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Gay & Bisex

La stella cadente


di Darkdaddy
06.04.2022    |    9.399    |    10 9.5
"Bevemmo a canna, passandoci la bottiglia, mentre proseguivamo i discorsi di prima..."
Mancavano circa tre mesi alla fine dei corsi universitari, e poi ognuno si sarebbe dedicato a sostenere gli esami mancanti, scrivere la tesi, ed entrare – finalmente – nella vita adulta. Eravamo tutti euforici e festanti, forse per la primavera alle porte dopo un lungo inverno molto freddo, o forse per il pensiero di terminare il percorso di studi; non mancavano comunque momenti di malinconia all’interno del nostro gruppo piuttosto affiatato, composto da studenti da ogni parte d’Italia, temendo che la fine dei corsi rappresentasse anche la fine della nostra amicizia.
Quello che invece sembrava più in ansia di andarsene era Davide, noto tombeur de femmes, pur non essendo bellissimo: tuttavia, quel suo sorriso, quell’accento romagnolo simpatico di suo, quell’essere intraprendente con le ragazze, lo rendeva molto appetibile a buona parte del gentil sesso. Negli anni avevo imparato a conoscerlo, e mi era sempre sembrato in qualche modo incompleto, come se avesse avuto qualcosa di non realizzato che lo crucciava.
Dopo la mia prima esperienza omosessuale, avvenuta durante l’Erasmus a Siviglia, avevo deciso di parlargliene, in maniera edulcorata, spacciandola per una situazione capitata per caso, dopo un botellon troppo alcolico. Lui si era dimostrato molto incuriosito, tanto che gli avevo chiesto se gli fosse capitato qualcosa di simile a Colonia, dov’era stato a sua volta in Erasmus. Il suo sorriso affermava il contrario delle sue parole, che avevano solo accennato ad una serata finita in una discoteca gay, con dei ragazzi che ci provavano con lui, e le ragazze invidiose perché erano davvero bei tipi.
Era un tipo piacevole, spigliato, con un livello culturale decente pur non essendo un amante della lettura, ed appassionato di viaggi e di avventura. Avevamo molti punti in comune, ed aver vissuto assieme il percorso universitario, entrambi lontano da casa, mi spingeva a idealizzarlo ancor di più, senza contare il fatto che lo avevo conosciuto non in una discoteca gay o tramite una chat, ma all’università, giorno per giorno.

Verso metà marzo, mi invitò ad uscire assieme. Era un mercoledì sera, serata universitaria; tuttavia, mi chiese di andare in provincia, in un posto tranquillo dove a volte suonavano musica dal vivo e dove c’erano molte birre artigianali, di cui andavamo entrambi pazzi.
Ci sedemmo su degli sgabelli piuttosto piccoli, presso un tavolino rotondo, per cui le nostre ginocchia si sfregavano l’una con l’altra. Dopo un preambolo sulla fine dei corsi, sulla tesi, e sulla vita che ci attendeva, il discorso virò nuovamente sulla mia prima esperienza gay, grazie ad una sua domanda molto diretta, e piuttosto sibillina.
“Dimmi Marco, dopo tutto questo tempo… puoi dire che i ragazzi facciano davvero i pompini meglio delle ragazze? O è una leggenda metropolitana di chi vuole farmi diventare gay?”.
Scoppiai a ridere. “E chi sarebbe mai quel pazzo che vuol farti diventare gay? Ha idea su quanti cadaveri dovrebbe passare per realizzare il suo sogno?!”.
Rise sguaiatamente anche lui, mostrando una dentatura perfetta.
“Ti ricordi quello che tutti chiamano Vespino? Era al quarto anno quando noi siamo entrati… ora è al quarto fuori corso…gli sono sempre stato simpatico… e ultimamente mi pressa per andare a cena a casa sua, guarda caso quando i suoi coinquilini non ci sono…”.
“E quindi tu vorresti farti fare un pompino da lui per verificare la teoria della miglior fellatio?”.
“No, no… o meglio… mi piacerebbe provare, quello sì… ma non con lui…”.
“Allora trova qualcun altro, molto semplice!”.
“E tu saresti disponibile?”, mi chiese guardandomi negli occhi, serio, con un tono di voce più basso, quasi sexy, forse speranzoso.
“Do ut des… se vuoi qualcosa, prima devi dare qualcosa…”, gli risponsi in modo molto asciutto, memore dell’ultima lezione di metodologia del negoziato.
“Si può fare…”.
La sua risposta mi lasciò perplesso: non stava scherzando, anzi sembrava quasi che avesse premeditato questa uscita proprio a questo scopo. All’improvviso lo vidi con occhi diversi, come se avesse sempre indossato una maschera ed ora, a spettacolo quasi finito, avesse deciso di rivelarsi, forse perché sentiva che il tempo a sua disposizione stava inesorabilmente terminando, e non voleva perdersi l’ultima occasione possibile.
Uscimmo dal locale e ci avviammo verso l’auto. D’un tratto mi prese alle spalle, per abbracciarmi forte, girandomi verso di lui e fissandomi negli occhi senza parlare. Lo guardai interrogativo, senza capire esattamente cosa lo spingesse a comportarsi così. Allentò la presa, e propose di prendere una bottiglia da qualche parte e di andare a bercela al parco, lungo il fiume.
Una volta giunti a destinazione, cercammo una panchina tranquilla dove sederci: eravamo a pochi passi dall’acqua, con gli alberi alle spalle, ed in cielo una luna piena che ci illuminava i volti.
Bevemmo a canna, passandoci la bottiglia, mentre proseguivamo i discorsi di prima.
“Come ti era successo a Siviglia? Scommetto che in qualche modo lo avevi istigato…”.
“Può essere… avevamo bevuto tutti un po’ troppo… e lui si era avvicinato con la mano sul mio petto”.
“Come aveva fatto?”.
“Così”, misi la mia mano sul suo torace, accarezzandolo, “e poi era sceso con la mano dentro la mia maglietta, salendo fino al capezzolo”, e gli afferrai il capezzolo sinistro con indice e pollice, “stuzzicandolo per scoprire se fosse una mia zona erogena”.
Davide sorrise, e mi lasciò fare.
“Aveva poi giocato anche con l’altro capezzolo, e poi era sceso, toccandomi gli addominali”, e ne approfittai per tastare i suoi, molto ben definiti, un vero six-pack, “e spingendo la mano verso la cintura dei pantaloni”.
“Cintura che non aveva bloccato l’assalto, mi sa!”.
“Un po’ come la tua… che non indossi nemmeno!”, esclamai, sbottonandogli il bottone dei pantaloni e sfiorandogli l’inguine, di cui avvertii al tatto i primi peli pubici.
“E poi cos’era successo?”.
“Quello che succede a te in questo momento… ce l’avevo di marmo!”.
“Hahaha! Ma scommetto che tu ce l’hai di marmo anche adesso!” ed allungò una mano verso il mio pacco, strusciandolo ed accarezzandolo, sorridendomi con uno sguardo in cui mi perdetti.
“Scommessa vinta… ed arrivati a questo punto, cosa può mai succedere?”.
Continuammo a fissarci negli occhi, sorridendo entrambi, mentre le nostre mani toccavano i rispettivi pacchi. Finiamo di scolarci la bottiglia, ormai piuttosto brilli.
“Guarda! Una stella cadente!”.
Mi girai appena in tempo per vederla anch’io: rimanemmo a bocca aperta, ammirando la volta celeste illuminata dalle stelle e dalla luna piena, e poi ci riguardammo, ed in modo naturale le nostre bocche si avvicinarono e si baciarono, a lungo, senza sosta, mentre le mani andavano ovunque e rimuovevano quei pezzi di stoffa che trattenevano i nostri corpi.
In pochi minuti ci ritrovammo rotolanti sull’erba, completamente nudi, le bocche ancora unite e le mani in continua esplorazione dell’altrui corpo, in maniera frenetica, come se fosse il primo corpo che si trovavano a toccare.
“Immagino debba essere io il primo a cominciare quella che sarà una lunga serie… o sbaglio?”.
“Sei tu quello che vuole sperimentare… per cui se vuoi provare un pompino, devi prima farlo… e attenzione ai denti”.
Si prese tutto il mio cazzo in bocca, mentre con una mano mi massaggiava i coglioni e con l’altra mi toccava ovunque, mentre io fissavo il cielo completamente in estasi, e gli accarezzavo i capelli ricci e tenevo premuta la sua testa sul mio sesso, pur non essendo necessario.
“Oh wow… non si direbbe la prima volta… sei fantastico Davide…”.
Lo girai e stavolta fui io a succhiarlo, questo cazzo che odorava di buono, un misto tra bagnoschiuma e sperma, e stavolta erano le sue mani ad accarezzarmi la testa e a toccarmi la schiena, mentre le mie mani correvano lungo i suoi addominali perfetti per stuzzicare i suoi capezzoli sensibili.
Quando mi staccai per respirare, mi afferrò la testa e mi baciò nuovamente, in una maniera molto intensa, stringendomi a lui, sospirando qualcosa nel mio orecchio che non compresi.
“Sono almeno due anni che sogno questo momento… ormai pensavo che non sarebbe mai capitato… ed invece eccoci qui…”.
Lo fermai e lo guardai negli occhi: non era il suo solito sguardo. Era qualcosa che non avevo mai visto in lui, sembrava uno sguardo di chi aveva trovato l’amore con la A maiuscola.
“Vuoi venire da me? I miei coinquilini non ci sono”.
Mi rispose cominciando a rivestirsi, ridendo in maniera sguaiata. Ogni tanto si avvicinava per stamparmi un altro bacio sulle labbra, ridendo e guardando il cielo stellato.
Corremmo a casa mia senza neanche prestare troppa attenzione alla strada: non c’era nessuno in giro, e comunque noi vedevamo solo l’un l’altro.
Non feci a tempo a richiudere la porta dietro di me che mi baciò intensamente, mentre cercava di spogliarsi allo stesso tempo, saltellando prima su un piede e poi sull’altro. Lascimamo una scia di vestiti dall’ingresso fino alla camera da letto, dove ci lanciammo sul materasso e continuammo a baciarci, a leccarci, a succhiarci, ad esplorarci.
“Marco, voglio provare tutto con te”.
Ci alternammo col rimming, infilando anche un paio di dita. Aprii il cassetto del comodino e presi del lubrificante, per spalmarlo sul suo buco. Ora eravamo uno sopra l’altro, i nostri visi l’uno di fronte all’altro: lo penetrai con dolcezza, accarezzandogli quei ricci che mi avevano sempre fatto impazzire, e baciandolo amorevolmente, mentre lui cercava di allargarsi le natiche tenendosi le gambe ben divaricate, con le ginocchia ad altezza delle spalle. Ad ogni affondo mi baciava più profondamente, e mi toccava la schiena disegnandomi oggetti immaginari, e non riuscivamo a staccarci in alcun modo: il mio cazzo era saldamente dentro il suo culo, e le nostre lingue erano intrinsecamente intrecciate.
Accelerai il ritmo, vedendo che riusciva a prendere tutto il mio cazzo dentro il suo culo. Cominciai ad estrarlo quasi integralmente, per poi rimetterlo tutto di getto. Lo stantuffai a lungo, rallentando quando sentivo avvicinarsi la sborrata, per poi riprendere con foga.
“Vuoi farlo tu a me?”, gli sospirai.
Uscii dal suo culo, e mi sedetti sopra di lui, mentre mi faceva saltare all’unisono coi suoi movimenti, accarezzandomi i pettorali e strizzandomi i capezzoli.
“È bellissimo… Marco è tutto bellissimo… non voglio smettere…”.
Continuammo così durante tutta la notte, fino a quando sborrammo copiosamente l’uno sull’altro. Ci abbracciammo, impiastricciandoci di sborra, e baciandoci mentre rotolavamo sul letto.
“Grazie Marco… questa notte sembra davvero un sogno, il sogno più bello della mia vita…”.
Ci baciammo a lungo, toccandoci ovunque, i nostri cazzi ancora duri.
Alle prime luci dell’alba, ci risvegliammo abbracciati, Davide alle mie spalle, la sua bocca sul mio collo.
Rimanemmo incollati così, mentre la sua bocca cercava la mia, per un tempo che mi parve eterno.
“Buongiorno amore…”, gli dissi sottovoce, quasi senza pensarci.
Lui si alzò, andò alla finestra ed osservò la quiete silenziosa del mondo esterno.
“Dai, torna a letto che è prestissimo…”.
Rimase lì appoggiato al davanzale. Dopo una decina di minuti, finalmente proferì parola.
“Meglio che vada a casa… adesso non mi vedrebbe nessuno uscire da qui”.
“Uh?”.
“Quello che è successo stanotte è stata solo una prova, un capriccio che volevo togliermi. Forse dovremmo trovarci delle tipe con cui uscire assieme, scoparcele, e poi magari a fine serata, una volta riaccompagnate a casa, ci sfoghiamo noi due, in libertà e con assoluta discrezione”.
“Che tipe?”.
“Nel senso… siamo etero, ci scopiamo due fighe, e poi se abbiamo ancora voglia, facciamo tra di noi”.
“Se siamo davvero etero, non facciamo tra di noi… forse dovresti un po’ capirti…”.
“Io mi capisco benissimo. Tu invece, mi sa che fingi…”.
“E cosa avrei finto?! Sentiamo, dai, cosa avrei mai finto??”. Mi ero incazzato.
“Beh, Marco, è chiaro che sei gay… con la mia proposta cercavo di trovare un compromesso per poterci divertire tra maschi senza comprometterci o incasinarci la vita…”.
“Incasinarci la vita?! Sbaglio, o hai detto che questa notte è stato il sogno più bello della tua vita? O mi stavi raccontando una balla? Ah, e poi, anche fossi gay, non fingerei di non esserlo: casomai eviterei di sbandierarlo, perché sono affari miei. Ripeto, secondo me sei profondamente confuso e dovresti capirti, o per lo meno farti aiutare a capire meglio quello che stai provando”.
“Allora è meglio se non usciamo più assieme… tanto a maggio finiscono i corsi e poi dubito che ci rivedremo, io in Romagna e tu chissà dove”.
Mi sedetti sul letto e lo osservai meglio. Continuava a darmi le spalle, eppure avvertii il tremore nella sua voce.
“Non mi pare di averti chiesto alcunché… per cui non capisco tutto questo dramma che ti stai creando”.
Si voltò, e le vidi. Vidi le lacrime che gli rigavano il volto.
“Io non sono gay, hai capito, NON SONO GAY!”.
Rimasi ammutolito, incapace di controbattergli alcunché.
Uscì dalla stanza quasi di corsa. Non riuscivo ad alzarmi dal letto, come se fossi paralizzato da quello che mi aveva appena detto – ma forse ancor più da quello che non mi aveva detto.
Quando sentii il portone di casa richiudersi, capii che se n’era andato davvero, senza nemmeno salutarmi. Presi il telefono e lo chiamai, ma sentii solo il click della chiamata cancellata, e poi il messaggio automatico del telefono spento o non raggiungibile.
Il giorno dopo lo vidi al bar dell’università, attorniato da un paio di spasimanti. Cercai di catturare la sua attenzione, ma la sua risposta, sussurrata sottovoce al mio orecchio, mi bloccò il respiro: “io non esisto più per te”.
Uscì dal bar con le due tipe sottobraccio, e io lo guardai andarsene, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime.

A fine maggio ci fu una festa per la fine dei corsi.
Venne organizzata una cena in un ristorante sotto i portici. Davide era seduto all’altra estremità del tavolo, dal mio stesso lato, per cui era impossibile vederlo. Trascorsi una serata godendo della compagnia di quegli amici che chissà dove e chissà quando avrei rivisto, con ottimo cibo, tanto prosecco e forse troppi amari.
Decidemmo di andare in una discoteca all’aperto organizzata presso i giardini comunali, dove dei ragazzi di alcune associazioni avevano organizzato una festa di fine anno accademico.
Ci lanciammo tutti in pista a ballare, aiutati dall’alcool e dalla calura ormai estiva, che faceva venir voglia di scatenarsi e di festeggiare. Vidi Davide ballare molto ravvicinato ad una tipa, per poi baciarla. Mi lanciò un’occhiata mentre la sua lingua era dentro la bocca di lei, quasi sfidandomi. Per ripicca, pomiciai con la prima che mi capitò sotto le mani, una del secondo anno che mi faceva il filo da tempo.
Sembravamo due adolescenti in gara: ad un certo momento, mollai la presa, le accarezzai una guancia, lei mi guardò estasiata, ed io me ne andai al bar a bere una vodka soda.
Giunse anche lui al bar, osservò il mio drink, lo ordinò anche lui, e mi fece cenno di seguirlo.
Arrivati in uno spiazzo tranquillo, lontano da occhi indiscreti, mi afferrò la testa e mi baciò appassionatamente, facendomi cadere il bicchiere. Rimasi interdetto per qualche secondo, poi gli cinsi il collo con le braccia, e rimanemmo così a lungo, finchè non ci distendemmo sull’erba, spogliandoci in fretta, per consumare lì sul momento, nonostante l’ubriacatura galoppante.
I nostri cazzi erano durissimi – la forza dei ventun anni – e le nostre bocche si alternarono a darci piacere reciproco, finché non ci sborrammo in bocca a vicenda, ingoiando tutto senza indugio.
Ci rialzammo, ci rivestimmo, e tornammo verso la pista, a debita distanza l’uno dall’altro.

Il giorno seguente, passai da casa sua, senza avvisarlo, per riportargli dei libri che mi aveva prestato.
Aprì la porta dopo quasi dieci minuti; stava ancora dormendo, nonostante fosse ormai mezzogiorno.
Tenne la porta socchiusa, per non farmi sbirciare dentro. Gli porsi i libri e gli disse che era stata una magnifica serata. Lui si portò l’indice alla bocca, indicandomi di tacere, e dall’interno udii una voce femminile chiedergli di tornare a letto.
Sconvolto, me ne andai di corsa. Gli inviai verso sera un messaggio innocente, scusandomi per averlo interrotto in mattinata, maledicendomi allo stesso tempo per mostrarmi così debole nei suoi confronti. La sua risposta mi congelò: “Se provo una volta la coca, non significa che mi faccia di coca per sempre. Buona vita Marco”. Piansi come un disperato. Nei giorni successivi, sperai in un suo nuovo messaggio, o magari una telefonata, ma non si fece mai vivo.

Alcuni mesi dopo, decisi di partire per una working holiday in Australia.
Sapevo che aveva frequentato il quarto anno di liceo a Melbourne, per cui gli inviai una e-mail con una foto di Brunetti, la storica pasticceria a Carlton. La sua risposta arrivò dopo cinque giorni, con una frase molto lapidaria: “enjoy Down Under”.
Fu l’ultima cosa che mi scrisse, e io decisi di dimenticarmi di lui, e di riprendere in mano la mia vita. Ci misi più tempo degli altri a laurearmi, ma cominciai subito una carriera internazionale che mi portò a vivere all’estero. Cambiai continenti, stati e città, ma mantenni sempre il numero italiano, oltre a quello del Paese in cui mi trovavo.

Circa quindici anni dopo ricevetti un messaggio: “Sono stato uno stupido, ed un codardo. Non si può tornare indietro col tempo, e non si possono cambiare gli eventi. Ti amavo da prima di quella notte, e ti ho amato anche dopo, ma avevo troppa paura di vivere il mio vero io. Perdonami, se puoi”.
Lo rilessi un po’ di volte, e poi lo cancellai. Finii di prepararmi, ed uscii a cena col mio compagno.

P.S. Vi ricordo che, essendo un racconto, fatti e persone sono puramente frutto della mia fantasia.
I racconti sono, per l'appunto, racconti, ovvero una narrazione in prosa di contenuto fantastico o realistico, ma non per questo una storia vera. Se ritenete che quanto scritto da Dick, Cooper o Apollinaire corrisponda al vero, allora forse dovreste rileggere il significato di “racconto”…
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