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Gay & Bisex

la maratona


di Isaac
20.09.2013    |    9.947    |    5 8.6
"Disfacemmo i bagagli spartendoci ante e cassetti eppoi, dato che la competizione era l'indomani mattina, decidemmo di sfruttare il secondo pomeriggio e la..."
Anni addietro, assai più giovane che non adesso ed atleticamente prestante, ero atleta nella rappresentanza d'un corpo militare che qui ometto per non coprirlo di disdoro.

Si disputavano a Roma certi campionati europei di atletica riservati alle rappresentanze militari ed io, assieme ad un commilitone, fui scelto per parteciparvi sulla scorta dei buoni risultati delle competizioni precedenti; il giorno prima della partenza il maresciallo ci tenne un discorsetto il succo del quale era che non approfittassimo della lontananza dalla caserma e delle opportunità offerte dalla capitale per distrarci dagli allenamenti giornalieri e, soprattutto, depauperassimo preziose risorse fisiche accompagnandoci con le procaci e frivole signorine che certo non avremmo avuto difficoltà ad incontrare in quel di Roma. Quel maresciallo aveva un'idea della città risalente agli anni della sua gioventù, quando ancora c'erano le case chiuse ed i preparatori atletici proibivano il sesso a ridosso delle competizioni ma tant'è, l'ordine era perentorio ed inequivocabile, soprattutto ci dette ad intendere che un nostro eventuale scarso piazzamento avrebbe implicitamente significato che avevamo trasgredito alle sue raccomandazioni e che ne sarebbero seguiti turni di corvè e sanzioni disciplinari.

Partimmo alla volta del villaggio olimpico, dove avremmo alloggiato, lì scoprimmo che per un disguido organizzativo, in buona sostanza l'eccessivo numero di iscritti a quei giochi inopinatamente estesi ai paesi del bacino mediterraneo tutti, era rimasta disponibile una sola camera matrimoniale nella foresteria; accettammo di buon grado anche perché era l'ultima disponibile e dopo di noi vi erano altri atleti alla registrazione che nemmeno di quella avrebbero potuto disporre. Disfacemmo i bagagli spartendoci ante e cassetti eppoi, dato che la competizione era l'indomani mattina, decidemmo di sfruttare il secondo pomeriggio e la prima serata per visitare Roma che nessuno dei due aveva mai visto prima.

Seguimmo un itinerario classico, visitando piazze, basiliche e monumenti, comprammo una di quelle cartine per turisti e passeggiammo a lungo, fermandoci di tanto in tanto in qualche bar per rinfrancarci; Roma valeva la visita e nel nostro girovagare avemmo modo di ammirare la bellezza delle ragazze romane, così veraci e socievoli, nonché delle turiste straniere, anch'esse in un certo senso "in libera uscita" epperciò ammiccanti e disponibili.

In particolare con due di esse, danesi bionde e lentigginose entrambe, forse cugine chissà, che l'inglese io lo parlavo male ed il mio commilitone per niente, facemmo amicizia, passeggiamo a lungo e finimmo col prendere l'aperitivo prima e cenare in pizzeria poi; si avvicinava l'ora del ritiro, dettata dalla competizione dell'indomani e dalle ferree raccomandazioni del maresciallo, le ragazze tra moine ed ammiccamenti, ci avevano abbondantemente dato ad intendere che la serata sarebbe potuta finire in gloria e, sebbene noi due fossimo galvanizzati all'idea, dovemmo cercare di far capire loro che quella sera, proprio quella, non potevamo attardarci con loro, che ci rincresceva tanto e che se ci fossimo scambiati i numeri di telefono (ahimé, all'epoca né cellulari, né social network ...) avremmo potuto risentirci per un futuro indeterminato, l'estate a venire, o quella dopo ancora e così via.

La delusione che inducemmo in loro potè solo accrescere il nostro rammarico e la nostra frustrazione, finì che l'agognato numero di telefono non ce lo diedero e ci congedarono freddamente parlottando tra di loro in danese, di modo che non capissimo ciò che si dicevano ma, nonostante tutto, credetti di capire che l'una ipotizzasse all'altra fossimo gay!

Mestamente rientrammo al villaggio olimpico, l'occasione sfumata bruciava e sia io che il mio compagno ancora manifestavamo la tumescenza, indurita dalla frustrazione, di quel desiderio che ci aveva accompagnato per tutto il pomeriggio. Ci docciammo e andammo "in branda", che poi branda non era, trattandosi di un letto matrimoniale, uno di quelli in melammina bianca che andavano negli anni '80; da quel letto guardammo l'ultimo telegiornale su di un antidiluviano (anche per allora) televisore in bianco e nero ed infine spegnemmo gli abat-jour apprestandoci a dormire.

Gli avvenimenti della giornata ancora turbinavano nella mia mente, i visi delle ragazze, i loro seni sodi così ben visibili dalla scollatura delle magliette, quei deretani tondi inguainati negli short, la loro solare disponibilità che, presagivo, mai più mi sarebbe stata offerta con tanta spontaneità ... indugiando in questi pensieri il mio membro tornò ad inturgidirsi; già in doccia avevo spostato il miscelatore sull'acqua fredda per farmi passare quell'inquietudine senza cadere in tentazione e consumare così le preziose, liquide energie che mi sarebbero servite l'indomani ma i bollori erano tornati e, intuii dal suo rigirarsi accanto a me, bollori analoghi tormentavano il mio compagno.

Ogni tanto mi sfuggiva un sospiro, altrettanto accadeva alla mia destra, il sonno tardava a venire e cominciai a disperare di riuscire ad addormentarmi; realizzai che la performance atletica ne sarebbe stata compromessa e, quel che è peggio, senza che avessi trasgredito al comando del baffuto sottufficiale!

Dopo un po' avvertii il mio compagno da supino mettersi sul fianco sinistro, rivolto verso di me, poi la sua mano si poggiò sul mio membro marmoreo e sussultante; restai raggellato ma non dissi nulla, anzi, il sussultare del mio cazzo si fece sincopato ed il mio respiro frenetico, così la sua mano prese l'elastico del pigiama e quello delle mutande assieme, m'abbasso il tutto sin quasi alle ginocchia e tornò ad agguantarmi là dove l'emozione aveva provocato lo scoprimento del glande e l'effusione d'una coltre lattiginosa di smegma.

Lentamente cominciò la micidiale ed esperta opera masturbatoria che seppe prolungare ora rallentando, ora allentando e stringendo, fino a che non venni con un'intensità liberatoria mai provata prima, bagnandomi di seme sino al viso. Mi sentii svuotato di ogni energia ed una spossatezza profonda mi pervase sin nelle ossa, forse il maresciallo non aveva avuto tutti i torti nell'ammonirci ma ormai il dado era stato tratto e poco mi importava della gara che avrei disputato da lì a poche ore.

Il mio compagno ed io restammo in silenzio ancora per un po', poi coprendomi il viso con le mani per l'emozione e la vergogna, retoricamente gli chiesi: "Mio dio, che cosa hai fatto?". "Mi sono fatto una sega", rispose lui mellifluo. "Ti sei fatto una sega? Col mio cazzo?" chiesi perplesso. "Domani ho la maratona ...".
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