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Il cugino canoista - Parte 4


di LuogoCaldo
13.10.2022    |    10.308    |    7 9.8
"Feci per protestare ma Ettore mi afferrò per la gola e mi sollevò il busto..."
“Allora?”. Esordì Ettore. “Ci muoviamo o no? Non ho tutta la giornata … Esther mi aspetta per cena”.
Il disco del sole si stagliava dietro il fabbricato come una palla incandescente.
In controluce il ragazzo era solo un’ombra nera.
La stazza era imponente, ma il suo corpo non era forgiato dalle ore di sport che avevano scolpito quello di Gabriele.
Le spalle erano enormi, il ventre duro e prominente e le cosce spesse come tronchi.
L’altra notte non l’avevo visto bene, ma era proprio un bel toro.
Aveva i capelli e la barba rossi e il viso ricoperto di lentiggini come quello della sua donna.
“Un secondo … Dagli un secondo … !”. Urlò mio cugino. “Glie l’ho appena detto …”.
“Senti”. Rispose l’altro. “Io ti sto facendo un favore … O ti muovi o me ne vado”.
Gabriele mi implorò con lo sguardo.
“Ti prego Flavio …”. Disse. “ Ho bisogno che tu faccia questo per me … Non so a chi altro chiederlo … Hai visto tu stesso cosa accade quando ci provo da solo …”.

Non sapevo cosa rispondere.
Mio cugino sembrava realmente in difficoltà, eppure non riuscivo a dimenticare quello che avevo provato la notte precedente.
Il piacere intenso di essere posseduto e poi, infine, il dolore.
Un dolore che, nei giorni seguenti, avevo rivissuto con eccitazione, ma che, all’atto, mi aveva spaventato.
“E se mi succede qualcosa?”. Pensai. “Se mi fa così tanto male che ho bisogno di un medico? Come ci vado? A chi mi rivolgo …”.
Ero tentato, ovviamente. Molto.
In quegli ultimi giorni la vicinanza di Gabriele mi aveva provocato una vera e propria tempesta ormonale.
Ripensavo spesso ai quadricipiti gonfi e all’enorme culo duro che avevo assaggiato e che avrei voluto toccare ancora.
Ma non dovevo.
Era un rischio troppo grande.
“Non posso scusa Gabri … Non ci riesco”.

“Quindi?”. Ettore era sul punto di mettersi a urlare.
“Quindi che? Hai sentito, no … ? Non lo vuole fare”. Rispose Gabriele.
La voce tradiva tutta la sua delusione.
Evidentemente si era venduto la cosa per sicura con l’amico e ora provava a giustificarsi.
“Cristo santo”. Sbottò l’altro. “Ma voi siete scemi. Io ho da fare … Ho chiuso la macelleria prima proprio per venire qua … E mò? Mica finisce così …?”
Il suo sguardo s’era fatto serio.
Mi venne incontro e, quando mi fu vicino, la sua sagoma parve oscurare il sole.
Avvertii l’olezzo del suo sudore misto all’odore del sangue rappreso degli animali.
“Senti frocetto”. Sussurrò chinandosi all’altezza del mio volto. “Che problema hai? Ti fa schifo?”
E mentre parlava si calò i pantaloncini e lasciò che l’uccello gigantesco penzolasse fuori dalle mutande.
Spalancai la bocca per la sorpresa.
Lui se ne accorse e storse la bocca in un ghigno soddisfatto.
“Ma che stai facendo?”. Intervenne Gabriele basito.
“Sta zitto … Imbecille”. Lo rimbrottò lui.
Poi si rivolse nuovamente a me. “Allora, ricchione. Lo vuoi o no? …”.

Guardai quel cazzo con occhi di bragia.
Era meno lungo di quello di Gabriele ma molto molto largo e i coglioni erano certamente i più gonfi che avessi mai visto.
Emanava un odore così forte che sospettai che Ettore fosse il tipo di maschio che ce l’ha continuamente in mano.
Pensai ad Esther, alla fortuna che aveva ad accompagnarsi a un simile toro.
Per un istante mi tremarono le ginocchia o forse feci per poggiarle a terra per adorare quella verga.
D’un tratto, però, accadde una cosa che non mi aspettavo.
Ettore volse lo sguardo verso Gabriele, gli fece il cenno di avvicinarsi e, quando furono uno accanto all’altro, gli abbassò l’elastico del pantaloncino.
Mi morsi le labbra e trattenni il respiro.
Avevo due grossi pesci pieni a portata di mano.
Mi sentii avvampare e il buco del culo ricominciò a pulsare.

“Allora”. Disse Ettore dopo un silenzio che mi parve interminabile. “Fai tu o faccio io?”
Non riuscii a muovermi.
Lui mi prese la mano e me la portò sopra al suo ariete e Gabriele lo imitò.
Mi sentivo minuscolo accanto a quelle due montagne.
“Datti da fare … Non hai mica la fica che si alzano da soli …”.
Iniziai ad accarezzare quelle proboscidi.
Ad ogni movimento vedevo la pelle del prepuzio che si ritraeva come la marea e i glandi che divenivano sempre più brillanti per il riflesso delle secrezioni.
“Cristo santo …” Esclamai quando quelle verghe furono entrambe dure.
Feci per inginocchiarmi e iniziare a pomparmeli, ma Ettore si sottrasse.
“Non qui … Possono vederci … Entra!” Mi disse.
Obbedii senza battere ciglio.
M’era montata dentro una voglia così scomposta che avrei fatto tutto quello che m’avrebbero chiesto.
Mi accomodai sul letto dove Esther mi aveva preceduto.
Avvertii una punta d’orgoglio all’idea di ritrovarmi al posto di una donna così avvenente e di suscitare negli uomini lo stesso tipo di desiderio animale.
Mio cugino e il suo amico si sfilarono i vestiti e mi raggiunsero.

“Ciuccia come una femmina”. Disse Gabriele mentre gli aspiravo la minchia fino alla base dei coglioni, risalivo l’asta e me la ricacciavo in gola.
“Meglio di una femmina”. Mugolò Ettore subito dopo. “Molto meglio. Esther mi lecca schifata e lo vuole subito in figa … Questa puttanona guarda cosa sta facendo … Gli sto sfondando le tonsille …. Ah… Tieni, tieni … Mmmmh”.
“Cristo Ettore … Così lo soffochi … Gli stanno scendendo le lacrime, fai più piano …”
“Ma che piano! Non lo vedi che gli piace … Non mi graffiare le cosce vacca che se quella mi sgama ti manda al cimitero …”
“Esther …?”.
“Eh … È gelosa marcia … Tra un po' pure delle vacche che macello in campagna!”.
“Ha ragione”. Mi intromisi mentre passavo da un uccello all’altro. “Hai un cazzo buonissimo … Mmmmmh … Buonissimo”.

“Vai giù …”. Disse Ettore a Gabriele. “E tu, cagna! A pecora e succhiagli il cazzo! Glie lo devi far scoppiare sacco di merda”.
Mi prese per i capelli e mi affondò la faccia tra le cosce di mio cugino.
Lui piegò le ginocchia e mi avvicinò i piedioni al volto.
Iniziai a leccarglierli, mugolando senza ritegno, mentre dietro di me sentivo che l’amico mi stava penetrando.
“Guarda”. Gli disse.
E mentre cominciava a scoparmi continuò a parlare.
Non ascoltai nulla di quello che si dicevano.
Infilai la lingua sotto i coglioni di Gabriele, gli sollevai le chiappe e fiondai la bocca sopra allo sfintere odoroso.

Ero in paradiso.
Ettore era balzato in piedi, s’era serrato le mie natiche tra le cosce e mi stava montando come un forsennato.
“Lavagli il culo”. Mi urlava. “Lavaglielo frocio, mangia-tutta-la-mmerda … Mmmmmh …”.
Intanto mio cugino si godeva i colpi della lingua e mugolava segandosi.
Sentii due affondi decisi dentro al retto e, poi, l’uccello di Ettore che scivolava fuori di me.
Il ragazzo mi ghermì i capelli e mi strattonò all’indietro.
Il sedere che mi schiacciava la faccia affondò sul materasso e le cosce si rilassarono lunghe.
“Siediti sulla minchia”. Ordinò. “E tu infilati il preservativo. Vedrai che stavolta non si rompe …”.
Non me lo feci ripetere due volte.
Gabriele era definito come una statua.
Le spalle e i pettorali sembravano scolpiti dentro al marmo e il ventre era concavo e striato per le nervature venose.
Avanzai sulle ginocchia, gli montai sopra e mi fermai all’altezza della verga.
Puntai il cazzo sopra al buco del culo e, piantatomici sopra, cominciai a cavalcarlo.
Avvertii un piacere indescrivibile.
Quella trave mi stava letteralmente tagliando e l’ingombro dei coglioni mi stimolava il perineo.
“Secondo me ho una fica là sotto”. Pensai.
Accarezzai i pettorali enormi di mio cugino e gli sfiorai i capezzoli turgidi.
Lui gemeva.
Aveva lo sguardo stravolto e gli occhi rivolti all’indietro.
Gli leccai il sudore del collo, risalii fino al lobo dell’orecchio e provai a sfiorargli la bocca, ma lui ritraesse.
Feci per protestare ma Ettore mi afferrò per la gola e mi sollevò il busto.
“Continua a fottertelo”. Mi disse e, piazzandosi a cosce larghe dinanzi a me, mi ficcò la minchia in bocca.
“Mmmmmh … Mmmmmh”. Mi stava stimolando le tonsille con tanta forza che non riuscivo a respirare.
Poi mi mise una mano sulla nuca e col cazzo ben piantato tra le labbra si accovacciò lentamente, portando il culo proprio sulla faccia di Gabriele.
“Fatemi godere”. Ci incitò.
E fece oscillare le pelvi per spingermi la nerchia in gola quando avanzava e infilarsi la lingua di mio cugino tra le mele quando arretrava.
Da quella posizione riuscivo a vedere il suo grosso ventre peloso che si muoveva duro sopra di me e il volto stravolto.
“Aaaaah … Bravi …!”. Gemeva. “Come mi stai sucando … Mmmmmh”.
Il suo piacere era così scomposto che pensai che m’avrebbe sborrato in bocca da un momento all’altro, ma, d’un tratto, il ragazzone mi sfilò l’uccello dalla bocca e, scavalcandomi, si posizionò alle mie spalle.

“Penso che ora tu abbia capito come devi fare”. Disse Ettore.
“Si … Ma sono troppo arrapato … Ho bisogno di sborrare”. Ansimò Gabriele.
“Anche io …”. Rispose lui, facendo cadere una grossa quantità di saliva sulla minchia eretta.
Non mi resi conto di cosa stesse per accadere.
Continuavo a dondolare sul pesce di mio cugino con l’ obiettivo di farmelo esplodere dentro.
Poi il porco parlò. “Quello che ti ho detto, però, vale per le donne, Gabri…”.
Mi voltai guardandolo interrogativo.
Sapevo che dovevo avere un’espressione da troia perché sentivo che avrei potuto schizzare in un istante senza neppure toccarmi.
“I froci se lo meritano se gli sdrumiamo il culo …”. Disse.
E spingendomi contro il petto dell’amico puntò l’ariete in mezzo alle mie natiche.
“No ti prego no … Mi rompete così …”
“Tienigli le mani”. Gridò. “Tienigliele”.
E mentre Gabriele mi incatenava i polsi, lui si fece strada dentro al retto.
Sentii che le viscere si laceravano.
“Ecco …” . Ansimò lui. “Ora hai due pesci in culo”. Disse.
E iniziò a spingere.

Non capii più nulla.
Sentivo solo dolore.
Urlai come un matto e intanto il mio seme uscì copioso sopra al ventre di Gabriele.
Ettore continuava a sbattermelo dentro.
Il preservativo si ruppe e l’attrito divenne insopportabile.
“Ti prego fermalo”. Sussurrai avvicinando il viso a quello di mio cugino.
Potevo sentire il calore del suo respiro.
Lui piantò i suoi occhi dentro ai miei, mi liberò il polso, e, dopo aver posato la mano sulla mia schiena, mi tirò verso di sé, cominciando far sussultare il bacino.
“Mi stai facendo sborrare, Flavio”. Disse e mi infilò la lingua in gola.
Il suo alito era delicato.
Avrei voluto ricambiare il bacio, ma le fitte non me lo consentirono.
Lasciai che fosse lui a chiudermi la bocca con la sua, serrai gli occhi e provai a pensare a quanto piacere stavo causando.
Mi martellavano come due assatanati e le mie cosce erano sicuramente piene di lividi.
“Cagna schifosa …”. Urlava Ettore. “Di quelle che ho portato qua dentro sei la più vacca”. E mi sputava grosse quantità di saliva sulla guancia.
Poi finalmente la monta terminò.
“Ci sono”. Urlò il ragazzo. “Che culo sta troiaaa … Schizzo, schizzooo … Mmmmmh!”.
“Anche io”. Esclamò mio cugino con un filo di voce. “Vengo …. Cristo ... Vengo … Aaaah… Aaaah”.
Continuarono a trivellarmi mentre sborravano.
I colpi si fecero prima più violenti e poi persero d’intensità, ma nessuno dei due si fermò fino a che non ebbero entrambi scaricato dentro di me tutto il contenuto dei loro coglioni.

Mi vestii in fretta.
Avevo dolore ovunque.
“Lo sapevo che sarebbe stato un errore”. Pensai.
“Ho capito mi sa”. Diceva mio cugino. “Se la metto sopra e la faccio squirtare non si rompe …”.
“Eh ..” Annuì Ettore. “Esatto”. E, chiudendosi la zip, continuò a lanciarmi occhiate incuriosite.
“Senti … Ma secondo te … Posso riprovare con Esther?”. Chiese Gabriele.
“Non penso proprio. Non ne vuole sapere. Se glie lo propongo mi ammazza …”
Il ragazzo parve deluso e sembrò sul punto di protestare quando, d’un tratto, udimmo il rumore continuo di un claclson fuori dal capanno.
Mio cugino si affacciò e riconobbi distintamente la voce bassa di mio padre che lo salutava con entusiasmo.
“Ooooh … Lo sapevo che era la tua bici!!!”. Disse.
“Vieni qua, fatti abbracciare. Cazzo! Che fisico che ti sei fatto! E tu saresti il piccolo della famiglia? Ah, Ah.
Anna, guarda che spalle che ha Gabriele ... E che petto enorme”.
E mentre mia madre smontava dall’automobile, lui continuava a toccargli il dorso, elogiandone la muscolatura.
“Ciao amore della zia. Vieni, fatti dare un bacio. Ti sei fatto veramente bello”. Esclamò.
Gabriele aveva il volto rosso come una melanzana.
“Io vado, buona sera a tutti …” S’intromise Ettore.
E poi, rivolgendosi verso di me, mi salutò. “A presto Flavio, sono sicuro che ci rivedremo prima della fine dell’estate”.
“Ciao …” Risposi debolmente.
“Ah sei qua allora!”. Disse la mamma. “Sei contento che siamo venuti? In città non si respira in questi giorni ragazzi. Almeno stanotte dormirò”.
“Bene”. Esclamò mio padre. “Allora ci vediamo su a casa”.
Poi rivolgendosi verso mio cugino gli fece l’occhiolino. “Buona pedalata cosce d’acciaio!”.
Sentivo che avrei potuto mettermi a piangere.
“Posso caricare la bici e venire con voi?” Chiesi con un filo di voce. “Non mi va di fare la salita”.
“Certo tesoro, vieni”. Rispose la mamma.
E tirai un sospiro di sollievo all’idea di non dover appoggiare il sedere sul sellino.
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