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Lui & Lei

Lo stipite del letto


di RaccontiSparsi
30.03.2020    |    3.008    |    0 8.6
"Quando Giovanni si risvegliò gli girava la testa, sentiva il cuore pulsargli nelle orecchie provocandogli fitte di emicrania, o forse era l'emicrania a..."
«Dovrà andare in “quella Città”!» disse il professore da dietro la scrivania, «Hanno una biblioteca molto ben fornita sull'argomento che intende trattare, e sono sicuro che troverà tutto quello di cui ha bisogno».
A Giovanni prese un colpo, ma partì; intenzionato a farsi una carriera nel mondo accademico.
La prima settimana passò con una monotona e rassicurante ripetitività.
Dopo cena, seduto sul divano, Giovanni si mise al cellulare per rispondere ai messaggi degli amici e dei parenti, che gli avevano scritto in giornata. La sua rassicurante routine venne però spezzata quando vide che tra i messaggi ce ne era uno che mai si sarebbe aspettato di ricevere.
In un non troppo lontano passato, il contatto in questione, era stato registrato con un altro nominativo del tipo: “amore”, “amorino mio bello”, “pucci pucci” o un qualunque altro appellativo idiota con il quale lo aveva nominato mentre il suo cervello era in pappa per overdose da ossitocina; adesso, sullo schermo del cellulare, appariva semplicemente un numero che ben ricordava.
Ciò che gli aveva fatto venire un colpo, non era il dover stare lontano dalla sua città per qualche mese, ma dal fatto di doversi trasferire proprio in “quella Città”, dato che vi abitava colei che era stata la sua ultima ragazza e con la quale aveva rotto da più di un anno. Anzi, no! Non aveva rotto. Era stata lei a lasciarlo con un: “Non ti amo più!”.
Una stroncatura improvvisa che lo aveva lasciato disperato.
In seguito, però, gli giunse voce che era già quasi un mese che stava frequentando un altro; e allora capì che i ritardi e le assenze per impegni improvvisi, durante gli ultimi sgoccioli della loro relazione, erano dipesi da questo. Cosa che non l'aveva comunque trattenuta dal continuare a chiamarlo “amore” o dall'andare a letto con lui.
Dopo un anno e mezzo la ferita gli bruciava ancora, e non aveva nessuna voglia di vedersela rientrare nella sua vita, neppure come comparsa. Allo scopo di limitare i rischi affittò un appartamento vicino all'università, lontano da dove si ricordava che abitasse.
Storse il naso, inspirò e aprì il messaggio.
- Ehi ciao. Scusami, so che ti potrà sembrare assurdo… ma sono sicura di averti visto sul viale stamattina. Solo che ero in auto e non ho potuto dare una seconda occhiata.
Aveva temuto fin dall'inizio questa evenienza, e adesso sapeva che avrebbe dovuto fare più attenzione. Dopo aver convenuto con se stesso che risponderle subito era il modo migliore per chiudere definitivamente la questione decise di scriverle le ragioni per le quali si trovasse lì.
- Ciao, sì non ti sei sbagliata, mi sono trasferito qui temporaneamente per motivi universitari.
Inviò il messaggio è tornò a rispondere a quelli rimasti.
Poco dopo ne arrivò un altro, - Davvero? Che strana coincidenza che ti sia ritrovato a studiare qui! Comunque ciao!
Era andata bene, e Giovanni si sentì sollevato da quella risposta impersonale e conclusiva e scrisse: - Allora ciao! Stammi bene.

Il mattino dopo si alzò presto. Guardò il cellulare e con soddisfazione non vi trovò nuovi messaggi. Ritenendo un buon segno che la conversazione si fosse chiusa per sempre archiviò la cosa, uscì di casa e si recò in biblioteca.
Era ormai pomeriggio inoltrato quando decise che era giunta l'ora di rientrare in appartamento. Si incamminò sulla strada di casa, vagando con la mente su impegni futuri e sul cosa fare per cena.
Il suo sguardo vagava dalle poetiche fronde dei platani, che costeggiavano il viale, alle ben più materialistiche merde di cane che occasionalmente minavano il suo cammino, finché il suo occhio non si spostò sul marciapiede all'altro lato della strada, e lì vi rimase.
Con un'analoga ripetizione di alcuni eventi accaduti un anno e mezzo prima, la sua attenzione fu attirata da un seno provocante messo in risalto da una maglietta aderente. Allora, questa cosa, lo incentivò anche a conoscere la ragazza che vantava il suddetto seno.
Questa volta però Giovanni distolse subito lo sguardo non appena la riconobbe e, fingendo di non averla notata, allungò il passo per allontanarsi il più in fretta possibile.
«Giovanni!»
Per un breve attimo prima di perdere ogni speranza, pregò che la voce si stesse riferendo a un altro Giovanni, ma, per una tragica fatalità, nessuna delle altre persone presenti su quel preciso marciapiede, in quel preciso momento, si chiamava con con tale nome. Non che fossero poi molte, comunque.
Il solo Giovanni presente si voltò di scatto e con finta sorpresa, nella speranza di un saluto da lontano, ma la chioma scura della ragazza, raccolta in una lunga coda, già oscillava decisa, attraversando le strisce, nella sua direzione.
Il ragazzo cercò di trasformare la seccatura in stupore, «Ciao, Chiara!» accennò anche un gesto con la mano che avrebbe dovuto rappresentare un saluto, ma che rimase soltanto un gesto accennato con la mano.
«Ma tu guarda che caso! Prima non ci vediamo e non ci sentiamo per quasi un anno e poi ti vedo due volte di fila!» disse la prorompente ragazza, che benché fosse solo una spanna più bassa di lui, gli fece chinare il capo con un inclinazione leggermente superiore a quella considerata come sufficiente per guardarla negli occhi.
«Eh già, sono cose che capitano!» rispose correggendo repentinamente la postura e cercando di capire se dietro quegli occhi azzurri e quel sorriso, Chiara fosse davvero felice di averlo incontrato.
«E quindi sei qui per l'università?» disse lei gioviale.
«Già… sai, devo preparare la tesi» cercando di darsi un contegno intellettuale, ma soprattutto cercando di impedire che l'occhio gli cadesse morbosamente di nuovo. «Si tratterà di qualche mese».
Lei alzò un sopracciglio, «Davvero?»
«Sì, ne avrò ancora per un po'» e silenzio. Si guardarono negli occhi un attimo finché lui cedette per l'imbarazzo.
Chiara sorrise, infilò una mano nella borsetta, continuando a scrutarlo con la coda dell'occhio, estrasse il cellulare e lo guardò un attimo. «Io adesso devo scappare, però mi farebbe piacere rivederti. Magari per un caffè?».
«Perché no?» rispose Giovanni con tono convinto, anche se la risposta giusta sarebbe stata: “No, perché mi hai tradito e trattato come una pezza!”.
«Per me va bene anche domani sera» decise allora la direttrice dei giochi.
«Va bene! Vediamoci domani al bar della piazza, allora!» continuò lui nell'inconscio tentativo di avere una parte attiva nelle decisioni prese.
«Ok!» Chiara rimise il telefono in borsa, «A domani, ciao!».
«Ciao!» disse rigido.
Chiara gli fece ancora un saluto con la mano e si incamminò.
Giovanni la guardò allontanarsi sculettando e, per non restare di nuovo imbambolato a calcolare il moto di oscillazione delle sue curve, distolse rapidamente lo sguardo e si incamminò verso casa.

Dopo cena Giovanni, mentre stava sdraiato sul divano facendosi rovinare la retina dalle immagini televisive, si ritrovò in impaziente attesa del domani. Senza volerlo si mise a ripensare ai momenti passati con quella ragazza, alle sue forme esuberanti, alle sue labbra carnose, e realizzò che nonostante quello che era successo tra loro la trovava ancora terribilmente attraente.
Se Giovanni avesse avuto un maggiore controllo sul proprio io, avrebbe sicuramente notato che il cervello non fu la sola parte del suo corpo a realizzare quell'ultimo pensiero.

Venne il giorno seguente e Giovanni era già in biblioteca quando ricevette il messaggio, - Va bene per le nove?
Distolto dalle sue ricerche rispose, - Per me va bene, a dopo.

Arrivò al bar qualche minuto prima dell'ora stabilita e si sedette a un tavolo vicino alla vetrata.
Alle nove in punto Chiara varcò la soglia del locale.
Giovanni era intento a guardare il telefono e non la vide passare di fronte alla vetrata, ma appena entrò la notò subito.
Benché soltanto pochi secondi separassero la porta dal tavolo, un curioso, quanto conveniente, evento cosmico rallentò il tempo, trasformando i tre passi che Chiara fece per raggiungerlo in una sensuale sfilata, o per lo meno questa fu l'interpretazione che diede Giovanni dopo che il suo sguardo ebbe risalito le gambe scoperte e affusolate di lei per passare poi sul vestito nero corto che la fasciava fino a metà coscia e spariva, all'altezza dei fianchi, sotto una giacchetta leggera. Più arduo fu per lui superare la curva dei seni che gonfiavano il soprabito e, superato questo punto, fu una passeggiata scavalcare il lucidalabbra e arrivare finalmente a guardarla in quegli azzurri occhi da cerbiatta appena truccati.
Un'altra, e più probabile, spiegazione è che il diminuito afflusso di sangue al cervello, alla vista di Chiara, rallentò i processi mentali e percettivi di Giovanni, dandogli così l'impressione che il tempo rallentasse.
Nel mentre che tutto questo accadde Chiara si avvicinò al tavolo con un sorriso, «Ciao Giò!» e si sedette di fronte a lui.
“Giò” rientrò nel flusso del tempo, «Ciao Chiara!».
Invece del caffè, essendo l'orario fuori luogo, Chiara, ordinò un cocktail e Giovanni decise di fare lo stesso.
Sulle prime, il ragazzo, cercò di mantenere un certo distacco e le raccontò del perché fosse in “quella Città” e delle ricerche che stava svolgendo, ma la reazione affabile e interessata di Chiara all'argomento fecero sì che la sua tensione si sciogliesse in fretta.
Quando Giovanni ebbe finito di spiegare le ragioni della sua presenza i bicchieri erano ormai vuoti.
«Certo che fanno davvero un sacco di roba in questo bar» disse Giovanni guardando la carta.
«Già! E anche a poco. Qui le cose non costano come in una grande città»
Lui ci rifletté su, senza staccare gli occhi dal listino.
Intanto passò il cameriere e Chiara ordinò un’altro cocktail. Giovanni alzò gli occhi di sopra al menù, se li avesse portati si sarebbe detto che la stava guardando da sopra gli occhiali, e gli tornò alla mente che anche quando stavano assieme tendesse a bere troppo e a reggere poco.

Continuarono a raccontarsi dei vari eventi e momenti divertenti che erano avvenuti nell'ultimo anno, stando ben lontani da argomenti di natura sentimentale, sentendosi di nuovo a proprio agio, quasi dimentichi dei loro trascorsi.
Finito il cocktail la ragazza ne ordinò un altro e Giovanni fece lo stesso.
La chiacchierata andò avanti e Chiara era sempre più allegra, sia per la piacevole conversazione, ma soprattutto per l'alcool che cominciava a farle effetto.
Giovanni pensava, anzi sperava, che la ragione per la quale stesse bevendo tanto fosse dovuta al fatto che si sentisse in colpa con lui e che per restare lì a parlargli avesse bisogno di un aiuto.
«Comincia a far caldo, non trovi?» disse Chiara facendosi il gesto del ventaglio con la mano dopo aver vuotato anche il terzo bicchiere.
“Con quello che ti sei bevuta a stomaco vuoto!”, «Sarà perché il locale comincia a riempirsi» rispose lui con nonchalance.
«Mmh!» fece Chiara per tutta risposta e si sfilò la giacca porgendo il busto in avanti per sfilare le maniche e mostrando così che l'abito che indossava altro non era che un tubino nero aderente. L'attimo distrazione della ragazza intenta a sfilarsi la giacca, e appenderla alla spalliera, fecero accantonare per un attimo ogni pudore al ragazzo che sguinzagliò la sua morbosa attenzione sul vestitino che fasciava l'esuberante seno della sua ex mostrando i capezzoli in rilievo. Deglutì, «Meglio?».
Chiara si voltò con un sorriso, «Ora sì!».
Ora anche Giovanni aveva caldo.

«Questo mi sembra buono! Ne vuoi uno anche tu?» disse Chiara scorrendo il dito sul menù poggiato sul tavolo.
«No, penso che finirò quello che ho adesso… prima»
Chiara chinò la testa sul tavolo con un leggero sussulto, ma abbastanza perché i capelli mori le cadessero in avanti coprendole il viso. Si scostò i capelli con una mano, ridendo tra se, e si lasciò cadere contro lo schienale. Si distese, e un piede andò a infilarsi tra le gambe del ragazzo poggiandosi contro il polpaccio.

A Giovanni appariva sempre meno lucida. Parlava guardando nel bicchiere, poi lo fissava coi suoi occhi azzurri e ridacchiava tra se per tornare a dare una sorsata e continuare il discorso. E intanto non cessava il contatto tra le loro gambe, ma anzi, continuava a riposizionarsi facendole così strusciare tra loro.
Il ragazzo sospirò per schiarirsi i pensieri, e si avvicinò con la sedia, intenzionato a chiederle perché si stesse riducendo così. «Chiara?».
Chiara rigirò la cannuccia nel bicchiere, «Si Giò?».
«Senti, volevo sapere perc…» ma le parole gli morirono in bocca di fronte a una nuova sensazione.
La punta del piede di lei, avvolta dalla calza, si infilò tra le sue cosce andando a premere contro la patta di lui.
“Ma quando si è sfilata la scarpa?” tra i vari pensieri stupiti che il ragazzo elaborò ci fu, per qualche ragione, anche questo.
Giovanni fissò Chiara negli occhi e lei di rimando gli sorrise reggendosi il mento col dorso della mano mentre l'altra rigirava la cannuccia nel bicchiere.
Il ragazzo rimase spiazzato e ammutolito dal gesto di lei, che continuava a strusciare il piede tra le sue gambe e cercava la forma del suo membro attraverso i jeans. La mancanza di una qualunque reazione fu dovuta in parte al fatto che non si aspettava un tale gesto, ma soprattutto a causa del sangue che avrebbe dovuto portargli l'ossigeno al cervello e che invece si era impantanato in periferia congestionando il traffico e causandogli una poderosa erezione la quale, se non fosse stato per la cintura, avrebbe potuto portare a un brutto incidente fuori dai suoi pantaloni.

I due ragazzi rimasero così a fissarsi per diversi minuti. Il mondo di Giovanni si era contratto bruscamente riducendosi ai soli occhi che lo fissavano e a quel piede che lo accarezzava tra le gambe.
Solo quando la mano di Chiara arrivò a sfiorare la sua ci fu uno sblocco, «Chiara, che cosa stai facendo?» disse sottovoce.
«Niente Giò, niente...» l'alluce aveva trovato il punto dove jeans, mutande e la calza di lei la separavano dalla cappella turgida di lui, «Se ti do fastidio dimmelo…».
Giovanni sospirò, un turbine di possibilità e motivazioni passò attraverso la sua mente, turbinanti e quindi difficili da mettere a fuoco, soprattutto per via dell'alcool al quale aveva ingenuamente creduto di poter resistere.
Da tutto questo, unito al ricordo dell'atteggiamento di lei in passato, ne venne fuori un leggero moto di rabbia. Così si alzò dalla sedia, prese i soldi e li gettò teatralmente la sua parte del conto sul tavolo. Quando alzò gli occhi si ritrovò Chiara in piedi di fronte a lui. Fece per andarsene, ma lei lo bloccò prendendolo per un braccio. Cercò, allora, di scostarsi e andarsene con un “Ciao!” ma le sue parole vennero ricacciate da un paio di calde labbra schiacciate contro le sue e una lingua ardente che gli si infilò in bocca.
Chiara schiacciò le sue forme provocanti contro di lui baciandolo con passione e la sua mano andò a posarsi sul rigonfiamento che aveva tra le gambe, afferrandolo per bene attraverso i pantaloni, così che non potesse sfuggirgli.
Giovanni pensò di respingerla per un ultima volta prima che la mano di lei cominciasse a massaggiarlo attraverso il tessuto portandolo sul punto di esplodere.
“Al diavolo!” pensò Giovanni e la cinse con un braccio, staccandosi dalle sue labbra, «Vieni con me!».

Uscirono dal bar tenendosi per mano come adolescenti al primo appuntamento. Si diressero subito verso il palazzo, a due isolati dalla piazza, dove Giovanni abitava.
Arrivati di fronte al portone del condominio, mentre Giovanni cercava la chiave dal mazzo, Chiara prese a strusciarglisi contro la schiena e, premendogli una mano sul cavallo dei pantaloni, continuò a massaggiargli il pacco, la cui erezione era ben evidente attraverso i jeans.
Questo non aiutò Giovanni a trovare le chiavi, ma prolungare quel momento certo non gli dispiacque.
Quando, “Finalmente”, imbroccò la chiave giusta e la girò nella toppa i due ragazzi irruppero oltre il portone di vetro e tenendosi per mano corsero su per la breve gradinata che portava al un pianerottolo rialzato da cui partiva l'ascensore.
Giovanni premo il pulsante di chiamata e si voltò verso Chiara che lo tirò a se e gli fece fare una piroetta spingendolo contro il muro, in un angolo dove non potessero essere visti dalla strada.
Giovanni le prese il viso tra le mani cercando di baciarla, ma il volto di lei gli scivolò via. Per questo provò una forte delusione che durò per il breve attimo che andò dal momento in cui mancò di baciarla a quello in cui si accorse che si stava inginocchiando di fronte a lui slacciandogli la cintura.
In un sol colpo gli tirò giù i jeans e i boxer fino a mezza coscia e il suo nerbo duro, in preda all'euforia di essere libero, si impennò sotto gli occhi della ragazza crescendo ancora.
Chiara fissò il glande paonazzo e le vene pulsanti e lo accarezzò con una mano saggiandone la consistenza, «Mmh… ce l'hai sempre avuto bello grosso. Quasi…» l'odore stava impregnando l’aria, «quasi non me lo ricordavo, sai?».
“Non ti ricordi del mio cazzo? Quanti te ne sei presi in un anno?” e pensò che si fosse spinta fino a quel punto sotto l'effetto dell'alcool, ma non sembrava brilla a tal punto da portare un eventuale spettatore a pensare che si stesse approfittando di una ragazza ubriaca. Allungò una mano poggiandogliela dietro alla testa e con decisione le tirò il viso verso di lui. “In una cittadina come questa lo saprebbero subito tutti che razza di puttana che sei”.
Gli occhioni di Chiara quasi si incrociarono cercando di seguire la cappella contro la quale veniva trascinata. Aprì la bocca mettendo la lingua di fuori e prese a leccarla stuzzicandola con la punta, mentre la sua mano scese a massaggiare i testicoli gonfi di Giovanni.
Giovanni alzò lo sguardo per tenere d'occhio le scale, mentre l'orecchio era teso al portone.
Chiara gli leccava la base del glande facendo roteare la lingua, lo prese con l'altra mano e se lo sbatté sul viso e stringendoselo contro la guancia e lo annusò con un respiro profondo, poi cominciò un su e giù, schiacciandoselo contro il naso e leccandogli tutta l'asta finché il cazzo non fu pieno di saliva. Scivolò in basso, tra le cosce del ragazzo, e prese a leccargli lo scroto e poi a succhiarli i testicoli prendendoli in bocca. Poi si staccò dalle sue palle e si riposizionò, prese la cappella in bocca e cominciò a succhiarla con netti sciacquettii di saliva.

Afferrò entrambe le natiche di Giovanni, prese un lungo respiro e si spinse contro di lui facendosi scivolare in gola l'intera lunghezza della sua asta fino a toccargli il pube con la punta del naso.
Giovanni ricordava che ne fosse in grado. Lo era già quando la aveva conosciuta. Quando glielo fece la prima volta lui crollò subito per la sorpresa, ma adesso era ben conscio delle doti da pompinara della ragazza inginocchiata di fronte a lui.
Chiara cominciò muovendosi piano, estraendo il cazzo di Giovanni per poi riprenderlo per intero.
Giovanni grattò lo stucco dalla parete alle sue spalle travolto dal calore che lo avvolgeva e dal massaggio che la sua cappella subiva scivolando oltre l'ugola di lei.
Chiara continuò aumentando il ritmo e, guidato da un istinto primordiale, il bacino del ragazzo prese a fare movimenti compulsivi. Senza che se ne accorgesse afferrò la testa di Chiara con entrambe le mani e prese a muovere il bacino come in preda a un amplesso.
Chiara lasciò andare i fianchi del ragazzo e si infilò le mani sotto la corta gonna fin nelle mutande.
Giovanni intanto continuava a stantuffarle la gola ignorandola.
«mmhgl…» disse sfiatando la ragazza.
Giovanni guardava dritto e ansimava per i fatti suoi.
«mmmh… mmmmmmhh…» mugolò con più forza, senza sfilare le mani impegnate sotto la gonna. La bava cominciò a colarle anche dalla bocca, lungo il mento, «mmhglh… mfff…» sbuffò con gli occhi fuori dalle orbite.
Giovanni capì che la stava soffocando e si ritrasse facendola tornare a respirare. Guardò la ragazza ai suoi piedi con la sua cappella ancora in bocca, il trucco sfatto che le sporcava gli zigomi e la saliva che le usciva dalle labbra colando lungo il mento e gocciolandole sui vestiti gonfiati dal suo florido petto.
Il ragazzo si accorse solo in quel momento che la ragazza aveva entrambe le mani infilate nelle mutande. «Ti piace prendere il mio cazzone in gola, eh puttanella?».
«Mmh…» la ragazza gli sorrise tenendosi la cappella in bocca e senza smettere un attimo di succhiarla, ingoiando il cazzo fino a metà asta.
Giovanni intanto si chinò in avanti e le aprì la giacchetta, infilò le mani nel tubino, dando una bella strizzata alle tettone di lei, sode come le ricordava, e le portò allo scoperto.
I capezzoli turgidi circondati da areole rosa svettavano eccitati. Giovanni gli diede una veloce strizzata prima di ritirarsi dritto, raccogliere i lunghi capelli in una coda e ricominciare a spingere coi fianchi sprofondando la sua mazza nella gola di Chiara.
Le scopò la bocca con forza e noncuranza. “Troia! Troia! Te la farò pagare!”.
Gli occhi di Chiara divennero lucidi e le lacrime le fecero colare il trucco sulle guance.
Una densa bava le usciva dalla bocca colandogli lungo il collo fino a infradiciarle i seni che sobbalzavano a ogni colpo che il suo ex le infliggeva. Le mani continuavano a muoversi nelle mutande ormai fradice.
Giovanni poggiò la testa contro il muro e riprese un attimo fiato, “basta così, se lo è meritato”, e si assicurò che non ci fosse nessuno in avvicinamento.
Chiara intanto succhiava la cappella facendo saettare fuori la lingua leccando così anche l'asta. Gemeva e faceva rumorosi risucchi assaporandosi la carne che le riempiva la bocca. «mmmh… ggg… gggaaah!» l'urlo fu solo in parte trattenuto dal cazzo di Giovanni, ma se qualcuno si fosse affacciato sulla tromba della scale lo avrebbe certamente udito e riconosciuto.
Anche il ragazzo ormai era a limite, «Sì Chiara, dai che sborro!» e le lasciò andare i capelli.
La ragazza alzò lo sguardo e fissò i suoi occhi azzurri nei suoi e Giovanni venne rapito da quella vista. Lei allora fece sprofondare un centimetro alla volta tutti il cazzo nella sua gola, senza staccare gli occhi dai suoi e fino a poggiargli il mento sulle palle.
Come la prima volta, Giovanni, fu fregato dalla sorpresa. Fece un lungo sospiro, ma alla fine cedette, «Aargh!» e dal suo cazzo schizzò all'impazzata una quantità inverosimile di sborra giù nella pancia della sua ex, tanta che avrebbe potuto riempirci un bicchiere (questo ovviamente è ciò che il ragazzo si immaginò che fosse, dato che non poteva vederlo. Non è perciò possibile sapere quanto fu effettivamente intensa la sua eiaculazione).
Chiara continuò a fissarlo, trattenendo il fiato e mugolando a ogni spruzzo di sborra che le scendeva giù per la gola.
Giovanni si godeva l'estasi dell'orgasmo ansimando e fissò la ragazza che abbandonò poco alla volta il suo cazzo.
Lei lo guardò con gli occhi lucidi e gli sorrise. Le tette scoperte lerce di saliva, le guance rigate dal trucco sfatto e la bava che ancora le colava lungo il mento. Sembrava fosse stata travolta da un'acquazzone tanto era fradicia.
Giovanni guardò la gnocca ai suoi piedi, che era stata la sua ragazza, e che presto avrebbe posseduto di nuovo, “Sarà una lunga notte”. «Chiara…».
L'ascensore si mise in moto. Chiara ebbe un sussulto. Si alzò di scatto e si rimise a posto, chiudendosi la giacca per nascondere il seno gocciolante.
Reagendo, con un movimento goffo, Giovanni si chinò per tirarsi su i pantaloni quando l'ascensore arrivò.
Fece appena in tempo a vedere la chioma bruna che si allontanava. «Dove?» ma il suono delle porte dell'ascensore che si aprivano costrinsero il ragazzo a risalire la prima rampa di scale per non esser beccato coi pantaloni calati.
Le voci di un paio di ragazzi, usciti dall'ascensore, riempirono l'androne assieme al suono del portone che sbatteva.

Quando Giovanni si risvegliò gli girava la testa, sentiva il cuore pulsargli nelle orecchie provocandogli fitte di emicrania, o forse era l'emicrania a fargli sentire il cuore rimbombare in testa, certamente Giovanni era confuso abbastanza da porsi questa domanda.
Aveva ancora i vestiti della sera prima. Si rigirò sul letto e sentì la fibbia della cintura ancora slacciata sbattergli sulla pancia.
Vuoto di memoria. L'ascensore si era aperto, e poi? Chiara se ne era veramente andata così?
Cercò a tastoni il cellulare e quando lo trovò vide che Chiara gli aveva scritto.
- Ciao. Ho ripensato a quello che è successo ieri sera. Ero un po' brilla e non ragionavo bene e una cosa del genere non deve più succedere, ok? Mi spiace se hai pensato che volesse dire qualcosa ma è stato quello che è stato e preferirei non parlarne più.
Giovanni scattò in piedi, «Puttana! Troia!» si mise a camminare per la stanza, «E si certo perché una che ti ha fatto cornuto e non ti vede da anni decide di invitarti a bere tanto perché c'ha voglia di succhiarti ancora un po' il cazzo!» e tirò un calcio alla scarpa lasciata in mezzo al pavimento facendola sparire sotto al letto, «Anche allora. Tutte quelle volte che non c’eri te ne andavi in giro a bere sborra random!» tirò un calcio all’altra scarpa, ma dopo l’impatto con la calzatura il piede proseguì la sua corsa colpendo lo stipite del letto. Un attimo e Giovanni si ritrovò a proferire in una sequela interminabile di bestemmie che non è il caso di pubblicare.



Molto libera rielaborazione del racconto “Chiara, la mia ex” scritto per raccontimilu.com da “ElSantos”.
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