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Gay & Bisex

027 I PRURITI DEL MASCHIO ALPHA


di CUMCONTROL
01.10.2023    |    10.170    |    4 3.7
"Avrei potuto impietosire qualcuno sfondandomi la gargana con il cetriolo in refettorio, e così facendo uno di loro mi avrebbe promesso il cazzo pur di non..."
Quando il direttore venne a conoscenza che di tanto in tanto uscivo dal convento per sbrigare le mie sortite sporcaccione, assunse la decisione drastica di recludermi.
Accettai la sua decisione, anche perché voglio dire non è che avessi alternative.
Ma la sua interdizione iniziò a deprimermi, e pregai in cappella alla Vergine Maria, affinché qualcuno potesse giungere in quel luogo e portarmi via.
Inoltre fu tremendamente difficile per me combattere il mio vizio.
Come quale vizio. Il cazzo.
Il cazzo era funzionale alla chimica del mio organismo. Quanto tempo avrei potuto vivere senza cazzo?
Pregai alla Vergine Maria che tra i prelati ce ne fossero almeno un paio che mi sognassero nelle loro notti, e pregai affinché infondesse in loro quel po’ di coraggio necessario per sbattermi a caprina sulla prima staccionata della porcilaia.
Supplicavo alla Vergine che almeno un paio di questi frati, commossi dalla mia lenta morte per fame di cazzo, mi si palesassero nel chiostro, o in sacrestia, o in soffitta, anche nello struggente cacaturo in fondo alla tenuta.
Pregavo affinché vedendomi così ridotta sollevassero il saio, e darmi così l’agio di succhiare i loro gran minchioni.
Cosa importa dell’afrore di baccalà sulle loro cappelle mal ripulite da antiche pugnette, se intubandomi di gola avrei avuto salva la vita?

In quei giorni ero in delirio. Ogni cosa, dai pinnacoli ai candelabri, mi parlava di cazzo.
Mi aggiravo nel chiostro barcollando, chiedendo la carità ai monaci in preghiera. Supplicavo loro mezzo chilo di cazzo, ma loro m’ignoravano schifandomi con i loro occhi, mentre il direttore dalla finestra del suo studiolo, guardava dall’alto la sua cavalla afflitta, deumanizzata e ridotta senza più dignità, a pregar la minchia a chicchesia.
In refettorio coi preti mi fiaccavo in gola i cetrioli.

Loro parlavano, ma sa mai che qualcuno mi notasse. Avrei potuto impietosire qualcuno sfondandomi la gargana con il cetriolo in refettorio, e così facendo uno di loro mi avrebbe promesso il cazzo pur di non vedermi così mal ridotta.
I preti però riferirono al direttore che ero na’ tipa strana, e in tutta risposta egli assunse la decisione di vietarmi i pasti. Nella mente del sadico il controllo dell’alimentazione è un esercizio sottile di dominio sui corpi dei subalterni. Fateci caso.
In compenso però il direttore ebbe pietà di me e mi concesse il permesso di stare sotto i tavoli del refettorio.
Avrei potuto volendo leccare le fette di chicchessia, avendo cura di infilar la lingua tra le dita e la suola di sandalo. Ma nessuno volle che gli si leccassero i piedoni.
Quel che ne ricavai furono calci in faccia e parole brutte sotto la tavola.
Mi tennero a stecchetto per tre lunghi giorni, con il divieto assoluto di gettare sotto al tavolo un pezzo di pane secco, una barbabietola, un rapanello che potessi sgranocchiare in un angolo della mia cuccia.
Potevo bere comunque del tè. Nient’altro.
Malgrado le sofferenze prodotte dall’assenza di cibo, e di cazzo, ritenni tutto sommato una buona cosa quella di non mangiare, forsanche per rammendare il mio sensibile temperamento masochista.
Liberando i miei intestini col digiuno sarei stata ripulita dentro. Dunque, più pronta nell'eventualità di essere inculata senza insudiciare una qualsivoglia minchia che presto o tardi sarebbe giunta a ridarmi la vita.
Già, ma era proprio questo il punto.

Chi cazzo poteva chiavarmi in convento visto che nessuno mi cacava minimamente di pezza?
A parte gli anziani, rammolliti per l’età, i giovani togati parevano del tutto scimuniti dalla fede. Erano troppo presi dai precetti di una vita ascetica.
Ma possibile che questi non pensavano mai a un buco del culo?
Occorreva però tentare la fortuna. Sarebbe stata forse una questione di pochi giorni, e sarei morta senza cazzo. Quindi dovevo reagire.
Quindi escogitai un espediente, che secondo me poteva essere un intelligente modo per approvvigionarsi di cazzo.
L’idea era di stendere il mio bucato stando seminudo nel chiostro, cantando le odi con le mie mutandine risvoltate e incastrate tra i glutei, così che qualche frate in preghiera potesse osservare la struggente bellezza delle mie natiche, e farsi dunque una bella pugnetta su di me sborrandomi sulla chiappa.
Gli altri frati, vedendo la situazione così insolita, sarebbero presto accorsi e avrebbero improvvisato un safari nel chiostro, e la battuta di caccia si sarebbe risolta con l'abbattimento della suina a botte di cazzo in sacrestia.

Ridotta a carcassa, sarei stata infine incendiata viva da tantissime scorregge in faccia, e le fiamme dell’inferno della mia lussuria, sarebbero state estinte da una pioggia finale di piscio e d’ammirevoli sputi.
Tutto sarebbe filato dunque per il verso giusto, e io non sarei morta.
Quindi mi disposi con cordini attorno alle colonne che tesi tra queste di modo che potessi stendere.
Facevo quella che usciva svampita con le mutandine arrotolate fin dentro le chiappine, e cantavo le odi un pochino sopra tono con la tinozza al fianco.
Ergo mi piegavo, posavo la tinozza, svolazzavo gli abiti, stendevo e cantavo come ‘a bella proprio.
Ma non accadeva proprio una minchia secca. Anzi, ero guardata da tutti come 'na tipa strana.
Al quinto giorno fui riabilitata nella alimentazione, poichè la mia condotta fu buona, nonostante l'episodio del bucato nel chiostro. Lo decise il direttore, ed io lo ritenni un segnale di affetto per me.
Il direttore era certamente un tipo strano. Mi aveva chiavata il primo giorno con fare molto animale e mi aveva insudiciato gli intestini con la sua ricotta. Poi più niente. Un cazzo proprio. Manco mi degnava di uno sguardo, salvo prendere delle decisioni sulla mia condotta in quel luogo.

Però con il tempo mi accorsi che della chiavata del primo giorno qualcosa gli era rimasta nel cuore. Poverino, forse stava elaborando qualcosa di quel nostro primo incontro.
Forse stava capendo che non ero soltanto una sudiciona ma potevo essere la sua compagna silenziosa di una vita, la sua amica, moglie, amante e cose così.
Gli uomini sono creature meravigliose, perchè antepongono l'istinto alle ragioni del cuore, che poi vince sempre.
Presto si sarebbe accorto che non ero solo una gran cagna affamata di cazzo. Si sarebbe accorto che in me batteva un cuore e dunque due cuori e una cella.

Avrebbe preso a calci in culo il vecchio prete che viveva nella cella accanto e avrebbe disposto che io vi prendessi alloggiamento. Poi avrebbe fatto demolire un pezzo di muro per farci un passaggio e rifornirmi di cazzo a ogni mio bisogno senza passare per il corridoio e dare adito agli altri frati circa la nostra relazione.
Col tempo avrebbe apprezzato le mie doti di pompinara assoluta ed io finalmente sazia avrei trasformato le due celle comunicanti in un nido d’amore.
Del nido d’amore mi sarei fatta carico io di rimodernare l’arredamento, sostituire le tende e affiggere poster di Mina e di Madonna. Lo avrei convinto che la donna a ore per il lavaggio del suo bucato andava licenziata. Perché mantenere una vedova con un figlio da allevare, quando io avrei potuto personalmente sostituirla nello strofinare le sue mutande in tinozza? Lui sarebbe stato libero di farmi una faccia di schiaffi a ogni mio sensibile segnale di adulterio, perché un uomo vero che t’accide di mazzate per gelosia vuol dire che ti ama.
Ero sicurissima.
Lui, il direttore, stava capendo che io e solo io potevo essere degna della sua grandezza.
Il mio maschio Alpha.
Un giorno infatti, uno degli anziani m’informò sulla disposizione impartitagli dal direttore che m’invitava a presentarmi nella sua cella.
No vabbè, lo vedi che tutto poi fila liscio?
Alle 17:00 in punto dovevo presentarmi da lui.
Io ero eccitatissima all'idea di incontrarlo di nuovo.
Rubai una robusta zucchina di serra dalla cucina, così da esercitarmi a dovere per tutto il primo pomeriggio.
Intendevo prepararmi per offrirgli la mia bella fregna già svangata, senza quelle estenuanti forzature prima dello sfondo che sminchiano sempre a morte il fottitore per via di un buco del culo sempre troppo stretto. No. Io volevo essere già aperta.

Sicchè ariosa come nessuna svolazzai leggiadra per il corridoio e elle 17:00….
Toc toc
Benissimo.
Quando il direttore aprì la cella fui schiantata da 'na zaffa pazzesca di chiuso.
Non disse niente. Entrai.
Na puzza di chiuso in quella cella che non vi dico.
Umido? Scorregge? Cibo in scatola?
Che è sta puzza?
“Hoì amore mio, qui dobbiamo far ordine, ora apriamo le finestre. Hai proprio bisogno di chi si prenda cura di te, ok? Non dico una moglie, ma una personcina che ti voglia bene. Ecco fatto, la finestra è aperta. Ok?”
Fu lì che fui schiaffeggiata, e intesi che non era di certo la chiavata d'amore il motivo di quella convocazione, quanto piuttosto il direttore necessitava di un ausilio in doccia.
Bè meglio di niente.
Aiutai l'uomo a denudarsi.
Di viso era davvero spaventoso a guardarsi. Aveva la mascella prominente, dentatura irregolare e tutti i denti erano piccoli pezzi di osso aguzzi. Quando rideva si vedevano i dentini e tanta, tanta gengiva.
In volto era un orco, ma fotteva ‘na sega. Il suo corpo era autentica carne animale.
Fare sesso con lui era come essere preda di una bestia.
Hai presente quando chiavi con un cavallo e della bestia ti è sufficiente il pelo, l'afrore di sudore e la totale mancanza di empatia umana da rendere l'accoppiamento qualcosa di bestiale?
Ecco. Farlo con il mio direttore non implicava nessuna bellezza del volto. I lineamenti del volto erano irrilevanti. Lui era massa animale. Era carne da distruzione.
Tenni a bada i miei irrefrenabili istinti nello schiumare la sua muscolatura sotto l'acqua. Mentre lo insaponavo menava piscio con la naturalezza degli equini.

Gli passavo la schiuma tra le natiche pelose ed io piagnucolavo dentro di me, poiché trovavo iniquo non potergli leccare quel suo buco del culo.
Cipolla? Uova con asparagi? Taleggio?
Ma di che cazzo poteva sapere quel buco del culo prima della schiumata?
Poi si voltava. Il minchione della bestia andava scappellato sotto l’acqua, e con dolcezza e con le dita gli sollevavo la ricotta tutt’attorno al glande, incrostata come fossile da decine di pugnette mai ripulite.
Poiché non conoscevo l'ungherese, né lui sapeva l'italiano, a gesti chiesi con gentilezza se potessi fargli da orinale. Naturalmente la mia non era una pretesa, sia chiaro. Anzi, mi spesi tantissimo a dimostrargli che la mia era una semplicissima proposta disinteressata da parte di una addetta alle pulizie corporee.
Non capì un cazzo. Non mi rispose e mi ruggì delle cose di cui non capii una mazza ma intesi che dovevo sta’ zitta.
Quando ad asciugatura ultimata mi scaraventò fuori dal cesso, passammo in anticamera e entrati in camera mi cadde la mandibola.
In camera nel frattempo era entrato infatti un tale.
Un tipo allampanato, in mutande, con la gobbetta, naso lungo. Aveva labbroni da ebete e occhialini che erano due fondi di bottiglia.
Ma il cazzone ragazze. Un cazzone mai visto.
Il cazzone, semi moscio, se ne stava ripiegato sulla coscia destra del tale e sgorgava già di precum. Il cappellone fuoriusciva dall’elastico del mutandone.
No vabbè.
Tu puoi capire che strillai moltissimo, ma dovetti mettermi entrambe le manine sulla bocca poiché non volevo fa’ na brutta figura.
Ok ok ok. Il direttore aveva ordito tutto questo per me.
No vabbè, ma che meraviglia era questo mio amato direttore?
Ma poi. Il massimo proprio. Cioè sti due avevano organizzato tutto questo per me senza farsi il minimo di problemi sulle mie perette.
Quando un uomo vuole scoparti, perché gli fai letteralmente scoppiare il cazzo al solo guardarti, ci sta che non si faccia problemi se stai pronta o pure no.

La verità, e che io di uomini ne avevo ben due a disposizione, e ti pare poco?
Giuliva sfarfallai fin sul lettino, mi misi a pecorella, mi levai le mutandine e mostrai il mio tubo da incastro bello che pronto, grosso, arioso come una galleria del vento.
Con mio sommo disappunto però, fui afferrata per le caviglie, e ritrascinata in terra come una lucidatrice da pavimento poiché chiaramente non avevo capito un cazzo come al solito.
Fui impegnata a rialzarmi e il direttore mi fece a zampogna a furia di pizze in faccia. Il direttore proprio non ci vedeva più. Menava pizze in faccia a cazzo. Aivoglia dirgli ti prego basta.
Quando fui una mongolfiera, gli bastò.

Poi andò verso il tipo, si strofinò a lui lo invitò a sedersi sul ciglio del letto. Ergo con delicatezza abbassò le mutande del ceffo ed estrasse con dolcezza il suo bestione.
Lo annusò con tatto e cura, lo scappellò con garbo ed estrasse la lingua. Con la punta della lingua si occupò in prima persona nel ripulirgli ogni strato di ricotta, pellicola dopo pellicola.
Poi, trattenne il conato. Sollevò gli occhioni lacrimosi e in piena estasi sollevò la mano e accarezzò i suoi testicoli carichi.
Lo guardava, lacrimava e s’imboccò fino alla gola mai levandogli gli occhi di dosso.
No vabbè e io??
E poi scusa, nessuno qualcuno che mi tirasse un pizzico. Sognavo o ero desto?
Cioè, ma come può essere che un gorilla, un pezzo di carne, un orco in abito talare, uno che mena di pizze in faccia e ti devasta il culo col suo sventrapassere, mo’…..
Mo’ stava a fa’ la cessa lacrimosa con un minchione in bocca. No vabbè.
Voglio dire, il mio maschio Alpha, ma dove cazzo era finito?
Ma la gente è pazza??
Misi la manina sul mio petto, mi guardai a destra, e a sinistra. Feci quella che doveva cambiare posa, ma continuavo a sbattere gli occhietti guardando mo’ a destra, mo’ a sinistra. Ero semplicemente incredula.
Come se non bastasse, il direttore, nudo e a cazzone moscio, si assicurò che fosse ben comodo da seduto e gli si accavallò sopra, si bagnò l’ano e con amore s’impalò con lentezza, tanto che io del cazzone irto dello smilzo, vidi solo i suoi grossi cocomeri sotto le natiche già sudaticce del mio direttore.
Il direttore si muoveva con sensualità fanatica e si faceva accarezzare le natiche abbracciandosi al collo dello smilzo.
Lui, lo smilzo, con orgoglio e gambe larghe, conficcava quel culo tenendolo ben saldo per i fianchi sbattendolo a dovere.
Il direttore percepiva il suo buco del culo come una autentica fregna, non come un tubo fatto per cacà, che ogni uomo “vero” dovrebbe considerarsi il culo.

No, lui godeva come una femmina, e a me passò tutta la vita davanti.
La verità è che lo invidiavo. Era mai possibile che per me non ci fosse una fetta di cazzo da svangarmi la passera pure a me? No, dico.
Dovevo fare qualcosa. Ergo rischiai.
Mi avvicinai ai due ormai uniti in una cosa sola. Facevo i miei passetti a tratti, ora facendo quella che guardava il quadro, ora la statuina della Vergine col moccioso, ora facendo quella che si guarda l’unghia della propria mano. Intanto avanzavo.
Il direttore nel mentre svaporava in bombette a scorreggetta, da cui si capiva che le sue trippe stavano cedendo allo sbattimento più profondo, e ormai si abbandonava alla cacarella interna, ai gemiti e agli spasmi della sua stessa prostata.
Feci quella che si piegò un momentino.
Allungai il braccetto e accarezzai i testicoloni del tipo fino a strizzarglieli con audacia, mentre sopra di lui il direttore orco stava a fa’ la ballerina.

Lui – il fottitore - mi faceva fare, e badavo bene a che il mio direttore, che faceva la scema sul cazzo, non se ne accorgesse.
No perché se puta caso se ne fosse accorto, sicuro proprio si sarebbe schiodato dalla svanga, e mi avrebbe nuovamente fracassato di mazzate.
Lo smilzo mi guardò affannoso, ed io gli sorrisi. Lo supplicai con le manine in preghiera, facendo gesti imprudenti, come a chiedere lo sperma, di temermi insomma in considerazione per la fine chiavata.
Però un cazzo. Il direttore si voltò, ed io mi vidi morta.

Ma contro ogni mia lugubre previsione, mi fece cenno di leccare i testicoloni del tale, poiché il suo maschione che lo inchiavardava, andava tenuto a lungo in erezione marmorea.
Ergo mi chinai entusiasta, infilai la mia faccia tra il culo del direttore e il materasso unto di non so che cosa, e presi a leccare i coglioni nonostante l’atmosfera acida delle bombette.
Ormai intesi che il mio direttore era tutt’altro che un maschio Alpha. Era una versatile di sti coglioni. ‘Na cessa. Una così, che se la incontri per strada, come minimo la prendi a stampate in faccia col ferro da stiro. Hai capito l’attiva??
Era lo smilzo ora il mio maschio Alpha, e io capii che se avessi fatto un buon lavoro di leccatura testicolare, sarei stata acclamata nella sua mente come il suo partner ideale.
Se avessi effettuato una leccatura da sballo, lo smilzo, anche se brutto, mi avrebbe chiesto di vederci fuori, mi avrebbe chiavata a sangue e avrebbe progettato con me una fuitina.
Il direttore ci avrebbe inseguiti in tutto il Paese, ma noi thièèèèèè!!
E lo smilzo mi avrebbe amata, dissanguata, sbobinata per sempre in tutti i gabinetti pubblici dell’autostrada.
Quindi mi misi a succhiare la palla destra, poi la palla sinistra, e schioccavo con la bocca promettendo con la mia acustica orale che io e solo io potevo fargli esplodere il cazzone tra le gambe.
Così facendo, con avidità inaudita e tanta acquolina, io mi stavo praticamente ipotecando un futuro migliore per lui e per me, per me fatto di cazzo e di tanto amore. Fa niente che era un tipo brutto.
Quello smilzo poi, eccitato a bestia, continuava a dar di reni trapanando il buco del culo del direttore che, aggrappatosi alla testiera del letto che stava scardinando, urlò come un vaccone. E io leccavo, leccavo, leccavo, incurante che da quel culo squirtasse ogni cosa.
Poi le chiappe dell’orco divennero viola, poiché il maschio tutto nervi e con un cazzone inaudito aveva preso a menargli di schiaffoni sulle natiche mentre quello faceva su e giù a smorzacandela.
Menava così forte che io temetti per la mia stessa incolumità, anche perché tra un salto e l’altro di quel culo sudaticcio dovevo leccare i coglioni del vero maschio fra noi.
Il direttore, letteralmente impazzito dagli schiaffoni al culo, pur restando seduto sul suo cazzo, ad un certo punto si schiodò appena e inarcandosi sulla mia faccia mi diede a intendere che, anche lui, andava leccato se no sarebbero stati cazzi brutti per me.
Leccai la bollicina bianca che gli squirtava dal buco del culo.
Tranquilli, era burro.
Cioè scusa però, ma quando si era messo il burro nel culo?
Sicuramente si era messo quel burro prima del mio ingresso in cella. Ecco perché scorreggiava a bombetta? Ma potevo farmi un pacco di cazzi miei?
Ad ogni modo trovai buona la bollicina di burro liquido, e ultimata la ripulitura del culo passai al cazzo del gran fottitore, che era pure ben imburrato, molto buono e turgido, anche se assai odoroso di culo ma buono.
Il cazzo fu rilucidato con molta cura anche se con molta fretta.
Al direttore infatti non è che garbasse moltissimo questa mia dedizione al cazzo altrui, quindi si affrettò a levarmi la minchia dalle mani e si rificcò il palo di carne su per il culo.
Ergo, riprese la cavalcata e nel frattempo prese a gemere così atrocemente che pareva trattenesse in sé tutte le cacarelle del mondo.
Poi costrinse il suo maschio a cambiare posizione, poiché il direttore s’era stancato a cavalcargli sopra e il fottitore doveva dargli prova della spinta dei propri reni.
Si.
Senza schiodarsi dalla mazza, il direttore si ripiegò sul fianco e si distese. Accompagnò la manovra dell’altro guidandolo con cura. Glielo doveva visto il culo che s’era fatto a fa’ la ballerina sul cazzo dell’altro.

Dunque il direttore si riversò di schiena sul materasso e divaricò le gambe all’aria, e lo smilzo nonostante tutto non cedeva, lo fotteva, lo distruggeva, lo svangava a schifo.
Io poverina, che cazzo potevo fare?
Mi volsi su un piede del mio direttore che barcollava sospeso in aria nello sbattimento, che annusai naturalmente, ma alla gorgonzola del piede preferii il taleggio puro del buco del culo del gran fottitore. Quindi smollai il piede.
Allora mi rivoltai carponi sul letto e cercai con molta fatica di aprire le natiche del fottitore che affondava con le reni nelle trippe del mio direttore, sotto di lui, vergognosamente a cosce aperte, come una femmina.
Dovevo assolutamente tentare l’atterraggio con la mia lingua sul suo buco mentre fottevano alla missionaria. Dovevo agganciare l’anello sublime, e posata finalmente la lingua mi ci agganciai anche se sbatacchiata di faccia dallo sconquasso delle sue natiche.
La leccatura anale mi ricordò quanto buono fosse il sudore del maschio in piena fottitura e quanto in botta mi mandasse il profumo di taleggio.
Il direttore urlava di piacere da sotto, ed io non lo cacai manco di pezza perché era grazie alla mia lingua che godeva del suo fottitore. Fu terribile per me sentire l’ano del tipo che a un certo punto prese a pulsare fino a stringersi del tutto attorno alla mia lingua.

Era il segno inequivocabile che si stava spremendo, che dalla massa testicolare tracimava lo sperma scaricato fin dentro i meandri fetenti del mio direttore. Fu messo incinta insomma.
Ecco …..
Ripulii in fretta culo e natiche sudate dell’audace fottitore che stava spremendosi ancora negli ultimi colpi, e svelto corsi ai suoi piedi visto che il gioco stava per finire.
Intendevo ripulirgli le fette che avevano richiamato la mia attenzione per il lordume delle piante, e che secondo me potevan sapere di toma buona o gorgonzola bella stagionata tra le dita.
Ma cambiando posizione, poiché poverino era davvero esausto, costui m’impedì la ripulitura completa delle sue fette. Si schiodò dal culo del direttore che squirtò di burro e di sperma, ed entrambi tornarono seduti per abbracciarsi e … baciarsi.
Quando il direttore mi vide seduto accanto a loro, ansimante con gli occhietti allegri e la lingua sbilenca come un labrador, egli non poté sopportarlo.
Quindi fui con cura prelevata di recchia e scaraventata nuda in corridoio e ciao.
Richiusa la porta ci restai malissimo. Volevo piangere, ma se mi fossi messa a piangere così, in corridoio, gli altri, quelli lì, cioè i frati, che cazzo altro dovevano andare a penzà?
Quindi mi schiarii la gola. Cercai di essere una professionista.

Mi accostai alla porta e fiutai l’aria dalle fessure, sa mai che uscisse un ultimo odorino di maschio e di sesso.
Poi ci appiccicai la recchia. Udii il pigolare dei due piccioncini.
No dico, pure i piccioncini???
Dalla serratura poi, vidi la schiena possente e i grandi glutei marmorei del direttore che si ripuliva il culo umido con la mia magliettina, mentre si chinava per dare un bacio a quello lì.
Capito il mio maschio Alpha?
Affranta come nessuna, sbottai di pianto, e corsi per corridoio fin verso la mia cella, cercando di non essere vista dagli altri frati poiché già mi consideravano ‘na pazza.
Entrato in stanza, sputazzai i peli di culo e mi sentii a pezzi.
Certo, la mia bocca era stata adeguatamente aromatizzata da una variegata fragranza di broccolo e di taleggio, e delle più disparate specialità stagionate di cacio e di ricotta.
Ma perché il mio culo restava ancora vuoto?
Avevo forse anch’io il diritto di una chiavata. No?
Potevo io accontentarmi del ruolo di ripulitore della lussuria altrui e spassarmela mestamente con uno zucchino di serra per tutta la vita?
Ero molto giù di morale.
Tirai di scatto la coperta perché volevo dormire, se non morire.
Vidi la mia zucchina di serra che avevo lasciato tra le lenzuola.
Mi venne da piangere di più. Ma perché cazzo avevo dimenticato di darle una ripulita?

Levai le lenzuola singhiozzando, mi sdraiai, mi rimisi la coperta, spensi la luce.
In refettorio per l’ora di cena, non mi vide più nessuno.








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Questo racconto è tratto dalla saga
HUNGARIAN RHAPSODY
Autobiografia di un libertino.

CUMCONTROL 2023









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