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Prime Esperienze

Legami - Il piacere violentemente inatteso 1° Parte


di Membro VIP di Annunci69.it giorgal73
16.01.2024    |    18.683    |    0 7.6
"Fino a fermarsi poco sopra il seno..."
Quello che state per leggere è un racconto di fantasia o quasi; quindi, diverso rispetto a quelli che vi ho abituato a leggere. È una fantasia che mi raccontò la mia ragazza di allora e che forse realizzammo. Questo racconto lo pubblicai nel 2012 con lo pseudonimo Mary J. Il libro, come ogni opera autopubblicata venne praticamente letto da amici e conoscenti, che comunque lo apprezzarono; tuttavia, la mia carriera da scrittore lasciò libera strada ad un altro lavoro. Spero vi possa piacere.
La cosa più difficile per un uomo è immedesimarsi in una donna, fatemi sapere nei commenti se per voi ci sono riuscito o meno, ovviamente la risposta dovrà essere data da una donna.

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Laura sbatté veloce le palpebre cercando di abituarsi al buio.
Non riusciva a spiegarsi la sensazione opprimente di chiuso e quell’intorpidimento agli arti da cui non riusciva proprio a liberarsi.
Si sforzò di alzare un braccio, poi l’altro. Perché erano entrambi maledettamente pesanti? Riprovò finché non ne realizzò il motivo. Non era intorpidimento come aveva creduto.

Era legata. Bloccata. Nel buio non riusciva a capire come e cosa riuscisse a tenerla così fermamente bloccata. Con le dita libere picchiettò mollemente sul ripiano dove era sdraiata e ne sentì la durezza.
Non era un letto ma un duro giaciglio, forse un tavolo, su cui il corpo stentava ad abituarsi nella posizione in cui era costretto. I legacci, anelli rigidi di un qualche metallo a bloccarle i polsi e le caviglie su quel tavolo .
Ora che i sensi le si erano acuiti nell’oscurità, sentì un lieve odore di muschio e un silenzio anomalo che non riusciva a decifrare.

Il suo cervello, ora, registrava il dolore lancinante alla schiena, al busto e agli arti indolenziti.
Avrebbe voluto massaggiarsi e provare ad alleviare quel dolore ma riusciva a malapena a muovere le dita. Istintivamente cercò di muoversi appena per la parte libera di sé e fu allora che si accorse che era bloccata fermamente anche appena sotto il seno.
Un grosso anello rigido evidentemente le era stato messo anche in quella anomala posizione. E cominciò a provare una feroce paura.

Da quanto tempo era là? Perché? E, soprattutto, chi l’aveva legata in quella posizione? Aveva la gola arida. Urlare o rimanere in silenzio, cosa? Non era sola. Lo sentiva. Pur non riuscendo a spiegare la ragione di una tale consapevolezza, urlò:

«C’è qualcuno?».

Gli occhi cercavano nel buio un indizio, un’ombra, qualcuno o qualcosa. Ma quel qualcuno o qualcosa, almeno apparentemente, non le stava dando ascolto:

«So che ci sei! Chi sei? Cosa vuoi da me?».

Sentì un passo pesante pur senza esser rumoroso. E, chiunque fosse, se lo sentì accanto alla sua destra:

«Fatti vedere! Figlio di puttana! Fatti vedere in faccia! Vigliacco!».

Da dove le provenisse tutto quel coraggio proprio non lo capiva. Forse, dopotutto, non era coraggio ma quell’unico moto istintivo a voler sopravvivere che coglie chi sente di non aver più nulla da perdere, nulla o, al contrario, tutto, e combatte fino in fondo per proteggerlo.
Rimanere in silenzio non l’avrebbe salvata, né tantomeno urlare in preda alla disperazione come stava facendo. L’unica consolazione che le dava era riuscire a liberarsi da quel senso di terrore cieco da cui non voleva lasciarsi impadronire, dopotutto.
La presenza accanto a lei si fece più vicina.

Aveva la sensazione che ora si fosse chinata verso di lei.
Lei non poté scostarsi, liberarsi. Nulla, se non stare là immobile, in preda a quella paura che non poteva e non sapeva controllare. China sopra di lei, ne sentì il respiro calmo fra il collo e la gola. Un lento respiro con cui sembrava impadronirsi del suo odore, sopra ogni cosa.
Come poteva rimanere così calmo, quel qualcuno, mentre a lei il respiro sembrava essersi fermato così a lungo da farle credere che l’ultimo l’avesse abbandonata già da tempo? Stava giocando con lei.

Si sforzò di concentrarsi su un pensiero, un unico forte pensiero che le desse la forza e la volontà di ribellarsi fino a che ne avesse avuto la possibilità. Doveva guardarlo in faccia. Fosse stata anche l’ultima cosa prima di finire, doveva guardarlo in faccia e sputargli tutto il desiderio di vendetta che stava impadronendosi di lei.
Non sapeva cosa avrebbe fatto, forse nulla rimanendo in quello stato ma finché avesse avuto fiato in corpo, non gliela avrebbe data vinta. Mai.
Stava concentrandosi solo su questo pensiero quando ad un tratto si sentì sfiorare da qualcosa lungo il polso ed il braccio. Forse la sua mano. Rabbrividì. Il respiro lento e costante ora lo aveva nel suo orecchio.

Nessun affanno, nessun accenno di ansia in quel respiro: «Dimmi almeno cosa vuoi.»

Da dove le veniva quel momento di lucidità con cui stava ponendogli la domanda? Non lo sapeva. Forse sempre quel pensiero fisso, forte che, ora, mentalmente, stava ringraziando. Il respiro ebbe un attimo di accelerazione e poi delle labbra accanto al suo orecchio:

«Voglio giocare con te e fare una scommessa».

Un uomo. La voce era maschile. Profonda. Calma come il respiro che continuava ad alitarle addosso. Non tradiva in nessun istante incertezza o tardivo rimorso per quella costrizione cui stava sottoponendola.
Laura sgranò gli occhi in quel buio pesto, solo per istinto, poiché quel gesto era solo a proprio uso e consumo. Lui non poteva beneficiarne:

«Sporco vigliacco, credi che io voglia giocare con te? La tua scommessa, ficcatela su per il culo!».

Ora le dita di lui le si serrarono senza forza ma solo con decisione attorno alla sua gola. Erano calde, asciutte. Decise come quella presa. Ancora le sue labbra accanto al suo orecchio:

«Shhh … calmati. Prima dovresti ascoltare la scommessa. Se poi scoprissi che avrebbe potuto interessarti senza aver accettato, rimarresti delusa. Non vuoi sentirla?».

No che non voleva! Voleva aggrapparsi alla sua, di gola, e strappargliela con le unghie, fargli provare la sua stessa paura di quel momento! Ecco cosa voleva. Invece, non riusciva a dirglielo.
Paura, istintiva voglia di condiscendenza per poter capire se fosse un pazzo o cosa? Non lo sapeva. Non gli rispose. Sapeva quanto fosse inutile. Il gioco, al quale lei non voleva partecipare, era già iniziato senza che lei potesse scegliere.
Poteva solo attendere la prossima mossa, fino a quando non fosse toccato a lei, giocare.
Il suo gioco, non gli sarebbe piaciuto.

«Continui a volermi indispettire, Laura. Ma io ho la pazienza dei veri giocatori. Chissà tu quanta ne hai. Scopriremo anche questo».

Allentò la morsa portando le dita calde dalla gola alla pelle morbida poco sotto. Il respiro di Laura accelerò, oramai incontrollato. Cercò di non pensare, non pensare. Ma non riusciva. Sentiva le dita scorrere piano in quella oscurità. Fino a fermarsi poco sopra il seno.

«La scommessa. Scommettiamo che ti piacerà il gioco che ti propongo? Non mi aspetto una risposta. Non verbale, almeno. È un gioco che richiede pazienza. Ma la ricompensa vale ogni istante di quella pazienza».

«E questo gioco, prevede sempre il buio totale? Hai paura che guardando in faccia gli altri giocatori ti passi la voglia di arrivare fino in fondo?»

«Non preoccuparti, tra un po’ ti guarderò. Tutta. In ogni angolo. Aspettavo solo che tu fossi completamente vigile».

Laura lo sentì allontanarsi, in attesa della prossima mossa. E quella mossa non tardò ad arrivare.
Una tenue luce rosata invase quel luogo che, temeva, potesse rivelarsi una prigione inespugnabile. I suoi occhi non vennero colpiti bruscamente, era troppo lieve per farle male. Un occhio di riguardo del suo carceriere per non farla soffrire? Avrebbe riso di gusto se la situazione non fosse stata così maledettamente critica.
Si abituò a quel nuovo cambiamento e scrutò intorno. Di lui non c’era traccia. Le pareti di un colore quasi scuro di cui non distingueva l’esatta tonalità erano lo sfondo del suo carcere.

Cercò di alzare lentamente la testa per scoprire ulteriori particolari. Restò inorridita, guardandosi.

«Sì, la luce scopre tutto, Laura. Hai chiesto tu di accenderla». La voce le giungeva alle spalle, ora.

Laura si accorse, guardandosi stesa su quel tavolo, che era completamente nuda, a parte il perizoma che ricordava vagamente di indossare da non sapeva più quante ore, lunga distesa, i polsi e le caviglie bloccate nelle morse di acciaio. Quella morsa gelida subito sotto il seno pieno. Anche ora, mentre respirava affannosamente come durante una spossante corsa, vedeva il proprio seno riempirsi e poi espirare. Non capiva, e si maledì per la reazione dei suoi capezzoli duri in quel momento. Non ne capiva la ragione e non voleva in realtà conoscerla.

«Ah, Laura Laura … sembra che il tuo corpo ti stia tradendo. Pare che il gioco stia già iniziando».

«Sono solo brividi, bastardo. In questo posto si gela».

Non era vero, lei lo sapeva. Erano i brividi di paura mescolati a qualcosa che non decifrava. Rabbia, terrore, impotenza. Lui si portò di lato, nuovamente, mentre Laura lo seguì con lo sguardo. E il suo corpo reagì ancora senza nessun freno, senza controlli.
Era nudo dalla cintura in su.
I suoi jeans aderenti gli fasciavano le cosce, l’unica parte inferiore che riuscisse a vedere appena da quella posizione. Per il resto, il suo torace era nudo, glabro, fatto di soli muscoli. Sulle braccia, ancora muscoli. Se li avesse toccati standogli di fronte, ci si sarebbe aggrappata, per provarne la forza, sentirne il guizzare fra le mani.

Pensieri impossibili. Pensieri da cui non avrebbe dovuto farsi impadronire neppure per un solo istante. No, sapendo che riguardavano il suo carceriere. E poi lo sguardo andò su. Lungo il collo. Fino al viso. Coperto, come c’era da aspettarsi. Un passamontagna. Non avrebbe potuto immaginare diversamente, data la situazione. Almeno così, poteva sperare di uscirne viva. Almeno in parte, viva. Il passamontagna non copriva tutto. Lasciava liberi il suo naso, aquilino, le sue labbra, piene e lisce.

Si maledì ancora per ciò che il suo cervello stava immaginando. A quelle immagini il corpo reagì indecentemente. E poi gli occhi, scuri, vivi. E freddi al contempo. Poteva esserci una tale mescolanza di sensazioni in un solo paio di occhi sconosciuti?

«Vigliacco fino in fondo, vedo».

«Non lamentartene. È un bene, per entrambi. Altrimenti il gioco potrebbe diventare compromettente».

Lei voltò di scatto il viso, chiuse gli occhi nocciola e, sospirando, attese ancora un’altra mossa. Se si fosse opposta al gioco duramente, ne sarebbe uscita più morta che viva. Ma arrendersi non era nella sua indole. Gli avrebbe reso il gioco duro. Per nulla facile come probabilmente immaginava o sperava.

«Non sbraiti più, mia bella regina?»

Si voltò nuovamente verso di lui con un odio feroce negli occhi.

«Non sono una regina, né tantomeno tua. Sbraitare … vediamo … altra scommessa … scommettiamo che hai immaginato il gioco troppo facile?».

Si chinò nuovamente sopra di lei ma stavolta la luce permise a entrambi di guardarsi, occhi negli occhi mentre le parole scorrevano lente fra loro. Lui la fissò. Lei si sentì in preda a qualcosa di anomalo cui non voleva e non sapeva dare un nome: si oppose con ogni fibra del suo essere a quell’incredibile languore che le provocava. Non doveva, non voleva cedergli. I suoi occhi brillarono improvvisi mentre le rispondeva a pochi centimetri dal suo viso:

«Un gioco facile non è un gioco che valga la pena giocare, mia regina. E da te mi aspetto tutto tranne che tu voglia rendermi il gioco facile».

Continua ...
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