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GLI INFOIATI DEL TERZO PIANO (Prima Parte)


di La_Lilla
10.08.2022    |    8.268    |    8 9.6
"Vedo che prende qualcosa dal suo portafoglio..."
Andavamo all’università assieme, io e Asia, e frequentavamo le stesse compagnia. Ad oggi è la sola amica che sappia tutto di me, del fatto che mi travesto e che sono sempre in cerca di nuove avventure.
Lei è spostata da circa dieci anni con Mattia, un ragazzo gioviale e allegro, con cui ho un ottimo rapporto. Non ci vediamo spessissimo per via del fatto che abitiamo a cinquanta chilometri di distanza, però ogni tanto organizziamo delle cenette da qualche parte.
Questa volta però Asia mi chiama perché le servirebbe un favore.
“Dimmi pure”, le faccio. “Se posso, non è un problema”.
“So che in questo periodo sei a casa”, mi fa. “Volevo chiederti soltanto un piacere enorme; siccome io e Mattia andiamo via un paio di giorni, mi servirebbe qualcuno che venisse qui e desse da mangiare al mio micio: non posso lasciarlo a casa da solo due giorni. Ho pensato a te”.
“Ma… ma certo”, ho detto, anche se un po’ titubante. “Non c’è problema. Quando partite”.
“Dopodomani. Torniamo lunedì”.
Rifletto.
“Due giorni giusti… Sì può fare, sì. Poi sai che io amo i gatti”.
“Infatti, è anche per quello che abbiamo pensato a te”.
“Okay, dai. Vengo lì da voi dopodomani. Mi porto un po’ di roba…”.
“Non ti portare niente di che”, fa. “Il frigo è pieno di ogni ben di dio. Non ti preoccupare”.
“D’accordo”, dico, “allora ci vediamo là”.
“Sì, e grazie ancora. Sei super”, dice lei.
“Che vuoi che sia. Ciao”.

Quel giorno mi presento sotto casa di Asia con la mia valigetta e suono il campanello. Abitano in una piccola palazzina di tre piani, in una zona residenziale molto carina.
“Sì, sali”, mi fa.
Salgo con l’ascensore e raggiungo il loro appartamento.
Non sono en femme, quindi Asia mi chiama per nome. Sono molto gentili, come sempre; mi mostrano l’appartamento, che conosco già, e mi dicono che posso tranquillamente dormire sul loro letto matrimoniale, che hanno sostituito le lenzuola e le fodere quel giorno stesso.
Li ringrazio e dico loro di non preoccuparsi per me.
Dopo mi presentano MisterOne (strano nome per un gatto, ma tant’è): un micione nero sempre in cerca di coccole e, a quanto pare, assai affamato.
“Non ti preoccupare per lui, è come se non ci fosse”.
“Vedo, sì, che è tranquillo”, dico.
“Te lo avrei portato anche a casa”, dice Asia. “Ma come tutti i gatti non ama molto i cambiamenti, sai”.
“Sì sì, figurati. Va benissimo così”.
“Perfetto”, fa Matteo. “Allora possiamo andare”, dice ad Asia.
I due mi salutano e se ne vanno.
In casa restiamo solo io e MisterOne che non sembra badare molto a me, infatti preferisce raggomitolarsi e dormire.

Verso sera esco per andare a mangiare qualcosa: non mi va proprio di mettermi a cucinare in casa d’altri. Sulle scale trovo un tipo, sui quarant’anni, appena uscito dall’abitazione accanto a quella di Asia e Mattia. Mi saluta e scende le scale velocemente.
Rientro verso le ventidue e, stanca morta, decido di andare a letto.

Il giorno dopo, sabato, mi alzo verso le nove e faccio colazione, do da mangiare a MisteOne che da un pezzo mi gironzola intorno, svuoto la sua lettiera e poi guardo un po’ la tivù.
Fuori c’è un bel sole; siamo a luglio e fa un caldo torrido. L’appartamento di Asia ha una bella terrazza panoramica, divisa con quella degli inquilini dell’abitazione accanto.
Le due terrazze sono separate da un grosso strato di plexiglass, striato, che impedisce la visuale dall’altra parte.
Decido di prendere un po’ di sole en femme, come piace a me.
Apro la mia valigetta e trovo il costumino che ho comprato la settimana prima. Un due pezzi molto stringato, color oro. Me lo metto, esco in terrazzo e mi stendo sul bel lettino a sdraio che hanno là (segno che anche loro prendono il sole qui). In effetti si sta benissimo. Il sole batte forte e ci si può abbronzare bene.
Chiudo gli occhi e mi godo il sole. Dopo una decina di minuti che sono lì sdraiata, accade una cosa strana. Vedo comparire, tutto a un tratto, uno specchietto, del tutto simile a quelli retrovisori che si usano nelle motociclette, che esce alla destra del plexiglass. Capisco che qualcuno di là mi sta sbirciando. Mi alzo e, mentre mi avvicino, lo specchietto sparisce e, con esso, anche chi lo sosteneva.
Spioni, penso. Ma che razza di vicini? Lo faranno anche con Asia. Sicuramente. E Mattia non se ne è mai accorto? Boh.
Torno a sdraiarmi e mi assopisco.
Quando mi sveglio e apro gli occhi vedo ancora lo specchietto puntato.
“Ehi”, dico, “voi, di là. Cosa volete. Smettetela di spiarmi”.
Con tutta risposta, vedo lo specchietto che sparisce di nuovo.
Leggermente irritata dalla situazione torno in casa e, sudata come sono, decido di andare a farmi una doccia.
Entro in bagno e mi siedo sul water per fare pipì.
Prima che finisca, sento qualcuno che bussa. Ma non alla porta. Dentro il bagno.
Sento l’inconfondibile rumore delle nocche che battono su del legno. Ma non riesco a capire da dove provengano quei colpi.
Mi alzo, tiro l’acqua e mi guardo intono.
È un bagno bello grande, con una specchiera enorme al centro. Ci sono degli scaffali su cui Asia ha appoggiato le sue creme e diverse ante di legno. Le apro tutte, ma dentro ci trovo solo detersivi e prodotti per la pulizia. Solo una di queste ante è appoggiata alle piastrelle. È circa a cinquanta centimetri dal pavimento, vicino al bidet. La cosa strana è che è chiusa con un lucchetto, ma sembra che Asia o Mattia, non so, si siano dimenticati di togliere la chiave: infatti è appesa.
Sento bussare di nuovo. È evidente, ormai, che il rumore provenga da quello sportello.
Stacco il lucchetto e lo apro.
Con mia immensa meraviglia noto che c’è un buco all’interno, abbastanza grande da permettermi di guardarci dentro e vedere la stanza dell’appartamento accanto.
Non capisco il senso della cosa. Faccio per richiudere il portello quando, proprio in quel momento, vedo spuntare un cazzo; una bella verga in erezione affacciata al bagno.
Resto in osservazione del cazzo qualche secondo. Quello dall’altra parte lo muove contraendo i muscoli del culo.
È un mio difetto, lo so, ma non riesco a resistere di fronte a un cazzo simile in erezione: devo succhiarlo. Mi inginocchio e lo prendo tutto in bocca, fino alle palle. Quando vedo un cazzo, è come se qualcuno mi avesse offerto un giocattolo: ci gioco, me lo lecco, ciuccio la cappella, lo sego… Vado avanti così una decina di minuti, finché non sento tutto il suo succo salato in bocca. Lo sputo fuori, sul bidet: un’abbondate colata di sborra, non c’è che dire.
Mi alzo e il cazzo sparisce dietro lo sportello. Guardo dentro e vedo che lo sportello dall’altra parte è chiuso.
A quel punto decido di farmi una doccia. Mentre sono sotto il flusso di acqua tiepida, penso a quel cazzo e al fatto che probabilmente anche Asia succhia il cazzo del vicino, magari all’insaputa di Mattia. Ma poi ripenso a dov’è posizionato lo sportello, al fatto che il tipo dall’altra parte ha bussato, prima di infilare il cazzo… Come poteva sapere che ci fossi io o Asia in bagno e non Mattia? Forse, boh, penso, conosce gli orari di lavoro di Mattia, e bussa quando sa che Asia è in casa da sola. Ma oggi, non sapeva che in casa c’ero io? Ma certo che lo sapeva: mi ha spiato in terrazza. Forse avermi vista in terrazzo lo aveva eccitato. Può essere benissimo che spii anche Asia in terrazzo, che lei lo sappia e che lo incoraggi a farlo.
Esco dalla doccia con la testa confusa da tutti questi pensieri. Sono troppo eccitata, al momento, e quando sono così eccitata devo assolutamente travestirmi. Quindi vado a prendere le mie cose nella valigia e me le metto. Torno in bagno e mi trucco e sento… toc, toc.
Bussa, di nuovo?
Mi abbasso e riapro lo sportello.
Spunta di nuovo un cazzo: un altro cazzo. Non è quello di prima.
È tutto fuori dallo sportello, palle comprese. Mi chino e lo lecco. È duro come la pietra, e lo succhio per bene. Poi, infoiata come una cagna, vado a prendere i preservativi che tengo sempre nella borsetta, ne infilo uno su quel grosso cazzo, mi volto, scosto il filetto del perizoma, e me lo faccio scivolare, lentamente, in culo. Quando è dentro avverto, distintamente, che quello di là inizia a pompare. Ho il culo appoggiato alle piastrelle, praticamente, e tutto il cazzo in culo dello sconosciuto, che pompa con foga. Sono piegata in avanti e godo come una troia. È un cazzo meraviglioso, grosso, e mi sta aprendo in due. Spero che non smetta mai.
Dopo venti minuti di su e giù, sento che se ne viene. Mi sfilo la verga dal culo e la vedo sparire di nuovo dentro il vano.
Dunque sono due, penso. O sono di più?
In ogni caso non è neanche mezzogiorno e ho già svuotato due cazzi. Il che non è da me, perché preferisco scopare di pomeriggio o di notte.
Vado a darmi una pulita e torno in salotto. Accendo la tivù e faccio il giro dei canali. Sento bussare di nuovo, questa volta però alla porta.
Mi alzo e mi avvicino.
“Sì”, dico. “Chi è?”.
“Sono l’inquilino che abita di fronte a lei. Scusi se la disturbo”, dice, “volevo solo informarla che, in quanto rappresentate di condominio, devo farle firmare la carta di accettazione per la ristrutturazione della facciata”.
“Ma abita qui accanto?”, dico io, pensando che fosse uno dei due porci infila cazzi.
“No, di fronte”.
“BÈ ”, gli rispondo sempre attraverso la porta. “Al momento sono ospite di Asia e del marito”, faccio, “loro torneranno lunedì. Non credo di poter firmare questa carta”.
“Oh”, fa, “non si preoccupi. Mi ha appena mandato una vocale Mattia, scusandosi di essersi dimenticato della firma, e dicendomi che poteva firmarla lei, a suo nome”.
“Non ne so niente. Asia non mi ha detto di ‘sta cosa. E poi non faccio firme false io. Perché non la fa lei”, ribatto.
“No, io non potrei mai. Andrei nei casini”.
“E io no?”.
“No, se ha l’avvallo del proprietario dell’appartamento”.
“E non poteva darlo a lei?”.
“No, sono rappresentate e presidente di condominio. Non posso proprio farlo”.
“Aspetti un attimo”, gli dico. Vado a prendere il cellulare e controllo i messaggi. In effetti ho un messaggio su whatsapp da parte di Asia che dice: Se non è chiederti davvero troppo, puoi firmare la carta per la ristrutturazione? Matteo, che è un zuccone, si è dimenticato di firmarla prima di partire. E al rappresentate di condominio serve stasera stessa.
Un po’ contrariata vado ad aprire la porta, dimenticandomi persino di essere en femme.
“Oh salve, signorina”, fa l’uomo.
“Salve. Dunque dov’è questa carta?”.
“Non vorrà firmarla qui in piedi?”.
“Perché no”, rispondo.
“Perché in realtà ci sono quattro firme da apporre”.
“D’accordo”, dico furiosa. “Entri”.
L’uomo entra e appoggia le carte sul tavolo.
“Deve mettere una firma qui, una qui… dove vede la crocetta rossa”.
“E a che nome firmo?”, domando.
“Veda lei. Metta il nome di Asia”.
Mi piego in avanti con l’uomo dietro per firmare. Non so che firma abbia Asia, faccio degli scarabocchi. Dimenticavo di dire che mi ero messo la minigonna più mini che avevo e che, piegandomi in avanti, con tutta probabilità avevo scoperto il culo, per la gioia del signore dietro di me.
“La ringrazio”, mi fa raccogliendo le carte. “Posso dirle che lei è veramente molto carina ed eccitante?”.
Sorrido.
“Ci sta provando?”, gli chiedo.
Bisogna notare che stiamo parlando di un signore più verso i settanta che i sessanta. Un uomo distinto e vestito bene, con camicia e pantaloni classici, nonostante il gran caldo.
Lui si mette a ridere.
“Sì, figuri”, fa, “era soltanto un apprezzamento, il mio”.
Lo guardo.
“Scusi, voglio farle io una domanda, adesso”.
“Prego. Mi dica”.
“Ma non ha caldo vestito così?”.
“In effetti sì, un po’ sì. Se vuole mi spoglio”, butta là.
Se riuscivo a svuotare anche il terzo nel giro di un’ora avrei fatto una specie di record, pensavo.
“Veda lei”, dico.
Ci davamo del lei perché siamo, a tutti gli effetti, l’un per l’altro due sconosciuti.
“In questo caso”, fa lui, liberandosi dei vestiti, e buttando per terra le carte firmate, “non ho molta scelta”.
Guardo in basso: ha il cazzo semiduro negli slip.
“Io sono un bel porcello, sa”, mi dice. “Ha sbagliato a provocarmi”.
“Vedo”, dico io. “Ma non credo di aver sbagliato. Affatto”.
Mi mette le mani ai fianchi e cerca di baciarmi.
“No, no”, dico. “Non amo le smancerie, io. Bacio solo il mio ragazzo”.
Si scusa e mi fa. “Ce l’ha?”.
“No, è proprio quello il punto”.
È uno uomo abbastanza robusto, parecchio sopra il metro e ottanta. Mi prende di nuovo per i fianchi, mi alza, e mi mette a sedere sulla tavola.
Con un gesto veloce mi spinge indietro, facendomi appoggiare la schiena alla tavola, mi tira su la gonna fino ai fianchi e mi allarga le gambe.
“Visto che lo le piacciano le smancerie”, mi dice, “rompiamo il culo”.
Si abbassa gli slip e va verso i suoi pantaloni. Vedo che prende qualcosa dal suo portafoglio.
Torna, si gomma. E me lo sbatte dentro.
Per fortuna il tavolino è appoggiato al muro, sennò con i colpi decisi che mi rifila si sarebbe spostato per tutto l’appartamento. In quel momento MisterOne sale sul tavolo. Lo guardo. Il signore neanche lo nota. Il gatto mi fissa come se stesse pensando: sei proprio una cagna. Poi se ne va.
“Le piace tutto in culo?”, mi chiede.
“Sììì.”, gli rispondo. “Me lo rompa”.
“Ci sto provando”, dice, “ma lei è bella larga”.
“Più forte, mi faccia squirtare”, lo incito.
L’uomo comincia a darci dentro in modo vigoroso. Sono in visibilio. È più resistente di quanto immaginassi.
Dice solo, ripetutamente, “tutto dentro, tutto dentro”.
Io rispondo: “Sì, tutto dentro”.
Poi lo sfila e mi dice se mi accomodo sul divano ché vuole cavalcarmi da dietro.
Vado sul divano e gli porgo il culo aperto.
“Una voragine”, dice, sbattendomelo dentro di nuovo e accelerando il ritmo.
Adesso è infoiatissimo. Ansima pesantemente. Io vengo nelle mutandine, ma lui neanche se ne accorge. Non si rende conto nemmeno che urlo dal godimento.
“Mi faccia venire ancora, la prego”, dico, supplicandolo.
Lui però è esausto ed è lì lì per venire. Infatti sfila il cazzo, si toglie il cappuccio e mi sborra sul buchetto. Una sborra caldissima e densissima. Giallastra.
Poi si tira su le mutande prima che io possa girarmi, e cerca i suoi vestiti.
Si riveste e raccoglie le carte buttate a terra.
“BÈ ”, fa, “arrivederci allora. Spero quanto prima. Ora faccio il giro degli altri condomini. È stato un piacere”.
Io, in piedi, con la sborra lungo le cosce, gli dico:
“Se ne va così? Volevo venire di nuovo”.
“Mi dispiace”, fa, “ma devo assolutamente depositare queste carte entro stasera, e non sono neanche sicuro di trovare tutti i condomini a casa. Lei capisce”.
“Certo, certo. BÈ , peccato. Anche se non credo ci sarà un’altra occasione”.
Fa spallucce.
“Pazienza”, dice. “Arrivederla”.
Lo accompagno alla porta e chiudo.
Mentre vado a lavarmi penso: trattata come una squallida troia. Usata e buttata. Mi piace, penso.

Getto il profilattico dell’uomo nel water (anche se so che non si fa) e tiro l’acqua. Ormai è quasi l’una e devo ancora prepararmi qualcosa da mangiare. È che quando sono così eccitata, non ho fame. Quasi mai.
Mi faccio un bidet mentre con lo sguardo tengo d’occhio lo sportello, nella speranza di sentire di nuovo qualcuno che bussa. Sono venuta una volta, ma ho bisogno di essere sfondata ancora. Non sono soddisfatta.
Mi alzo e asciugo il culo e sento… toc, toc.
Apro di scatto lo sportello.
Un altro cazzo ancora.
Mi ci tuffo come la più lurida delle vacche e lo succhio fino a farlo diventare di marmo. Poi gli infilo il profilattico, mi volto, e mi faccio sfondare.
Il tipo dall’altra parte dà dei colpi secchi decisi e io vengo una seconda volta. Poi una terza, sempre in piedi. Ho le mutandine zuppe. Lo lascio andare avanti, fino a sfinirmi. Sento le gambe che mi tremano; quasi crollo a terra. Mi tengo dura al lavello. Ne voglio ancora. Neanche lo sapesse, quello dall’altra parte del muro comincia a stantuffare più forte ancora, probabilmente perché sta per venire. Vengo io, ancora, un piccolo fiotto, nelle mutandine. Poi viene anche lui, lo capisco. Mi volto di scatto e gli afferro il cazzo. Lui lo ritrae e mi resta il profilattico in mano pieno di sborra. È veramente colmo. Tremo tutta e sono talmente infoiata che non resisto e lo svuoto in bocca. Una super sborrata, salatissima. Buona.
Mi faccio di nuovo la doccia e torno in salotto, nuda. Mi rimetto il costume e preparo una pastasciutta. In frigorifero ci sono degli affettati. Apro una busta e li mangio con i grissini. Do di nuovo le pappe a MisterOne, che è stato per gran parte del tempo sopra il letto matrimoniale a leccarsi, a parte il momento in cui è salito sulla tavola, e cerco di rilassarmi un po’.
Nel pomeriggio torno in terrazza, a prendere il sole.






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