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Gay & Bisex

ANTONIO: L'INCONTRO 1°


di Membro VIP di Annunci69.it maturoamodena
25.03.2021    |    1.008    |    5 10.0
"Dopo un paio di contatti fortuiti lo sentii totalmente appoggiarsi nello sforzo di avvitamento..."
Avevo 26 anni quando, fresco di matrimonio, dopo un’infinita sequela di selezioni, fui finalmente assunto presso un’importante ditta del nord.
Questo sconvolse la nostra vita, dovemmo abbandonare la casa, i parenti e la città in cui avevamo appena cominciato la nostra vita di coppia.
I primi tempi furono difficili, non conoscevamo nessuno, eravamo in affitto in piccolo appartamento, ma poi vedemmo ch’era in vendita quella porzione di bifamiliare a metà strada tra la città e la campagna. Ce ne innamorammo subito e finalmente, dopo aver acceso un mutuo secolare, vi ci trasferimmo.
L’altra metà della casa era abitata dai coniugi Antonio e Agata e dal loro figlio Enrico di poco più giovane di me. Antonio al tempo era un uomo di circa cinquant’anni, alto, forte e lavoratore.
Quella casa l’aveva costruita proprio lui con le sue mani callose ed era felice che noi l’amassimo così tanto. Tutte le mattine, qualsiasi tempo ci fosse, usciva in giardino a torso nudo o in canottiera e faceva esercizio fisico, probabilmente un retaggio dei trascorsi militari. Aveva l’abitudine di mettere a posto i folti capelli grigi bagnandosi le mani sotto l’acqua corrente ed il vizio di accarezzarsi i peli del torace quando era concentrato su un lavoro o su una conversazione. Non era un uomo d’intelletto, ma era dotato di intelligenza e di astuta saggezza popolare. Agata una donnina piccina sempre ridente che profumava di lavanda e cannella che dispensava amore a profusione mentre Enrico non sembrava neanche il loro figlio così alto, magro, curioso, studioso e poco avvezzo ai lavori manuali... sembrava un furetto.
Praticamente ci adottarono. Lei ci invitava spesso a cena e il marito mi istruiva nella cura del giardino, nei lavori di bricolage, m’insegnava il dialetto locale, mi raccontava i pettegolezzi della città e le storie da soldato. Mia moglie, da parte sua, contraccambiava impartendo lezioni di matematica ad Enrico ormai prossimo alla laurea. Noi tre maschi spesso andavamo a pescare al lago ed erano giornate meravigliose, anche se di pesci ne catturavamo pochi. Eravamo una famiglia, stranamente assortita, ma pur sempre una famiglia.
Poi in poco tempo tutto cambiò. Agata si spense, Enrico partì per un dottorato di ricerca in Germania e Antonio rimase praticamente da solo. Ricordo ancora le parole di Enrico quando partì “Ti raccomando il babbo. Sai che ti vuole bene” mi disse abbracciandomi “Gliene voglio anch’io, tranquillo, quanto ne voglio a te. Parti sereno, ti terrò informato costantemente”.
E così le cose s’invertirono. Diventammo noi, i tre elementi della mia famiglia (che nel frattempo era cresciuta) gli angeli custodi di Antonio. Veniva a cena da noi, a volte ci faceva da baby-sitter ed io passavo a trovarlo tutte le sere, bevevamo un bicchiere o facevamo una partita a carte che puntualmente io perdevo.
In una di queste visite lo trovai parecchio depresso, era, come al solito, accaldato e in mutande e canottiera, ma sembrava scontroso mentre combatteva con il piano della cucina che si era staccato. Gli chiesi cosa avesse davvero, tentennò poi mi rispose “Pensi che il sesso non mi manchi? Ti sembra che alla mia età un uomo abbia raggiunto la pace dei sensi? Eh no, mi tira ancora sai e anche tanto”. Rimasi un po’ sorpreso per la confidenza e gli suggerii di trovarsi una donna perché secondo me ne aveva tutto il diritto. Fece segno di no con la testa “Una che s’infila in casa a far da padrona e che poi non riesci più mandare via? Non potrei sostituire Agata con nessun’altra donna” disse solennemente “Ed allora vai a puttane oppure trovati un uomo se pensi sia meglio” dissi prontamente ridendo. Eravamo soliti a scherzare e perciò sapevo che mi avrebbe mandato a cagare ed invece mi guardò “Può essere un’idea, in fondo lo scopo è scaricarsi no? Aiutami con ‘sto coso dai che da solo non riesco” e così facendo si strinse con le mani il pacco che solo in quel momento mi accorsi di quanto fosse voluminoso.
Indeciso a quale problema si riferisse realmente la sua richiesta d'aiuto presi con entrambe le mani il top della cucina affinché potesse riavvitarlo. Armato di cacciavite si protendeva verso il gancio e così facendo sfiorava con il pube il dorso della mia mano. Dopo un paio di contatti fortuiti lo sentii totalmente appoggiarsi nello sforzo di avvitamento. Gettai un’occhiata di sguincio. La mutanda adesso era piena ed il calore che mi trasmetteva era notevole. Avevo la sua ascella a qualche millimetro dal naso e l’odore di sapone e sudore mi riempiva le narici. Alzai la testa e vidi che mi guardava. Fissandomi negli occhi aumentò la pressione sulla mia mano con un leggero movimento da destra a sinistra “Resta così che tra un po’ ho fatto” mossi leggermente le dita perché capisse che quella era la mia mano e lo vidi chiudere gli occhi e stringere le labbra. Non c’erano più dubbi, il mio vicino ci stava provando e la cosa invece di disturbarmi mi procurava piacere. Le mie dita cominciarono a muoversi con più risolutezza seguendo il rigonfiamento che ormai non era più occultabile. Antonio smise di avvitare, guardandomi intensamente  mi disse “Puoi lasciare ora…se vuoi”. Mollai la presa del ripiano, ma dopo qualche istante trasferii la mia mano sul suo pacco, accarezzandolo “Avevi ragione quando dicevi che tira ancora”. Sentivo il suo uccello vibrare sotto il mio tocco. Le sue mani si mossero con delicatezza sulle mie braccia, era emozionato ed eccitato. Infilai la mano nell’elastico dei suoi slip abbassandoli fino alle cosce solide e scoprendo così i suoi glutei ancora vigorosi, con l’altra afferrai quel gran pezzo di carne. Era caldo e vellutato sebbene incredibilmente rigido. Glielo scappellai scoprendo una cappella rossa e brillante, cominciai a far andare adagio la mano avanti e indietro. La pelle abbondante del prepuzio scorreva senza attriti, agevolata dal liquore generoso che fluiva dalla punta congestionata. Quando mi riempii l'altra mano con la sacca dei suoi coglioni lo sentii sospirare. Aumentai il ritmo, ma senza furia, volevo che sentisse la differenza tra l’auto-procurarsi il piacere e riceverlo da un altro. A volte mi fermavo e, aiutandomi con il pollice, lubrificavo il glande. Questo lo faceva sproloquiare, muoveva le labbra, ma non capivo quel che dicesse. Il suo randello aveva raggiunto dimensioni a dir poco leggendarie e capii che era vicino all’orgasmo quando mi strinse forte per il fianco attirandomi a sé contro il suo lato destro, poi nascose la faccia nell’incavo della mia spalla respirando forte. A quel punto diedi qualche colpo deciso. Lo sentii muggire dal profondo mentre scaricava sul pavimento, badando bene a non colpirmi, una copiosa quantità di sperma denso e lattiginoso. Il suo corpo era scosso da contrazioni incontrollabili e quando queste terminarono dovette sorreggersi al piano del mobile. Avevo ancora una mano intorno ai coglioni mentre l’altra era tutta pasticciata di sperma. Nessuno dei due aveva più proferito parola ed io ero esitante sul da farsi. Fu lui a parlare con voce fioca “Lavati le mani prima di andare” e poi “Vai ora, che ti stanno aspettando” e prima di richiudere la porta alle mie spalle “Grazie”. Nessuno dei due aveva più incrociato gli occhi dell’altro, imbarazzati entrambi di quanto era accaduto.
Quella notte feci l’amore con mia moglie con un impeto che raramente si era espresso, però non ebbi il coraggio di chiamare Enrico per dargli notizie di suo padre.

CONTINUA...
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