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Il buco nella cabina


di RaccontiSparsi
30.03.2020    |    13.347    |    3 9.6
"Quello splendore si stava allontanando, assieme al suo ragazzo, verso il mare e io seguii il suo culo ancheggiare, coperto soltanto da un tanga, finché non..."
In una bella mattinata di luglio me ne stavo in panciolle, giornale alla mano, su uno sdraio nella spiaggia di un resort, godendomi il mio ombrellone a dispetto del sole, che di lì a poco avrebbe reso la sabbia rovente.
Avevo deciso di scendere in spiaggia prima per poter staccare un paio d'ore da mia moglie e le mie figlie. Così, passato in cabina a cambiarmi, e appurato che l'acqua fosse ancora troppo fredda per i miei gusti, ero rimasto all'ombra a leggere un giornale.
Sulla spiaggia ci saranno state una decina di persone, me compreso, ognuna ben intenzionata a conservare la propria tranquillità tenendosi rispettosamente a distanza.
Passai così una buona mezz'ora quando sentii dei passi avvicinarsi dalla passerella. Giusto per curiosare chi fosse abbassai un poco il giornale.
Subito inquadrai la lunga chioma mora di una ragazza dal bel viso, i lineamenti affilati e le labbra carnose. Indossava un vestitino molto scollato esibendo un seno prorompente che sobbalzava a ogni passo.
Inarcai un sopracciglio e finsi di tornare a leggere il giornale. Lei avanzava sulla passerella avvicinandosi. Con un altro colpo d’occhio vidi che il vestitino che indossava le copriva appena i fianchi lasciando scoperte le gambe lunghe e tornite.
Arrivata a un passo dal mio sdraio ci fu un tonfo e un tintinnio metallico. La ragazza si voltò e fece un passo indietro. Feci appena in tempo a notare il luccichio di una chiave che lei, con un gesto plateale, si piegò in avanti a raccoglierla.
Il bordo del vestito risalì lungo le cosce finché un ciuffo di peluria scura venne allo scoperto e subito dopo due labbra sporgenti strette tra due natiche tonde.
Si rialzò e io ributtai gli occhi sul giornale, ma il mio pisello, costretto nel costume, fece meno l’indifferente. In pochi secondi si gonfiò con tanta forza che la cappella riuscì a superare l’elastico del costume e a portarsi in bella vista alla luce del sole.
La ragazza posò lo sguardo su di me. Subito mi coprii con il giornale. Lei si scostò i lunghi capelli dal viso e, con un risolino, si portò una mano alla bocca. Cominciai a sudare freddo. Quando passò di fronte al mio sdraio accennò un saluto tenendo bassa la mano.
Senza guardare nella sua direzione cercai di rattoppare la vicenda con un, «Le chiedo scusa».
Lei si fermò, «Sono cose naturali…» rise, «capita!» e se ne andò.
Rinfilai il mio cazzo, che non voleva saperne di cedere, nel costume. Sapere che quel gran pezzo di fica se ne andava in giro con la passera al vento non aiutava certo a smollare la tensione. Mi girai a guardare e la vidi ancheggiare lungo la passerella in direzione delle cabine. Arrivò alla cabina a fianco alla mia e ci si infilò dentro.
Qualsiasi compostezza, o senso del pudore, svanì. Mi alzai dallo sdraio e avanzai a grandi passi verso la mia cabina incurante della banana nel costume.
Quando ci fu assegnata mia moglie e le mie figlie se ne erano lamentate per via di un buco nella parete dovuto a un nodo che se ne era venuto via dal legno. Io avevo detto loro di coprirlo con un telo da mare, e così avevano fatto. E ora la mia pigrizia nell'andare a chiedere che ci cambiassero di cabina volgeva in mio favore.
Entrai in silenzio nella mia cabina. Ci volle qualche attimo prima che i miei occhi si abituassero, ma individuai subito il buco, largo tre dita, all'altezza della mia coscia. La sentivo muoversi nella cabina a fianco. Muovendomi con lentezza e pregando che le assi non scricchiolassero, mi avvicinai e guardai attraverso, quasi trattenendo il fiato.
Un raggio di luce entrava nella cabina adiacente, illuminando la sagoma voluttuosa avvolta nel vestito.
Ci fu un movimento e il vestito scivolò a terra mostrando una vita stretta e dei fianchi generosi.
Mi chinai per cercare di vederle il seno. Dovevo sbrigarmi, prima che venisse coperto dal costume.
La ragazza trafficò con una borsa dentro la cabina, ci tirò fuori un barattolo di crema solare e cominciò a spalmarsela. Passò più volte le mani sul seno afferrò le coppe prorompenti e le massaggiò lentamente. Arrivò ai capezzoli e li strizzò.
Il costume non poteva più trattenere la mia eccitazione. Tirai fuori il cazzo, duro come non mai, e cominciai a segarmi piano, cercando di non fare rumore.
Quando tornai a spiare dal buco vidi che si era voltata. Scese con le mani, accarezzandosi il ventre, scivolando sui fianchi e afferrandosi le natiche. Il suo culetto liscio e rotondo era schiaffato a un palmo dal foro. La ragazza si massaggiava i glutei con forza allargando il solco tra le natiche e scoprendo l'ano che appariva come una rosetta scura.
Si infilò le mani tra le cosce e allargò le labbra mostrando una fica rossa e umida. Si voltò ancora, allargò le gambe e cominciò a sgrillettarsi il clitoride emettendo gemiti appena percettibili.
Presi a segarmi velocemente cercando di tenere il ritmo con la mano della ragazza. Ero così eccitato che dal mio cazzo colavano umori. Intanto fissavo attraverso il buco, sostenendomi alla parete con l'altra mano.
Continuò per un paio di minuti. I suoi ansimi si erano fatti appena più intensi. La ragazza si piegò in avanti e l’ombra del suo corpo mi coprì la visuale. Subito mi spostai di lato, temendo di essere stato scoperto, e trattenni il fiato in attesa. Lo sguardo fisso verso il foro. Qualcosa vi fece capolino. Un dito, aveva infilato un suo dito sottile e faceva gesto di avvicinarmi. Come un pesce all’amo mi fiondai e lo presi in bocca. Assaporai il suo gusto piacevolmente salato. Succhiai senza smettere di segarmi.
La ragazza lo ritrasse. Cercai di trattenerlo stringendolo con le sole labbra, ma mi sfuggì oltre li buco.
Smisi di segarmi e raccolsi, sul mio dito medio, gli umori che mi scolavano dal cazzo. Infilai il dito oltre il buco. Subito lo sentii avvolto dalle labbra e succhiato con forza. La lingua ci girava intorno e in un attimo i miei umori furono rimpiazzati dalla sua saliva. Si staccò lasciandolo fradicio. Decisi di non ritrarlo e poco dopo lo sentii a contatto con la pelle. Mossi il dito nel tentativo di accarezzarla, e di capire cosa stessi toccando, e potei apprezzare una muscolatura tonica sotto la pelle soda. La sentii spostarsi e il mio dito arrivò sul cespuglio che adornava il suo pube. Passò sulle grandi labbra e infine sentii il polpastrello premere contro un bottoncino duro e cominciai a stuzzicarlo col dito. Dall'altro lato della parete arrivavano flebili mugugni e ben presto la sua figa cominciò a premere contro il mio dito. Pochi attimi e si allontanò prendendolo nuovamente tra le labbra. Un paio di succhiate e lo lasciò andare di nuovo.
Un dito non era più sufficiente.
Il cuore mi batteva forte e nel silenzio in cui ero immerso lo sentivo rimbombarmi nelle orecchie. Presi il cazzo e puntai la cappella contro il foro. Lo spinsi attraverso, la pelle strofinò contro il legno, ma continuai finché non arrivai col pube schiacciato contro la parete.
Al pensiero che ora il mio cazzo era a pochi centimetri dalla pelle nuda di quella bambola me lo fece diventare duro come non mai. Non mi sarebbe più stato possibile sfilarlo.
Il tocco dei polpastrelli, e subito le sue dita sottili scivolarono sulla mia pelle.
Piantai le unghie nel legno e mi irrigidii tutto.
L’asta era presa in un anello. La pelle mi tirava e si opponeva alla pressione delle dita che scivolavano sul mio cazzo. Un alito investì il glande e immaginai il suo viso a pochi centimetri. Altri umori scolarono dalla mia cappella.
Una mano accarezzò glande e poi lungo tutta l’asta finché non fu tutta umida e scivolosa. La sua lingua si attaccò alla base del mio cazzo e risalì fino alla punta. Mi afferrò l'asta mentre la punta della lingua rimase sulla cappella stuzzicandola sotto il bordo.
Avrei voluto potermi muovere. Ritrarlo un po' per poi spingerlo tra le sue labbra, ma il legno mi comprimeva la base del cazzo, se mi fossi mosso, probabilmente, mi avrebbe scarnificato.
Poi fui afferrato anche dall'altra mano e potei sentire le labbra scivolare sulla cappella avvolgendola tutta. Alzai gli occhi al cielo, solo per trovarmi a guardare il legno del soffitto. Ma il vero cielo era dall’altra parte della parete, con la cappella stretta tra le labbra e la lingua che insisteva sul frenulo. Se solo non ci fosse stata questa maledetta parete.
Si muoveva veloce. Le labbra scorrevano avanti e indietro mentre la lingua non smetteva di vorticare attorno alla cappella.
Ero in trappola, se fosse arrivato qualcuno non avrei potuto staccarmi in nessun modo. Era tutto nelle sue mani, e nella sua bocca anche.
Avevo il cazzo fradicio di saliva. L'aria mi scorreva sulla pelle ogni volta che si ritraeva. Continuava a segarlo e a succhiarlo, poi la lingua si allontanò dal glande e lo sentii premere contro il palato. Con l'orecchio poggiato contro il legno sentivo dei gorgoglii provenire dall'altra parte.
Era veramente infoiata.
Il cazzo scivolò giù, stretto nella sua gola, e la punta della lingua contro la pelle in prossimità del legno.
Si ritrasse e potei sentirla prendere fiato. Solo un attimo e si rigetto su di me. La mano tornò a segarmi e cappella tra le labbra alla mercé della sua lingua.
Stavo per raggiungere l’orgasmo. Le mie unghie raschiavano contro il legno e anche i piedi cercavano qualcosa su cui puntarsi. Contrassi i muscoli in un ultimo tentativo di resistere.
La sua lingua attaccò a stimolarmi il frenulo muovendosi veloce e le sue labbra scivolavano sulla cappella.
Un secco, «Ah!» e schizzai con tanta forza che potei sentire la sborra spruzzata solleticarmi la punta del glande e rimbalzare contro il suo palato. Mi munse l'asta accogliendo ogni schizzo e continuò a succhiare la cappella. ipersensibile per l'orgasmo, anche quando ormai non aveva più nulla da darle.
Un ultima forte succhiata alla cappella, che terminò con uno schiocco, annunciò che aveva finito.
Finalmente il mio pene perse consistenza e potei ritirarlo. Lei mi aiutò a farlo passare attraverso il buco evitando di farlo strofinare contro il legno.
Subito mi ritirai su il costume e mi sedetti un attimo in cerca di un momento per riprendere la lucidità. La sentii muoversi nella cabina a fianco, anche lei si stava rimettendo in sesto.
La porta della sua cabina si aprì e per un attimo il “buco della gloria” fu attraversato da un fascio di luce.
Subito la ritrovata calma fu spezzata dalla voce di un ragazzo, «Amore, si può sapere quanto ci hai messo? Dai che si fa tardi!».
«Scusa, amore, mi stavo mettendo la crema solare», rispose la ragazza.
Col cazzo ormai tornato calmo uscii dalla cabina. Quello splendore si stava allontanando, assieme al suo ragazzo, verso il mare e io seguii il suo culo ancheggiare, coperto soltanto da un tanga, finché non furono lontani.

* * *


Nel pomeriggio pensai che, chissà, forse il sogno di quella mattina avrebbe potuto ripetersi. Avrei dovuto allargare il buco. Magari farne un altro così che potessi anche vedere dall’altra parte, nel mentre. Con la scusa di alcune commissioni necessarie lasciai la mia famiglia al resort e andai in una ferramenta nel paese vicino. Presi una sgorbia, un coltello da intaglio e un quadrato di compensato.
La mattina dopo andai in spiaggia molto prima che arrivasse il personale, allargai il buco, provvidi a fornirlo di tappo, e ne scavai un altro molto in alto, una fessura larga abbastanza da farci passare il cellulare, così che la telecamera frontale potesse riprendere l’interno della cabina.
Ma quel giorno lei non si presentò e per il resto della settimana non la vidi più, ne in spiaggia, ne in giro. Solo la mattina del mio ultimo giorno di vacanza, finalmente, la vidi arrivare.
Il cazzo mi si mise subito in piedi, celato dal giornale, ma con lei c’era il suo fisicato ragazzo. Passò davanti a me e proseguì verso le cabine dove vi entrò col ragazzo. Io però non desistetti e mi precipitai. Anche un ultima visione del suo corpo sarebbe stata sufficiente.
Entrai nella cabina facendo meno rumore possibile, presi il cellulare, lo impostai sulla telecamera frontale e lo infilai nella fessura che avevo creato facendo sì che sporgesse appena dall’altra parte. Lo schermo del cellulare inquadrava i due ragazzi e una buona parte della cabina. Feci partire la registrazione.
Subito i due ragazzi si spogliarono e cominciarono a pomiciare. Le mani del ragazzo le accarezzarono la schiena e arrivarono al suo culo. Le afferrò le natiche a piene mani e le massaggio con forza. Infilò le dita nel solco tra i glutei e scivolò fino a immergerle tra le sue gambe. Poi si inginocchiò e sprofondò la faccia tra le cosce di lei.
La ragazza si puntellò alle pareti. Ansimava e cominciò a muovere il bacino per accompagnare i movimenti del suo ganzo. A un certo punto afferrò la criniera bionda del suo ragazzo e prese a incitarlo finché un lungo, «Sì!» annunciò che molto probabilmente era venuta.
Il ragazzo si rimise in piedi e lei gli calò il costume portando alla luce un cazzetto un po’ ridicolo per il fisico di quell’adone. Fece sedere il ragazzo sulla sedia della cabina e si chinò in avanti, facendo sparire il suo sesso sotto la chioma mora. Con il culo poggiato contro la parete opposta, piegata così a novanta, cominciò a succhiare con una foga che ben conoscevo. Nel contempo notai come allargasse sempre più le gambe, finché il suo culo non fu all’altezza del vecchio buco nella parete.
Non mi capacitai del fatto che fossero davvero quelle le sue intenzioni e mi precipitai a stappare il foro. La sua figa era in precisa corrispondenza col buco, neanche lo avesse programmato. Le infilai un dito nella figa e apprezzai come fosse bella fradicia.
Ora che le dimensioni del foro lo permettevano mi avvicinai con la bocca e cominciai a leccargliela. Dovette apprezzarlo davvero molto perché, dall’altra parte cominciò a mugugnare mentre continuava a succhiarlo al suo tipo.
Non andai avanti a lungo, mi tirai in piedi e afferrai il mio cazzo, più duro che mai. Infilai la mia cappella umida tra le sue labbra e in un attimo le sprofondai dentro. La sua figa era strettissima, ma così fradicia che quasi non opponeva attrito. Preso da una frenesia erotica cominciai a muovermi con affondi brevi e rapidi. Fissavo lo schermo del cellulare, dove potevo ammirarla a novanta intenta nel continuare il pompino al ragazzo, ma ogni tanto il suo culo si staccava dalla parete e potevo apprezzare la vista del mio cazzo che sprofondava dentro quello splendido angelo.
I suoi mugugni divennero dei veri e propri gemiti.
«Non ti avevo mai vista godere così tanto nel farmi un pompino», disse il ragazzo.
«Oggi mi sento particolarmente troia» disse lei, «mi sto immaginando che il tuo cazzetto sia una cazzone che mi stantuffa la figa e la allarga come non mai!»
Il ragazzo si chinò in avanti e le afferrò le tettone penzolanti, «Mi piace quando fai la troia!».
Lei lo allontano con una mano e lo schiacciò contro lo schienale, «Zitto! Tu pensa solo a godere».
In quel momento la sua figa si contrasse attorno al mio cazzo. Era venuta. Aveva raggiunto l’orgasmo nella consapevolezza di star tradendo il suo ragazzo proprio di fronte a lui. Quasi dicendoglielo in faccia.
Mi puntellai meglio alle pareti della mia cabina e cominciai a fare affondi più lunghi entrando sempre più in profondità. Il mio cazzo era fradicio dei suoi umori e attorno alla base si era formato una anello di pastella bianca.
Piantai le unghie contro il legno. Fissavo il suo culo poggiato alla parete. La rosetta del suo ano stretta tra le natiche sode. Quanto avrei voluto sfondare quella parete per afferrala e cavalcarla in faccia al suo cornuto.
Fosse stata la mia donna l’avrei scopata così tutte le notti, l’avrei fatta godere fino alla pazzia e non avrei mai permesso che nessuno dei suoi buchi potesse rimanere così stretto e inviolato.
Il pensiero mi portò all’orgasmo. Affondai il mio cazzo fino alla radice, molto più in profondità di quanto il cazzetto del suo ragazzo sarebbe mai potuto arrivare. La sborra attraversò l’asta erompendo nel suo ventre. La sua fica si contrasse, strizzando il mio cazzo come famelica di sperma. Per dieci secondi buoni potenti schizzi di caldo seme si riversarono nella sua figa, a sua volta scossa da un altro orgasmo, finché non rimasi prosciugato e tremante.
Mi sfilai abbandonando il calore della sua fica. Uscii piano per evitare che lo sperma fuoriuscisse e la sgamasse, e ritappai il buco.
Con un ultimo gemito smise di succhiare il cazzetto del suo ragazzo.
«Beh, non sono mica venuto?» disse lui.
«Col pompino che ti ho fatto un altro avrebbe già sborrato cinque volte» disse lei, «Mi sono stancata di succhiartelo. Andiamo a fare il bagno!».
I ragazzi uscirono dalla cabina. Io ripresi il cellulare, aspettai un attimo, e me ne uscii anche io.
La ragazza era corsa a tuffarsi in mare, mentre il suo adone la raggiungeva flemmatico.
Mi sembrò incredibile che un angelo come lei fosse una pompinara così meravigliosa e disposta a farsi scopare dal cazzo di uno sconosciuto e riempire senza troppi problemi.

Non la rividi mai più, ma ogni tanto riguardo il video che le ho fatto. Ripenso alle sue tette sode, alle sue labbra stupende, alla sua figa vogliosa. Mi sego immaginando di poterla fottere senza la parete godendo appieno del suo corpo, dei suoi dolci umori e in particolare del culetto roseo, il cui buchetto era l'unica cosa, di quel gran pezzo di fica, che il mio cazzo non era riuscito a violare.



Libera rielaborazione del racconto “Il buco nella capanna” scritto per storieporno.com da “TONY”.
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