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021 PSICOTERAPIA DEL CAZZO


di CUMCONTROL
22.01.2021    |    9.295    |    6 8.1
"Anzi mi infilai, piegato come stavo, mi infilai una manina tra le mutandine e mentre poppavo mi sditalinavo, e loro ridevano dottorè..."
- Allora CUM come sta questa mattina.
- Sono un po’ teso.
- E’ perché sa che dovrà affrontare un passaggio doloroso di quella esperienza vero?
- Credo di si
- Ha preso le sue gocce?
- Si.
- Partiamo da un pochino prima di quegli eventi. Le va?
- Si
- Com’erano andate le cose col suo fidanzato prima che la lasciasse
- Ma, direi bene. Tutto filava liscio. Avevamo intensi rapporti.
- Lei era il ricevente?
- Intende dire se lo pigliavo nel culo?
- Se non conosce altri modi di esprimersi direi di si.
- Si dottoressa.

- Quando ha capito che tra voi era finito tutto?
- Quando si è messo a cacare
- Signor CUM, mi duole chiederle di circostanziare la sua affermazione
- E niente dottoressa, si era messo così, acquattato, a cacare, proprio mentre io stavo per dichiarargli il mio amore. Lì ho capito che non glie ne fregava più niente di me.
- E poi cosa è successo.
- Non ricordo. Poi sono svenuto. Cioè, prima sono venuti degli uomini, degli amici forse, e alcuni di loro lo hanno caricato su un motocarro e lo hanno portato via.
- Alcuni? Intende dire che ve ne fossero degli altri presso di voi?
- Si dottoressa. Altri uomini erano rimasti sul piazzale. Io ho rincorso il motocarro ma loro mi hanno fermato e….
- E?
- E non ricordo, poi credo di essere svenuto. Ha presente ‘a Magnani, Francesco Francescooo?

La dottoressa aveva accavallato le gambe. Si accese una sigaretta, aspirò profondamente ed inspirò guardando sul soffitto del suo studio dal quale pendeva un lampadario a gocce, assai festoso direi, quasi surreale nella luce rifratta, da evocare gli umidi chiarori dei boudoir.

- Saprebbe dirmi dove si trovava?
- Da qualche parte in Slovenia, credo a pochi chilometri dal confine ungherese, credo.
- Quando riprese i sensi, dov’era?
- Sempre in Slovenia.
- Dove esattamente..
- Mi trovavo dentro un grosso furgone. Il mezzo procedeva veloce sotto la pioggia. Lì per lì ricordo che mi bruciava il buco del culo ma non per causa dei signori con cui ero, ma sa… il mio fidanzato ci andava forte, e non si faceva riguardo a rompermi il buco del culo ed io già dalla notte prima ero fuori uso
- CUM la pregherei di restare sull’argomento. I vostri rapporti carnali sono stati largamente descritti nelle precedenti sedute e non occorre specificare altro. Quante persone si trovavano con lei in quel furgone?
- Credo quattro. Si quattro. Uno alla guida, uno di fianco al guidatore e due dietro, rispettivamente alla mia destra e alla mia sinistra.
- Cos’altro ricorda.
- Il furgone procedeva su una strada sterrata, era pomeriggio ma un pomeriggio grigio, aveva piovuto. Nell’abitacolo c’era un tanfo di aglio, di alcool e di piedi. Loro fumavano sigarette una dietro l’altra e l’autoradio dava una musica strana, polka credo, insomma quelle musiche da volgare ballo che è tipico dei paesi dell’est europeo. Ha presente certi matrimoni dove ci sta l’invitata ubriaca che fa la lap dance sul gazebo e poi viene giù tutto tanto sta ubriaca?

- Cosa provava in quegli istanti. Mentre era compresso con altri uomini…
- Dapprima un profondo dolore nel cuore. Il sonno aveva sopito la mia tristezza ma quando mi risvegliai no, non poteva essere vero, il mio ragazzo mi aveva davvero lasciato, mi aveva portato dall’Italia alla Slovenia e poi mi aveva mollato lì, in quel luogo che io non conoscevo, ed era terribile perché quelle persone con cui stavo ridevano senza riguardo, tutti sdentati e bevevano credo della vodka.
- Ha domandato loro qualcosa?
- Si, chiedevo dove fosse il mio ragazzo, dove fossi diretto, esigevo di essere riportato da lui o al massimo in Italia. Io.. Io volevo tornare nella mia città, volevo la mamma. Ma loro niente.
- Loro niente?
- Loro ridevano si davano degli scappellotti e fu li che mi misi a supplicarli e poi non so, è come se d’un tratto io ebbi una crisi di nervi e mi misi a strillare terrorizzato. Io volevo tornare a casa, volevo solo tornare a casa. Poi…

- Poi…
- Poi quello che se ne stava avanti, di fianco al guidatore e che teneva il braccio sullo schienale di questo, mi tirò uno schiaffo, così, di dorso, come a volermi zittire. Aveva un grosso anello che quasi mi spaccò il labbro superiore. Io piansi e mi dimenai ma il mio pianto eccitava gli animi di quei volgari signori puzzolenti, tanto che quello che mi stava sulla sinistra, calò la patta e tirò fuori la sua minchia molle.
- Capisco il suo dolore, ma deve andare oltre… continui.
- Quello che mi stava sulla destra invece mi prese per i capelli e portò la mia faccia al cospetto di quel pisello che io non volli e non vidi, perché tanto era il lacrimare dei miei occhi che non ne osservai l’anatomia, le dimensioni, lo stato di irrorazione dei vasi capillari.
- Lei parla sempre così?
- Così come?
- Andiamo avanti CUM
- E niente, lì per lì l’unica cosa che mi balenava per la mente era quella di tornare a casa. Basta, volevo tornare a casa e fare per sempre il bravo ragazzo, e dormire per giorni per dimenticare tutta quella esperienza.

- E invece?
- E invece quella mano mi strusciava sulla minchia dell’altro. Lacrime e moccio fluivano tra la mia faccia e quella minchia, tanto che prese un poco ad irrobustirsi. Fui incitato a ciucciare con pugni pesanti che tutti mi davano sulla coscia poiché ero obbligato a stare piegato su di un fianco.
La minchia emanava come un ammorbante odore di cesso, e di alcolico. Tuttavia iniziai la poppata se non altro per non sentire quell’odore appestante e devo ammettere che nonostante tutto, quella minchia fu assai gradevole in bocca perché me la sentii scoppiare dentro e non so, come spesso mi capita, insomma…
- Ossia?
- La minchia è il mio Lexotan dottorè, che devo dire… mi purifica, mi aggrada, mi toglie tutti i pensieri negativi dalla testa. Tant’è che tirai una bocca sonora e molto succulenta, che gli altri li sentii affrettarsi a tirar giù le braghe e menarsi probabilmente in attesa che io li deliziassi con altrettanto bocchino.

La dottoressa aveva spento da un pezzo la sua sigaretta. Non disse nulla. Si alzò dalla sua sedia, compì un breve giro attorno alla scrivania e si accostò al davanzale, alzando una gamba che pose a mo’ di gangster sul ripiano. Guardava fuori e massaggiava con il palmo della mano il dorso della sua coscia. Vada avanti..

- E niente dottorè, sto furgone correva, ma correva… che io come dire, fotteva ‘na sega dove fossimo diretti. Cogli l’attimo come si dice no? Mi ricordo che alzarono a palla il volume dell’autoradio e di tanto in tanto mi stappavano da quella minchia per irrorarmi le fauci di vodka che io presto non capii più una mazza. Anzi mi infilai, piegato come stavo, mi infilai una manina tra le mutandine e mentre poppavo mi sditalinavo, e loro ridevano dottorè.. Uhhhh come se la ridevano, e urlavano, e secondo me qualcuno menò pure uno scorreggione perché ridevano proprio tanto, ma io non capivo un cazzo perché stavo già ambriaca diciamo così, a sucare.

- D’un tratto aveva dimenticato l’amore perduto? Non è credibile signor CUM
- Makkeminchia me ne fotteva a me, dottorè. Magari dopo ecco, dopo ci avrei pensato, ma fin che stavo a far bocchino al tipo, ma manco per il cazzo dottorè, ma manco per il cazzo.
- Continui.
- Beh poi insomma tutto si è messo a sbandare. L’autista secondo me era il più fatto di tutti perché correva, santo cielo benedetto se correva. Al chè ho alzato la testolina e ho guardato fuori. Mi si scuoteva la capoccia e allora ho visto che noi stavamo andando a palla su un immenso ghiaione, proprio dottorè, che le posso dire, il letto di un fiume? Si, il letto di un fiume che scorreva più in là.
- Quel fiume di cui mi ha parlato che le torna in sogno?
- Si, la Drava.

- Quel fiume ha un contenuto simbolico nella sua mente, lo sa?
- No dottorè, che vuol dire?
- La Drava è il confine tra due mondi. Quello dell’est (Slovenia) e quello del profondo est (Ungheria). Quel profondo est che per lei fu rivelazione di vita più tardi.. Lei non è stato più lo stesso dopo aver attraversato le acque della Drava ed entrato in Ungheria..
- Ora che ci penso si, credo ci sia un nesso logico, ecco perché ancora oggi sogno quel fiume.

- Ma c’è dell’altro.
- Ossia?
- Il fiume, per altro ricorrente nelle sue narrazioni se ci fa caso, è metafora di mutevolezza. Se facciamo esclusione della sua prima esperienza sessuale, cioè l’incesto con suo padre, avvenuto sul panfilo di famiglia in mare aperto, simbolo di mistero e di vita, il fiume ricorre invece in quasi tutte le sue più importanti “storie d’amore” avvenute in seguito.
- Dottorè io mi bagno a sentirla. Continui la prego.
- Il fiume attiene alla corrente, al fluire, alla mutevolezza. Ma il fiume scava il suo percorso in ragione degli ostacoli che incontra, e dove va?
- Bo? Affanculo dottorè?

- Va lontano CUM. Il fiume cerca il mare.
- Ah cerca il mistero, la vita.
- No. Tende a raggiungere il mare, il suo mare, che è anche mistero e vita, ma è il suo mare CUM.
- Dottorè mo’ non ci sto capendo più una beata minchia.
- Lei (il fiume) tende alla esperienza primigenia, quella con suo padre (il mare), che per lei fra tutte è stata l’esperienza più totalizzante.
- Ma li mortacci dottorè quanto sa.

La dottoressa, abituata evidentemente al mio turpiloquio, mostrava una serenità di spirito nell’incamerare le brutture del mio linguaggio. Posati entrambi i piedi sul pavimento, la dottoressa si accostò alla libreria. Allungò il braccio alla mensola più alta, e accarezzandosi il tubino antracite disse:

- Continui nella sua narrazione.
- E niente. Insomma. Eravamo finalmente arrivati. Il furgone frenò di brutto che io dottorè, a cessa proprio ruzzolai tra i due sedili, anteriori e posteriori, e i bruti omaccioni non solo risero, ma riposero le minchie nella patta e uscirono dal mezzo trascinandomi fuori di caviglia.
- Ebbe paura?
- Una cacarella dottoressa. Quando mi sollevai vidi altri furgoni sul greto del fiume. Il sole pallido dell’inverno già tramontava e dal fiume giungeva un’umidità mortificante per le mie articolazioni. Uno dei quattro signori mi acciuffò per il di dietro della giubba e ci dirigemmo così a passo spedito verso gli altri furgoni dove altri brutti signori stavano bevendo vodka mentre alcuni di loro accendevano il fuoco o allestivano delle sudice tende di tela grezza.
- Pensava ancora al suo uomo? Aveva timore?
- Devo ammettere che quella atmosfera così, diciamo, tra uomini, mi fece sentire come a mio agio. Quando iniziai a intravvedere uomini scrollarsi le minchie dopo una sana pisciata sul fuoco, sentii come dentro di me una sorta di pace nel cuore. In quegli attimi non badai al mio uomo, né provai timore alcuno, perché tutte quelle minchie piscianti mi distraevano dal mio dolore. Di certo non potevo immaginare cosa da lì mi sarebbe accaduto, ma mi sentii un pelino più tranquillo ecco, direi per due precise ragioni…
- Può dirmi la prima?
- Beh, intanto se mi avessero voluto far del male lo avrebbero fatto subito.
- Può dirmi allora la seconda?
- Il fatto di aver degustato un cazzo, senza che però questo mi sborrasse nella bocca, mi lasciava pronosticare che il gioco sarebbe continuato dopo, e l’idea di succhiare quella stessa minchia davanti al fuoco e magari in compagnia di tutti, beh, dottorè, non è una cosa che ti capita tutti i giorni insomma.

- Era come dire “libero da ogni turbamento”?
- Non proprio.
- Beh CUM sembrerebbe di si invece.
- Non proprio.
- Riesce a riempire di contenuto questa affermazione del “non proprio”?
- Beh una cosa sola mi turbava..
- Me la spieghi allora.
- Il culo?
- Ehm, il c..?
- Si dottorè. Putacaso mi avessero voluto scopare, no? Pareva brutto pareva, chiedere che so’, una peretta, no?. E siccome che erano du’ giorni che non mi sciacquavo il buchino, fica cacante come lo chiamava mamà, volevo potermi sentire un po’ a mio agio ecco tutto.
- Sorvoliamo questi aspetti tecnici CUM, la prego, che poi si lamenta degli insulti che si prende su A69

- No per carità, di pulito stavo pulito. Certamente avevo fatto solo una puzzettina in un giorno, e dottorè io ve lo giuro, aria dottorè, solo aria, che le posso dire, una brezza di pesco che và giù fino al mare guardi. Lei scorreggia spesso dottorè?
- Vorrei seguitare nelle sue narrazioni, se non le dispiace.
- Insomma. Erano una dozzina di tali. Direi tra i 35 e i 60 anni. Tutti a modo loro molto maschi diciamo, scurrili quel tanto che basta per sentirsi a proprio agio come una piccola fiammiferaia. Ha presente la piccola fiammiferaia, quella scema col banchetto dei cerini. Mbè io mi sentivo tale, salvo essere presa a male parole e pisciate in faccia dai passanti il giorno di Natale.
- Paragone ardito..
- Paragone ardito… Senti come parla la mia dottoressa. Molti di loro avevano una pancia molto prominente ma sembravano tutto sommato in buona salute. Erano sodi diciamo e costituzionalmente forti, non come certi ciccioni del mondo nostrano che osano chiamarsi bears solo perché vanno all’ingozzo col carboidrato.
Quelli si mangiavano coniglio arrostito a sette ganasce e scodelle di fagioli a pochi passi fiume che era un piacere a guardarli.
- Le piacevano insomma.
- Molto. Non so, io li trovavo brutali e al contempo affascinanti, forse perché non capivo una minchia di quel che si dicevano. L’unica cosa che comprendevo era il rutto. Si, il rutto, universale vernacolo dell’omo vero che li accomuna tutti. Certi ruttazzi dottorè, avreste dovuto udirli. Rutti all’unisono, come cori, durante e dopo la cena, cui ebbi l’onore di presenziare banchettando tra coniglio allo spiedo e litri di vodka. Furono gentili con me.
- E del suo fidanzato, nessuno struggente ricordo? D’altro canto era trascorso solo un giorno da quando....
- Un cazzo. Anzi, quasi ringraziai la sorte perché superato il primo momento di sgomento io quasi mi sentii felice di esser tornato single tra tutti questi sconosciuti. Mi chiedevo anzi, quanto cazzi sarei stato capace di prendere dopo cena, e la cosa mi faceva sorridere… non come oggi che certe situazioni te le vedi solo su you porn. Io stavo vivendo la mia vita, in un mondo lontano, alla luce dei falò, sommerso da rutti e litri di vodka, e con la struggente aspettativa che fossi ingozzata di cazzo, colmata di sborra e docciata di urina per tutta la notte.

La dottoressa, udendomi si allontanò dalla sua libreria. Si accostò sul bordo della poltrona che stava davanti a me, ed allungandosi felina, poggiò i gomiti sulla spalliera, ritraendo una piede per massaggiarsi la caviglia, e poi mi disse:

- Descriva cosa accadde.
- Dunque dottoressa, dopo cena a me girava tutto. Qualcuno venne a pisciarmi nella scodella dei fagioli e io anziché incazzarmi ridevo come una demente, tanto stavo ambiraca. Poi vidi alcuni di loro gettare dei dadi sulla coperta. Applaudivano al lancio ed i vincitori, quattro per l’esattezza, si alzavano dai loro giacigli di là dal fuoco, e si allineavano a pochi metri da me, di schiena.
Al ché, si calarono i calzoni a metà coscia e nelle nebbie dell’alcool e tra le faville, mi fu esibito un quartetto di culi diversi in stazza e prominenza. Tuttavia avevano in comune tra loro l’assenza totale di peluria, segno delle loro origini slave, così diversi da noi che invece ormai ricorriamo alla depilazione come mezzo di seduzione, quasi come che le nostre origini mediterranee possano essere vissute come motivo di empietà.

Scazzata la dottoressa, udendomi levò via quella sua posa da gattona e afferrò una sigaretta non senza essersi data una grattata al culo.

- Poi cosa avvenne CUM
- Eh niente. Loro schiamazzavano e c’era sempre quella cazzo di musica da matrimonio russo diciamo. Uno di loro venne a prendermi per i capelli e capii che dovevo loro leccare il buco passando di culo in culo. Siccome che io quando lecco un culo è come se fossi al cospetto di un' amata, ci limonai con molta presunzione diciamo, avendo cura di spalancar le natiche di modo che potessi avere accesso ai loro pertugi senza ostruzione di sorta.
- La pregherei di non aggiungere dettagli ripugnanti alla sua narrazione perché il pubblico di A69 ci sta seguendo.
- Guardi dottoressa, se il lettore è giunto fin qua, ha del pelo sullo stomaco. Ma credo che i miei lettori abbiano una certa consuetudine nella mia forma e se pur non vi trovino diletto per farsi un raspone, trovano giovamento senz’altro nello spirito.
- Vada avanti e sia conciso
- E niente. I culi erano tutti e quattro molto gustosi. Bisogna sfatare questo pregiudizio che gli slavi non abbiano cura delle loro parti intime. I francesi no, mi spiace qui son categorico, a Marsiglia in un cesso corsi via alla sola vista di certi tarzanell..
- La prego di restare all’interno delle vicende di cui sopra.
- Eh ma che cipiglio!! Va bene, insomma tutto molto buono devo dire. Pensi che uno di loro si voltò per offrirmi la minchia ma fu subito redarguito dal gruppo perché le regole son regole.
Vuole sapere se presi cazzi quella sera? Si, undici. Fui ingozzata a gola sfasciata e anche qui devo precisare che la minchia è trasversale all’etnia. Cazzi con prepuzio, cazzi scappellati, cazzi grossi, cazzi più modesti. Insomma, non ho trovato una distinzione tipologica tra cazzi italiani e cazzi di fattura slava, o ungheresi dio sa da dove cazzo venissero sti qua.

- Lei ricorre alla deumanizzazione nel sesso. Sente davvero questa esigenza di farsi trattare in questo modo per raggiungere il piacere sessuale?
- L’uomo è teso tra la bestia e il superuomo disse qualcuno. Ed io lo sono in egual misura. E’ vero, quella sera presi undici cazzi in gola e bevvi le secrezioni testicolari di sei di questi. Agli altri cinque lasciai l’arbitrio di sborrarmi in faccia, in testa e in un orecchio. Ma lei trascura che il mio superuomo risieda nel dodicesimo di questi balordi. Non le ho forse detto che costoro fossero in dodici?
- Forse il dodicesimo non era dei vostri.
- Intende dire ricchione?
- Intendo dire 'individuo eroticamente attratto da soggetti del proprio sesso.
- Il dodicesimo era l’autista. Non vi avevo fatto caso. Era l’unico che se ne stava poggiato al furgone con le gambe incrociate, la mano in tasca e l’altra mano reggeva la bottiglia di vodka. Semplicemente guardava, e sorrideva.
Era un ragazzo non ancora sulla quarantina. Era il più taciturno e non aveva partecipato all’estrazione dei dadi. Era bello. Aveva certo una complessione tarchiata, ma il viso era bonario e dolce. Perduto nei vapori dell’alcool i suoi occhi balenavano al riflesso del falò.
L’uomo è teso tra la bestia e il superuomo. Se in me la bestia traeva orgoglio nel sudiciume di quei cazzi, il mio demone volgeva già lo sguardo ad altro uomo, il più nobile dei mostri.

Al ché la mia dottoressa, udendo le mie parole, ebbe come l’impressione che il suo paziente avesse lucido il proprio Demone e fu lì, nell’udirmi che lei sedette alla sua sedia con le gambe sciancate.

- Dobbiamo allora spiegarla CUM questa natura nobile dell’ultimo dei mostri.
- Ohi dottorè, son qui per questo. Quando appagati dai loro sediziosi piaceri, questi maschi caddero uno ad uno sotto gli effetti dell’alcool, io mi avvicinai al falò, restando chino a guardare le faville e godetti di quel calore già che tutt’attorno il freddo prendeva l’aria.
- Un momento di tristezza?
- No di sputi.
- Di sputi?
- Dottoressa bere sperma da una mezza dozzina di maschi è come farsene per due tazzine da caffè.
- Poi cosa fece.
- Mi rannicchiai nei pressi delle fiamme dopo aver sputato, e quasi vi presi sonno.
- Come si sentiva in quegli attimi?
- Stanca e struccata. Ehm volevo dire stanco. Sentii forti brividi di freddo.
Si chè d’un tratto l’autista venne vicino e mi destò. Mi indicò il sacco a pelo ed io compii quella breve distanza in preda a forti brividi di freddo.

La dottoressa sfilò dalla camicetta la sua bella tettina e presosi il rossetto dalla borsetta iniziò a tracciare una spirale lasciva attorno al capezzolo, e mordicchiandosi la collanina di perle stava di già dando man bassa alla sua vagina.

- CUM….
- Dica
- CUM cosa accadde CUM?
- Quando fui dentro il sacco a pelo io mi raggomitolai tutto cercando di trattenere il flebile calore del mio corpo.
Quel ragazzo però aprì la cerniera ed io mi sentii morire dal freddo. Aprì del tutto il sacco e vi ci si infilò per poi richiuderci dentro. Io tremavo ed egli mi abbracciò tutto. Prese a scaldarmi ed io restavo immobile a guardare di là dal fiume, dove scure colline salivano dolci nel buio.
I brividi cessarono, e sotto quel sacco in un abbraccio io sentii tutto il calore del mondo. Lui prese a baciarmi la nuca e lo sentii maneggiare il suo attrezzo già che questo batteva duro contro le mie natiche. Senza voltarmi, restando a fissare il cupo di quelle colline di là dal fiume, calai di poco la mia tuta e le natiche già così calde furono accarezzate dalla sua umida cappella. Lentamente e con cura egli mi entrò dentro. Sentii le pulsioni del mio sfintere e il piacevole strazio della mie membra perché l’arnese ebbe l’ardire di affondare del tutto.
Rimanemmo così, di fianco, abbracciati, ed io non staccai un attimo gli occhi da quelle colline.
Egli puntò il dito su di esse, e in un italiano maldestro disse….

Quella è la mia casa.
E’ magica.

E si chiama Ungheria.




HUNGARIAN RHAPSODY
Autobiografia di un libertino.


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