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Prime Esperienze

La città dove tutto può succedere


di AndreaCork
17.08.2023    |    126    |    0 6.0
"Sì, avrebbe trovato una scusa con per provare a passare la giornata con quel tipo..."
La città dove tutto può succedere

Elena guardava Berlino dall'alto mentre l'aereo la riportava in Italia. La torre della tv di Alexanderplatz, con la sua palla panoramica sovrastata dalla lunga antenna bianca e rossa spuntava dalle nuvole, e sembrava quasi salutarla.
Portava ancora i collant della sera prima, pensando a quelle sere passate nell'hotel nel quartiere di Charlottenburg. Aveva accettato l'invito di Mark a raggiungerla là. Mark, maledetto… un vecchio amico con cui aveva condiviso per un po' di tempo la sua intimità, anni addietro. Delle grandi scopate, ma niente altro: erano rimasti amici, poi da quando lui si era trasferito nella capitale tedesca non si erano più visti. Ma la voglia di salutarlo ancora era forte. Mark: erano mezzi innamorati, poi le cose senza ragione si erano raffreddate. Matto Mark, lui e il suo cazzone. Enorme. Le dimensioni contavano poco per lei, ma quello era impressionante e sì, ci si era divertita parecchio. Era rimasta una bella amicizia tra loro, mitigata appunto solo dalla distanza.
Aveva preso una stanza in albergo proprio per non cedere a eventuali avances del suo amico, decisa solo a gustarsi le meraviglie di quella città. La città dove tutto può succedere, come la descriveva lui nei suoi messaggi. Berlino in ottobre era stupenda: si iniziavano a sentire le prime avvisaglie di freddo, preludio a inverni rigidissimi, ma era stupenda. Sapeva che Mark sarebbe stato una guida superba, ma non le aveva detto quanto sarebbe stato fresco. Elena pensava di cavarsela con qualche vestito corto e le sue birkenstock rosa. No, dovette comprare dei collant per difendersi dal freddo e delle scarpe da ginnastica.
Sì divertiva a vivere i colori e gli odori di quella città. E... Sì. Aveva ceduto a Mark. Erano finiti di nuovo a letto insieme una sera, dopo cena. La scopava ancora benissimo e ancora, amante sensibile e attento, sapeva non farle male con quell'attrezzo che si ritrovava tra le gambe. Sembrava che non avessermo mai smesso di scopare insieme. Si era ritrovata a scherzare con lui, come ai vecchi tempi. Una battuta sulla sua scollatura, e lei, lontana da casa e memore dei vecchi tempi, si bagnò. E lui era dentro di lei, facendole sentire il suo calore e quelle carezze esperte che tanto piacere le avevano dato e che, doveva ammetterlo, nessun altro degli amanti che aveva avuto dopo di lui le aveva saputo dare.
"A Berlino può succedere di tutto..." diceva sempre lui. Già. E la sera dopo erano di nuovo a casa di lui. Senza intenti strani. Anzi. La sera prima era stata come cancellata dalla loro memoria: non avevano bisogno di parlarne, questa era la loro intesa: si erano sempre goduti le loro scopate come una naturale conseguenza della loro amicizia, senza definire troppo le cose. Quel giorno erano pure in compagnia di un amico di lui. La serata, complice il vino, si fece strana per lei. Erano seduti sul divano tutti e tre, lei in mezzo. Qualche battuta piccante, si sentiva sfiorare le gambe dalle loro mani… poi qualche bacio. Prima a Mark, poi all'amico. E si ritrovó con i seni scoperti: i baci dei due uomini che le stuzzicavano i capezzoli le regalavano brividi d’estasi. Inarcava il collo, sporgendo ancora più in fuori le sue forme, come a incoraggiare i due. Ebbe i loro peni eretti tra le mani senza nemmeno accorgersene. Li toccava delicatamente facendo sospirare i due uomini: i suoi occhi si posavano prima su uno e poi sull’altro, le sue mani massaggiavano facendo sobbalzare di piacere i due amici. Che bei cazzi duri!!! Mark… maledetto, sapeva come accenderla con le sue carezze. Sapeva molto bene come rendere fradice le sue mutandine. Sapeva come guardarla. Conosceva bene la sua pelle, e ogni sua reazione. Lei… avrebbe voluto strapparsi i vestiti di dosso e farsi prendere. Lei!!! Proprio lei!!! E poi… il suo amico non era superdotato come lui, ma cazzo… non scherzava. Il cuore le batteva all'impazzata, non si era mai trovata in una situazione simile. Eccitata da impazzire, in una città dove nessuno la conosceva, poteva fare quello che voleva: anche Mark la faceva sentire protetta, al centro delle attenzioni sue e del suo amico. Fu tentata di inginocchiarsi davanti a loro e prenderli in bocca entrambi, ma per qualche ragione non volle andare avanti. Fu tentata di inondare quei due arnesi di saliva, nel modo che sapeva che Mark adorava. Fu tentata: anche se impazziva di inaspettata eccitazione all’idea di avere due uomini che la volevano, e di tenere il loro piacere per le mani, tutto questo era troppo per lei: non sapeva nemmeno perché avesse accettato di arrivare a quel punto. Fermò il gioco esitando un po', combattuta tra la voglia di piacere e l’educazione ricevuta in famiglia, e andò dritta all'hotel con un taxi. Si chiuse in camera. Tolse le scarpe, indossó le ciabatte e andò nel terrazzo dell'albergo per rilassarsi. Era piccolo, il terrazzo. Un ragazzo stava seduto sul tavolino a riposare in silenzio, bevendo una birra. Capelli rasati, pieno di tatuaggi e con orecchini a cerchio, era un po' tamarro: vestito con una maglietta senza maniche, i jeans, gli anfibi e una catena al collo, la degnó appena di uno sguardo, alzando il sopracciglio quando lei si presentò timidamente nel terrazzo. Elena non parlava inglese: indicò l’unica sedia libera facendo un cenno con la testa.
"Ja, bitte..." disse lui sorridendo appena. Sedette e appoggiò i piedi alla ringhiera, e vide che lui iniziò a fissarglieli. Le fissava le gambe, il viso, e tornava sui piedi. Lei si chiese perché il personaggio le fissasse i piedi in quel modo insistente. Ok, che forse la combinazione ciabatte e collant color carne non era proprio il massimo del sexy, ed era messa così giusto per stare un po' in relax dopo la serata, ma le faceva davvero strano essere guardata in quel modo; percepiva elettricità negli occhi di quel personaggio. Mentre il tipo la osservava, ora compiaciuto, lei pensava a quanto successo a casa di Mark. Le era piaciuto avere quei due peni tra le mani. Cazzo se le era piaciuto!!! Sentiva ancora le mutandine fradice e il clitoride pulsare dalla voglia di sesso senza regole. E sì, anche le loro bocche insieme sui seni erano... belle. Intense. Era così emozionata che pensava che il suo cuore sarebbe esploso in mille pezzi. No no no, davvero, era comunque troppo per lei. Nemmeno per idea avrebbe fatto una cosa del genere: quasi rimpianse di non essere stata più zoccola nella vita, per potersi godere meglio certi istinti. Ma ancora non era così sfacciata da fare sesso con due uomini. E intanto non capiva gli sguardi del personaggio seduto di fianco a lei.
"Nice stockings" le disse.
"Prego?" rispose lei, istintivamente in italiano, dato che non parlava inglese.
"Ah, sei italiana?" chiese lui.
"Sì..."
"Ah… ok..."
"Cos’avevi detto?"
Lui pensó un attimo, preso in contropiede. La sua sfacciataggine era venuta meno adesso che si trovava di fronte a una connazionale. Poi si decise e rispose.
"Bei collant, mi piacciono..."
Lei si guardò. Si trovava orribile così: collant economici dalla punta rinforzata e birkenstock.
"A Berlino può succedere di tutto... " pensó. Anche di trovare un matto amante di quella combinazione. Ma era simpatico, a suo modo.
"Ero messa così solo per stare in relax prima di dormire... non vado in giro conciata così… ma...scusa…” pensò prima di parlare ancora. “Ti piacciono davvero o mi prendi in giro?"
"Posso farti un ritratto mentre stai messa così? “ le chiese come tutta risposta.
" Aspetta... Vuoi farmi un ritratto??? " Elena rise. Non si era mai sentita proporre una cosa del genere. Un ritratto. Ai piedi, poi!!! Questo doveva essere pazzo. Cioè… aveva comprato quelle ciabattine per stare comoda. Vabbè, un tempo le odiava. Poi ci aveva fatto l’occhio, ora le piacevano da morire e ne aveva varie paia di tanti colori. Sapeva anche che non a tutti potessero piacere, ma non avrebbe mai immaginato di trovare uno cui piacessero a tal punto.
" Sì… vorrei farti un ritratto… "
" Ma… tu… tu fai ritratti?"
Lui si presentò. Si chiamava Juri. Era un’artista in vacanza nella sua città preferita. Chiacchierarono di musica, di Berlino, poi le spiegò della sua passione per i piedi.
Elena rifletté.
"Mmmassì... dai, fallo... anche se secondo me questo abbinamento fa schifo…": lo disse quasi più per sfidarlo che per reale desiderio di essere immortalata.
"Credimi, è un abbinamento super... aspettami qui, non ti muovere!!!"
Lui corse in camera a prendere fogli e matita. In pochi minuti catturó la sua essenza. Il viso, l'espressione della bocca e i piedi nei particolari. La proporzione delle dita, l’unghia dell’alluce leggermente lunga che tirava la calza, il rinforzo dei collant, le ciabatte. Le mani incrociate in grembo, i capelli mossi e gli occhiali. Era lei. Guardò il ritratto, stupita.
Lui la ringrazió e le regaló il ritratto. Cork, si era firmato. Lo guardò storto, per un attimo.
"Ma non ti chiami Juri?"
“Sì, ma io mi firmo così... "
" Perché? "
" Donna curiosa... buona notte" disse. Poi, passandole accanto, le accarezzò distrattamente i piedi e rientró nella hall deserta.
Quella carezza le diede un brivido: mai avrebbe pensato di essere guardata in quel modo, nei piedi. E le piacque, quella carezza discreta. Era matto, quello lì. Più di Mark, forse. Elena andò a letto, ancora sconvolta per la serata: non avrebbe più accettato inviti a casa di lui, né in compagnia, né in solitudine. Non faceva parte di lei, fare certi giochi. La sua intimità era preziosa e non voleva condividerla con chiunque, ma era eccitata: cazzo se era eccitata... si masturbó per sciogliere la tensione erotica che sentiva pervaderle ogni fibra ma il giorno dopo parló chiaro con lui, che fortunatamente fu comprensivo. Camminarono, visitarono ancora la città sotto una pioggia fine e tra un monumento e un caffè da Starbuck’s lei in cuor suo pensava a quell'artista strano che l’aveva ormai incuriosita. Lo avrebbe visto di nuovo? Fin dove si sarebbe spinto se si fossero rivisti? E perché si firmava in quel modo? Stava pensando un po' troppo a quel tipo che nonostante il freddo beveva una birra con la maglietta senza maniche.
Lo vide ancora, dopo cena. A dire il vero era praticamente corsa all’albergo, per vedere se lo avrebbe incontrato di nuovo. Le birre sul tavolo erano due, chiuse.
Lo salutó. Sul tavolo c'erano ancora i fogli e e le matite.
"Ti va una birra?" chiese lui con un sorriso, ma senza nemmeno ricambiare il saluto.
"Solo se mi spieghi perché ti firmi in quel modo..."
"Tu stai un po' qui con me e io te lo dico..."
"Hmmm... va bene... Vado a mettermi comoda, allora..." disse ridendo. Sfacciata. Non aveva mai pensato che sarebbe arrivata a giocare così con uno sconosciuto di cui sapeva appena il nome. Ma in fin dei conti, era pur sempre a Berlino… chi mai avrebbe potuto giudicarla? Non c’erano i suoi genitori a dirle cosa stava bene e cosa non stava bene. E poi cazzo, non aveva più quattordici anni. Ne aveva quarantatre. Era adulta. Cazzo. Un po' di pazzia se la meritava.
Tornó da lui. Le porse la birra dopo aver gliela aperta.
"Come mi metto?" chiese.
La hall dell’albergo era deserta.
"Metti i piedi sulla tavola" disse lui. "E bevi, intanto..."
Lei sfiló le ciabatte e obbedì.
"Spero non puzzino..." disse, ricordandosi di avere i collant addosso dalla mattina.
Lui la guardò, sempre sollevando appena il sopracciglio, come a dire: “ma non sparare cazzate, e anche fosse...”: guardò le birky per terra, notando il segno delle dita nel cuoio, poi annusó delicatamente i piedi di lei.
"Sei matto!!! Dai!!!" Però… brivido. Imbarazzo, ma brivido. E non era il freddo a fotterla. Cazzo.
"Odore buonissimo... stai tranquilla e rimani così... ci metto poco!!!"
Non le era mai successa una cosa simile. Ma le era piaciuto quel modo delicato e rispettoso che aveva.
"Adorabile..." diceva mentre la ritraeva.
Annusó ancora, soffermandosi qualche secondo, e diede un bacio discreto alle piante. Altro brivido che lei provó. Mutandine ancora bagnate. Urgeva masturbarsi ancora non appena fosse rimasta sola.
"Finito!!!" disse, porgendole il foglio. Sempre la stessa firma. Cork. Era sempre lei quella nel foglio, con la bottiglia appoggiata alle labbra e gli occhi aperti a guardarlo. E sempre i piedi dettagliatissimi in ogni piega. Cazzo. Anche la bocca, stasera, in quel disegno era diventata più maliziosa e carnosa. Ma era lei. Le piacque vedersi così, le piacque come la vedeva lui. Ma era lui a vederla così o quella città e le cose che vi stava vivendo la stavano cambiando?
"Non mi era mai successo prima..."
"Cosa? Di farti ritrarre? Ammetto che non succede tutti i giorni”: ironico, secco. Ci sapeva fare a farla sorridere. E lei per scaldarsi aveva più bisogno di ridere che di centimetri di carne dura.
"No, vabbè... dai, scemo!!!" disse in confidenza, rimettendo le ciabatte. "Non mi è mai successo di farmi annusare i piedi..." disse Elena.
"Ah ok..." fece lui con indifferenza, ma tremando un po'. "Che ti devo dire? Meritavano..."
"Non puzzavano???"
"Per me, no… insomma, hanno un buon odore… Andrei avanti per ore a fartelo... ma poi non so se ti va..."disse, alzandosi in piedi. Sfrontato ma gentile e comunque rispettoso. Quasi timoroso nelle sue esitazioni. Cazzo, pure gli occhi chiari aveva.
“Sì vabbè hanno il loro odore ma a me piace… ok? Scusa se me lo sono preso...”: le fece un sorriso timido di scusa.
Lei non rispose ma di sicuro quel gioco la incuriosiva. E le regalava brividi ogni volta che sentiva il suo respiro sulle piante. Brividi piacevoli. Molto, troppo piacevoli. Aveva la vagina in fiamme dalla voglia di godere.
"Quanto resti?" chiese lei.
"Altri tre giorni..."
Elena corrucciò le labbra.
"Interessante", pensó.
"Domani sono sola..." mentì. Doveva assolutamente inventarsi qualcosa con Mark, perché non venisse.
"Scusa, perché con chi sei qui?" chiese.
"Sono a trovare un amico... Che domani non è disponibile, però...". Altra bugia. Sì, avrebbe trovato una scusa con per provare a passare la giornata con quel tipo. Lo trovava interessante.
"Ergo?"
"Ergo andiamo a fare un giro insieme?" chiese Elena. “Mi fai da guida? Sembri conoscere bene la città...”
Lui pensó. E lei si pentì di quella domanda: aveva paura di scombinare i piani del ragazzo, o di sentirsi dire di no.
"Hmmm… ok. Ci sei stata a Kreuzberg?"
“Dove???”
“Ok, non ci sei stata. Il quartiere turco. Domani ci andiamo. Partenza alle otto da qui, ok?”
“Allora vado a letto...”
Si fidava di quel tipo strano. Era sfacciato, sicuramente. E sotto le coperte la sua mano scivolò tra le labbra già pronte al piacere. Non sapeva perché, ma sentiva di potersi fidare di lui. Balle. Era eccitata da quel ragazzo dagli occhi chiari e i tatuaggi. E fanculo il cazzone di Mark: da lui l’avrebbe preso anche se fosse stato un cazzino di cinque centimetri. Dio… godeva, godeva, godeva ancora immaginando che la sua mano fosse quella di Juri. Il cazzo di Juri. Si vedeva presa in tutti i modi e la sua faccia tra i suoi piedi… cosa stava pensando??? Lei!!! Fare sesso con i piedi??? Oddio…!!! Sì: le pareva ancora di sentirlo mentre glieli annusava, e per farlo eccitare gli avrebbe anche permesso di metterci il pene in mezzo. Doveva essere bella, come sensazione. Era sconvolta da questo suo nuovo modo di eccitarsi, e fu con questi pensieri che si addormentò, con le mutandine ancora abbassate.
Juri la accompagnò per Kreuzberg. Il mercato turco, dove i profumi delle spezie si mescolavano tra di loro ubriacando chiunque passasse per quella strada. I colori delle polveri e dei tessuti fantasiosi rapivano l’occhio di Elena che non sapeva più dove guardare, la sua ttenzione rapita da un venditore di specialità mediterranee, o da un caratteristico banco di frutta tropicale, nella strada che costeggiava il canale.
“Durante la divisione della Germania questo era un quartiere occupato. Le case erano prese busivamente da turchi. La tradizione è rimasta oggi. Andiamo… ti porto a Oranienstrasse”.
“Conosci bene la città...”
“Te l’ho detto, è la mia città preferita. Ci sono stato un sacco di volte. Me ne sono innamorato...” disse con un sorriso. Lei però percepì un breve lampo di tristezza in quel sorriso.
“Cosa ti ha colpito di questa città?”
“La sua storia. Qui trovi tantissima storia. Medievale. Seconda guerra mondiale. Guerra fredda. Questa città ha sofferto tantissimo, e si è sempre tirata in piedi. E qui la storia la respiri ovunque… l’architettura… l’atmosfera… l’odore…”
“Come ci sei capitato qui?”
“Vent’anni fa ho avuto una storia d’amore con una ragazza di qui, e mi ha fatto innamorare lei della città...” Elena provò un brivido di gelosia nei confronti di quell’amore che percepiva essere stato tanto forte.
“Vivevi qui?” chiese, incuriosita.
“No no no no no, facevo su e giù...”
“E’ per questo che hai gli occhi tristi? La città ti ricorda lei? E ci vieni anche se ti fa male?”
Lui le guardò le gambe. Quel giorno aveva i collant neri.
“Oggi hai i collant neri...” disse. “Belli… li preferisco color carne ma anche neri mi piacciono...”
“Allora? Gli occhi tristi?” incalzò lei. Lui rise di gusto.
“Nooo!!! Non mi ricorda lei, per carità!!! Sono passati vent’anni... Siamo rimasti amici… ha due figli ora, e ognuno la sua vita… è una brava ragazza...”: in effetti, Elena dovette ammettere che non vi era traccia di tristezza in quelle parole.
“Quella storia mi ha cambiato, sono passato da essere un ragazzo di provincia chiuso nelle sue convinzioni a… boh, so solo che mi ha aperto la mente, ecco...” disse pagando due lattine di birra a un venditore turco.
“Ti porti dentro qualcosa?” chiese Elena.
Lui le porse una delle due lattine.
“E chi è che non si porta dentro qualcosa? Come tutti. Ho sofferto nella vita. Ok, ho sofferto tanto. Poi sì, mi sono tirato su. Forse qualcosa è rimasto, non lo so… anzi sì. Sicuramente sì, qualcosa è rimasto. Una sofferenza che non dimenticherò mai. Ho dimenticato chi me l’ha causata, ma non il modo. Quello, mai...”
“Scusami. Le tue sofferenze… si vedono… scusa se te l’ho chiesto, non volevo essere invadente...” Elena ebbe un moto di tenerezza.
“No no no!!! Non mi devo innamorare!!!” pensò. “Elena, no!!!” si ripeteva.
“Ma va là!!! Te l’ho detto, si va avanti… sì, qualche strascico. Ma niente altro. Amo vivere. Non rido molto, ma faccio ridere!!!”
Un altro sorriso timido. Maledetto. Era gelosa di lui. Aveva vissuto, aveva amato. E tanto, da quel che le riusciva di capire. Arrivarono all’incrocio del ponte della metropolitana, dove inizia Oranienstrasse.
“Questa è la strada più colorata della città… se succede qualcosa di interessante o di strano, è sicuramente qui!!!” disse lui. Elena era affascinata dai colori delle porte: tutte dipinte con bombolette spray, murales dai colori fortissimi. Pub, locali etnici, negozi strani. Non sembrava nemmeno di essere a Berlino.
Pranzarono in un locale turco mangiando riso speziato con carne e frutta e camminarono ancora. Le fece assaggiare un gelato fatto da un italiano e la portò in un negozio che vendeva miscele di thè di tutti i tipi. Fu inebriata da quei profumi che le evocavano atmosfere esotiche e luci di paesi lontani di cui aveva praticamente solo sentito parlare.
“Ti piace?” chiese lui. “Io lo adoro questo negozio...”
“Molto… e immagino ti piaccia. Tu… l’ho capito… vivi di odori...”
“Esatto, vivo di odori!!!”
“L’ho capito… tu vivi forte… mi fa strano, lo ammetto… ma devo dire che è piacevole...”
“Cosa ti fa piacere? Che io viva di odori?”
“Sì… è… boh, simpatico…?” disse. (“Simpatico un cazzo… da te mi farei scopare e annusare in ogni buco...”) pensò.
“Beh… mi fa piacere. Così impari qualcosa di nuovo...”
Risero entrambi, andando verso la metropolitana sopraelevata. Elena si godeva i palazzi di Prenzlauerberg e le architetture in stile Liberty delle stazioni. Sembrava una bambina che si guarda intorno incuriosita, spaesata e sorpresa.
“Vedi… qui a Berlino c’è un odore che non dimentichi più, nelle stazioni della U-Bahn”.
“Della che….?”
“U-bahn. La metropolitana...”
“Ahhh...”
“Si chiama così, qui, la metro sotterranea…: U bahn è la metropolitana sotterranea, S-Bahn è quella di superficie.”
Camminarono ancora, arrivarono all’hotel.
“E adesso?” chiese Elena.
“Beh, io faccio una doccia e vado a cena...”
“E io…?”: era delusa, si sentiva scaricata. Avrebbe voluto passare la serata con lui.
Lui non voleva essere invadente ed era per quello che non l’aveva invitata a prolungare oltre la serata, ma stava bene in sua compagnia. Ma Elena era bella, ed era una compagnia piacevole. Bella. Era bellissima. Dolce. Un po' seriosa, forse… ma… anche lui si era masturbato pensando a lei. A come avrebbe voluto inginocchiarsi tra le sue gambe e regalarle piacere con la bocca, bevendo ogni goccia di lei prima di poterla possedere. E quelle gocce di sperma… invece che in un fazzoletto avrebbero dovuto finire su di lei. Si sarebbero dovuti guardare negli occhi, dopo che il viso e le labbra di lei fossero state sporcate del suo piacere. L’avrebbe dovuta baciare così. Piena del suo sperma in viso. L’avrebbe dovuta baciare con tutta la dolcezza del mondo dopo averla presa e fatta godere e aver goduto di lei. E invece, lui che sapeva essere così sfacciato, non aveva il coraggio di invitarla a cena. Le aveva annusato i piedi, e non la invitava a cena. No. Un cazzo. No no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no. Un cazzo.
“Andiamo a cena?” chiese lui. No, non se la lasciava scappare quell’opportunità.
Lei era contenta perché lui le stava facendo vivere la città, non le stava facendo vedere le classiche cose da turista che qualunque guida poteva mostrarle.
“Certo, che vengo con te!!! Mi lasci fare una doccia?”
“Io pure la dovevo fare… però ti porto fuori a una condizione...”
“Ho già capito, furbetto...”
“Posi per me?”
“Te l’ho detto che avevo già capito...”
Si ritrovarono dopo mezz’ora.
Cenarono in un locale a Savignyplatz. Cena tradizionale tedesca. Lui la condusse ancora per le vie del quartiere, attraversato dal ponte di mattoni della S-Bahn, la metropolitana di superficie. Un ponte che conteneva al suo interno locali e pittoreschi negozi di libri particolari. Niente best sellers: libri di fotografia, di architettura, di arte e di autori sconosciuti. Non era un quartiere alla moda, ma faceva venire voglia di passeggiare mano nella mano, tra le luci dei locali. Elena si aggrappò al suo braccio. Avrebbe fatto strano a chiunque vedere quella bella ragazza ordinata camminare al braccio di quella specie di naziskin pieno di tatuaggi che in realtà era il ritratto della dolcezza fatta persona.
“E dimmi… Cork… perché quel nome, allora?”
Rise.
“Non ci arrivi, vero?”
“Non parlo inglese, lo sai...”
“Guarda in internet...”
Sedettero su una panchina, e lei iniziò a guardare su Google.
“Cork… vedo una città in Irlanda, e delle lastre di sughero… dunque?”
Lui rise ancora. La prendeva in giro.
“No, non ci arrivi davvero eh?”
“Dai, dimmi perché!!!”
“Dopo te lo dico, promesso!!! Ma tu non togliere queste calze, va bene?”
“Sei un idiota… comunque se poi puzzano, affari tuoi...”
Alzò gli occhi al cielo e si alzò in piedi. Fece due passi portandosi davanti a lei e si girò guardandola, allargando le braccia.
“Te lo devo proprio dire che mi piace quell’odore? Non ci arrivi da sola?”
Elena rise, ma le piaceva l’idea di fare ancora quel gioco. Voleva la faccia di lui tra i suoi piedi. Avrebbe voluto vederlo, impazzire del suo odore, con il cazzo di fuori, a implorarla di farsi prendere da lui.
“Sei pazzo… ma va bene… pur di sapere il perché di quel nome, queste calze le tengo anche una settimana...”
“Basterà molto di meno, vedrai...”
Arrivarono all’hotel. Lui prese due birre al bar e lei andò in camera sua a prepararsi.
La aspettava con i fogli seduto alla solita sedia. E lei arrivò di nuovo, con le Birky rosa metallizzate.
“Allora, come vanno i collant neri?” chiese, girando su se stessa.
“Onestamente… sei stupenda...” rispose lui. “La punta rinforzata è una figata...”
“Sono collant da due soldi… comunque in fatto di calze sei più intenditore di me...”
“Che ti devo dire? Deformazione professionale d’artista...” lei rise. E quella risata cristallina lo fece impazzire.
“Come mi metto?”
“Accavalla le gambe, ma sfila una ciabatta… non guardare me, guarda verso la strada, tieni le mani sulla bottiglia...”
Lei si prestò. E venne fuori un altro ritratto di lei, malizioso. Le sue mani sembrava stringessero un pene. I dettagli sempre curati. La scollatura era stata resa perfettamente, con i seni grossi appena coperti dal vestito. E ancora quella firma. Cork.
Bevvero un po'. Lui prese altre due birre prima che il bar chiudesse.
“E adesso, non pensi che dovresti dirmi quella cosa…? O credi di prendermi in giro ancora a lungo?”
“Sono combattuto sai?”
Lei si mise con i piedi sul tavolo. Aveva capito come tenerlo in mano.
“Allora?” chiese, muovendo i piedi a destra e a sinistra. Lo ipnotizzò.
“Uffa...”
“Allora?”
“Togli quelle ciabatte...”
“No...”
“Mi serve per dirtelo...”
Lo guardò con malfidenza, ma lo ascoltò. Le sfilò e le lasciò cadere per terra. Lui le raccolse.
“Cork… sughero...” disse.
“E allora?”
“Adoro le ciabatte di sughero...”
“Ok, sei pazzo sul serio… ora lo so per davvero...”
“Già...”
“Ed è la prima volta che mi viene bene un ritratto di una donna in ciabatte. Di solito ritraggo tacchi, per questioni estetiche… con te mi vengono bene anche così, devo dirti grazie!!!”
Lei restò sorpresa. E ancora di più quando vide che lui prese l’odore di lei direttamente dalle sue birky.
“Vuoi che chiami la neuro?”
“No no… aspetta, ti faccio un altro ritratto Elena… ferma così, con i piedi sulla tavola...”
Questa volta la ritrasse con un dito in bocca. Baciandole e annusandole i piedi ogni tanto.
“Ma davvero non puzzano? Io ho il terrore...”
“Stai zittaaa...” diceva lui.
“Tu le adori proprio le donne, vero?”
“Si tratta proprio di quello… adorazione!!! Brava!!!”
“Vai avanti, fallo ancora un po'!!! Annusa!!!” Cazzo, era eccitatissima. Ora il dito non era nella sua bocca perché lui glielo chiedeva per un ritratto. Era il suo istinto. E nella sua mente quel dito era il cazzo duro di Juri.
Le baciò i piedi e li adorò. Salì sulle gambe, ma senza andare oltre: non le sollevò il vestito. Tornò giù. Finì il disegno che aveva iniziato e glielo diede.
“Non mi facevo così sexy… mi hai disegnato anche le mutandine...” quando vide lavoro. Di sicuro viveva la sessualità in maniera più sottile di Mark o di chiunque altro avesse conosciuto: anche il modo in cui ritraeva i suoi movimenti e quelli dei suoi piedi, era sempre di una malizia più suggertia che ostentata, ma fortissima. Molto più forte di quella di un nudo. Lo voleva. Niente da fare. Sapeva già che appena sola si sarebbe toccata ancora.
“Bene Elena… ci siamo anche per questa sera...” disse lui ritraendosi.
Lei ci rimase male. Sarebbe rimasta a parlare con lui un altro po', ma non voleva forzarlo. E onestamente, sentirsi adorata in quel modo l’aveva caricata parecchio. Era bagnatissima, per come si sentiva desiderata. Non era solo lui. Ma quel gioco nuovo le stava facendo provare nuove sensazioni e nuovi desideri. Stava davvero cambiando.
“Però...” disse lei senza trovare il coraggio di finire la frase. Le tremò la voce.
“Però…?”
“Mi piaceva...”
“Elena… è un gioco, e deve finire!!!” la riprese lui. Aveva ragione, ed era gentile a non cercare di scoparla. Anche per questo si fidava di lui.
“Sì, ma...”
“Hmmm!!!”
“Uffa… e va bene, vado a letto...” disse, delusa. E un po' arrabbiata.
“Grazie...”
Lei si girò e lo guardò, ancora seduto sulla sedia di metallo. Vide ancora quegli occhi tristi.
“Ma… posso chiederti una cosa, prima di andare a letto?”
Era perso nel suo mondo, in quel momento.
“Che ti hanno fatto, Juri? Chi ti ha tolto il sorriso?” Lo chiamò con un diminutivo.
Lui volse lo sguardo verso di lei. Gli era piaciuto come lei lo aveva chiamato.
“Donna curiosa… mi hai visto annusarti i piedi e le ciabatte… hai già visto parecchio di me, sai?”
Sorrise, ma un po' amaro. Lei si sedette di nuovo vicino a lui. Tremava dal freddo, ora. Gli prese la mano.
“Dai, dimmelo...”
“Questa città mi piace ma mi fa male, sai? Mi muove le energie e… a volte sto male, quando vengo qui” disse.
“Secondo me ti fa bene, invece… allora… che è successo?”
“Sei con il tuo amico, domani?”
“Sì...”
Lui scrisse un indirizzo su un foglio.
“Vai qui, e chiedi di me…”
Elena prese il foglio.
“Ok, lo farò...” disse. Non era solo attratta, era davvero incuriosita dalla storia di quel tipo. Lo guardò, e prima di andare gli posò la mano sulla guancia. Gli sfiorò le labbra con il pollice e lui abbassò il viso a baciarle la mano. Il bacio che si scambiarono, le labbra a sfiorarsi, fu dolce. E lei si sentì esplodere. Anche lui. E la notte passò insonne per entrambi.
Lo vide di nuovo la sera, dopo un’altra giornata con Mark. Sapeva che lo avrebbe trovato là.
“Sono andata là, dove mi hi detto tu.” disse, andando nel solito terrazzino.
“Dunque?”
“Tu… venivi picchiato dalla tua donna???” disse lei, tremando. Lui annuì appena.
“Ci sei andata veramente, allora...”
“Sì, ho parlato con Abdul”.
“Abdul… forte...”
Il barista turco. Conosceva bene Cork e la sua storia. Forse l’unico a conoscerla del tutto.
“Picchiato e umiliato...”
“Mi dispiace...”
“Oh… ma sto bene sai… sono passati anni, e come ti ho detto, non dimentico il modo. Lei, dentro di me… è andata da anni… figurati!!!”
“Sarà, ma si vede che ti ha spezzato per bene!!!”
“C’est la vie...”
“No Juri… lei ti ha rovinato… il modo in cui ti ha trattato…”
“Che ti devo dire? Sì ok, come ti ho detto, non dimentico come sono stato trattato e il male che mi è stato fatto lo porterò dentro per sempre… ma si deve vivere, sai?”
“Mi fai ancora quella cosa?” chiese lei, questa volta con tenerezza. Lo vedeva un po' bambino quando le annusava i piedi, e la cosa la inteneriva da morire. Voleva vederlo sorridere.
Lui rise.
“Metti quei piedi qui...” disse. Lei siflò ancora le birky e appoggiò i piedi davanti a lui.
“Dai, annusa...” disse Elena. “Allora? Ti piaccono?”
“Le calze nere fanno schifo...” disse lui prendendola in giro.
“Ma senti che odore...” rise lei. “Puzzano? Eh???” chiese, questa volta con malizia. Era oscenamente eccitata.
“Scema...”
“Puzzano o no?”
Annusò e accarezzò.
“Hmmm… sì...”
“E allora, prenditelo tutto il mio odore...”
Voleva quel viso anche tra i suoi seni. Voleva sentirlo dentro di sé mentre sospiravano insieme impazzendo di piacere reciproco.
Lei mise di nuovo le ciabatte che lui adorava e si sedette su di lui, del tutto incurante del fatto che qualche freddo tedesco nell’albergo avrebbe potuto guardare con disapprovazione quei due adulti che si comportavano come se fossero stati due adolescenti su una panchina scambiandosi baci mentre si tenevano i visi tra le mani. Elena strofinava il suo pube sull’erezione di Juri che la stringeva per la schiena.
“Scopami stanotte, ti prego...” pensava lei. “Scopami, maledetto… e avrai il mio odore tutte le volte che vuoi...” pensava, mentre lui beveva avido la sua saliva.
“Scopami… prendimi...”: non le pensava più, quelle parole. Le disse.



Un treno passava in lontananza. Ancora scossa dagli orgasmi, Elena lo guardava mentre lui ancora le baciava delicatamente le gambe. La adorava. Il suo cazzo era bello anche a riposo, con il glande esposto. Avrebbe ricordato per sempre il momento in cui l’aveva penetrata con un unico colpo lento, guardandola negli occhi. Le carezze sui suoi seni, prima timide e poi decise, come se la conoscesse da una vita. E quei baci? Ora dolci, poi osceni, mentre le loro mani cercavano i loro sessi eccitati. Lei su di lui, con la lingua che si muoveva a destra e a sinitra, avanti e indietro… non ricordava di avere mai leccato un cazzo con tanta avidità e ingordigia. Nè di essersi mai gustata così tanto una sborrata in bocca. Lo guardava e gli accarezzava la rasatura da naziskin, strofinandogli una gamba sulla schiena. Lo sentiva con il viso tra le gambe, a baciarle il clitoride ancora eretto come fosse stato un piccolo pene. E di nuovo dentro di lei. Una complicità nata dal fatto di non conoscersi bene, vome sfogarsi con uno sconosciuto che poi non si sarebbe mai più incontrato. La libertà di essere se stessa senza limiti. Dio, scopava favolosamente… venne ancora, questa volta insieme a lui. Che orgasmo meraviglioso, vissuto con tutto il trasporto possibile… Juri… cazzo… non doveva innamorarsi. Non doveva.
Era l’alba.
Cork scrisse una cosa su un foglio e lo ripiegò con cura, poi la baciò con dolcezza sulla fronte, tenendole il viso tra le mani e accarezzandole le labbra.
“Aprilo quando sei in Italia...” le disse. Le sfiorò le labbra con un altro bacio, lasciandola sola senza farsi più vedere.
Passarono i giorni e fu il momento di tornare. Seduta nel bar dell’aeroporto aspettava il suo volo e toccava nella tasca il biglietto che lui le aveva scritto. Non vedeva l’ora di tornare in Italia: l’ultimo giorno di una vacanza l’aveva sempre vissuto come una sofferenza, soprattutto se era stata bene e per porre fine all’agonia di dover lasciare un posto che le era piaciuto voleva solo tornare alla sua quotidianità prima possibile.
Elena guardava Berlino dall'alto mentre l'aereo la riportava in Italia. La torre della tv di Alexanderplatz svettava sulla città e sembrava quasi salutarla.
Portava ancora i collant della sera prima, pensando a quelle sconvolgenti sere passate nell'hotel di Charlottenburg.
Pensava a quel tipo con cui si era divertita a farsi adorare i piedi, che le aveva insegnato un nuovo modo di viversi e di intendere il piacere: prima imbarazzata, poi divertita. Poi eccitata. Ora sconvolta.
Arrivò in Italia e aprì il foglio che le era stato dato. Aveva tenuto fede al patto.
Un numero di telefono, niente altro e il suo nome. Leggendo quel numero si bagnò ancora.
La città dove tutto può succedere le aveva insegnato un nuovo modo di guardarsi e di vedersi donna.
Fine.

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