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Gay & Bisex

Lo Spettatore.


di Membro VIP di Annunci69.it GSAwNSA77
29.03.2017    |    14.017    |    10 9.7
"La posizione del sole indicava appunto che era ora di andare a prendere il bus delle 18..."
Era quasi ora di tornare a casa. Anche oggi l’ombra della sua figura seduta sulla panchina che si allungava sull’erba gli indicava che erano più o meno le 18.00, ora in cui solitamente doveva iniziare a incamminarsi per prendere il bus che l’avrebbe riportato a casa per l’orario di cena. Era una persona particolare, rispettava scrupolosamente il tempo ma allo stesso tempo riusciva a non esserne schiavo, infatti quando usciva di casa non aveva mai con sé un orologio né possedeva un cellulare.
Quel pomeriggio di fine maggio successe qualcosa che cambiò la vita di Gerardo, perse per la prima volta dopo tanti anni di rigore la cognizione del tempo.

Gerardo era un pensionato di 76 anni, si era sempre preso cura del suo corpo e della sua mente ed era arrivato a quell’età abbastanza in forma. Aveva un fisico alto e slanciato, un po’ ricurvo a causa del peso della vita, occhi grigi sempre protetti da occhiali da sole scuri, pelle chiara e una folta chioma color cenere.
Come molti anziani, viveva da solo e trascorreva le sue giornate libere da qualsiasi impegno con una regolarità, una precisione e una puntualità che facevano paura. Ogni giorno si alzava alle 7.30 in punto senza dover mettere la sveglia, si lavava, vestiva e faceva colazione con caffè e cereali. Alle 8.00 passava da Gino all’edicola a comprare il giornale e un succo d’arancia, prendeva il bus delle 8.13 e alle 8.45 scendeva alla fermata di Villa Argentina, dove entrava nel parco pubblico, faceva la sua solita passeggiata e arrivava alla sua panchina esattamente alle 9.30. Si godeva l’aria fresca, contemplava il canto degli uccelli, leggeva il giornale e beveva il suo succo. Era preciso come un orologio svizzero.
Ripeteva ogni giorno la stessa routine, le stesse abitudini, percorreva gli stessi passi, giorno dopo giorno il medesimo rito da oltre cinque anni. Iniziò a essere così abitudinario da quando morì sua moglie e rimase completamente solo. Infatti, non ebbe mai figli e il suo unico fratello si trasferì all’estero con la famiglia quando erano ancora giovani. La solitudine era diventata la compagna della sua vita, ma paradossalmente non si sentiva mai solo, il parco con le sue bellezze e tutti quelli che lo frequentavano (pur non interagendo con lui) gli tenevano compagnia. Osservava le abitudini delle persone, ne decifrava i tratti caratteriali e ne riconosceva gli umori: chi aveva appena litigato con la moglie e chi aveva ricevuto una promozione o una bella notizia. Di tanto in tanto si lasciava trasportare dai ricordi del suo passato immedesimandosi nella vita degli altri.
Ogni giorno frequentava quel luogo di una bellezza incontaminata, ci trascorreva l’intera giornata e vedeva tutto come se fosse uno spettatore della vita.
Conosceva il parco meglio di chiunque altro: la sua morfologia, la sua storia e i suoi segreti più profondi. Non gli sfuggiva niente. Lui conosceva tutto e tutti ma nessuno conosceva lui. L’anziano passava inosservato, era discreto e non attirava mai l’attenzione. Si muoveva tra le viuzze come un’ombra e quando si sedeva sulla sua panchina preferita, era come se si mimetizzasse con il marrone del legno.

Gerardo per trascorrere le sue lunghe giornate, sceglieva sempre la stessa panchina un po’ discosta dal traffico della gente, rialzata da una leggera collinetta e schermata da qualche arbusto e due enormi platani che gli facevano ombra durante le calde giornate estive. Era talmente legato a quel posto che cinque anni prima incise sullo schienale della panchina il suo nome, come se fosse riservata per lui.
Da quella posizione, indisturbato osservava i diversi punti strategici del parco: da molto lontano scorgeva i due cancelli d’accesso, quello est e quello nord da dove era solito entrare; vedeva tre dei principali sentieri che spesso la gente utilizzava come scorciatoia per tagliare due isolati della città; il parco giochi dove le mamme chiacchieravano mentre i bambini giocavano sugli scivoli e le altalene; un grande prato dove i cani a passeggio erano lasciati liberi per correre e saltare; e anche il segretissimo boschetto dei “vizi” dove la vegetazione era più fitta. Il boschetto dei vizi, come lo definiva lui, era la parte più sconosciuta e inesplorata del parco, la brava gente ci girava al largo, chi perché ignaro dei suoi segreti e chi invece sapeva e non condivideva quello stile di vita. Anche i giardinieri del parco (perlomeno quando al lavoro) non osavano entrarci giustificandosi tra loro “È pieno di rottinculo quel posto, io non mi piego a strappare erbacce lì dentro”. Per quel motivo la vegetazione poteva crescere fitta e nascondere scene e perversioni di ogni tipo che giornalmente contraddistinguevano quell’angolo di parco. Ma nulla sfuggiva agli occhi di Gerardo. Dalla sua postazione poteva distinguere chiaramente le figure di quegli uomini che durante la giornata si facevano largo tra i rami alla ricerca di una radura per gustarsi un cazzo o un culo vogliosi. Il posto era frequentato a qualsiasi ora principalmente da uomini maturi solitamente sposati con l’incessante bisogno di trasgredire, ci andava anche qualche giovane e occasionalmente si vedevano anche travestite e mercenari che però desistevano subito perché non trovavano terreno fertile.
A Gerardo piaceva scrutare i movimenti di quell’anfratto peccaminoso. Ogni tanto gli capitava di pensare a quanto non avesse vissuto appieno la sua vita, quante cose si era perso. Era sempre stato un brav’uomo, dedito al lavoro e fedele alla moglie, mai un cornino né con un’altra donna né tanto meno con un uomo. Anche se un pensierino in passato l’aveva già fatto.

Quella mattina non successe un granché, fino all’ora di pranzo fu tutto abbastanza tranquillo e Gerardo potette leggere il giornale in pace senza troppe distrazioni. Gli avventori del boschetto si alternavano, chi entrava in gran segreto senza farsi notare, faceva un veloce giro tra gli arbusti e abbandonava subito la scena per paura di essere visto, e chi si appostava appoggiato a un tronco e si masturbava in attesa di riversare le proprie tensioni in qualche bocca. A parte qualche fedele frequentatore la gente era sempre diversa ma le dinamiche, che Gerardo ormai conosceva bene, erano sempre le stesse. Sguardi vogliosi, mani in tasca per tenere alta la libido, inseguimenti e appostamenti tra gli alberi, seghe, pompini, dita nel culo e grandi scopate (ogni tanto anche in gruppo) si susseguivano ora dopo ora.
A fine mattinata l’attenzione di Gerardo fu catturata da un giovane poco più che ventenne, che dopo aver fatto qualche giro senza fortuna, abbandonò il boschetto con la classica aria insoddisfatta di chi non aveva combinato niente. “Peccato!” pensò Gerardo “Quello spettacolino non avrei voluto perdermelo” e tornò a concentrarsi sulle ultime pagine del quotidiano.
Quando le campane rintoccarono il mezzogiorno, Gerardo puntuale come d’abitudine andò lì vicino al ristorante di Maria, che lo aspettava ogni giorno e gli preparava un buon pranzetto con il solito bicchiere di rosso per pochi euro. Aveva poche persone di riferimento nella sua vita abitudinaria e Maria, come Gino dell’edicola, era una di quelle. Maria era come una figlia per lui, le raccontava gli episodi più particolari e buffi a cui assisteva nel parco, ma mai le confessò del boschetto e dell’eccitazione che provava quando era spettatore in prima fila di quelle scene piccanti. Dopo l’oretta di “pausa” Gerardo salutò Maria, tornò al parco e si risistemò a spiare i piaceri altrui sulla panchina.

Anche il pomeriggio trascorse tranquillo senza colpi di scena particolari a parte il divertente siparietto di una trans che uscì dai cespugli imprecando contro i rami che le avevano strappato le calze di nylon. Verso le 16.00 il boschetto iniziò a popolarsi, gli uomini che entravano erano di più di quelli che uscivano e le facce sembravano sempre più vogliose.
A un certo punto un grande agitarsi di foglie sui rami e il rumore di lamenti soffocati catturarono l’attenzione di Gerardo. Erano tre uomini alle prese con qualcuno che non riusciva a vedere perché nascosto da una roccia. Quel gruppetto era un concentrato di testosterone, tre corpi massicci e irsuti che si facevano succhiare il cazzo da una bocca libidinosa. L’eccitazione crebbe nei pantaloni di Gerardo; non c’era dubbio, questi spettacoli gli facevano provare emozioni e sensazioni indescrivibili, lo facevano sentire vivo.
Il più alto dei tre prese di peso il corpo dello sconosciuto che lo stava facendo godere di bocca e lo riversò seminudo sulla roccia prima di inforcarlo come uno spiedo. L’eccitazione dell’anziano si fece ancora più consistente quando vide che lo “sventurato” tra le mani di quegli orsi era il ragazzo della mattina. Mentre gli altri due incitavano l’amico a scoparlo sempre più forte, l’omone affondava ininterrottamente la sua verga nelle viscere del ragazzino. I colpi erano potenti e si distendevano in profondità in quel culetto. Il minuto corpo di quel biondino dall’aria innocente sussultava a ogni penetrazione scandita da qualche manata ben assestata sulle chiappe. Sembrava di assistere alla versione pornografica di “Masha e l’Orso”, cartone animato che probabilmente caratterizzò anche l’innocente infanzia del giovane.
“Forza! Spaccagli il culo a questo frocetto…” incitava uno, “Dai lasciane un po’ anche per noi!” lo riprendeva l’altro. Lo scoparono tutti e tre uno dopo l’altro e mentre uno era impegnato con il culo, gli altri due gli tenevano occupata la bocca e gli sputavano addosso insulti e umiliazioni. Però la cosa non sembrava dispiacere al ragazzo, la goduria era disegnata sul suo volto: sguardo eccitato fisso nel vuoto, respiri brevi e affannosi a bocca aperta, gemiti di piacere e una gran voglia di prenderne sempre di più. Fosse stato vent’anni più giovane, si sarebbe unito a quella fantastica orgetta; subito immaginò la scena nella sua testa e si massaggiò il cazzo duro.
Quella troietta era instancabile, insaziabile, non mostrava segni di cedimento sotto quei tre cazzoni proporzionati al resto del corpo. Non parlava, ansimava e i suoi versi gutturali li supplicavano di non smettere. Quando ormai quel buco di culo era sfondato e colava liquidi di ogni sorta, gli presero la testa bionda e la posizionarono in mezzo alle tre mazze bagnate dal piacere. Dopo qualche ceffone sulle guance, quasi contemporaneamente gli spruzzarono il loro nettare sulla faccia mentre lui con la bocca aperta e la lingua tesa in avanti cercava di assaporarne il gusto. Aveva il viso e i capelli ricoperti di sborra e sporchi di terra, guardava verso Gerardo: una faccia angelica deturpata dai peccati di quel posto. Il ragazzo non poteva vederlo, Gerardo ne era certo, lui era sempre stato trasparente agli occhi di tutti in quel parco.
I tre uomini dopo essersi saziati con quel buon barattolo di miele si ricomposero e se ne andarono discretamente come erano venuti. Il ragazzo cercò di ripulirsi alla meglio e si rivestì soddisfatto (o non ancora abbastanza). Anche per Gerardo era ora di andare. La posizione del sole indicava appunto che era ora di andare a prendere il bus delle 18.23 che lo avrebbe riportato a casa.

“Hey, vecchio!” sbottò da lontano il ragazzo rivolgendosi a Gerardo che sobbalzò per lo spavento. Pensava che non fosse possibile, nessuno si era mai accorto della sua presenza. Invece quel ragazzo corse nella sua direzione verso la panchina su cui era seduto. “Ti è piaciuto lo spettacolo, nonnino? L’hai pagato il biglietto?” gli chiese ironicamente. Gerardo era completamente impreparato, non sapeva cosa dire e fissava incredulo quel corpo celestiale che si ergeva davanti a lui. “Non sei un tipo di molte parole” continuò il ragazzo, “Ma ti tira ancora l’uccello alla tua età?” gli chiese lanciando un’occhiata al pacco dell’anziano. A quel punto Gerardo, offeso nell’orgoglio, annuì fiero con la testa e rispose “Sì, certo!”. “Bene” tagliò corto il ragazzo e senza alcuna esitazione si chinò davanti a Gerardo, gli slacciò i pantaloni e gli tirò fuori il cazzo turgido. “Complimenti, vecchio!” disse il ragazzo afferrando e contemplando le dimensioni della mazza eretta di Gerardo. “Ti dispiace se ti chiamo vecchio? Sai, sin da piccolo ho sempre avuto questa mia fantasia di essere punito da mio nonno perché non facevo il bravo. Nei miei sogni più erotici mi spogliava e mi scopava, ogni tanto mi legava, mi sculacciava e mi faceva di tutto per farmela pagare. Però purtroppo sono sempre stati dei sogni e mio nonno morì quando ero ancora piccolo.” il ragazzo sembrava sincero e Gerardo un po’ per non lasciarsi scappare quell’occasione e un po’ toccato dalla storia, gli rispose assecondandolo nelle sue fantasie “Chiamami come vuoi… comunque ho visto che poco fa hai fatto il birichino con quei tre maschioni, secondo me ti meriti una bella punizione”. “Scusa nonno” disse per risposta prendendo in bocca l’uccello del vecchio e lanciandosi in un pompino che nessuno oltre a sua moglie gli aveva mai fatto. Negli affondi Gerardo accompagnava con le mani la testa del ragazzo che sarebbe veramente potuto essere il nipote se avesse avuto figli. L’idea del gioco di ruolo lo eccitava molto e sentiva indurirsi il cazzo sempre di più dentro quella calda bocca esperta. Le labbra avvolgevano la cappella che scivolava nella profondità della gola. La saliva che non riusciva a essere contenuta colava abbondante dai lati della bocca. La lingua percorreva l’asta in avanti e indietro con piccoli movimenti circolari, rianimava ogni centimetro (e ce n’erano abbastanza) di quel cazzo che ormai era abbandonato al piacere di quelle nuove sensazioni. Gerardo osservava da dietro gli occhiali quel monello di suo “nipotino” all’opera e godeva visibilmente di ogni istante di quel pompino.
Quando l’instancabile troietta si staccò per riprendere fiato, si rivolse al vecchio sbattendo gli occhioni dolci “Allora mi perdoni, nonnino caro?”. Gerardo con inaspettata agilità lo prese per le braccia e lo fece sdraiare a pancia in giù sul proprio grembo “No! Non ancora”. Gli abbassò i pantaloni e con rabbia paterna iniziò a sculacciare quelle perfette chiappe bianche e lisce. Uno schiaffo dietro l’altro accendeva di un colore roseo quel pallore. Il ragazzo sussultava a ogni colpo, provava un misto di piacere e dolore che lo eccitava parecchio. Gerardo sentì il cazzo duro del ragazzo spingergli contro le gambe. Andò avanti finché sul culo, che ormai era di un rosso acceso, si distinguevano chiaramente il disegno delle manate con le cinque dita aperte.
Erano entrambi esausti. Il ragazzo impudente si alzò in piedi, era ancora frastornato quando si tolse scarpe e pantaloni e disse con un ghigno provocatorio “So io come farmi perdonare dal nonno tanto arrabbiato”. Immediatamente si mise in piedi sulla panchina dov’era seduto il vecchio, gli diede la schiena e si accovacciò fino a sentire la punta della cappella che premeva sul buco. Senza alcuno sforzo nonostante le discrete dimensioni di Gerardo si fece impalare dal suo cazzo. Aveva il buco caldo e accogliente, ancora dilatato e completamente bagnato dagli umori delle scopate precedenti. Gerardo, con il cazzo avvolto dalle viscere di quell’angelo, provò un'altra sensazione inimmaginabile mai provata fino a quel momento. Aveva il cazzo pronto a esplodere appena la cappella entrò in quell’orifizio e percorse il primo tratto morbido e caldo del retto. Il ragazzo inarcando la schiena si teneva con le mani salde allo schienale della panchina, Gerardo lo accompagnava nei movimenti tenendolo per i fianchi in modo che non perdesse l’equilibrio. Stava letteralmente cavalcando il cazzo del vecchio, con la forza delle ginocchia alzava e abbassava il bacino per dare e ricevere piacere. Gerardo restava passivo, lasciava fare tutto al ragazzo che godeva nel “voler farsi perdonare dal nonno”. Era in estasi, si sentiva rinato, per la prima volta non era spettatore della vita bensì protagonista. Mentre il ragazzo continuava a saltare sul cazzo di Gerardo, a farlo scivolare dentro e fuori con abili mosse di bacino, non si rendeva conto del piacere indescrivibile che stava donando a quel povero vecchio. Il piacere era sì fisico ma soprattutto mentale.
Gerardo era straordinariamente in forma per la sua età, resisteva con il cazzo duro che non cedeva di un millimetro sotto i colpi di quel culo che chiedeva a gran voce di essere farcito. In quella cavalcata il giovane sborrò ben due volte con il suo cazzetto sempre rigido, godette grazie agli stimoli del nonno senza neanche staccare le mani dalla panchina. Finalmente dopo un’estenuante cavalcata anche Gerardo raggiunse l’orgasmo, probabilmente il più bello e intenso della sua vita. “Tiiiii… peeeeerdonoooo… ooooh… oh… nipotino cattivo” urlò affondando le dita nei fianchi stretti del ragazzo e riversando in lui tutto il succo che riuscì a produrre.
Il ragazzo quasi esanime si abbandonò sulla panchina a fianco del nonno e prima di rivestirsi lasciò uscire un rivolo di sperma dal culo indolenzito. “Grazie, vecchio! Anzi, grazie Gerardo.” sospirò indicando l'incisione sulla panchina sotto lo sguardo stupito dell’anziano. Dopo una breve pausa riprese “Lasciami il tuo numero che ogni tanto faccio il cattivo e avrei bisogno di essere punito”. “Non ho il telefono” disse il vecchio. “Allora ci troveremo qui domani alla stessa ora e preparati perché sarò ancora più monello. So che vieni qua ogni giorno, quindi non sarà un problema rivedersi” propose il ragazzo con tono intraprendente. Gerardo annuì e senza aggiungere altro si lasciò accarezzare la guancia dal suo nuovo nipotino acquisito che partì di corsa verso l’uscita del parco. Gerardo pur non essendosene mai reso conto aveva una vita propria, che in quell'attimo vide riflessa negli occhi di quel ragazzo. In fondo non era così anonimo e invisibile come credeva, qualcuno conosceva il suo nome e le sue abitudini, sapeva chi era… che esisteva.

Gerardo restò lì seduto sulla panchina ancora per qualche minuto a riflettere su quanto gli era accaduto. Non avrebbe mai creduto che alla sua età avesse potuto vivere ancora un'emozione così forte e per giunta con un ragazzino di vent’anni.
Per la prima volta dopo molti anni Gerardo ruppe i suoi schemi: quella sera dovette prendere il bus delle 20.03 per rientrare, e questo lo fece sentire ancora vivo... più vivo che mai. Da quel giorno non si sentì più un'ombra anonima che vagava inosservata tra le vite altrui, uno spettatore che gioiva di piaceri e soffriva di dispiaceri riflessi. Da quel momento Gerardo iniziò a vivere con spontaneità ogni giornata... la sua vita da vecchio
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