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Esatate in montagna


di Berto747
27.09.2022    |    9.942    |    5 9.6
"Forse non gli piacevano neppure i ragazzi e il mio culo era la cosa più vicina a una vagina che avesse potuto trovare per sfogare le sue voglie di maschio..."
Quest’anno, sopraffatto dal caldo afoso, sono andato a passare l’estate in montagna, nelle Alpi tirolesi, per cercare un po' di refrigerio. Ogni giorno mi inoltravo più in alto fra i boschi, più camminavo più apprezzavo sempre di più la montagna. Diventavo anche più coraggioso e abbandonavo sempre più spesso i sentieri tracciati. Volevo scoprire angoli nuovi della foresta. Ormai gli orsi e i lupi si vedono raramente, ma ogni tanto incrociavo qualche camoscio e se ero fortunato anche un cervo.
Una sera, però, camminando non riuscii più a ritrovare il sentiero. I massi che usavo per ricordami dove ero già passato sembravano ripetersi. Gli alberi erano tutti uguali. Oltre le loro fitte fronde, vedevo il cielo scurirsi e un senso di angoscia mi cresceva dentro.
Il rumore di un animale alle mie spalle mi fece sobbalzare. Mi voltai di scatto. Dietro gli alberi si muovevano un grossa figura scura. Quando la figura uscì dall’ombra degli alberi, trattenni il fiato. Era un orso.
Iniziai a correre. Dietro sentii l’orso fare altrettanto. I rami degli alberi mi graffiavano la faccia e le braccia. Correvo più veloce che potevo. Ma l’orso era più veloce. Mi avrebbe raggiunto.
Improvvisamente sentii l’orso fermarsi pochi metri da me. Chiusi gli occhi. Riaprii con cautela le palpebre. La testa dell’orso con le fauci aperte mi sovrastava. Ma non era un orso. Era un uomo barbuto. Indossava una pelliccia d’orso sulle spalle e la testa dell’animale gli copriva il capo. Mi sentii imbarazzato, avevo male un po’ da per tutto, dovuto alla mia corsa frenetica per fuggire da quel fantomatico orso. Era piuttosto il mio orgoglio a essere ferito dal mio imbarazzo.
“Buonasera.” Salutai l’uomo. Lui si limitò a squadrami da testa a piedi. Poi grugnì quello che penso fosse un saluto.
“Mi sono perso. Potrebbe indicarmi la direzione per raggiunge il paese?” Non feci in tempo a terminare la domanda che l’uomo si era voltato, ritornando sui suoi passi. “Mi scusi? Mi sono perso. Potrebbe aiutarmi a trovare la strada, per favore?” Insistetti. L’uomo non diede segno di avermi sentito. Gli corsi dietro.
“Ehi, mi senti?” Chiesi, portandomi al suo fianco.
L’uomo mi guardò. Mi sembrò che stesse per dire qualcosa, ma riprese semplicemente a camminare.
“È da quella parte il paese?” Chiesi, camminando alle sue spalle. Silenzio.
“Senta, vuole rispondermi? Io devo tornare a casa. Da qui non mi muovo se non mi dice dove stiamo andando.” Intimai, bloccandomi a gambe larghe fra gli alberi. L’uomo continuò per la sua strada incurante. Ero deciso a non muovermi. Un ululato ruppe il silenzio della foresta. Deglutii.
“Ehi, ma era un lupo? Ma non si erano scomparsi da questi boschi i lupi?” Gridai per farmi sentire dall’uomo. Un altro ululato risuonò fra gli alberi. Mi misi a correre per raggiungere l’uomo.
Camminai alle sue spalle in silenzio per non so quanto tempo. Era ormai divenuto notte e la foresta era immersa nell’oscurità. Nonostante fosse estate, iniziai a sentire una leggera frescura. Finalmente vidi una luce. Era una capanna. La capanna dell’uomo. Aprì la porta e la lasciò spalancata.
“Permesso.” Dissi, entrando con passo incerto. Era una sola stanza con le pareti tutte in legno. C’era un caminetto di sasso accesso in fondo. La capanna era calda al punto giusto. C’era un letto di legno.
Guardai fuori dalla finestra, e vidi un’altra costruzione in muratura, e dentro notai animali muoversi, erano delle pecore. L’uomo era un pastore che probabilmente passava l’estate in quel luogo, portando al pascolo le sue pecore.
“Vivi qui, da solo, tutto l’anno?” Domandai, lasciando vagare lo sguardo per la stanza. Naturalmente l’uomo non mi rispose. Si limitò a tirare fuori del cibo dalla dispensa e iniziò a preparare qualcosa. Quando ebbe finito mise tutto in un pentolone che posizionò sul fuoco.
Mi avvicinai per annusare. Sembrava buono.
“Che cos’è?” Chiesi, voltandomi. Deglutii. L’uomo si stava spogliando. Aveva gettato la sua pelliccia di orso sul letto e si stava sfilando la maglietta. Non potei fare a meno di fissare i suoi due muscolosi pettorali che risaltavano sul suo torso coperto da una leggera peluria. I suoi addominali sembravano una tartaruga viva. Si levò anche i pantaloni. Abbassai immediatamente gli occhi. Non indossava mutande sotto.
Si gettò nuovamente sulle spalle la pelliccia di orso e rimase così nudo per la stanza. Quando il cibo fu pronto, mi offrì una ciotola di verdure e legumi bolliti.
Mangiammo in silenzio. I miei occhi si muovevano incessantemente verso le sue gambe. Aveva delle cosce muscolose e pelose. Mi trattenni sempre da sbirciare oltre.
Quando finimmo di mangiare, l’uomo mi preparò un giaciglio per terra, vicino al letto. Feci per sdraiarmi, ma lui mi afferrò da dietro e mi spinse sul letto.
“Ehi, che cosa fai?” Esclamai. L’uomo mi tirò giù i pantaloni e le mutande con un colpo secco. Cercai di scappare, ma inciampai nei miei pantaloni, finendo a terra. L’uomo mi tirò su di peso e mi schiacciò sul letto, comprimendomi la schiena con tutto il suo peso.
“Fermo, fermo. Che cosa vuoi fare?” Gridai. Lo sentii sputare e sollevarsi leggermente sulle gambe. Qualcosa di grosso e liscio mi sfiorò il buchino. Lanciai un urlo di dolore. Il suo cazzo si aprì a forza la strada dentro di me. Aveva lubrificato la sua asta, ma il mio buchino era totalmente impreparato. Mi morsi il labbro, mentre delle lacrime scendevano lungo le mie guance.
L’uomo non aspettò neppure un istante per afferrare il suo piacere. Iniziò a muovere il suo bacino avanti e indietro. La sua cappella premeva contro le pareti del mio retto e la sua mazza mi strofinava l’ano. Ogni colpo rinnovava una fitta di dolore. Ma i miei gemiti di sofferenza erano coperti dai suoi grugniti di piacere.
Emetteva versi di godimento come non avevo mai sentito. Mi possedeva con la frenesia di un animale. Sembrava un orso intendo a montare. E io ero la sua orsa da monta.
Lentamente, dopo ogni botta, il dolore si fece più lieve. Il mio culo si stava abituando al suo ritmo animalesco. Cercai di resistere, ma iniziai a percepire piacere al suo sfregare. Il mio cazzo si stava gonfiando sotto di me. Ma l’orso non aveva il minimo interesse in quello che provavo. Voleva solo soddisfare la sua libido. E io ero un culo che rispondeva al compito.
Si staccò dalla mia schiena, sollevandosi sulle gambe. I colpi divennero più profondi e i suoi gemiti strozzati. Il sudore gli colava lungo il collo, attraverso il solco dei suoi pettorali e addominali. Le sue palle sbattevano contro il mio culo con un rumore secco. I suoi grugni cessarono, mentre le sue botte accelerarono.
Il ruglio sordo di un orso echeggiò nella stanza. Il suo cazzo vibrò nel mio culo. L’uomo scaricò le sue palle dentro di me in un lungo orgasmo. Diede ancora alcune botte leggere, poi si accasciò su di me. Il suo torso umido premeva sulla mia schiena. Il suo respiro affannato mi sibilava nelle orecchie.
Si staccò da me e sfilò la sua mazza. Il senso di vuoto mi lasciò più desideroso di quanto potesse immaginare. Strofinò il suo cazzo sulle mie chiappe per pulirlo. Raccolse uno straccio lì vicino e finì di pulirsi. Poi si gettò sul letto a pancia in su. Un gamba penzolava giù. Il suo cazzo ormai barzotto in bella vista. In un attimo iniziò a russare.
Mi girai sul fianco. La coperta sotto di me era sporca della mia sborra. Allungai il braccio e mi tastai il buchino. Era caldo e viscido. Avevo il suo seme dentro. Il seme dell’orso. Mi tirai su i pantaloni e mi rattrappii su me stesso e così, dopo molto tempo, finalmente mi addormentai.
Mi svegliai presto il mattino seguente. L’uomo-orso russava ancora nel letto. Era stravaccato a gambe larghe, le braccia riverse sul cuscino di fianco alla testa, così sicuro di sé e della sua virilità.
Mi alzai piano. Ero ancora un po’ dolorante dalla scopata. Il mio buchino era indolenzito. Sollevai un piede e lo appoggiai con cautela, assicurandomi di non far rumore. Un piede dopo l’altro, lentamente, mi avvicinai alla porta. Un asse scricchiolò. Mi immobilizzai e trattenni il fiato.
L’orso russava ancora. Esalai un respiro di sollievo. Aprii piano la porta e uscii, chiudendola alle mie spalle.
Il Sole non era ancora sorto. La luce debole dell’alba filtrava nel sottobosco. Un agitarsi del mio intestino mi ricordò che cosa portavo dentro. Mi abbassai i pantaloni e mi accovacciai sotto un albero espellendo fuori la sua sborra. Sentii il rumore di un autostrada e accelerai il passo. In realtà era un ruscello, ma l’acqua scorreva rapida e rumorosa. Seguii il percorso, finché non trovai un guado di sassi. Saltai sulla prima pietra. Traballai un attimo, ma riuscii a mantenere l’equilibrio. Feci un altro salto e raggiunsi il secondo masso. Scivolai. Caddi in acqua. La correte mi trascinò via. Sentii il mio braccio posseduto da qualcosa. Fui tirato su di peso e adagiato sulla riva. Avevo la vista annebbiata dall’acqua. Vidi il volto barbuto dell’uomo-orso. E stava parlando. Parlava in tedesco, ma riuscii a capire solo: “Io godo… io proteggo.”
Si abbassò su di me e mi sollevò, prendendomi braccio, incurante che fossi bagnato fradicio e infreddolito, dato che l’acqua era decisamente fredda. Il suo petto nudo e peloso era caldo. Mi rannicchiai contro di lui.
Quando fummo nella capanna, mi aiutò a sfilarmi i vestiti umidi. Mi avvolse in un telo e mi fece sedere vicino al fuoco. Mise a bollire qualcosa e quando fu pronto mi offrì una brodaglia calda. Mangiai senza fiatare.
Quando ebbi finito, iniziai a sentire le palpebre chiudersi e la testa cadermi. Forse era perché avevo preso freddo cadendo nell’acqua o forse era solo perché avevo dormito poco e male stanotte. L’uomo-orso mi prese nuovamente fra le sue braccia e mi adagiò sul letto. Appena ebbe tirato su le coperte, mi addormentai. Sognai. Sognai della sera prima, di me e dell’orso. Sognai l’orso che mi scopava. E io gridavo. Gridavo. Gridavo, finché l’animale non mi schizzava tutto di bianco.
Mi svegliai non so quanto tempo dopo. Un leggero giramento di testa scomparve subito. Mi girai piano sul materasso. Era più duro di quanto ricordassi. L’uomo era seduto di fronte al caminetto. Mi alzai e mi sedetti sul bordo del letto. Appoggiai lentamente i piedi per terra e mi avvicinai, avvolto nella coperta.
Lui era seduto su uno sgabello. Sotto la folta pelliccia dell’orso, era sempre nudo. Stava intagliando un tronchetto di legno con un coltello.
“Grazie.” Mormorai.
L’uomo alzò lo sguardo. Avevo sperato che parlasse di nuovo, ma anche stavolta non disse nulla, ma avrei giurato che fosse sollevato di vedermi in piedi.
“Grazie per avermi salvato.” Ripetei. L’uomo annuì leggermente e portò la sua attenzione nuovamente sul piccolo tronco di legno. Rimasi immobile a fissarlo. Volevo ringraziarlo propriamente.
Mi avvicinai ancora di più e mi posizionai di fronte a lui. Mi inginocchiai fra i trucioli. Allungai una mano fino a sfiorarli fra le gambe. Aspettai una sua reazione, ma l’uomo continua a intagliare. Presi nella mano le sue palle. Erano grosse e sode, come se fossero ancora cariche e aspettassero qualcuno che le svuotasse. Iniziai a massaggiarle. L’uomo sembrò gradire, perché l’arnese prese a gonfiarsi.
Quando mi aveva scopato, non l’avevo visto. Aveva una lunghezza nella media, ma era molto grosso e nodoso. Allungai anche l’altra mano e con devozione la strinsi attorno alla sua asta. Era incredibilmente duro come il legno. Forse davvero quel uomo aveva sempre vissuto da solo nei boschi. Forse non gli piacevano neppure i ragazzi e il mio culo era la cosa più vicina a una vagina che avesse potuto trovare per sfogare le sue voglie di maschio.
Iniziai a muovere la mano su e giù. Deglutii. Stavo salivando. Lui continuava a intagliare. Avvicinai la testa. Mi passai la lingua sulle labbra, umettandole. Aprii la bocca più che potei e accolsi la sua turgida cappella.
Smise di intagliare.
La mia lingua ruotò agile. Poi presi a succhiare. Mi aiutavo con la testa e le guance. Mentre la mia mano continuava a massaggiargli le palle. Lui appoggiò il coltello e il tronchetto. Mi spinsi a fondo. La sua asta penetrò in profondità nella mia gola, togliendomi il respiro. Il suo pelo mi solleticò il naso. L’orso gemette in quel suo grugnito animalesco.
Ero felice che stesse godendo. Accelerai la mia pompa, cercando di tenere il suo cazzo più a fondo possibile. Ma dopo un po’ lui mi fece staccare. Con rammarico dovetti lasciare che mi sfilasse la sua mazza di bocca. Mi fece voltare. Mi massaggiò le chiappe e me le allargò. Mi tirò a sé e mi fece piegare su di lui. Si strinse la base del cazzo e ci sputò sopra varie volte. Quindi, lo puntò verso l’alto.
La sua cappella umida toccò il mio buchino. Come un vero orso godeva pienamente solo quando fotteva la sua monta. Il mio buco faceva resistenza e come l’altra volta lui fece forza. Mi tirò giù sul suo cazzo, aprendomi in due. Trattenni un grido di dolore, anche se non credo si sarebbe preoccupato. Scopava solo per se stesso. Non credo immaginasse neppure che anche io avrei potuto provare piacere.
Non ebbi tempo di prendere fiato che mi impose di muovermi. Sollevai il bacino, finché non sentii la sua cappella quasi uscire dal mio buco, quindi mi fece cadere, impalandomi da solo. Stavolta il piacere arrivò prima e potei dare maggiore attenzione al mio movimento sali e scendi. Ogni tanto ruotavo il bacino per fargli provare diverse sensazioni. Lui sembrava gradire, perché i suoi grugniti erano incessanti.
A un certo punto si alzò dallo sgabello senza sfilare il suo cazzo. Mi spinse verso il muro e iniziò trombarmi lui. Il suo ritmo frenetico mi spaccava il culo. Mi stringeva i fianchi con le sue forti mani quasi facendomi male e si aiutava a nei colpi più profondi. La sua cappella mi schiacciava l’intestino, facendomi inarcare la schiena di dolore e di piacere.
Le sue botte divennero più ravvicinate e forti. I grugniti erano divenuti un ansimare sconnesso. La sua asta fremette dentro il mio culo. Con un lungo gemito mi esplose dentro il suo liquido caldo.
Con delicatezza estrasse il suo cazzo e come l’altra volta si pulì sulle mie chiappe. Barcollando andò a sedersi sullo sgabello. Era ancora tutto sudato, ma sembrava soddisfatto.
Quando, mi voltai sembrò sorpreso di vedere il mio cazzo in tiro. E fu ancora più sbalordito, quando iniziai a masturbarmi e mi venni sulla mano. Dopo essermi pulito, raccolsi i miei vestiti, ormai asciutti, e mi rivestiti con la sua sborra calda che si agitava dentro di me.
“Devo andare. La famiglia sarà molto preoccupata.” Dissi.
L’uomo-orso si alzò dallo sgabello. Nudo con la sua virilità che pendeva ormai a riposo tra le gambe mi aprì la porta.
“Segui il corso del fiume. Ti porterà dritto a valle e al paese.” Spiegò, indicando fuori oltre gli alberi. La sua voce profonda mi prese alla sprovvista. Avrei voluto ringraziarlo, ma ormai sapevo che le parole non serviva a niente. Comunicavamo in altri modi.
Tornai varie volte a trovarlo durante la vacanza. E come un animale in eterno calore lui mi scopò quando e dove volle.
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