilato le mie dita nella fessura dei suoi pantaloni e gliel’ho tirato fuori per poter meglio eseguire il “servizio”. Così lui ha preso a strofinare lentamente le sue natiche che premevano contro il mio bacino e questo mi ha fatto realizzare che anch’io ero eccitato e lui, essendosene accorto, tentava di ricambiare in qualche modo.
La cosa non è durata molto, direi solo qualche minuto, dopodiché ho sentito il suo liquido bagnarmi la mano. Doveva essere da un po’ dacché Rino non aveva quel tipo di sfogo.
Io non so cos’è che mi ha fatto agire in quel modo: penso che sia stata soltanto la voglia di regalare un po’ di piacere e di sollievo al mio amico carissimo in un frangente così doloroso.
Al mattino mi sono destato nel momento in cui Rino è sceso dal mio letto, dopodiché avvicinandosi al mio orecchio a voce bassissima mi ha detto:
«Quando vorrai, sappi che ti devo un servizio».
Mentre tutti dormivano ancora, nel silenzio e nel buio della stanza l’ho sentito armeggiare col secchio dell’acqua che teniamo per lavarci, quindi mi sono subito riaddormentato.
La giornata l’ho trascorsa in quasi totale solitudine: restavo in cella quando tutti gli altri erano fuori a passeggiare sul ballatoio e uscivo quando rientravano.
Avevo bisogno di raccapezzarmi tra i mille pensieri che mi affollavano la mente nel ripensare a quanto accaduto la notte prima. Ero assalito e tormentato da mille dubbi e timori, soprattutto mi chiedevo se questo avrebbe potuto guastare la bella amicizia che c’è tra noi due.
A dispetto di quella che è l’opinione corrente, non credo di aver fatto una cosa tanto sconveniente o turpe (qua dentro accade ben di peggio), poiché se è vero che l’intimità carnale ha lo scopo di rafforzare il senso di confidenza e condivisione che può esserci tra due persone, io la notte scorsa ho potuto sperimentare la veridicità di questo concetto; che poi è anche l’insegnamento che ci arriva dall’antica Grecia, dove il rapporto di natura intellettuale ed anche sessuale che c’era tra insegnante e discepolo era benvoluto.
In questo luogo sono pressoché inesistenti le occasioni di pensare al sesso collegato a una qualche forma di amore o almeno di affetto; per lo più lo si vive in forma solitaria, o peggio ancora, in maniera bestiale o come sopraffazione e dominio dell’altro.
Anche Rino oggi è stato piuttosto taciturno e pensieroso ma penso sia dovuto più al dolore per la feroce notizia che ha ricevuto ieri che non per l’episodio con me. In questo momento mi è seduto accanto; mentre io scrivo queste cose lui sta ricopiando per me, in bella copia, una traduzione che ho terminato da poco. È quello che facciamo spesso dopo che al tramonto vengono chiuse le porte delle celle: mangiamo qualcosa per cena e poi ci dedichiamo alla lettura e alla scrittura. Ogni tanto i nostri sguardi s’incontrano; lui mi sorride senza dire niente e io lo stesso.
Ma poi è davvero solo amicizia la nostra o c’è qualcos’altro?
(continua)
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