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Raffaella giovane e bella schiava


di aipiedi
25.10.2022    |    14.169    |    5 8.8
"Come una furia l'avevo stesa sul divano, strappato i vestiti e mi ero messo a penetrarla come un mandrillo..."



Mia madre faceva la custode di un condominio civile in zona Lambrate a Milano. Io figlio unico vivevo da solo con lei.
Ero studente universitario e mi arrangiavo per guadagnare qualcosa con dei lavoretti. Con il solo stipendio di mia madre non si tirava avanti. Di mio padre nemmeno mi ricordavo. Ci aveva abbandonati che ero piccolissimo. Mia madre non ne parlava volentieri, ma ho saputo da chiacchere di gente del quartier che aveva la fama di artistoide, forse faceva il cantautore o il poeta, sconosciuto, squattrinato e col vizio della bottiglia.
Avevo notato quella ragazza, forse addirittura minorenne che, di tanto in tanto, veniva dal professore, un inquilino del quinto piano da tutti conosciuto come professore. Non ho idea cosa e dove insegnasse. Aveva certo la presenza autorevole che si confaceva alla qualifica che gli veniva attribuita. Abitava da solo e non si notava un andirivieni né diurno, né notturno di persone di sesso femminile e neanche maschile. Era quindi considerato un solitario, magari anche un po’ eccentrico. A parte questa ragazza che avevo notato, non molto alta, sotto il metro e sessantacinque, i capelli bruni ricci e un seno rigoglioso. Alle volte dalla polo che indossava intravedevo i capezzoli. All'inizio furono sorrisi (da parte mia) accolti con indifferenza. Dopo un timido saluto avevo cercato con poco successo di attaccare discorso. Stava sulle sue. Seguendola per un pezzo avevo notato che prendeva un autobus nelle vicinanze di casa nostra. Un giorno di primavera. La si notava anche nella grigia Milano. Decisi di avvicinarla, mi accodai a lei mentre raggiungeva la fermata del bus. Non poteva certo cacciarmi, ma tollerare la mia intrusione. Si vedeva, fra l'altro, che aveva un carattere mite e non era una sgalletata qualsiasi. S'esprimeva con proprietà e ricchezza di linguaggio. L'avevo capito anche se solo in dieci minuti. Le parlavo. Intanto l'autobus non arrivava. Una signora trafelata ci si avvicinò e ci avvertì che c'era in corso uno scioperone, l'afflusso dei mezzi era irregolare. Da qualche tempo a Milano gli scioperi non sono come negli anni 70 del secolo scorso. Con un po' di pazienza si può riuscire a viaggiare. Cercando di sfruttare l'insperato evento chiesi alla ragazza se volesse venire a casa mia, ovvero in portineria ad attendere orario migliore per viaggiare. A un suo diniego, la convinsi almeno ad accompagnarmi al bar.
Ci sedemmo all'aperto in un locale dove potevamo vedere la fermata del bus. Raffaella prese una cioccolata calda, io un caffè.
Mi disse che come me frequentava Filosofia alla Statale, lei però era matricola, mentre io laureando. In realtà in seguito seppi che era una bugia. Raffaella frequentava la seconda liceo classico, ovvero il quarto anno di quel tipo di studio. Il motivo della sua bugia era che aveva solo diciassette anni e non voleva far sapere la sua minore età.
Mentre sorseggiavamo le bevande, la guardavo di sottecchi. Era proprio sexy. Come non notare anche i suoi splendidi piedi in quei deliziosi sandali aperti. Immaginavo i tacchi di quelle arrapanti calzature sui miei capezzoli come faceva spesso una delle ultime ragazze che frequentavo. Niente a che vedere con la bellezza e anche alla classe di Raffa. Vide che stava per arrivare il suo autobus e sbrigativamente mi salutò.
Da allora, se non c'era mia madre che spesso di pomeriggio si
assentava dalla portineria, Rafaella si fermava da me o a bere un caffè, o una bibita e a fare quattro chiacchiere. Mia madre, che aveva l'occhio lungo, si era accorta di come guardavo quella ragazza e mi aveva avvertito che lei portava solo guai. Non avevo dato peso alle asserzioni e alle paure della mamma, pensando fossero frutto della sua gelosia per il nostro rapporto di figlio unico madre sola.
Un pomeriggio mi ero accorto che Raffaella sembrava non stare troppo bene. Lei non si sarebbe voluta fermare in portineria, ma aveva ceduto alle mie insistenze. Aveva un segno sul labbro, delle profonde occhiaie e dei segni inequivocabili di aver ricevuto schiaffi sul viso. Era scoppiata a piangere e si era sfogata dicendo che ”lui” quella volta aveva esagerato veramente. Lui chi? Naturalmente il perverso professore. Con naturalezza si era tolta la camicetta (non indossava il reggiseno) e mi aveva mostrato le bruciature di sigaretta su e vicino ai capezzoli. Come una furia l'avevo stesa sul divano, strappato i vestiti e mi ero messo a penetrarla come un mandrillo. Dopo una decina di minuti di una feroce scopata, estrassi il mio cazzo e le sborrai in faccia molta e calda sborra. Lei m’ invitò a metterle i i piedi in faccia che leccò con gusto e perizia. Ci sapeva davvero fare la porca! Mi lusingò dicendo che aveva goduto molto di più con me che col suo vecchio amante. Mi parlò di se stessa come di una schiava masochista. Certo era stufa delle attenzioni crudeli del professore, ma non le era nemmeno facile sottrarsi. La madre doveva parecchi soldi a quel maiale e non c'era verso di levarsi dalla sua “tutela”.
L'unica era continuare così o se preferivo partecipare ai giochi col
professore. A questa ultima eventualità non mi ci volevo adattare. Ma poiché mi sembrava che tutte le volte i segni sulla giovane fossero più intensi stavo valutando che se avessi partecipato ai festini del professore avrei potuto in qualche modo proteggerla o deviare le sue pulsioni sadiche su di me.
La volta dopo Raffaella mi mostrò la schiena con evidenti segni di frustate. Nel vederle mi eccitai e la presi nel solito modo rude.
La ragazza si era accorta che mi eccitavano i segni dei maltrattamenti su suo corpo. Non potevo negarlo il sadomasochismo mi eccitava non poco.
Mi aveva detto di avere parlato di me al professore che l'aveva anche punita perché aveva fatto sesso con me. Le aveva vietato di farlo se non in sua presenza. La volta dopo che ci vedemmo lei mi si negò e menomale perché subito dopo sopraggiunse mia madre che fu molto fredda con lei e poi mi sgridò perché frequentava quella troietta. Troietta? Mia madre sapeva qualcosa di lei e del professore? Facile poiché la mamma un paio di volte alla settimana riassettava casa sua.
Il professore aveva detto alla sua schiava che voleva vedermi da solo la prima volta. Suonai a casa sua un pomeriggio che c'era mia madre. Non si poteva lasciare la portineria incustodita. Naturalmente non le dissi dove andavo davvero.
Il professore era un uomo imponente, non grasso ma robusto e tonico, dimostrava più di cinquant’anni.
Mi disse di essere etero, ma alle volte non gli dispiaceva inculare dei giovani maschi. Io non andavo bene, li preferiva più giovani.
- A me non piacerebbe. Sono contrario a rapporti penetrativi fra uomini-.
– Se vuoi scoparti ancora la mia schiava ti dovrai ricredere e accogliermi nel tuo culo. Adesso spogliati! -
Ubbidii e subito fui nudo. Mi ordinò di inginocchiarmi e mi penetro con forza in bocca, scopandomi con violenza, quasi a soffocarmi e mentre mi scopava in bocca mi schiaffeggiava. Trovavo quella situazione assurda, ma non spiacevole come avevo pensato. Non ci volle molto che mi sborrò in faccia. Poi mi mise sul viso i piedi da leccare, puzzavano un po'. Li leccai da bravo schiavo. Poi mi cacciò di casa e col viso e la bocca impiastricciata dalla sua sborra tornai in portineria. Per fortuna riuscii a chiudermi in bagno senza incontrare mia madre.
Quando il giorno dopo rividi Raffaella, si rifiutò d'entrare in portineria. L'accompagnai alla fermata dell’autobus. Mi chiese dell'incontro col professore e mentre gli parlavo sorrideva. Che stronza!
Il giorno dopo al telefonò. Mi informò che il professore ci aspettava entrambi da lui nel pomeriggio. Meno male che mia madre quel giorno non doveva uscire.
Alle due e mezza suonavo alla porta del professore, Raffaella non era ancora arrivata. Il master mi ordinò di spogliarmi nudo e di muovermi a quattro zampe. Prese a insultarmi con ferocia e senza risparmiare le parolacce. Mi ero accucciato ai suoi piedi che mi mise in faccia ordinandomi di leccarglieli.
- Sei una troia, una brava succhiacazzi- mi diceva mentre mi
schiaffeggiava coi piedi. Suonò il campanello, era Raffaella, venuta a prendere a mani basse godimento, condito da violenza e sopraffazione.
La performance del non più giovane docente fu notevole. Ci costrinse a succhiarlo insieme e io e Raffa eravamo una batteria ben assortita. Non ci risparmiò schiaffi, cinghiate, ma anche sputi e infine ci pisciò addosso e ci costrinse ma leccare il suo piscio sul pavimento. Poi ci cacciò senza permetterci nemmeno di fare una doccia. Per me non c’era un problema, ma per Raffaella. Come faceva ad andare a casa in autobus in quelle condizioni. Insistendo riuscii a farmi prestare l’auto da un ragazzo che abitava nel mio stabile. Mossa sbagliata perché gli dovevo un favore e quello di certo non mi avrebbe risparmiato. Guidavo come un pazzo nel traffico milanese e ebbi la sfortuna di essere fermato da due agenti motociclisti della polizia locale che ci fecero scendere, accorgendosi che puzzavamo di piscio. Raffaella ebbe la presenza di spirito di dire che dei nostri amici ci avevano fatto uno scherzo. Perplessi i due ci lasciarono andare senza farci la multa e commentando che avevamo deli begli amici. Continua












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