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Lui & Lei

Insegnante di musica


di AndreaCork
15.11.2020    |    856    |    1 8.7
"Se un pezzo ha bisogno di una parte che per essere funzionale deve contenere molte note e passaggi difficili, ok, perfetto, ben venga..."
“Benvenuti a questa lezione di guida all’ascolto della musica moderna...” disse Rossella. “Oggi, il tema è: suonare cattivo”.
E fece partire Born in the USA di Bruce Springsteen. Introdusse il pezzo spiegando dove nasceva e in quale contesto, poi passò all’analisi tecnica.
“I suoni come sentite non sono esasperati. Eppure è una delle canzoni più incazzate che siano mai state scritte. Non parla dell’orgoglio di essere americano, anzi. È una canzone di protesta incazzata contro le scelte del governo a stelle e strisce; con una melodia orecchiabile e un ritmo che ti fa saltare dalla sedia. Un genio...” concluse. Gli allievi dell’accademia ascoltavano la sua lezione e pendevano dalle sue labbra. Fu allora che lo vide tra la moltitudine di visi che riempivano la sala. E il cuore le mancò un battito. Da quanto non lo vedeva? Dalla scorsa estate. Da quando lo aveva tradito con un batterista con cui era in tour: un cinquantenne brizzolato che le aveva fatto perdere la testa per una sera. Aveva ceduto alle sue avances e poi appena tornata dal tour, consapevole del fatto che tra di loro non vi fosse alcun impegno, gli aveva confessato il tradimento. Anche se di tradimento non si poteva proprio parlare, dato che non erano certo fidanzati. Ma lui si era risentito, si era sentito tradito da lei e non aveva più voluto saperne nulla di lei. E lei… non si era sentita proprio in colpa ma ci era rimasta male per averlo ferito. E gli mancava terribilmente. Fece finta di nulla e continuò la lezione.
“Clash. Combat Rock. Disco epocale che segnò la fine della band inglese. Il pezzo si chiama Know your rights. Conosci i tuoi diritti. Anche qui… tanta incazzatura più nell’intento che non nei suoni: come potete sentire, non serve suonare heavy metal per sembrare cattivi. Basta l’intenzione in quello che fate...” disse alla fine della canzone. Lo guardava e inconsciamente riprese a fare quella cosa che faceva sempre quando era in sua presenza. Appoggiata alla scrivania, appoggiò la punta del piede a terra, piegò le dita e sfilò la scarpa, lasciando uscire il tallone. Non si rese nemmeno conto di farlo, se non quando girandosi per togliere il cd dallo stereo portatile lasciò la ballerina a terra, rimanendo col piede nudo.
“Pareri?”
“Non mi piace questa canzone...” disse un personaggio con gli occhiali e la faccia da topo.
“Perchè non ti piace questa canzone?” chiese.
“Non c’è tastiera!!!” disse il ragazzo. Sembrava ce la stesse mettendo tutta per rendersi antipatico.
“Suoni la tastiera?” chiese lei.
“Sì.”
“E secondo te una canzone per essere bella deve avere necessariamente dentro lo strumento che suoni tu?”
“Beh… non mi piace una canzone se non ho delle belle parti di tastiera da sentire...”
“Belle parti? Tipo?”
“A me piace la roba tecnica…”
“Quindi per esempio un pezzo come Don’t you forget about me dei Simple Minds non ti piace...”
“Bah… sarà mica tastiera quella?” disse il roditore. "Sono solo quattro accordi..."
“Ma scelti con un gusto che a distanza di quarant'anni fa ancora scuola. Ti sembra poco? Inoltre, devi pensare... se una parte è funzionale o no alla canzone. Non solo quanto è difficile da suonare. L’emozione che esprime, le corde che tocca… non il numero di note al secondo che vengono suonate. Ci hai mai pensato, a questo?"
Molti tra i presenti annuirono con la testa, d’accordo con il parere dell’insegnante.
“O suoniamo una canzone o facciamo esercizi. Son due cose diverse. Se un pezzo ha bisogno di una parte che per essere funzionale deve contenere molte note e passaggi difficili, ok, perfetto, ben venga. Altrimenti si lascia tranquillamente perdere. Non si suona per fare sfoggio di tecnica. Non serve a niente fare quaranta note al secondo se alla fine non si è detto nulla. Meglio mettere giù poche note, ma buone. I Pink Floyd ne sanno qualcosa... vero?" Altri mormorii di consenso dalla classe.
Lo aveva messo alle corde con pochissimi colpi. Sapeva fin troppo bene di cosa stava parlando. Il topo, no: cercava solo di mettersi in mostra facendo credere di essere un intenditore, quando era chiaro a tutti che fosse solo uno sbruffone che di musica non aveva capito assolutamente nulla. E soprattutto non aveva capito di avere a che fare con una musicista professionista fin troppo preparata che non si sarebbe lasciata intimidire da un coglione del genere, con più lingua lunga che talento.
“La musica con la tecnica è buona, il resto no…” disse lui: essendo allievo di una rinomata accademia musicale che sfornava ogni anno fior fiore di musicisti, era sicuro che avrebbe trovato molti consensi con le sue osservazioni sulla musica infarcita di tecnica.
“No, mi dispiace. La musica composta e suonata con gusto è buona, il resto no. Quella che raggiunge lo scopo che si prefigge è buona. Il resto no. Tipo... parliamo del punk...”
“Il punk è uno schifo… i punk non sanno suonare...” disse ancora il roditore biondo.
“Il punk rappresenta il grido di rabbia di una generazione. E anche se è suonato per lo più da musicisti apparentemente privi di grandi doti tecniche, è efficace: due accordi, tre minuti a canzone, e sbàm!!! Dritto come un pugno nei denti all’ascoltatore. E ha cambiato il corso della musica. Di fronte al fenomeno del punk, signori, giù il cappello e tutti zitti. Vedete, io cerco di trasmettervi questo concetto con queste lezioni di guida all’ascolto: creare musica funzionale al messaggio che si vuole trasmettere. E che sia di buon gusto. Ah, dato che i punk non sanno suonare... vai a dirlo al batterista dei Clash che non sapeva suonare. Ascoltati Tommy Gun, poi ne riparliamo. Comunque, per quanto mi riguarda, lo sfoggio di tecnica lo lascio ai segaioli cui piace suonarsi addosso per far vedere chi ce l'ha più grosso. ” La battuta finale stemperò la tensione che il coglione aveva cercato di creare. Teneva l’auditorium in pugno, e la gente rise.
Sospirò, scherzosamente sconsolata.
“Allora, altri tastieristi tra voi? O lui è l’unico a suonare questo strumentaccio inutile?”: la gente rise ancora, ma si alzarono altre braccia. Rossella mise le mani sui fianchi, facendo finta di essere seccata.
“Ok, va bene, sembra che dovrò fare contenti anche i tastieristi, allora…dunque... vediamo… sì, questi sono perfetti...” Scelse dallo scaffale dei cd una raccolta dei Goblin.
“Gruppo progressive italiano che conosce il suo momento di maggior gloria negli anni ‘settanta, grazie alle colonne sonore dei film di Dario Argento. Musicisti fa-vo-lo-si. Questa è Inferno, tratta dall’omonimo film. Un organo da chiesa suona un motivo lugubre, sovrapposto a un altro organo che suona note dissonanti e volutamente fastidiose; i cori in latino creano un’atmosfera da funerale. Nella seconda parte entra un sintetizzatore con un suono che ricorda quasi una sirena e il tempo del riff portante è in sei quarti: il tempo irregolare accentua ancora di più il senso di inquietudine, insieme alla frenesia del pezzo. Se lo ascoltate, vi sembra quasi di vedere la faccia del batterista mentre dà l’accento sui piatti per scandire le battute, con quanta cattiveria picchia su quei crash. Sembra quasi di vederlo che suona digrignando i denti!!! In tutto questo casino, nemmeno l’ombra di una chitarra. Eppure, cattivi come il veleno. Ascoltare per credere!!!” disse. Fece partire il pezzo. Molti degli astanti più giovani strabuzzarono gli occhi di fronte alla magnificenza di quel brano che non avevano mai sentito mentre lei, sfilando ancora la scarpa, cercava lo sguardo di lui. E lui la guardava ammirato; ammiccò verso di lei: la stava cercando. E Rossella si sentì sciogliere. Come era iniziata tra loro? Mentre le note dei Goblin riempivano l’auditorium, iniziò a ricordare.

Rossella Ghenf era una delle migliori bassiste della regione, e moltissimi musicisti si rivolgevano a lei. Sia per registrare delle parti in studio, sia per concerti. Anni di duro allenamento l’avevano resa preparatissima in tantissimi generi, dal pop al metal più spinto, passando per il jazz da club riservato al funk più ballabile. Un carattere tenace l’aveva portata a ricavarsi una bella nicchia di clienti in un ambiente molto maschilista, che riservava alle donne quasi solo ruoli da corista. Lei invece aveva scelto il basso. Adorava far parte della sezione ritmica di un ensemble, tenere il tempo e creare trame sonore sulle quali i chitarristi potevano volteggiare con le loro mille scale e arpeggi. Si divertiva a lasciarli fare, regalando loro tappeti ritmici che potevano essere rassicuranti o tonanti, a seconda della necessità. E se le veniva lasciato lo spazio per un intervento solista, sapeva lasciare senza fiato anche i musicisti e gli ascoltatori più smaliziati. Le piaceva la sensazione che le dava il suono grosso e tondo che solo il basso Fender Precision sapeva dare. Aveva provato diversi modelli di basso, ma nulla era stato in grado di sostituire quello strumento di cui era innamorata: semplicissimo, quasi spartano, eppure di una versatilità assolutamente impareggiabile. Sul palco era disinvolta ma quasi mai esibizionista, a meno che il ruolo della serata non glielo richiedesse: sapeva presentarsi vestita in tailleur se doveva partecipare a una serata tranquilla, come poteva suonare mettendo in mostra le sue gambe lunghe e i seni appena coperti da corpetti di cuoio e trucco sgargiante se doveva suonare con qualche gruppo metal. I capelli corti, rasati ai lati, non le toglievano femminilità, ma anzi le davano un tocco di sensualità in più. E anche se sapeva vestirsi in maniera provocante, stava ben attenta a non farsi il nome da zoccola, tutelando sempre, con i suoi atteggiamenti misurati e riservati fuori dal palco, la sua reputazione di affidabile professionista. Più di un addetto ai lavori, che fosse un manager, un organizzatore di serate, o il proprietario di un locale, era stato rimesso al suo posto (anche in malo modo, se era necessario), quando aveva cercato di metterla sotto chiedendole di andare oltre le sue prestazioni di musicista. Rossella sapeva farsi rispettare, anche in quell’ambiente in cui il saper scendere a compromessi per le donne è essenziale tanto quanto la competenza professionale. Le era costato caro, questo: aveva dovuto rinunciare a parecchi ingaggi, anche grossi, ma la sua bravura e la stima dei colleghi e dei manager più seri e corretti le permettevano di lavorare comunque e bene. Nei periodi in cui non era impegnata in tour insegnava, oltre che nelle accademie musicali della regione, a casa sua. Insegnava musica con la stessa serietà con cui avrebbe affrontato un tour con i Toto (se le fosse stato offerto…) o con qualunque altro nome grosso, e un serio anno di studio con lei era un lasciapassare non indifferente tra le band della sua città. Chiunque l’avesse incontrata in privato era rimasto impressionato da lei: sembrava di avere a che fare con una zia simpatica e disponibile, più che con una musicista preparatissima. Ti riceveva a casa in jeans, maglietta e ciabatte, mai provocante, sempre ospitale ma scrupolosa: guai a saltare lo studio della lezione precedente, con lei. Senza tanti giri di parole, se un allievo non sapeva un argomento che era stato affrontato, lo rimandava a casa e gli intimava di tornare solo quando fosse stato pronto per affrontare la nuova lezione.
Ed era così che era iniziata con lui. Caso più unico che raro: un suo allievo, poco più giovane di lei. Un bassista di una band della città. Come era iniziata tra loro? Aveva iniziato a frequentare casa sua per perfezionare certe tecniche che non era mai riuscito a imparare. E lei lo aveva impostato ripartendo da zero, correggendo certi errori che aveva ravvisato nel suo modo di suonare. Prima di insegnargli lo slap alla maniera di Les Claypool dei Primus, come voleva imparare lui, gli aveva insegnato l’armonia, il solfeggio, l’importanza di tenere il tempo. Ed era in quell’occasione che aveva iniziato a sentirsi a disagio in compagnia di Andrea. Quel giorno in cui, lo ricordava perfettamente, lo aveva accolto vestita in maniera più femminile del solito. Già pronta per uscire per un compleanno, aveva già indossato i collant e una gonna elegante che copriva a malapena le ginocchia. Gli stava facendo studiare degli schemi di note, tenendo il conto delle battute con il piede. Niente. Di seguire il tempo, quel giorno Andrea non ne voleva sapere. Le guardava di continuo i piedi.
“Di nuovo… occhio alla sincope lì… attento a quel cazzo di accento, basta solo starci attento, dai, stai attento cazzo, forza: ooone twooo threee fooour…” diceva Rossella. E iniziava con il piede a battere il tempo. E lui guardava. Se ne era accorta del suo sguardo. Uno dei pochi che non le guardavano i grossi seni. Che comunque, quel giorno, non erano certo in mostra ma ben chiusi dentro una camicetta bianca. No, Andrea le fissava i piedi. Almeno avesse indossato delle scarpe eleganti… avrebbe capito. No, quel giorno, con delle semplici ciabatte di sughero, l’attenzione di Andrea era tutta per i suoi piedi. Non sapeva con certezza se quello che pensava era vero, ma la direzione dello sguardo di lui parlava chiarissimo. Si spostò, di modo da nascondergli la vista dei suoi piedi e iniziò a tenere il tempo con la penna sul tavolo.
“Tac tac tac tac...”: perfetto. Il suono del basso di Andrea era perfetto. A tempo e preciso. Decise di ripetere l’esperimento. Cambiò ancora posizione girando la sedia, mettendo i piedi in mostra, accavallando le gambe e continuando a tenere il tempo con la penna sul tavolo. E di nuovo Andrea faticava a suonare giusto. Si alzò in piedi e si mise dietro di lui. E di nuovo lui suonò perfetto. Ora passeggiava per la stanza sciabattando, battendo le mani a tempo. E di nuovo il suono diventava incerto e zoppicante. Ok, era sicura. Le guardava i piedi. Si sentiva a disagio ma al contempo la cosa le faceva piacere per il desiderio che leggeva negli occhi di lui: era uno sguardo carico di voglia ma anche di rispetto e di ammirazione, forse dovuto anch al ruolo che lei aveva in quella situazione. Fece finta di niente e lo incoraggiò:
“Vedi, inizia a venirti bene la parte!!!”
“Già...” rispose lui.
“Basta stare attento a quello che fai...” disse Rossella, lanciandogli una frecciatina scherzosa.
“Eh lo so…”
“Vediamo che fai ora...” pensò lei. Si appoggiò alla scrivania mentre lui ancora provava quel riff che non voleva saperne di uscire bene. Puntò il metronomo e gli disse di seguire la lancetta. Andrea iniziò ancora a suonare.
Thummm tèng thummm thu-thump thun tènnng… faceva il suo basso. Lei sfilò una ciabatta e iniziò a giocarci. Col piede si accarezzava la gamba. Il suono era sicuro e deciso, ora. Bastardo… allora, lo sapeva suonare, quel riff. E anche molto bene… Ma teneva lo sguardo fisso su di lei e sui suoi piedi, che entravano e uscivano da quelle ciabatte accarezzandole di continuo e muovendole avanti e indietro per il pavimento di legno. Rossella si stava divertendo da morire: sapeva i gusti dei feticisti, ne aveva già conosciuti. Ma non ne aveva mai visto uno con la fissa delle ciabatte.
“Senti un po', ma… perché mi fissi i piedi?” chiese, più per divertimento che altro.
Lui si imbarazzò subito.
“Hmmm… beh… scusa… davvero… non volevo metterti a disagio...”
“Che hanno di strano i miei piedi?” chiese lei sfilando ancora una ciabatta.
“Niente, anzi!!!” si lasciò sfuggire lui, a confermare inconsciamente che sì, la stava guardando.
“Anzi cosa?”: Rossella rideva. “Ti piacciono?” lo incalzò.
“Beh… sì…”
La lezione era saltata, ormai. Di fare musica non se ne parlava, lo sapeva. Non ne aveva mai conosciuto un feticista che la attraesse. Alt. Andrea la attraeva? Sì. Non voleva ammetterlo, ma sì, la attraeva. Con quei capelli rasati e quei tatuaggi, era davvero un bel tipo. Oltre a quegli occhi azzurri dallo sguardo buono, ma penetrante e determinato. No, non si sentiva a disagio a essere guardata da lui: si sentiva apprezzata e la cosa le piaceva molto.
“Ah ti piacciono… e magari ti piace come li muovo?”
Perchè lo stava torturando così? Lui era in crisi, ora. Intimidito dalla persona che aveva davanti, non sapeva come comportarsi. Non voleva metterla in imbarazzo con i suoi sguardi, e nemmeno portare a una rottura del suo rapporto con lei. Ci teneva a lei, sia come insegnante che come persona. Glielo disse. E lei rise.
“Ma quale imbarazzo? Solo che non mi era mai successo che qualcuno ammirasse i miei piedi così...”
“Così come?”
“Eh così… capire con delle scarpe col tacco, ok, ma così...”
“Beh… senti...”: Andrea appoggiò il basso nel piedistallo. “Posso essere sincero?”
Rossella si sedette e accavallò le gambe, iniziando a dondolare la ciabatta. La punta rinforzata dei collant neri svettava sul colore chiaro del sughero. “Dai, sentiamo...”
“Insomma non lo so perché ma così con le ciabatte e le calze… stai benissimo, ok? E poi vabbè anche come li muovi… sei…”
“Sono…?”
Lui tentennava.
“Sexy? Sono sexy? E’ questo?”
“Anche. Sei… boh… sei sexy e… come definirti...”: guardò per aria per non fissarla di continuo. “Musicale. Sei musicale, ecco. Sexy e musicale. E senti...”
“Musicale??? Per come gioco con le ciabatte???” era stupita: si era sentita dire di tutto, fare apprezzamenti di ogni tipo, ma una cosa del genere non gliel’avevano mai detta. Pensava che un chitarrista come Steve Vai fosse musicale: uno di quei personaggi che suonano anche quando non hanno una chitarra in mano. Sì. Ma lei… musicale, per una cosa del genere… boh. Era davvero strano, ma anche stuzzicante.
“Hai una musicalità tutta tua, ed è fortissima. E si vede anche in questo, e quindi sì diventi tanto… attraente. Però senti per favore… scusami se ti ho messa a disagio cazzo, ok? Non è che non mi vuoi più a lezione? Insomma alla fine volevo solo farti dei complimenti sinceri con quello che ti ho detto ok?”
Rossella rise.
“Ma no, te lo ripeto, non mi hai messo in imbarazzo... solo che non ci sono abituata a una cosa del genere. Al massimo, ne farò tesoro...” disse.
Ora era lui a essere sorpreso.
“Farne tesoro? E come?”
Era inutile che lei facesse finta di nulla, era attratta da lui. Lasciò cadere una ciabatta a terra e posò il piede sulle gambe di Andrea.
“Così...” disse. Lui le accarezzò il piede e la gamba. Erano entrambi eccitatissimi: lei da quella tensione erotica nata in maniera tanto inusuale, lui dal contatto con la gamba e col piede di quella donna che se sul palco sembrava tanto particolare, nella quotidianità era di una normalità disarmante; una normalità che però non celava una femminilità e una sensualità del tutto fuori del normale.
“Posso… baciarlo?” chiese lui, riferendosi al piede nella calza velata.
Rossella puntò le dita verso di lui e poi gli mostrò le piante. Lo sguardo di Andrea vagava tra quel piede e le ciabatte che portavano le impronte delle dita di lei. Annusò e baciò, inebriandosi dell’odore di lei, accarezzandole la gamba. Lei chiuse gli occhi godendosi quel momento di adorazione che la fece vibrare in ogni fibra. Quanto era bello sentirsi così adorata da un uomo. Cosa si era persa!!!
“Ma è bellissimo...” disse.
“Hai dei piedi fantastici...”
“Puzzano?”
“No… purtroppo no...”
“Come purtroppo no?”
“Eh te lo spiegherò...” disse, continuando ad adorarla.
“Adesso sono curiosa!!!” disse. E per dispetto tolse il piede dal viso di Andrea, rimettendolo nella ciabatta.
Lui la guardò.
“O me lo dici, o puoi dire addio ai miei piedi… per sempre. Non te li faccio nemmeno più vedere!!!”
Andrea soppesò la minaccia. E decise di giocarsi il tutto per tutto. Le raccontò che gli piaceva vedere le donne che giocano con le scarpe, che gli piaceva annusare i loro piedi. E se puzzavano un po' di calza usata, per lui era tutto oro colato. Lei ascoltò con attenzione, e quando ebbe sentito ciò che voleva si alzò in piedi, mentre lui, eccitato e imbarazzato per essersi messo così a nudo, faceva per tornarsene a casa.
“Bene. Ne riparliamo… ora devo andare a finire di prepararmi, che ho una compleanno stasera. Tu… studia la canzone. E se fai il bravo, potrei decidere di farti dei regalini simpatici...”
“Va benissimo!!!” rispose lui, uscendo dalla casa di lei. E lei… doveva prepararsi e uscire adesso. Lo avrebbe tenuto in casa. Avrebbe continuato a farsi adorare. Si sarebbe fatta scopare, se non fosse stata una persona che non tirava bidoni. Si sdraiò sul letto, abbassò i collant e le mutandine, e si toccò immaginando ancora Andrea che la baciava. Lo vide che la possedeva, si immaginò di tenere il suo cazzo in bocca, voleva sentire quelle mani che la toccavano e la esploravano. Solo dopo essere venuta decise che lo avrebbe avuto, anche se non era certo sua abitudine mischiare il lavoro con i sentimenti. O con la figa, in quel caso. E fu così che dopo la cena se lo ritrovò sotto casa: dopo uno scambio infuocato di messaggi durato tutta la serata, al punto da far protestare il festeggiato, scocciato dal fatto di vederla sempre armeggiare col telefono. Ma non ci poteva fare nulla: dal niente, andrea l’aveva conquistata, con quella sua perversione un po' infantile della quale si vergognava pure un po'. Aveva iniziato lei, alla fine, a provocarlo.
“Sai… te lo devo dire… mentre mi baciavi i piedi, mi sono bagnata...”: iniziò così. Senza sapere come l’avrebbe presa, senza pensare a come l’avrebbe giudicata. Si era lanciata e ci aveva provato i brutto con lui.
“E io ce lo avevo durissimo, sai?” rispose Andrea. “E ce l’ho duro anche ora che ti sto pensando...”
Lei gli aveva manato delle foto, scattate dal bagno del ristorante, in cui giocava con le scarpe mostrandogli i piedi, alzava la gonna mostrando le gambe ricoperte dalle calze velate, poi degli accenni di scollatura in cui intravvedeva il suo generoso seno che aveva fatto impazzire più di un uomo.
“Stai cercando di farmi impazzire??? Io avrei da studiare una canzone… o la mia insegnante di basso poi si incazza!!!” rispose lui, corredando il messaggio con delle emoticon in cui rideva come un matto.
“Con la tua insegnante di basso ci parlo io!!! Quando vedrà queste foto, capirà che non potevi fare studiare...” e via, altre foto del suo seno, coperto maliziosamente da un reggiseno di pizzo nero.
Lui rispose con una foto del suo pene durissimo, coperto dai boxer.
“Sembri pure messo benino…!!!” disse Rossella.
“Colpa della mia insegnante di basso...”: flirtarono a lungo, fino al messaggio finale.
“Ecco, ora sto tornando a casa… serata finita. Per stare dietro a te, mi son presa parole dal mio amico!!!”
“Mi dispiace che ti sia presa parole, ma hai fatto tutto tu!!!”
“Massì dai, ci stava tutto… comunque, mezz’ora di strada e sono a casetta… NON VEDO L’ORA DI SFILARE QUESTI TACCHI...”
Sembrava che glielo stesse dicendo apposta per fargli calcolare i tempi. Di sicuro non si aspettava di trovarselo sotto casa, ma non poteva lamentarsi: lo aveva provocato per ore. E ora… lo aveva lì, davanti a lei, che la aspettava, appoggiato all’auto.
“Beh? Che ci fai qui?” gli chiese, appena lo vide.
“Mi sembra chiaro… mi rullo una sigaretta...” disse lui, con nonchalance.
“Idiota”
“Un po' mi conosci, dai...” disse andrea leccando la cartina.
Rossella si appoggiò alla sua auto. E lo provocò ancora, sfilando le scarpe, facendogli sentire il rumore del tacco che sbatte per terra quando il tallone esce dalla scarpa. Chiacchierarono sulla serata, fino a parlare delle foto. E lei si scoprì più audace di quanto non avesse mai immaginato.
“Però sai che secondo me hai davvero un bel cazzo?” disse.
“Infatti è vero. Non è enorme ma è dritto, ben proporzionato, duro e… perfetto!!! E tu sembri avere due gran belle tettone...” disse lui, come se stessero parlando di bassi elettrici e di amplificatori.
Lei si parò di fronte a lui, con le mani appoggiate ai fianchi.
“Hai intenzione di tirarla tanto per le lunghe o vieni su?”
“A fare cosa?” chiese Andrea.
Stronzo. Sembrava tanto infantile mentre le annusava i piedi, al punto da farle quasi tenerezza, e ora sembrava che fosse lui ad avere il coltello dalla parte del manico. Stava giocando con lei, facendo finta di provare indifferenza nei suoi confronti. E lei… voleva solo essere scopata da lui, al punto che avrebbe atteso anche fino all’alba pur di averlo. Aprì la giacca e due bottoni della camicia.
“A giocare con queste…” disse, mostrandogli il seno trattenuto a fatica dal pizzo trasparente. Lui la guardò, e pensò che sì, era ora di smetterla di scherzare. La prese per i fianchi e tirò a sé, baciandola. Lingua contro lingua, le loro labbra giocavano mentre lei premeva col pube contro l’erezione di lui. Era sconvolta da come sentiva i battiti del cuore accelerare mentre lui la baciava tenendo le labbra morbide. Scese con la bocca verso il collo, la baciò dietro le orecchie facendo rabbrividire e poi ancra verso il seno. Lei gli teneva la testa in mano accarezzandogli i capelli rasati a zero.
“Vieni in casa con me… ho qualcosa per te...” gli disse. La seguì in casa. Sapeva cosa fare per farlo impazzire del tutto: sfilò le scarpe e indossò le ciabatte che lo avevano fatto impazzire. Lo accompagnò nella stanza da letto e si sdraiò.
“Spogliati… fammelo vedere quanto è duro per me...”: lui tolse la maglia nera attillata, i pantaloni, in un attimo fu nudo e durissimo di fronte a lei. Giocò con quei piedi che lo avevano stregato: li annusava, li baciava, le annusava le ciabatte, strofinava il cazzo tra le sue gambe, la accarezzava con una dolcezza colma di desiderio, come nessuno aveva mai fatto prima, facendola sentire unica come non si era mai sentita prima di quel momento.
“Sei bellissima...” le sussurrò. La spogliò e si baciarono ancora, toccandosi. La vagina di Rossella, contornata dal triangolo di pelo nero, era un fiume in piena, il cazzo di Andrea una scultura di marmo pronta a penetrarla e a darle piacere. Lei si lasciò baciare da lui: la sua bocca instancabile percorreva ogni centimetro del suo corpo, bevendo i suoi umori carichi di eccitazione e toccandole i seni grossi dai capezzoli turgidi. Rossella volva sentire anche lei quel corpo che la desiderava. E quello che la colpiva e che la eccitava ancora di più era il rispetto che lui le trasmetteva nonostante la passione dei baci e delle carezze che le dava.
Lo prese in mano.
“Avevi ragione… è bellissimo...”: e così dicendo, lo prese in bocca. Impazzì al gusto di quel cazzo pulito e duro che le riempiva la bocca. Lo succhiò, lo baciò, lo solleticò con la sua lingua a punta. Adorava fare i pompini, e quando ne concedeva uno lo faceva con tutta la passione di cui era capace, mugolando lei stessa di piacere e di divertimento, e ridendo con gli occhi. Come si stava divertendo da morire in quel momento, con Andrea che non smetteva un secondo di toccarla dappertutto. Si trovarono a fare un osceno sessantanove in cui lui la fece godere con la bocca e con le dita. Ora si fece prepotente: la girò a pancia in su, le appoggiò il glande tra le labbra e senza entrare in lei le prese in bocca i piedi. Li succhiò e li baciò. Quella doppia stimolazione la fece rabbrividire ancora. Stava impazzendo di piacere e di voglia, mentre lui non si decideva a penetrarla.
“Scopami, ti prego...”: lui continuò a leccarle le piante, regalandole solo un altro paio di centimetri nella vagina bagnata.
“Mettimelo dentro!!!” ordinò Rossella, al culmine della voglia, non paga dell’orgasmo di poco fa. Voleva godere di quel cazzo, non solo della sua bocca.
Si guardarono negli occhi per un interminabile secondo, e solo allora lui la penetrò definitivamente. Dio, com’era duro quel cazzo!!! Che splendido pezzo di carne durissima aveva dentro di se!!! Andrea iniziò a muoversi, prima piano e poi sempre più forte. Le piegò all’indietro le gambe e prese a scoparla lentamente ma andando a fondo come se volesse farle sentire il cazzo fin nella gola: la vagina di lei schizzava umori facendo suoni umidi. Stava squirtando. Cazzo. La stava facendo squirtare!!! Non le era mai successo!!! Sentiva i suoi liquidi colarle tra le gambe fino a bagnare il materasso, e quanti orgasmi di fila!!! Non riusciva a credere alle reazioni del suo corpo!!! E lui la scopava, la baciava sulla bocca, le succhiava i seni… era una piovra che oltre a scoparla la stimolava ovunque potesse!!! Che porco!!! E lei??? Che porca che era!!!
“Godi dentro di me, ti prego!!!” lo supplicò. Riuscirono a godere insieme. Crollarono esausti. Lui fissava la vagina di lei mentre espelleva il suo sperma. La accarezzò dolcemente facendola sussultare ancora di piacere. Le baciò ancora i piedi. La accarezzò, sentì l’odore del suo corpo, si sdraiò per qualche minuto accanto a lei. Istintivamente presero sonno, e la mattina dopo fu lei a svegliarlo, mettendogli i piedi in faccia. Così era iniziata tra loro, in maniera giocosa, e così era continuata. Senza mai definire degli ruoli precisi, senza mai definirsi in qualche modo, prendendosi ognuno i propri spazi, vedendosi solo quando ce n’era la voglia. Anche per via del lavoro di lei, che la portava spesso lontano da casa anche per lunghi periodi. Nessuna gelosia, o sarebbe stato impossibile per loro tenere in piedi la cosa. Non erano certo fidanzati, non dormivano spesso insieme, cenavano poco insieme, e anche se si concedevano una gita ogni tanto era rimasto un po' di distacco tra loro, per via del rapporto di lavoro che c’era ancora. Di sicuro lei doveva ringraziare lui per averle spalancato certe porte, per averle fatto vedere aspetti che esulavano dalla sessualità priva di perversioni cui era stata abituata da antichi retaggi. Era con lui che aveva imparato a vivere le perversioni con naturalezza e a gustarsele, come sempre grazie a lui e ai suoi sguardi dolci e carichi di voglia aveva imparato a vedersi bella e ad apprezzare il suo corpo, nonostante le imperfezioni.
“Imperfezioni???” le diceva lui, ogni volta che andavano sull’argomento. E sempre le abbassava i pantaloni e le riempiva di baci le natiche.
“Ma se la gente farebbe la fila per sfondare questo culone!!!” diceva, leccandole l’ano.
“Che tu nessuno avrà mai...” rispondeva lei, aiutandolo però sporgendosi all’indietro.
E poi… quella leggerezza che aveva rovinato la complicità tra loro. Per una scopata del cazzo. Per una scopata con un uomo che l’aveva eccitata solo fisicamente. Per togliersi lo sfizio di farsi scopare da un uomo che lei aveva sempre ritenuto il suo ideale di bellezza, aveva rischiato di perdere una persona con cui invece l’eccitazione era quella più pericolosa, perché nasceva nel cervello, prima di arrivare alla pancia. E quella complicità e quell’eccitazione le erano mancate terribilmente, in quei mesi. Che aveva passato toccandosi pensando a lui, cercando negli uomini che la corteggiavano la stessa sottile perversione che aveva lui. Si era anche concessa a qualcuno, pensando che non lo avrebbe mai più rivisto: una manciata di volte. Si era anche divertita un po'. Ma neppure uno che la facesse sentire così desiderata e adorata. Nessuno che sapesse andare oltre il sesso normaloide di cui ormai si era stancata, nessuno che sapesse mettere anche nel sesso normaloide quel pizzico di morbosità che lo rendeva affascinante e un po' sporco, e quindi mille volte più eccitante. Il pezzo dei Goblin era finito, come anche la lezione.
“Ci vediamo tra due settimane!!!” disse, cercando lo sguardo di Andrea. La sala si svuotò piano piano e uscendo, molti allievi della scuola le passavano davanti complimentandosi per come aveva affrontato gli argomenti e per la sua preparazione. Andrea le si avvicinò e le sorrise intimidito, guardandola in faccia. Come si sarebbe dovuta comportare?
“Allora?” chiese soltanto. “Piaciuta la lezione?”
“Molto, devo dire...”
“Come stai?” chiese lei, sinceramente interessata, ma imbarazzata. Lui notò l’imbarazzo di lei. Lo vedeva da come le tremavano le mani mentre riponeva i suoi appunti nello zaino.
“Sto bene. Abbastanza bene...” disse lui. I loro sguardi si cercavano e si evitavano al tempo stesso.
“Hai qualcosa da dirmi?” chiese Rossella, decisa a troncare quel momento strano. Non capiva cosa volesse lui e non aveva alcuna voglia di prendersi ramanzine.
“Ecco, volevo parlare di queste scarpe che indossi oggi...” fece lui. “Stanno bene con quei collant grigi...” disse. Eccolo, quello sguardo che le mancava. Si appoggiò di nuovo alla scrivania. E ancora il piede uscì dalle ballerine a punta nere decorate con schizzi di vernice viola. E mentre lo faceva, si bagnò. Come ogni volta che lui la guardava così. In quel momento avrebbe voluto prendergli il cazzo in bocca e sentire il sapore del suo sperma sulla punta della lingua mentre lui le accarezzava i grossi seni.
“TI piacciono?” chiese Rossella Ghenf, la bassista, l'insegnante di musica, la donna sicura di sè. “Forse i miei piedi puzzano un po' oggi però, sai? Le porto da questa mattina queste calze...” disse lei, sistemando la cucitura dei collant sulle dita smaltate.
“Possiamo parlarne davanti a un aperitivo…” propose lui sorridendole. E uscirono insieme dalla scuola, nella sera fredda, passeggiando nei viali colorati dalle foglie cadute in quel giorno di metà novembre.
Fine.







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