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Lui & Lei

L'anello magico


di RaccontiSparsi
11.03.2020    |    3.371    |    1 9.0
"Al che tutta la mia sorpresa si tramutò in riso, «E tu vorresti farmi credere che sei un genio? E il costume? E la nuvoletta di fumo?»..."
Il caldo era insopportabile. La città era torrida e deserta. Chi aveva potuto se ne era andato in vacanza e gli altri si erano chiusi in casa. Invidiavo entrambe le categorie. Ero forse l'unico essere vivente a lavorare in pieno agosto, in un buco di negozio, senza neanche un ventilatore, a riordinare chincaglieria. Facevo quel lavoro per potermi pagare una settimana di vacanza. I miei se ne erano andati al mare e gli amici erano tutti spariti chissà dove. Cos'altro avrei potuto fare?
Era un piccolo negozio di oggetti etnici. “Pezzi unici da tutto il mondo” diceva l'insegna: monili dei grandi regni africani prodotti in serie da qualche immigrato clandestino; introvabili vasi cinesi con l'etichetta “made in Thailand”; gioielli in puro ottone e altre cose del genere. Il proprietario comprava la maggior parte degli articoli a prezzi ridicoli e li rivendeva a dieci volte il loro costo, accompagnandoli con qualche leggenda inventata su due piedi. Nonostante i prezzi, gli affari gli andavano più che bene, tanto da potersi permettere un assistente: io.

Quel sabato, invece, avevo aperto da solo il negozio, perché lui se ne era andato al mare con la moglie e le due pesti che aveva per figli, e così sarebbe stato per tutta la settimana.
Tutto solo nel negozio, iniziai a curiosare tra gli anelli e i bracciali, in cerca di qualcosa da fregarmi come ricompensa per il fatto di essere lì a beccarmi tutto quel caldo. Il mio sguardo cadde su di un anello con una gemma rosso fuoco, in cima al gruppo di quelli a cinque euro. Lo presi in mano e notai delle scritte in arabo all'interno della fascia, in un ottone che avrebbe voluto passare per oro. “Carino. Starà meglio al mio dito che qui dentro”.
Era piccolo, così me lo infilai al mignolo. Per un attimo mi sembrò che la gemma fosse attraversata da un riflesso.
«Buongiorno, giovane padrone!»
Sobbalzai per lo spavento e mi girai di scatto. Un individuo, vestito con dei pantaloncini blu scoloriti e una canottiera, si era affacciato alla porta del negozio. Aveva degli enormi baffoni attorcigliati all'insù, la pelle abbronzata, il petto villoso e la testa lucida per la calvizie.
«Cosa vuoi?», fregandomene del fatto che potesse essere un cliente
Lo strano individuo sorrise, «È quello che dovrei chiedere io a lei».
«Eh?».
«Sono il genio schiavo dell'anello che ha al dito» come se questo spiegasse tutto.
Aprii la bocca e la richiusi, “Questo è matto”.
«Possibile che non capisca?», e mostrò i palmi delle mani, «un genio, come quello dei cartoni animati. Solo che io non sono in una lampada, ma in un anello» e unì l'indice e il pollice a formare un anello che mi agitò davanti al naso.
Al che tutta la mia sorpresa si tramutò in riso, «E tu vorresti farmi credere che sei un genio? E il costume? E la nuvoletta di fumo?».
«Sa… bisogna stare al passo coi tempi»
«Lo vedo, guarda come sei vestito! Sembri un operaio disoccupato»
Il “genio” arrossì, «Mi deve scusare, padrone. È l'unica cosa che sono riuscito a rimediare».
Lo guardai divertito. Questo pazzo, in fin dei conti, sembrava innocuo e a recitare era un disastro. Decisi di stare al gioco. «Allora ho tre desideri da pronunciare?»
L’omone si ritirò dritto e impettito, «Si, tre desideri», poi un po' meno impettito, «ma la avverto, non sono molto potente, quindi non esageri».
«Va bene. Genio. Fammi pensare…» decisi a stare allo scherzo e dissi le prime cose che mi passarono per la testa, «Cosa può volere un ragazzo? Le tasche piene di soldi, tutte le ragazze che desidera e non sentire più questo cazzo di caldo!»
Non fece una piega. «Si padrone, come comanda» e fece un inchino, «Per il primo e terzo desiderio non ci sono problemi. Il secondo lo posso esaudire solo a due condizioni>.
«E cioè?» ghignai.
«Deve essere in presenza della ragazza che ha scelto e deve portare al dito l'anello»
Incrociai le braccia con finta disapprovazione.
«Ve l'ho detto non sono un genio tanto potente» e abbassò lo sguardo a mo’ di scusa.
«Va bene Genio, rispetterò le regole» e sciolsi le braccia, perdonandolo.
Al che lo strano individuo sembrò soddisfatto, «I suoi desideri siano esauditi, padrone» annunciò con un gesto della mano, come a disegnare un arco sopra la sua testa. Nessuna esplosione di magia, neppure la benché minima scintilla. «Fatto. Se ha bisogno di aiuto mi chiami, e io verrò!». Si voltò in direzione della porta e si incamminò sulla via, allontanandosi finché non lo vidi più.
“Che folle! Tutte a me devono capitare? E poi con 'sto caldo…” mi fermai a metà del pensiero: non sentivo più caldo! Vedevo i passanti fuori dalla vetrina sudati come maiali, mentre io mi sentivo freschissimo, come appena uscito dalla doccia.
Uscii in strada. Fresco.
In lontananza potevo scorgere i miraggi sull'asfalto, ma io stavo al fresco. Tesi il palmo della mano alla luce del sole e avvertii solo un lieve tepore.
Cominciai a tremare. Non di freddo.
“Il pazzo!”
D’istinto infilai le mani in tasca in cerca del cellulare e le sentii affondare nella carta. “Ma perché ho le tasche piene di cart-”, tirai fuori la mano. Le dita stringevano una banconota stropicciata da cinquecento euro. «Incredibile!» mi sfuggì dalle labbra. Rimisi in tasca quel piccolo tesoro e mi guardai attorno per accettarmi che nessuno mi avesse visto. Non si sa mai chi circola per strada.
Chiusi il negozio e mi precipitai a casa col respiro affannato. “Forse il matto non era poi così matto. Forse era davvero un genio. Ma no, impossibile, sarà stata una botta di caldo!”.
Per confermare queste riflessioni infilai una mano in tasca e tirai fuori la stessa banconota assieme a un mucchietto di altre banconote di grosso taglio e lo poggiai sul tavolo. Rinfilai la mano nella tasca, che avrebbe dovuto essere vuota, e trovai un altro mucchio di banconote. Poi un altro, e un altro, e un altro. Sul tavolo si ritrovarono ammucchiati almeno cinquantamila euro.
Mi accasciai su una sedia, sconvolto. “È vero! È tutto vero!” La mia testa vorticava. Se si erano avverati due desideri… Il terzo?
Sentivo il cuore rimbombarmi in testa e il cazzo cominciò a gonfiarsi nei pantaloni al pensiero di tutte donne bellissime che avrei potuto scoparmi. Andai in balcone, affacciato sulla coorte, in cerca di un po' d'aria. Feci un respiro profondo e cercai di darmi una calmata.
Lo scatto del portone si sentì fino al mio piano e subito vidi sbucare una lunga chioma bionda con un borsone a tracolla. Nonostante la distanza riuscì a mettere a fuoco le gambe nude e un paio di pantaloncini che aderivano a un culetto sporgente.
Valentina, un universitaria sui ventiquattro anni che viveva in affitto. La prima volta che la vidi, anni prima, ero rimasto inebetito. I grandi occhi azzurri e il seno prorompente dal quale il sottoscritto, allora quindicenne, non era riuscito a staccare lo sguardo neppure per un secondo.
Dopo il primo imbarazzante incontro mi mostrai sempre gentilissimo, ma lei, non seppi mai perché, proprio non mi sopportava, e lo me lo aveva dimostrato più volte; ignorando i miei saluti o, quando costretta a rivolgersi a me per via del rapporto di amicizia che negli anni aveva formato con mia madre, trattandomi con distacco e sufficienza. E ora avevo appena finito il liceo, mentre lei si stava per laureare.
La figura attraversò il cortile e scomparve oltre il portone all'altro lato della coorte.
“E adesso come dovrebbe funzionare? Devo essere in presenza… cioè dovrei andare da lei e dire: - Ciao Vale, vuoi fare sesso con me? - e se poi non è così che funziona minimo mi prendo un calcio nelle palle”.
Tornai in casa e mi misi a camminare avanti e indietro per il salotto pensando a come avrei potuto fare e alla fine mi gettai sul divano. Infilai una mano in tasca in cerca del cellulare, ma incontrai solo banconote, “Ma dove cazzo?… l'ho lasciato al negozio”.
Mi alzai intenzionato a tornare al negozio a recuperarlo quando suonò il campanello. Mi diressi alla porta e intanto il campanello suonò di nuovo. «Chi è?».
«Sono Valentina»
Mi mancò il respiro. “Il desiderio? Ma non dovevo essere in sua presenza?”.
Guardai dallo spioncino e riconobbi la sua figura sulla soglia. Deglutii, feci un respiro e aprii la porta. I suoi occhi azzurri si ritrovarono a un paio di spanne dai miei. «C- ciao Vale».
«Ciao Luca» rispose in fretta, «tua madre mi ha telefonato, dicendomi che non rispondi al telefono».
«Ah, eh, sì l'ho dimenticato al lavoro, stavo giusto…», sentii il desiderio di sprofondare dalla vergogna. Era venuta a controllare il cocco di mamma. Era la prima volta che venivo lasciato a casa da solo e mia madre si era fatta venire le fisime. Ottima scelta, comunque, quello di rivolgersi a lei.
Valentina mi fissò negli occhi e io, per l'imbarazzo, li abbassai. Cosa che rischiò di essere ben più imbarazzante, dato che potei constatare quanto la maglietta che aveva addosso fosse aderente, fasciava il seno che sognavo da quando avevo quindici anni e… i capezzoli erano visibili in rilievo. “Ma con le tette che si ritrova se ne va in giro senza reggiseno?” qualcosa si smosse nei pantaloni. «Dille pure che va tutto bene, grazie».
«Bene» fece, e rimase sulla porta. Seguì una pausa imbarazzata. «Mi fai entrare?».
Il suo piglio mi salvò dal rimanere impalato a fissarle le tette, «Oh?… Si, scusa. Accomodati» fu la mia reazione automatica e mi feci da parte.
Non potevo credere alle mie orecchie. Per la prima volta non mi aveva dato le spalle l'istante dopo che le avevo rivolto la parola… e mi aveva chiesto anche di entrare! Il cuore mi andò a mille mentre lei mi passò di fronte e ancheggiò fino al divano. Chiusi la porta lo sguardo fisso sul suo culetto fasciato dai jeans e sulle gambe lisce. Valentina si accomodò sul divano e io mi sedetti sulla poltrona di fronte.
Chiacchierammo raccontandoci di come avessimo trascorso l'estate. Le raccontai qualcosa riguardo il mio lavoro al negozio e lei prese a parlami delle sue sessioni d'esame.
Intanto il mio sguardo correva al suo corpo ogni volta che distoglieva gli occhi dai miei e ben presto non badai più al contenuto del discorso, mantenni tuttavia un'espressione di apparente interesse, allenata in anni di scuola.
“Cavolo non sono mai riuscito a intrattenere con lei un discorso che durasse più di cinque secondi, e adesso questa gnocca se ne sta seduta sul mio divano coi vestiti aderenti e le gambe al vento”.
Parlando di gambe al vento, Valentina, in risposta a una mia ignorante domanda sul suo corso, si risistemò sul divano e accavallò le gambe facendomi apprezzare il suo profilo dalla natica alla caviglia.
“Ho bisogno di fermarmi un attimo”, «Vuoi che ti offra qualcosa da bere?».
«Prendo un chinotto, se ce l'hai»
«Dovrei… vado a vedere»
Andai in cucina sperando così di darmi una calmata.
“E adesso cosa dovrei fare? Tornare di la, sedermi vicino a lei e cercare di circuirla? Potrei chiamare il genio… no! Se quel pazzo piombasse in casa ora manderebbe tutto a puttane”
In un paio di minuti preparai tutto. Il chinotto non era in frigo, così ci aggiunsi del ghiaccio, per lei che ancora soffriva il caldo. Un respiro profondo, “Fatti forza”.
Misi tutto su un vassoio e tornai in salotto. Il divano dava le spalle alla porta della cucina, ma non si vedeva la chioma bionda emergere dalla spalliera. Mi avvicinai passando a lato del divano, “Sarà andata in ba…”.
Valentina stava prona sul divano, intenta a guardare il cellulare. Già che mi stava dando la schiena il mio occhio cadde sul suo sedere e sulle sue cosce toniche. Mi schiarii la voce, «Ho portato da bere!».
«Ah!». Valentina si alzò sollevando il bacino. Le gambe dei pantaloncini le si infilarono tra le natiche, e per un istante rimase a quattro zampe col sedere sporto verso di me.
“Cazzo! Ora le salto addosso… Trattieniti!”, ma il mio amico prese quest'idea molto sul serio e cominciò a gonfiarsi.
Valentina si mise seduta e guardò verso la mia persona, che intanto era rimasta impalata col vassoio in mano e un bozzo che le cresceva tra le gambe.
Poggiai il vassoio sul tavolino e mi fiondai subito sulla poltrona.
Continuammo a chiacchierare e cercai di darmi una calmata. Il cuore mi rimbombava nei timpani e l’ansia non mi aiutava per nulla a sciogliere le mie… rigidità.
Valentina, intanto, continuava a parlare giocherellando con una ciocca bionda. «Certo che anche qui fa davvero caldo» e si tirò il colletto.
“Il condizionatore… non ci ho neanche pensato e…” e dovetti piegarmi in avanti per nascondere l'imbarazzante forma che il cavallo dei miei pantaloni aveva assunto, disegnando una banana che andava dal pube all'anca.
Quando Vale si era portata la mano al petto lo sguardo mi era caduto ancora una volta sul suo seno. I capezzoli puntavano con forza contro il tessuto della maglietta.
Valentina smise di parlare e si morse il labbro. Mi guardò un attimo poi si tirò in piedi. Io la seguii con lo sguardo e dovetti torcere il collo all'indietro per continuare a seguirla senza finire per scoprirmi.
Venne verso di me e a quel punto non potei più sostenere quella posizione, che stava diventando quasi più ridicola di quello che cercavo di nascondere, e finì col ritirarmi dritto col busto. «C-cosa c'è?».
«Volevo andare in bagno, magari mi aiuta a rinfrescarmi» lo sguardo di Valentina, dai miei occhi, si spostò più in basso. Mi sentii morire. Trattenni il respiro e guardai per terra, in attesa di essere svergognato.
«e sembra che anche il tuo amico abbia bisogno di sbollire»
Rialzai lo sguardo verso il suo, ma i suoi occhi puntavano ancora in basso. Poi alzò lo sguardo e sorrise, «Vedrò di farmi perdonare, allora».
Io intanto cercavo di sprofondare nell'imbottitura della poltrona. «Vale?» sussurrai.
Si mise in ginocchio e si infilò col busto tra le mie cosce. Afferrò l'orlo dei pantaloni e iniziò a slacciarmi la cintura.
«Vale!?», piantai le unghie nei braccioli mentre le sue mani si infilavano nelle mie mutande e portavano alla luce il mio cazzo, già eretto e scappellato. Tra le sue manine mi sembrava grosso come quello di una pornostar.
Valentina prese a massaggiarlo piano, «Ma guarda che bel cazzone».
“Sto sognando, non sono sveglio” trattenni il respiro e chiusi gli occhi, “Sto sogna…”
Le sue morbide labbra si avvolsero intorno al mio glande con un lungo mugugno di piacere.
Una sferzata di energia mi risalì lungo la schiena. Fissai il soffitto con la testa incassata nelle spalle.
Le sue labbra scivolavano sulla cappella e la lingua ci girava attorno.
Cercai di calmarmi, concentrandomi sul fantastico momento. Era meglio lasciar perdere il perché stesse avvenendo.
Tornai a guardarla. Gli occhi chiusi e le labbra strette attorno al mio cazzo. Il calore della sua bocca mi avvolgeva tutto mentre con la mano mi massaggiava le palle. A ogni affondo si spingeva in gola un altro po' del mio membro prendendolo quasi tutto.
Ormai ero al limite. Contrassi le natiche, pronto a esplodere.
Valentina lo tirò fuori e lo leccò per tutta la sua lunghezza, «Non desideravi altro, eh porcello?» lo sguardo fisso sulla mia cappella paonazza.
“Non parlare col mio cazzo”, «Fammi vedere dove arrivi».
Le labbra di Valentina tornarono sul mio glande e ripresero a scendere. Vidi il mio cazzo ingoiato centimetro per centimetro finché le sue labbra non arrivarono alla base.
“Cazzo, lo ha ingoiato tutto!”. Mi contrassi con un gemito liberatorio, incapace di trattenermi.
Valentina spalancò gli occhi.
I primi fiotti le inondarono la gola. Lei si ritrasse in fretta, scossa da un accesso di tosse, senza staccare la mano dal mio cazzo, che intanto continuava a gettarle altro sperma in faccia.
Quando l'orgasmo passò faticai a riprendere il contatto con la realtà. La stanza mi girava intorno e mi sentii avvolto da un'incredibile sensazione di leggerezza.
Valentina tossì ancora. Abbassai lo sguardo: inginocchiata col sedere a terra, aveva il viso coperto di sborra e quella che ero riuscito a scaricarle in bocca le colava dalle labbra. Goccioloni biancastri le scesero lungo le guance e il mento e colarono sulla curva del seno, macchiando la maglietta.
Si risollevò in ginocchio cercando a tastoni un appoggio che trovò sulle mie ginocchia. Afferro il lembo di federa della poltrona che pendeva tra le mie gambe e si pulì il volto. Rimase un attimo a fissare la macchia che aveva lasciato sul copri-divano e poi si rivolse a me, «Mi spiace per la federa» si guardò la maglietta, il tessuto aveva assorbito lo sperma allargando le macchie. «Ma non è che tu ti sia trattenuto dal riempirmi tutta» e tirò in avanti la maglietta per veder meglio quanto grave fosse il danno. La immaginai presentarsi in lavanderia: “Signora, vengono via le macchie di sborra?”.
Il pensiero che lei potesse uscirsene da casa mia con la maglietta chiazzata e l'odore di sperma addosso mi fecero scendere una scarica giù nel bacino, e il mio pene rinvenne subito. La cappella andò a intromettersi tra i nostri sguardi e una goccia si sborra ritardataria fece capolino dalla fessura.
Valentina la fissò un attimo come ipnotizzata e vi tornò sopra con le labbra e con la lingua, per ripulirla. “Meno male, temevo sarebbe finita così”.
Mi staccai dallo schienale e allungai mani fino alle sue tette. Le afferrai a palmo aperto e le massaggiai attraverso il tessuto. “Delle tettone così che se ne stanno su da sole. Non avrei mai sperato di poterle stringere tra le mie mani… è quasi commovente”.
Sfiorai i capezzoli e li sentii indurirsi. Li afferrai assieme alla stoffa e li strizzai tirandoli verso di me. Valentina se ne lamentò con un mugugno senza però smettere di leccarmi.
Feci scivolare le mie mani ancora più in basso e le sollevai la maglietta. Le tette balzarono fuori candide e sode. “Cazzo, sono meglio di quanto pensassi!”.
Valentina staccò la sua insaziabile boccuccia dal mio cazzo e si tirò un po' più su, si afferrò le tette e le avvolse attorno al cazzo. Mi guardò sorridente, «Lo capito, sai, che volevi che ti coccolassero» e cominciò a strusciarle contro la cappella, la saliva di cui il mio cazzo era fradicio lo rendeva scivolose al punto giusto.
Il mio bacino cominciò a dare dei colpetti di riflesso e sentii il bisogno di prendere le redini. Le strinsi le mani sulle sue e subito le ritrasse lasciando che usassi il suo seno a mio piacere. Le strizzai per farle aderire il più possibile, con un gemito sommesso da parte di Valentina. Mi segai piano con le sue tette, finché non mi abituai, poi aumentai la velocità. Chiusi di nuovo gli occhi, in preda al piacere.
Dopo un po' cominciai a sentire il respiro di Valentina farsi più affannoso e diventare un mugolio sommesso.
Aprii gli occhi e mi accorsi che aveva entrambe le mani infilate nei pantaloncini e si stava masturbando. Aumentai la velocità e strinsi i seni con forza. Valentina mugolò ma non disse nulla e continuò a sditalinarsi. I suoi gemiti si fecero sempre più acuti, ansimava a bocca aperta e emetteva urletti di piacere.
«Ti piace farti scopare le tette, eh?»
Per tutta risposta Valentina emise un gemito più grave e lungo.
Stavo per venire di nuovo. Le lasciai andare le tette e lei si fermò, «Perché adesso?».
«Si vede a un miglio che hai bisogno di cazzo, non certo di un paio di dita, su vienimi sopra»
Sorrise e si alzò in piedi. Si sfilò i pantaloncini e le mutande in un unico movimento, mostrandomi la sua fighetta bionda dalle labbra rosse e turgide e si sistemò sopra di me con le gambe sui braccioli e i piedi fuori a penzoloni. Prese il suo seno tra le mani e me lo offrì da succhiare. Misi la testa in mezzo e le leccai come un bambino col gelato. Raggiunsi i capezzoli e presi a succhiarli con forza. Valentina gemeva ogni volta che succhiavo troppo forte o le mordicchiavo i capezzoli; prese a ondeggiare il bacino sfiorandomi la cappella con le labbra. Poi si decise. Mi afferrò il cazzo, se lo puntò tra le gambe e si fece cadere su di me. Il cazzo sprofondò per intero, e me lo sentii strizzare dalla base al glande. Valentina cacciò un urlo che, credo, sentirono anche i vicini e io la strinsi a me.
Quando ebbe ripreso fiato si riposizionò. Mise le mani sulle mie spalle e cominciò a saltellare su di me. Le pareti della sua vagina mi strizzavano cazzo, ma era così bagnata che non avvertivo resistenza. Dopo un po' si fermò per riprendere fiato. Chiuse gli occhi e mi prese la testa tra le mani. Le sue labbra si schiacciarono contro le mie e la lingua si insinuò tra le mie labbra. Ricambiai il bacio. Le infilai una mano tra i capelli e con l'altra le strizzai una tetta.
Ricominciò a muoversi su di me sollevandosi e facendosi cadere ogni volta di peso su di me. “Se qualcosa va storto me lo spezza in due…”. Feci scivolare le mani su suo culo e le afferrai entrambe le natiche per prendere il controllo e ricambiare le spinte a mia volta.
Valentina gemeva sempre più forte, dovetti baciarla di nuovo per tacerla. L'odore della sua pelle mi riempiva le narici e sentivo la sua figa stringermi il cazzo sempre più.
La presi per i fianchi e mi tirai in piedi, con lei avvinghiata. La sdrai sulla poltrona a gambe larghe e iniziai a scoparla con forza e in profondità.
Mi guardava negli occhi e ansimava, le pareti della sua figa si contraevano attorno al mio cazzo. Si contrasse un ultima volta e, con un grido che echeggiò nel salotto.
Non mi fermai e continuai a spingere con lo stesso ritmo forsennato, gli schiocchi dei miei colpi e e urla di Valentina credo che arrivassero fino alla tromba delle scale. “'fanculo i vicini!”.
Mi sfilai da lei, con somma delusione nel suo sguardo. Dalla sua figa, aperta e pulsante, gli umori colavano lungo le natiche.
«Adesso voglio montarti a pecora!»
Sgomberai il tavolino, e la feci mettere sulle ginocchia, piegata sul legno, la schiena inarcata e il sedere bello alto. Poggiai la cappella sulla sua fighetta, rossa di piacere, e la penetrai d'un colpo. Valentina cacciò un urlo, di sorpresa credo. Mi aggrappai alle sue braccia e iniziai a spingerlo dentro con forza.
«Ah, sì! Spaccami!» urlava, ormai ben lontana dalla lucidità.
Le misi una mano sulla schiena e la schiaccia con le tette contro il legno e mi godetti la vista del mio cazzone che sprofondava dentro di lei e il suo culetto che sbatteva sul mio pube schioccando a ogni affondo. Le afferrai le chiappe a piene mani, la accarezzai e le allargai. Con un pollice sfiorai il suo ano, che si contraeva per l'eccitazione. Cominciai a strofinarlo col pollice e poi con la punta del medio.
Valentina gemeva, «Sbattimi dai! Sì! Più forte!».
Tutto il sangue mi affluì al membro che divenne duro come non mai. Quel culetto tondo e quel buchino rosa mi stavano eccitando oltre ogni limite. Quasi animato da volontà propria, il medio vi si infilò tutto dentro.
Valentina ebbe sussultò, iniziò a gridare, «Ah… ah, Si…».
La sua figa mi strizzò il cazzo e la sentii spruzzare contro le mie gambe. A quel punto cedetti e le scaricai dentro un orgasmo che mi sembrò non finire più.
Mi accasciai su di lei schiacciandola contro il tavolo, mentre il cazzo continuava a pulsare svuotandosi fino all’ultima goccia.
Quando l'euforia passò mi resi conto che ancora davo piccoli colpetti col bacino. Le scostai i lunghi capelli biondi e le baciai il collo. Valentina stava con la guancia schiacciata contro il tavolo e mi sorrise guardandomi con la coda dell'occhio. Mi avvicinai al suo viso con le labbra in cerca delle sue.



Libera rielaborazione del racconto “L’anello magico (I parte)” scritto per erositalia.net da “Piccolo Luca”.
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